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Nonostante la scarsa attenzione  concessa all’espansione culturale e al miglioramento delle nuove generazioni da chi ci governa, (benché all’insediarsi ci abbia procurato un immenso sospiro di sollievo quanto a dignità e cultura delle istituzioni), qualcosa di vivo prende origine, spontaneamente, nel cuore della più antica Università romana e suggerisce, con stile indiretto, i modi civili per dare spazio al futuro.
Sull’onda dell’interesse genuino sorto fra gli studenti del Dipartimento di  Studi Europei, Americani e  Interculturali della Sapienza di Roma, in seguito al corso imperniato sulla traduzione del “Kinder und Hausmarchen” dei fratelli Grimm del 1912 (Le fiabe del focolare), ha preso corpo, a duecento anni dall’avvio della pubblicazione dell’opera dei due folcloristi tedeschi, l’idea di strutturare un largo progetto sulla fiaba di  Cenerentola, complessivo di un convegno internazionale e di una mostra. In mancanza di  un adeguato sostegno economico da parte delle Istituzioni deputate, l’iniziativa appare, a ritroso, davvero coraggiosissima: tanto più che un simile dipartimento, per logica fondativa,  non può permettersi di pensare in chiave di limitati orizzonti. Fortunatamente  numerose adesioni di Istituzioni nazionali e internazionali  hanno corroborato la realizzazione del disegno originario.  
Provenienti da venti Paesi, i giovani relatori del convegno sono stati, per intenderci, quasi cinquanta.
Fra le necessità prevedibili uno staff organizzativo e di ricezione, un servizio di traduzione simultanea, ambienti e mezzi. Nella logica del convegno internazionale, adottare l’inglese come lingua di riferimento ha  consentito di limitare le necessità di traduzione, mentre articolare le conferenze in tre sessioni parallele, spesso in lingue differenti, ha permesso di condensare i tempi e offrire la possibilità di ascolto ai meno dotati in inglese. Ovunque piccoli gruppi di studenti  erano  strategicamente collocati a offrire la loro collaborazione: affidati a loro la registrazione e la destinazione del pubblico o soccorrevoli interventi di traduzione simultanea. Il team, educatissimo e aggraziato, delle giovani docenti del Dipartimento,  (Camilla Miglio, Germanistica, curatrice per Donzelli dell’ultima edizione di fiabe dei Grimm, con il titolo “Principessa Pel di topo” Martine Vangertruijen, Lingua e Letteratura Francese, Monica Wosniak, Lingua e Letteratura Polacca, curatrice con Giuliana Zagra della Mostra e del Catalogo per Onyx)   ha fatto, visibilmente, la differenza nello stile di ricezione, per le non comuni doti di disponibilità, gentilezza, attenzione. Al Direttore del Dipartimento, Francesca Bernardini Napoletano,  il merito ulteriore di una speciale lungimiranza, che va dalla visione d’insieme dell’intera  iniziativa, alla sapiente selezione e messa in relazione, di questa  brillante comunità di studiose giovani, dotate di personalità e di formazione internazionale.  A dire il vero l’intero convegno ha risentito, molto positivamente, di questo particolare humus. E’ dato raramente di poter incontrare, tutte insieme, così tante giovanissime donne di diversa nazionalità, studiose di argomenti forti e sorprendenti, proposti quasi timidamente e con rara semplicità.  E’ la qualità sommessa di Cenerentola che informa  prodigiosamente lo stile del convegno, oppure è la particolare  tipologia degli interessi comuni, a predisporre le nuove insegnanti d’università  di tutto il mondo a questo approccio soft e al contempo saldamente strutturato?
1) Il Convegno: Cenerentola come testo culturale
8-10 novembre 2012 (Villa Mirafiori, Biblioteca Nazionale, Goethe Institut).
Il taglio del convegno era volto a indagare diacronicamente Cenerentola in tutte le metamorfosi della sua natura testuale,  ivi incluse quelle intermediali, come prodotto situato in un ecosistema geoculturale, storico, culturale, mediatico. In discussione argomenti come:
- Giambattista Basile, Charles Perrault, Fratelli Grimm: interazioni e interconnessioni testuali.
- Grimm , “Aschenputtel” versus Perrault “Cendrillon”. Affinità e differenze fra i due testi letterari; ricezione e fortuna.
- Tipi di pubblico e ricezione, manipolazione e ideologie, translatio culturale: Cenerentola in vari immaginari culturali.
- “Domestication” e identità nazionale; le nazionalizzazioni di Cenerentola, comunicazione interculturale e adattamento della fiaba.
