Macrobio, gran bravo lights designer teatrale, nonché tecnico del suono, aveva lavorato troppo! Glielo dicevano tutti, a partire da Giulio, il regista: “Prenditi un paio di giorni di totale relax, non puoi star lì alle consolle per quindici ore al giorno”.
“Eh, già, e tutti gli effetti che mi chiedi” gli rispondeva Macrobio “chi te li fa!? Tuo nonno in carriola!?”.
“Beh, ma non occorre che ne aggiunga tu, o che reinventi quelli che ti ho già suggerito io, o no? Potrei anche offendermi!”.
“Non è il caso, io lavoro sulle sfumature, specie per quanto riguarda le luci, tu sai che sono un perfezionista, e sai che intendo il mio lavoro anche come creativo, non solo esecutivo, e tu mi chiami proprio per questo, o no!?”.
“Ma si, è vero, certo, non posso mica nascondermi dietro un dito, no!? Comunque, se scoppi, ne andiamo di mezzo tutti, proprio perché sai che per noi sei quasi insostituibile!”.
“Vabbè, dai, mi prendo questa sera per mettere a punto dei passaggi, poi domani e lunedi me ne vado in campagna, d'accordo?”.
“Così va bene” gli fa Giulio “fino a martedi pomeriggio non farti vedere!”.
Le prove del  Sei personaggi in cerca d'autore scorrono senza intoppi fin verso le otto di sera, Giulio rinvia tutti all'indomani, meno che Macrobio, il quale saluta tutti, assicurandosi di avere le chiavi dell'ingresso artisti del teatro Valle di Roma: va a comprarsi un bel “tòcco” di pizza rossa, per poi tornare a lavorare da solo, e sodo, in teatro per un paio d'ore.
Giulio, nell'uscire, si rivolge a Claudia, la sua costumista di fiducia, chiedendole:
“Che ne pensi di Macro? Lo vedi anche tu piuttosto stressato, stanco?”.
Claudia guarda Giulio, senza proferire parola.
Giulio: “Allora? Ti ho fatto una domanda!?”.
“Ma!... che ti devo dire, piuttosto che stressato lo vedo... stranito, un po' con la testa fra le nuvole, che non è certo una sua caratteristica comportamentale usuale.>>.
Giulio ripete a mezza bocca: “Un po' con la testa fra le nuvole!... Speriamo bene!”.
“Ma dai” fa Claudia “di che ti preoccupi, Macro è tra i migliori tecnici del suono  e delle luci che sta sul mercato!”.
“Che bella espressione: stare sul mercato!...” risponde Giulio ironicamente, e poi, facendo le spallucce chiede:
“Vieni a cena da me? Ti va?”.
Claudia fa un cenno d' intesa e dice:
“Guarda che pure io sono piuttosto stanca, oltre a Macrobio, per cui... nel dopocena... non contare troppo su di me!” e ride, piuttosto sguaiata.
Gli altri sciamano, a gruppetti, fuori dal teatro, verso le mète scelte per cenare, mentre Macrobio, con la sua pizza rossa in mano, rientra, trovando proprio nel foyer, vicino alla libreria interna, uno dei custodi che controlleranno la sala nelle ore notturne; è un filippino, molto solerte, molto dolce, che chiede a Macrobio se può uscire con la sua ragazza in quel paio d'ore in cui lui è al desk delle luci a lavorare; Macrobio lo asseconda volentieri, pensando di prim'acchitto, che sarà la prima volta a stare completamente solo in una sala teatrale del tutto vuota, senza nessun altro essere vivente presente: esperienza interessante, gli vien da pensare.
Macrobio controlla che tutte le tende delle porta d'ingresso dei vari settori della sala siano tirate: non vuole che trapeli nemmeno una minuscola traccia di luce dall'esterno. Accende il PC e gli fa caricare il programma luci fino a quel momento stabilito, non prima di aver manualmente controllato che tutte le lampade funzionino correttamente. Poi accende l'impianto della fonica e controlla, facendo girare una breve registrazione musicale, che tutti i diffusori funzionino perfettamente, anche se quella sera vuole insistere particolarmente nello studio del piano luci: lui è fra quelli convinti che con gli effetti luminosi si può strutturare una regia intera.
In particolare, non è ancora soddisfatto, nonostante i numerosi e inventivi suggerimenti di Giulio, di quanto al momento prevede il piano luci durante la scena dell'apparizione di Madama Pace. Pensa intensamente al fatto che in quello stesso teatro andò in scena nel 1921 la prima dei Sei personaggi! Si convince che a maggior ragione occorre dare il massimo, in omaggio al grandissimo drammaturgo italiano.
Macrobio sale sul palcoscenico sistemando la scena, che  deve richiamare l'interno dell'atelier di madama Pace: sistema il fondalino con la porticina, il tavolinetto di mogano, la specchiera, il paravento e gli attaccapanni; poi torna in platea e raggiunge la sua postazione, sedendosi davanti alle consolles, col suo quadernone degli appunti  spalancato e pronto ad essere vergato. Si accende una sigaretta, approfittando che nessuno può richiamarlo all'ordine, e aspira a pieni broncopolmoni il fumo: dopo tre boccate avverte un lievissimo stordimento e una specie di sonnolenza fastidiosa, quasi innaturale. Deve fare uno sforzo  sovrumano per allontanare quella sensazione, che continua comunque ad assediarlo.
