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Torna al teatro “Machiavelli” di Catania la drammaturgia contemporanea di taglio internazionale: diciamo ancora una volta dell’attività artistica dell’associazione “Ingresso Libero” e parliamo, in particolare, di “Un’impresa difficile”, lo spettacolo (che s’è visto dal 4 al 31 gennaio) diretto da Emanuela Pistone su testo del grande drammaturgo israeliano Hanoch Levin (1943 – 1999), tradotto da Paola De Vergori. In scena, oltre alla stessa Pistone, Francesco Foti e Mauro Serio. Non è per caso che evidenziamo l’attenzione rivolta alla drammaturgia contemporanea che questa associazione, che gestisce il piccolo e glorioso “Machiavelli”, dispiega meritoriamente da qualche anno nel capoluogo etneo: in Italia infatti la drammaturgia pura, ormai da decenni, conta pochi cultori e spesso di talento diseguale, sicché diventa interessante vedere come invece nel resto del mondo la scrittura di testi teatrali continui ad essere un’arte assai vitale e capace di confrontarsi efficacemente col mondo e raccontarlo con profondità. Nel merito dello spettacolo: ci si trova di fronte ad una pièce che vede in scena una buffa coppia di cinquantenni (Yona e Levinah Popokh, rispettivamente Serio e Pistone) ormai stanchi della loro pluriennale relazione: una vita divenuta ripetitiva e banale, senza sorprese, senza possibilità che qualcosa accada davvero a rompere la monotonia dei giorni che passano privi di senso e fervore. Litigano stancamente eppure non riescono a lasciarsi: lui soprattutto, goffo nel suo desideri odi vita, di donne e di nuove avventure, ha paura di morire e non riesce ad andarsene, ma anche lei è profondamente impaurita e, seppur spazientita, non riesce a farlo andar via, fino a quando, del tutto casualmente, un estraneo (Foti) non s’infila in quel ménage, fino a quando insomma Gounkel, strano e spiritato vicino di casa, spinto da un forte mal di testa non interrompe una delle loro solite, scontate, velenose, litigate notturne: è l’estraneo che viene a dirti chi sei davvero, che ti mostra come ti sei ridotto, il perturbante che apre la porta e permette di avvertire con precisione il baratro di banalità che occupa la vita di uomini e donne, la sciupa, la scuote, la ingrigisce, ma non riesce a coprirne la dimensione essenziale d’avventura che val la pena di affrontare. Lo spettacolo è gradevole e, con buona varietà d’accenti e toni (dal grottesco al comico, dall’affettuoso al corrosivo, dal sornione al caricaturale), legge con intelligenza un testo che merita d’esser conosciuto.

Foto Antonio Caia