- Lettura iconologia e imagologica; aspetti diacronici e sincronici delle rappresentazioni visuali di Cenerentola. Canone letterario e adattamenti intermediali e intersemiotici (cinema, musica, teatro).
Non poche le scoperte  folgoranti o divertenti avvenute in corso di conferenza.
Cominciando dall’impensabile identità dei primi traduttori di libri per bambini in inglese ( Gillian Lathey, Roehampton University of London) che apprendiamo essere stati “un gruppo eterogeneo di giornalisti, uomini di chiesa, scudieri e calzolai: per i quali la traduzione costituiva un lavoro secondario. Fra tutti rimane esemplare il nome di Robert Samber (del quale sopravvivono molti testi nella Bodleian Library dell’Università di Oxford),  che fu traduttore di fiabe, testi pornografici, versi occasionali e trattati medici e finì per assicurarsi un posto significativo nella letteratura per bambini in inglese, per aver tradotto  i “Contes de ma mère l’oye” del 1695-97 di Perrault nel 1729….”.
In questo contesto a catturare l’attenzione (Rossana Dedola, International School of Analytical Psycology, Zurich) è l’incantevole traduzione che Carlo Collodi  seppe realizzare delle fiabe di Charles Perrault, insieme a quelle di Madame Le Prince de Beaumont e di Madame d’Aulnoy , nel suo “I racconti delle fate” del 1875, (precedente di quattro anni la stesura di “Pinocchio”). Lo scrittore introdusse nel testo alcune sue varianti  e applicò alla tessitura del linguaggio, infinitamente più musicale e seducente di ogni altra traduzione, una percettiva capacità di ricreare l’originale, aderendo profondamente ai sentimenti messi in gioco.  Tutt’altro che regionale risulta anche la chiave umoristica che Collodi enfatizzò, favorito dalla mediazione musicale di Rossini,  di cui era profondo conoscitore.
Nè viene trascurato il grande lavoro  di fine ottocento dei folcloristi italiani Giuseppe Pitrè e Caterina Pigorini Beri  (Elena Massi, Università di Modena e Reggio Emilia),  i quali trascrissero le varianti delle storie di Giovan Francesco Straparola (“Le piacevoli notti” 1550-53) e  Giovan Battista Basile (“Lo cunto delli cunti”1634-36), nelle numerose pubblicazioni che altri narratori  lessero a loro volta. Ricercatori, gente comune e scrittori, dai quali scaturirono svariate altre Cenerentole, chiamate con  nomi differenti e altrimenti vestite o diversamente rifugiate accanto a focolari di estrazione ora nobile, ora artigiana, ora contadina. E’ il fenomeno della cosiddetta “genrecitè lectorial”, primo aspetto del processo di “domesticazione” della fiaba di Cenerentola nel nostro Paese; ogni regione ha configurato un’autonoma forma  della fiaba,  adattandola alle specifiche condizioni sociali ed economiche, a norma di  un ulteriore aspetto, che completa il processo domesticativo e che viene indicato come “gernrecité auctorial” . Di questi percorsi si incontrano  ripetutamente le influenze nei lavori di Luigi Capuana, Italo Calvino, Beatrice Solinas Donghi, Emanuele Luzzati e Gianni Rodari.
E non manca  un’analisi comparata condotta (Cyrille François, Università of Lausanne) attraverso i due testi più famosi della fiaba di Cenerentola (“Cendrillon, ou la petite pantoufle de verre” di Perrault (1695-97) e “Aschenputtle” dei Grimm, quest’ultima in particolare attraverso le sue variazioni dal testo del 1812 a quello del 1857), che riconduce ciascuna delle due voci narrative alla propria concezione della fiaba. L’analisi affronta il ritmo delle due distinte narrazioni, la loro punteggiatura, la lunghezza delle frasi e la rispettiva costruzione sintattica; quindi il modo in cui vengono presentati gli eventi (da un lato un narratore indiscreto e dall’altro una voce narrante nascosta nella sequenza cronologica) ed infine, dal discorso indiretto degli autori, il modo in cui essi presentano i loro personaggi. Ad esempio: in Perrault il narratore è culturalmente determinato e aperto a più voci narranti: fa uso dell’ipotassi e di frasi subordinate chiuse, specialmente relative e ricorre senz’altro alla tradizione letteraria, al doppio senso, ai giochi di parole, alle conclusioni moralistiche; nei fratelli Grimm, autentici folcloristi, il  narratore si esprime con un linguaggio ingenuo, non determinato culturalmente, e fa un uso della paratassi e giustapposizione delle frasi, come seguendo una coordinazione action-oriented.
