Visite: 6131

Il 30 novembre, presso la sede dell’Università degli Studi di Milano di via Noto, si è tenuto un interessante incontro organizzato dal Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea, intitolato provocatoriamente “L’autore non abita più qui?”.  All’incontro, coordinato da Ira Rubini (autrice, conduttrice radiofonica, traduttrice), sono intervenuti autori, registi e docenti che rivestono un ruolo

attivo all’interno del panorama teatrale milanese, nazionale ed anche europeo. Durante la prima parte della mattinata, il pubblico, composto perlopiù da studenti e addetti ai lavori, ha potuto assistere a una serie di relazioni tenute da – nell’ordine- Marco Pernich (drammaturgo, regista, Presidente e Direttore artistico di Studio Novecento); Pier Paolo Palladino (drammaturgo, regista e attore); Margaret Rose (docente di Storia del Teatro Inglese presso l’Università degli Studi di Milano, traduttrice e drammaturga attiva tra Italia e Inghilterra); Alberto Bentoglio (docente di Storia del Teatro e Organizzazione ed economia dello spettacolo presso l’Università degli Studi di Milano); Maddalena Giovannelli (fondatrice e co-direttrice di “Stratagemmi- prospettive teatrali”); Gabriella Cambiaghi (docente di Drammaturgia e Storia del Teatro Contemporaneo presso l’Università degli Studi di Milano). A seguire si è succeduto un altrettanto interessante dibattito portato avanti da autori, registi e teatranti presenti in sala che si sono scambiati microfono e opinioni in modo quanto mai pacato; unica nota istrionica giunta a confortare i fans delle bagarre teatrali è stata l’invettiva “Drammaturgia a km0!” urlata da una voce nelle ultime file.
Uno dei temi fondamentali emerso sia dalle relazioni sia dal dibattito è anche il tema fondante di questa prima giornata di lavori organizzata dal CeNDIC: quella del drammaturgo è o non è una professione? Senza ombra di dubbio lo è: chi si dichiara autore teatrale ha mestiere e professionalità, non solo talento. Ma esiste qualcuno che oggi, in Italia, si presenti solo ed esclusivamente come autore teatrale? Pare di no, come testimonia anche la presentazione degli stessi autori invitati al convegno, quasi tutti sono anche autori teatrali.
Si dice che di autori teatrali puri ce ne siano sempre meno o che non ce ne siano affatto; molti drammaturghi sono anche registi, attori, insegnanti. Si dice anche che questa circostanza venga percepita come frustrante: non posso fare solo il drammaturgo quindi sono costretto a fare anche altro. Credo però che la figura del drammaturgo sia sempre stata un po’ borderline: è nella natura di chi scrive per la scena desiderare “agire” i propri personaggi o piuttosto “farli agire da qualcun altro” (si veda, per citare solo due tra più grandi, Shakespeare e Molière); tuttavia non commette peccato quell’autore che desidera fare l’autore e null’altro più. Da qui prende vita un altro pernicioso dilemma: se il drammaturgo vuol fare solo il drammaturgo che gli sia data la possibilità! E invece, nel nostro Paese, la possibilità non è data.
Davide Carnevali, giovane autore che non ha potuto essere presente all’incontro perché per necessità vive all’estero, ha lasciato una testimonianza scritta che è stata letta dalla moderatrice Ira Rubini. Carnevali afferma: “Quando sono in Italia non riesco a dire che sono un autore, perché in Italia quello dell’autore di teatro non è un mestiere. Per cui in Italia dico che sono uno studente di dottorato all’estero, che è una cosa un po’ più ben vista”. All’intervento di Carnevali si è collegato Renato Gabrielli (drammaturgo e docente di drammaturgia presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano) che ha ricordato a tutti il problema fondante della questione: la maggior parte delle volte l’autore teatrale deve scrivere gratuitamente, con sguardo fiducioso rivolto verso l’abominevole pachiderma SIAE. Il problema, secondo Gabrielli, non è tanto di tipo economico quanto di tipo sociale: è necessario che quello del drammaturgo venga riconosciuto dalla società come mestiere, non hobby, non passatempo, non secondo, terzo, quarto lavoro.
