Recensioni
Drammaturgia contemporanea in scena
- Scritto da Laura Bevione
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Marina Cvetaeva fu poeta e umile lavoratrice, appassionata della vita e tuttavia disperata suicida, cosmopolita eppure legata alla madrepatria in cui volle tornare malgrado l’ostilità del governo. Un cuore ognora vivo e pulsante. Una personalità forte e
- Scritto da Angela Villa
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L’ultimo domatore di leoni, l’ultimo uomo in grado di reggere lo sguardo di un predatore. Metafora del tempo che passa e della voglia di andare avanti nonostante tutto, domare il tempo, ecco il messaggio profondo de Il Domatore. È possibile? Sì,
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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La vita, non solo quando pensata metafisicamente ma anche quando attraversata esistenzialisticamente, è in fondo un mosaico di sentimenti che cercano di comporsi, e non sempre ci riescono felicemente, in una unità consapevole, per noi e per
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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“Affabulazione” di Pier Paolo Pasolini è una scrittura drammaturgica impastata in una parola che, precipitando in scena fino a quasi ossessivamente intasarla, riempiendo così anche la mente e lo spirito di chi ascolta e, quell'immagine che in essa è
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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È, questo di Dacia Maraini, un titolo riproposto sulle scene italiane, e non solo, con una certa continuità, perché è un testo intelligente (che capisce dunque) e soprattutto, avendo cercato di fare per quanto possibile i conti con il 'prima', perché è una sorta di finestra aperta sul 'dopo', sul nostro futuro, di cui suggerisce tendenze anche anticipandone esiti. A partire dal suo esordio in prima nazionale ad Ancona, Teatro Comunale, nel 1982, nel quale “Mela” era interpretata da Elsa Merlini. Si tratta di una drammaturgia costruita, come essenziale caratteristica dei lavori della Maraini, sul pensiero femminile, sullo sfondo del quale il maschio, in senso lato, appare referente fluido e indistinto, fino, al di fuori di quel pensiero che lo pensa, alla inconsistenza ontologica segno di una crisi esistenziale avviata e, purtroppo, non ancora conclusa. Tre donne in scena, con sullo sfondo, come detto, appendici di personaggi maschili che mai appaiono, la nonna, 'Mela' appunto, che ama la vita perché ama “amare”, fin ad un egotismo ed egoismo che assume i caratteri quasi metafisici della salvezza per sé e le altre, la madre, Rosaria, prigioniera dei sogni del '68 ormai diventati giustificazione esistenziale e via di fuga
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Proiettare la realtà sullo schermo del sogno e della fiaba e trascriverla in quelle lingue è un modo per svelarne e rivelarne i risvolti essenziali, universali ed anche eterni che nella loro incarnazione storica inevitabilmente decadono. Il bel testo di Marco Gobetti, visto al Fringe Festival di Torino, parte da un dato di realtà, la vita di due giovani e la sua tragica fine in un contesto di tensioni e pratiche sociali che cercano di opporsi alla deriva stancamente e grettamente economicista che caratterizza la nostra società, post-capitalista nel senso che il potere ha ormai sottratto la sua stessa visibilità, nascondendosi nella confusione e nella opacità dei comportamenti e delle relazioni, sempre più indotti ed eterodiretti proprio nella loro apparente libertà. Non manca di prendere una posizione, che è anche sociale e politica nel suo senso migliore, ma, attraverso la concretezza esistenziale di due percorsi che diventano man mano paradigmatici, la trasfigura esteticamente così da paradossalmente potenziarne proprio le ricadute collettive, fornendo elementi di comprensione, di significanza metaforica e infine di giudizio che quella stessa comunità ha perso o rischia di perdere. Sole e Baleno sono due giovani che nella