Ancora una raffinata forma di analisi,  l’analisi stilometrica computerizzata, consente di leggere gli imprevisti risultati delle ricerche polacche (Katarzyina Biernacka-Likzar, Staniow Bogumila, University of Wroclaw). Dal procedimento d’indagine, che  riguarda la lunghezza delle parole, della frase, dei paragrafi e la ricchezza lessicale, si scopre come, nelle locali  edizioni che vanno dagli anni 1910 agli anni 1940-50 , Cenerentola e il Principe parlino pochissimo:  e lei con parole elementari, spesso ripetute e riferite agli animali domestici; mentre la Fata è del tutto silente, e la Matrigna si esprime, al contrario, con dovizia e qualità di vocaboli. Perfino le sorellastre, sia pur schiamazzando, parlottano solo un po’. Ma nell’aumento delle parole da 400 a 2000, verificatosi successivamente alla 2° Guerra Mondiale, si rileva l’influsso dei cambiamenti politici, che durante il Regime Comunista si erano concentrati sulle periferie del testo (introduzione, disegni, copertina),  come strumento di propaganda o censura dei testi classici.
In Italia (a parte l’adattamento - di puro valore storico - realizzato nel Ventennio fascista da Nonno Ebe),  il ‘900 inizia con un abbassamento di tono, dovuto alle burle parodiche di Cenerentola inventate  da Antonio Rubino e Sergio Tofano (Mariarosa Rossitto, Università La Sapienza di Roma). La società borghese, che tutto monetizza, impedisce la fuga nel fantastico e dalla penna di Tofano scaturisce una “terribile Cenerentola,  massaia incallita”, devastante  sia per l’etichetta di Corte  che per la Maestà del Re, il quale finirà per ripudiarla, per la gioia delle sorellastre. Anche Malerba proverà a modificare la fiaba, volendo farvi confluire il suo “Pinocchio con gli stivali”, che, in fuga dalla sua storia personale, tenta di  rifugiarsi in altre narrazioni, impedito, però, dai personaggi originari di quelle, che non ammettono deroghe alla loro vicenda. Sono trasformazioni che riflettono il mutare di punto di vista del Novecento, in direzione di un andamento sempre più critico: come nel romanzo del 1999 di Philip Pullman (I was a Ratt), in cui appare una Cenerentola vittima per la prima volta del ruolo di principessa.  Il testo è successivo al famoso lavoro di Angela Carter “Ashputtle or the Mother Gost”del 1987, che esplicita, con evidenza, la mutazione della fiaba in direzione della narrativa borghese (Laura Tosi, Università Cà Foscari, Venezia), come accade nei romanzi di Gail Carson Levine (“Ella enchanted”, 1996), Margaret Peterson Haddix (“Just Ella”,1999), Gregory Mguire (“Confessions of un Ungly Stepsisters”, 2002,), Malinda Lo (“Ash”, 2009) e dello stesso Pullman. In una direzione affine, ma più sintonica allo sviluppo della ricerca nel campo filosofico dei recenti Women’s Study, appare (Rona May-Ron The Hebrew University of Jerusalem) il ruolo iconoclasta della scrittrice Margaret Atwood, autrice, durante l’avvio della seconda ondata femminista, di un romanzo (“The Edible Woman”, 1969) fortemente impegnato “in una riflessione sulla costruzione sociale fallocentrica della femminilità, che manda simbolicamente in frantumi la scarpetta di cristallo, attraverso una protagonista ostile a questo simbolo e a tutto ciò che rappresenta dal punto di vista psicologico e sociale”.  A un passo dalla rilettura del film Pretty Woman in chiave di success story capitalista (Marian Mc Curdy, University of Canterbury, New Zeland)  in cui si fa notare la saturazione di “narrazioni della trasformazione” nei reality televisivi e si evidenziano i parallelismi tra prostituzione e capitalismo, perchè ciò che lì si celebra è una borghesia in cui le donne trovano mariti adatti vendendosi al miglior offerente. Interessanti le sottolineature semiotiche  attraverso alcuni fotogrammi:  ad esempio quello in cui la protagonista del film indossa il collier di rubini ricevuto in dono dal futuro consorte. Curiosamente, (ma qui la nota è mia) il gioiello sembra segnalare, tra le rifrazioni color sangue e il disegno a zig zag affine all’andamento di una saldatura cicatriziale, non solo il punto esatto in cui abitualmente si innesta il controllo della testa, su qualcuno eterodiretto, (Frankenstein), ma anche quello in cui si praticano le necessarie pressioni violente, contro la postura eretta del collo di figure femminili, paradigmatiche per le superiori consapevolezza e  capacità di pensiero: Desdemona o Cordelia, per dirla con Shakespeare; ma anche Virginia Woolf avrebbe molto da dire in proposito.