Più tutele dunque per i drammaturghi! Ed è proprio verso questo obiettivo che si sta muovendo il direttivo del CeNDIC, sulla scia di paesi come Germania, Argentina, Inghilterra. Come ha testimoniato infatti Margaret Rose, in Inghilterra sono presenti fin dagli anni ’70 non solo associazioni che tutelano gli autori in materia legale ed economica, ma anche residenze artistiche destinate ai drammaturghi. Il drammaturgo inglese sembra essere più saldo e sicuro della propria professionalità rispetto all’autore italiano, vessato non solo da problematiche di tipo sociale ed economico, ma anche intento a difendersi dalle intromissioni di colleghi registi e attori. Il secondo grande tema emerso durante l’incontro è stato proprio quello del rapporto autore teatrale - regista e autore teatrale - attore. A tale proposito Pier Paolo Palladino ha ricordato di come, in occasione dell’iniziativa “Viva l’Italia” promulgata dall’Istituto Nazionale di Cultura di Varsavia, un regista polacco avesse totalmente reinterpretato e stravolto il testo da lui scritto; anche Massimo Sgorbani lamenta una certa noncuranza di alcuni attori e registi che hanno spesso recitato i suoi testi senza badare al ritmo finemente studiato della scrittura. La controparte dei registi presenti in sala ha risposto attraverso l’autorevole voce di Andrée Ruth Shammah la quale ha affermato di prediligere la parola sopra ogni altro aspetto: “Piuttosto metto uno seduto su una sedia illuminata da un faro, ma il testo si deve capire”; il giovane ma già molto attivo regista Alberto Oliva ha invece affermato che esistono due autori: il drammaturgo, autore del testo, e il regista, autore dello spettacolo. Tale dibattito potrebbe forse sembrare fine a se stesso, ma non lo è. È invece lo specchio di una società teatrale che deve essere riorganizzata; sono necessari da un lato paletti più rigidi volti a chiarire e istituzionalizzare un ruolo spesso ambiguo come quello dell’autore, dall’altro confini più morbidi al fine di permettere a un gruppo di uomini e donne competenti di creare uno spettacolo teatrale bello da mostrare a un pubblico numeroso, senza lasciarsi fuorviare da inutili narcisismi. Più concretezza, dunque? Meno voli pindarici? Questa è sicuramente l’opinione degli organizzatori, motore fondante della macchina teatrale, rappresentati all’incontro in modo illustre da Mimma Gallina, la quale ha affermato quanto sia necessario ripartire da proposte concrete: capire le esigenze degli organi di produzione e delle maestranze artistiche per incanalarle in esperienze durature e soddisfacenti per il pubblico contemporaneo.
Gli interventi, le opinioni e le riflessioni scaturite da questa prima mezza giornata di dibattito sulla questione dell’autore teatrale e sul mondo da esso abitato sono state non solo numerose ma anche di alto pregio intellettuale, tanto che, gli autori del CeNDIC promettono: non finisce qui.
In attesa di nuovi stimolanti incontri mi permetto di dire che non solo l’autore teatrale non è affatto morto, ma abita ancora qui e, salvo qualche rara eccezione, non sembra voler emigrare da nessuna parte, nemmeno in Inghilterra.

Sono inoltre intervenuti: Renato Sarti (drammatirgo, attore, regista e direttore del Teatro della Cooperativa di Milano), Antonio Syxty (regista, drammaturgo e direttore del Teatro Litta di Milano - con intervento scritto), Roberto Traverso (drammaturgo), Monica Conti (regista), Giampaolo Spinato (scrittore e drammaturgo), Francesco Migliaccio (Attore).