Punta l'attenzione sul piano luci, sul punto dedicato alla scena chiave, lo rilegge ripassando mentalmente gli effetti stabiliti, prima di vederli effettuati concretamente sulla scena. Ancora una volta deve sforzarsi di respingere una strana sensazione di sonno ad occhi aperti, qualche gocciolina di sudore gl'imperla la fronte.
Con un ulteriore sforzo, si concentra per esaltare la presenza della specchiera, evitando  i facili fastidi che uno specchio può dare all'occhio dello spettatore rifrangendo la luce. Porta al minimo tutto il piazzato, e i due tagli di luce che attraversano lateralmente il palcoscenico; lentamente alza l'intensità dei due proiettori puntati sulla specchiera, mentre le palpebre gli sembra che stiano per chiudersi: si soffia il naso con un fazzolettino e beve tutta l'acqua di una bottiglia, nella speranza di vincere quel sonno-non-sonno  che mai prima aveva avvertito nella sua vita. Guarda di nuovo il palcoscenico, fissa la specchiera, e vede riflessa l'immagine di una figura femminile, dai contorni via via sempre meno sfumati, e sempre più precisi; chiude gli occhi, li riapre e l'immagine è sempre lì... le mani gli sudano, sente il cuore battere all'impazzata... grida: “C'è qualcuno?”, che viene moltiplicato in vari echi da più punti di quella sala vuota, semibuia, divenuta un enorme antro misterioso,  una caverna smisurata con mille oscuri nascondigli. Decide di accendere tutte le luci disponibili, e quelle del palcoscenico e quelle di servizio della sala: sulla specchiera non vede più nulla, se non riflettutto l'angolo destro sul fondo del palcoscenico: Macrobio si calma, beve ancora, si asciuga la fronte, gli pare che la sonnolenza gli sia decisamente passata; toglie le luci, una per volta, senza avere il coraggio di fissare la specchiera, finché non arriva alla posizione iniziale degli effetti; sente tornargli quella sorta di intorpidimento di tutto il suo essere, deve  fare ancora uno sforzo sovrumano per non ricadere addormentato sulla sedia; ora sente il suo sguardo decisamente attirato dallo specchio, e vede lei ancora lì, dentro quella specchiera, ancor più visibile, ancor più luminosa: è giovane, ha una bellezza sovrannaturale,  è vestita di veli color del mare, pare una creatura mitologica, una dea al contempo sensualissima e inavvicinabile; Macrobio si accorge che con una mano fa un ampio gesto di richiamo: lui si sente irresistibilmente attratto da quella mano; si avvia verso il palcoscenico, per lui non esiste più nulla, se non la realtà di quel corpo divinizzato, assieme etereo e carnale, i cui veli fanno intravvedere le forme perfette, di un'armonia inimmaginabile: ogni rotondità sembra un'astratta forma ideale, concepita disincarnata, eppure assolutamente visibile nella sua perfezione anche materiale.
Ormai  è a pochi metri dalla specchiera, e Macrobio, senza quasi energia,  sottovoce, chiede: “Ma tu chi sei?”.  Gli pare che lei gli dica, appena  appena percettibilmente,: “La Madama Pace che ciascuno vuole!”; ma forse non ha detto proprio così, potrebbe avergli detto: “Sono la pace che ciascuno vuole!”, o forse: “Trovi in me la pace che vuoi!”: Macrobio non riesce più a proferir parola, anche perché lei con la mano lo chiama sempre più a sé; Macrobio è a un passo dalla specchiera, e porge il braccio verso di lei, con la punta delle dita tocca lo specchio, lo sente come bagnato di un liquido fresco, rivitalizzante. Lei gli sorride, ma i suoi occhi, di un colore indefinibile, sembrano guardare verso l'infinito; a Macrobio ora sembra che  quella figura divina non sia più vestita come un'equorea creatura marina, ma richiami piuttosto la consistenza di rocce antichissime, una ctonia natura proveniente dalla prima scintilla creatrice. La fissa sempre di più, al punto che si sente rapito da lei e come portato a volo su abissi di cieli oscuri, attraversati da iridescenti astri roteanti e fiammeggianti, rossi viola verdi azzurri, come se lei fosse una creatura angelica svincolata da ogni limite terreno. Macrobio perde ogni contatto di sé, sentendosi parte di un tutto incommensurabile, e sentendo il tutto invadere se stesso come parte: Macrobio si sente finalmente totalmente immensamente felice! per un tempo che è tempo ma assieme è eternità!
Uno scoppio come di vetri infranti ed alcune voci lo svegliano: qualcuno gli passa una salvietta di stoffa fredda sulla fronte, sulle labbra, e sempre più distintamente ode la voce di Claudia dirgli: “Avevamo ragione noi, sei proprio una capa tosta, eh?”; Giulio aggiunge: “Stai tranquillo, l'ambulanza sta arrivando, ma vedrai che non hai nulla di particolare, ti daranno dei giorni di riposo assoluto... finalmente!”; Giulia gli sussurra all'orecchio: “E meno male che i vetri della specchiera non ti hanno minimamente toccato!”: Macrobio le sorride appena, bisbigliando alcune sillabe appena percepibili, che compongono la parola: “felice”.