Sono, queste indicazioni, appena sommariamente indicative,  rispetto al programma estremamente  denso e appassionante del convegno: tra i relatori si sono susseguite anche figure di rilievo come Ruth.B. Bottegheimer  (Stony Brook University, State University of New York), autrice di “Fairy Tales Framed” e di “Silenced Women in the Grimm’s Tales” e Bernard Lauher, Direttore del Museo dei Fratelli Grimm di Kassel, ma chi scrive non ha il dono dell’ubiquità.
Né saprei trattenere, in finale di convegno, un pensiero per  Walter Benjamin. Dal suo “Narratore”, contenuto in “Angelus novus” Einaudi 1999, due  brani si impongono alla riflessione:

pag. 267
Il primo e vero narratore è e rimane quello delle fiabe. Dove il consiglio era più difficile, la favola sapeva indicarlo, e dove l’angustia era più grave, il suo aiuto era più vicino. Questa angustia era quella del mito. La favola c’informa delle prime disposizioni prese dall’umanità per scuotere l’incubo che il mito gli faceva gravare sul petto. (…) Il meglio – ha insegnato la favola anticamente all’umanità, e insegna ancora oggi ai bambini-, è affrontare le potenze del mondo mitico con astuzia e impertinenza. (Così la fiaba polarizza il coraggio, dialetticamente, in sottocoraggio - o astuzia- e sopracoraggio o impertinenza). L’incantesimo liberatore di cui dispone la favola non introduce la natura in forma mitica, ma accenna alla sua complicità con l’uomo liberato….(..)

pag. 273
Possiamo chiederci se il rapporto che il narratore ha con la sua materia, la vita umana, non sia di fatto quello artigianale. Se il suo compito non sia quello di lavorare la materia prima delle esperienze -altrui e proprie- in un modo solido, unico e irripetibile. E’ una lavorazione di cui può dare, forse la migliore idea il proverbio, se lo si considera come ideogramma di un racconto. Si potrebbe dire che i proverbi sono rovine che stanno al posto di antiche storie, e in cui come l’edera intorno a un resto di muro, una morale si avvolge attorno a un gesto”.

2) La Mostra: Mille e una Cenerentola.
Illustrazioni, adattamenti , oggetti consueti e desueti.
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, 8 novembre 2012-31 gennaio 2013.

In apertura:
Francesco Reggiani e Sergio La Stella, del Teatro dell’Opera di Roma: “Le Cenerentole: storie e divagazioni musicali” :  un divertente excursus, di rara competenza, sull’affermazione del Teatro Costanzi di Roma, fino alla sua trasformazione in Teatro dell’Opera,  insieme all’amabile racconto (musicale  e comparato) della fortuna delle Cenerentole di Rossini, Prokofiev e Massenet.
Andrea Andermann: regista e produttore di Rada Film, in conferenza sulla nuova produzione Rai (2 Gennaio 2013, 1° Canale) di una straordinaria Cenerentola di Rossini.

Suddivisa in vari capitoli (Trasformazioni testuali e visive di Cenerentola, Cenerentola in musica, Cenerentola interculturale), la mostra espone un vasto repertorio di rare pubblicazioni  e manoscritti che va “dalle Cenerentole storiche della tradizione occidentale (Basile, Perrault, Grimm, Ferretti) alle Cenerentole d’autore (Bontempelli, Chiaves, Rubino, Tofano)  e dalle interpretazioni iconografiche della fiaba di grandi illustratori (Dorè, Dulac, Rackam, Luzzati,  Innocenti, Butenko) alle interpretazioni e riscritture moderne (Rodari, Carter, Dahl, Piumini, Dante), dagli splendidi costumi del Teatro dell’Opera per la Cenerentola di Rossini e di Prokofiev agli antichi libri-teatro italiani e inglesi, dalla piccola collezione di scarpette del Museo d’Arte Orientale di Roma alla scarpetta di Ferragamo, per il film di Andy Tennant “Ever after. A Cinderella story”. Proiezioni e montaggi multimediali creati dagli studenti dell’Università la Sapienza di Roma completano il percorso espositivo” e un contributo di grande valore artistico e documentario è stato offerto dalla Biblioteca di Stettino, dal Teatro Lalka di Varsavia e dalla Fondazione Bibiana di Bratislava.