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Caro Damiano, dall’incontro di Vicenza ho ricavato impressioni che vengono ora confermate da questa tua richiesta d’un contributo, anche breve, da consegnare entro il mese. In realtà, quello che si cerca, non è tanto uno scritto, ma un’oralità

scritta che parli in rete. Lo sappiamo, la digitazione del computer è più vicina al pensiero rispetto alla scrittura su supporto cartaceo, e cioè è più orale che scritta. Sono rari coloro che improvvisano scrivendo, io ne conosco ben pochi e questi pochi sono critici e teatranti; mentre, è normale improvvisare parlando. Ecco, mentre, per quanto riguarda la scrittura, credo di essere più lento d’un amanuense, nonostante le possibilità di cancellazione e rimontaggio in tempo reale, per quanto riguarda l’oralità, mi ritengo un improvvisatore. Penso velocemente. Niente di strano. Goethe nel FAUST dice che niente è più veloce del pensiero. E non penso si riferisse a se stesso, ma affermasse una proprietà del pensare. Quindi, la rete, ospitando flussi di scrittura digitale è più vicina alla piazza (alla piazza di secoli fa) che non alla biblioteca. È importante la precisazione: alla piazza di secoli fa. Infatti, l’oralità scritta della rete è, come l’oralità parlata di un tempo, portatrice di opinioni, di notizie, di informazioni, di confessioni, eccetera.
Oggi, proprio la rete, proprio la stampa, proprio la tele, proprio la sedimentata percezione che le opinioni riguardino chi ci campa e fa l’opinionista e che le cose da sapere sono già tutte a portata di mano, sul ciglio del portale, fa sì che il racconto orale – bocca/orecchio – perda magia ed intima necessità, fa sì insomma che parlando ci si senta un po’ più poveri e meno autorevoli di chi digita. Quasi che l’esperienza per essere ascoltata e recepita non richieda di venire semplicemente detta, ma esiga digitazione, registrazione, non proprio una mediazione scritturale e letteraria, ma un supporto che ne moltiplichi e fissi l’enunciazione nella mobilità dei media instabili.
Il flusso di parole e simboli e immagini della rete è più convinto veicolo dell’esperito e del mentale che non la parola pronunciata, e quindi è, insomma, una nuova oralità. Un’oralità scritta che sta accogliendo, facendo proprie e in qualche misura – pur extra-economica, pur non retribuita – sta anche potenziando le modalità della critica, della composizione, della comunicazione, del lavoro dell’uomo su se stesso, qualunque ne sia il fine e l’indirizzo. Una cosa, nella storia, sono i poteri degli scritti; un’altra, quelli della parola orale. Talora i poteri si avvicinano e rispecchiamo, talora si scindono e si combattono.
Ora siamo i fortunati testimoni di una compenetrazione senza precedenti.
L’individuazione dei suoi orizzonti globali richiede che ci si accorga più estesamente del fenomeno e fiocchino contributi critici di savia letteratura orale; per il momento, un’occasione come il convegno di Ivrea (lascio il lapsus, mi riferivo ovviamente a Vicenza) consente di verificare, quasi toccare con mano, gli effetti del cambiamento nel campo più circoscritto della critica teatrale, che, a mio modo di vedere, essendo il suo supporto principale la rete, non è più propriamente critica (espressione che prevede formati piuttosto rigidi e funzionali all’impostazione complessiva del giornale), quanto condivisione di pensiero sul teatro e gli spettacoli.
Ricorda, caro Damiano, che “Dramma.it” è in un certo senso il fratello maggiore delle presenze teatrali in rete. Infatti il sito per cui scrivi, del quale personalmente condivido le battaglie, è nato per rivalutare, al di là della rete, la scrittura degli autori nascosti e la scrittura nascosta degli autori, e cioè ha creato un legame – prezioso – fra l’intimità del pensiero e il carattere pubblico, ma non invasivo, del media. In questi ultimi anni, si assiste ad un fenomeno per cui la rete è presente anche nei contenuti che veicola. È in un certo senso inevitabile che entri nel pensare e scrivere teatro, così come ci sono entrati la fotografia, il cinema, il giornale, la televisione. Però, in questi giri di valzer fra linguaggi, qualcosa di essenziale conferma i valori del testo, la ragione del suo essere aggregato di parole traboccante senso. E questo qualcosa è, a mio avviso, il primato della comunicazione. La parola orale è segno, messaggio, relazione e costruzione della dimensione dell’interumano, dove circola una vita non biologicamente rappresa. Assumendone storicamente le funzioni, il linguaggio della rete ci riporta quindi all’essenzialità antica del testo non scritto, ma visto, ascoltato, fruito – esattamente come oggi è fruita la rete – in quanto manifestarsi d’una comunità colta nell’atto di relazionarsi con sé attraverso la diversità, e anche l’eccezionalità, delle sue componenti umane.
Non ho nemmeno il tempo di rileggere, ma anche questo rientra nella ricerca dell’oralità scritta alla quale occorre oggi rapportarsi.

Un carissimo saluto a te e agli amici di “Dramma.it”.