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Cosa immaginate quando leggete il titolo di questo spettacolo? Ovviamente il gesto antico che gli uomini rivolgevano alle donne e che oggi ormai è inesistente, perché se esistesse ancora sarebbe oggetto di fraintendimenti e risate. Purtroppo… Ironia a parte parliamo ancora una volta di uno spettacolo di Manlio Santanelli, IL BACIAMANO, vecchia gloria dell’autore napoletano, risalente agli anni ’90. Attraverso un passaparola ci siamo ritrovati al Sancarluccio di Napoli, teatro di grande storia sull’elegante Via dei Mille. Lo spettacolo è in scena dal 16 al 18 novembre. Elevata la presenza di giovani tra il pubblico, in una sala che non ci accoglieva da un po’ di tempo ma che ha sempre un fascino particolarissimo. In attesa dell’inizio dello spettacolo leggiamo la brochure della stagione del Sancarluccio: innovativa, entusiasmante. Oltre alla presenza di particolari incontri, workshop, laboratori, rivolti agli addetti ai lavori e non. In scena Annarita Vitolo e Vincenzo Albano, per la regia di Antonio Grimaldi, componenti di Erre Teatro. Prima di approfondire spettacolo e interpretazione, un plauso va alla scelta delle musiche che riempiono le scene prepotentemente, coinvolgendo massimamente il pubblico. Andiamo al testo e alla messinscena. Una donna del popolo, detta Janara, e un giacobino nobile: lui imprigionato dal marito di lei. Lei carceriera di giacobini che vengono tagliati e mangiati, secondo atti di cannibalismo documentati nella storia di Napoli. Due classi a confronto che si ritrovano in uno stesso ambiente: unico legame la storia e  l’atto de “il baciamano”. Il giovane giacobino ha un linguaggio forbito, la donna invece si esprime in un dialetto basso e  arcaico. In scena un tavolo di metallo e sullo sfondo uno specchio che non riflette, una cornice: da un lato il ricordo dei fasti delle case nobiliari del 1700, dall’altro un freddo tavolo da macellaio o obitorio. Il  giacobino “incaprettato” instaura una conversazione con la sua carceriera: come rivolgersi ad una donna di cui non conosce neanche il nome? Il nobile non chiama mai solo per nome. L’unico appellativo che la protagonista ricorda è “Janara”: così la chiamavano da tempo. L’ossessione della donna per le ossa che pulisce e ripone con cura nella cassapanca, ossa umane ovviamente, spinge la Janara a cullare queste “creature” mortuarie, identificandole con i figli e con tutti i bambini uccisi dalla fame e dalla povertà. Tra voci ed urla di infanti che trapelano dalle mura della cella-palco, la Janara infila ripetutamente la sua testa nella cassa, ricordando una scena della Cenerentola del Basile: questo gesto sembra essere un momento di collegamento tra passato e presente, tra realtà e fantasia. L’intero spettacolo si articola attraverso quadri concentrici che si aprono gli uni sugli altri per ritornare a chiudersi in un circolo che comincia con una battuta ( la donna immagina di ordinare ai servi di preparare la carrozza), e termina con la stessa battuta. Uno dei quadri che si apre sulla storia principale,  basata sull’attesa dell’uccisione del giacobino,  è il racconto di una favola antica che sembra costituire, poi, il fulcro principale della recitazione di Annarita Vitolo. L’attrice dimostra una mimica, una padronanza del testo, una forza vitale corporea che da molto tempo non riuscivamo a ritrovare sul palcoscenico. Oscurando, però , il suo compagno di scena. La regia costruisce sulla Vitolo un’esibizione faticosissima, in cui è il corpo a far da protagonista, suscitando sul pubblico grandi emozioni. Ancora una volta vogliamo però sottolineare i molteplici piani che hanno i testi di Santanelli: anche qui ritroviamo la storia, la tradizione, l’antropologia, l’allegoria. Il ricchissimo testo ha una duplice collocazione, da una parte in un microcosmo, dall’altro in un macrocosmo. Da un lato la vita e la vicenda privata della donna, dall’altro, nel momento in cui si trova a contatto con il giacobino, Janara diventa  personaggio portatore di  tematiche universali.  L’apparente frivolezza ed esibizionismo della popolana che per una volta chiede “il baciamano” di un nobile, sottende non solo l’intima psicologia della donna e la sua voglia di una vita diversa, ma eleva il gesto a simbolo di un legame storico e sociale. Da carnefice, Janara diventa vittima psicologica: suscita commozione, brivido, riso, paura. Sarà il nobile a chiederle cosa può fare per lei. Il baciamano, appunto.Tutto questo nel corpo di un’unica attrice, un po’ Lupa verghiana e un po’ “mavara”, come appunto si definisce in siciliano la janara.  La Vitolo è apprezzatissima dall’intero pubblico, nonostante qualche momento eccessivamente portato alle lunghe, preparando però lo spettatore al successivo exploit scenico.

IL BACIAMANO
Teatro Sancarluccio Napoli
16-18 novembre 2012
Il Baciamano
Di Manlio Santanelli
Con Annarita Vitolo e Vincenzo Albano
Regia Antonio Grimaldi
Scenografia di Salvatore e Bonventura Giordano
Costumi Margherita Rago