Il dramma del mese
Mari di Tino Caspanello
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Mari ha vinto il Premio speciale della Giuria Bignami Quondamatteo del Riccione Teatro 2003. Ha debuttato a Pagliara il 18 dicembre 2004 ed è stato rappresentato al Teatro Petrella di Longiano nell'ambito del Festival Santarcangelo dei Teatri nel luglio 2004 dalla Compagnia Pubblico Incanto. Con Cinzia Muscolino e Tino Caspanello, costumi Cinzia Muscolino, elaborazione del suono Giovanni Renzo, assistente alla regia Andrea Trimarchi, scene e regia di Tino Caspanello.
Il 19 settembre 2004, al Teatro Arsenale di Milano, lo spettacolo verrà presentato nell'ambito del Festival Tramedautore organizzato da Outis.
Dal verbale della Giuria della XLVII edizione del Premio Riccione per il Teatro
Delizioso duetto musicale in dialetto messinese, dedicato dall’autore a coloro che “amano senza parole”, mentre vede prolungarsi un ripetuto breve addio, sulle rive del mare, tra un marito ansioso di restare solo a pescare e la moglie che continua a rinviare il rientro in cucina, riattaccando il discorso. Anche qui vibra una voce spasmodicamente interessata al linguaggio, che tende la rete invisibile di un sortilegio amoroso a imprigionare coi ritmi della sua partitura il movimento, legando le due figurine struggenti nel notturno marino.
Recensione da "Il giornale del festival"
da www.santarcangelofestival.com
Convince "Mari" della Compagnia Pubblico Incanto
Frammenti di un discorso amoroso in dialetto
di Annalisa Sacchi
L’uomo è di schiena, seduto su una cassetta di legno. Un secchio e una lampada di fianco. Rumore di risacca. L’uomo si volta, trattiene un filo di nylon teso per pescare, piantato nella platea. Il confine tra il pelago e la riva è segnato dalla linea del proscenio. La donna emerge dal buio dello sfondo, è notte e vuole riportare il marito a casa, vuole che ceni con lei. Sono Tino Caspanello e Cinzia Muscolino, della Compagnia Teatrale Pubblico Incanto, in scena fino a stasera al teatro Petrella di Longiano con Mari. Lui è ruvido, vuole rimanere solo. Le parole sono spezzate da lunghi silenzi, che nel testo di Caspanello, vincitore del Premio Riccione della giuria, erano indicate dall’autore in forma di vuoti tra parentesi. Luoghi di sottrazione linguistica, in scena sono apnee che restituiscono l’essenziale di una forma di emarginazione dall’altro. La parola sembra zavorrare i personaggi, il suo punto di caduta è sempre esterno alla comprensione dell’altro, congela ogni slancio. Caspanello dichiara di voler “far passare le cose in cui si crede senza nominarle, perché nell’atto di nominarle vengono meno”. La trama, dunque, è ricamata principalmente sulla filiera prossemica, gesti abortiti per paura o pudore, che sembrano tradurre in scena un’eco sghemba e delicata di certi scambi tra Keaton e la Masina. Il confine del corpo dell’altro è solo lambito, le mani si fermano un attimo prima di incontrarlo. Due esistenze piccole piccole, proiettate sul mistero di un mare notturno che non riescono a vedere, e che per questo diventa un pretesto quando bisogna trovare qualcosa di cui parlare. L’acqua si fa sinapsi capace di mettere in relazione i corpi, quando lui invita la donna a esplorarne la superficie. C’è un gesto di intimità quasi erotica in queste mani che guidano altre mani alla scoperta, e lei che si schermisce ritraendosi imbarazzata. La partitura lirica è scandita dall’ “allora io vagghiu” con cui la moglie fa per accomiatarsi, e dai pretesti che continua a rincorrere pur di rimanere accanto all’uomo, Sherazade afasica le cui storie non interessano più il sultano. Nell’uomo si manifesta più chiara la scissura tra un’esistenza intima, un canto interiore appena sussurrato, e una figura come intagliata nel legno. Il progredire dei rapporti tra i due coincide allora con le reazioni di lui, col suo progressivo stemperare l’insofferenza verso la compagna, giungendo a trattenerla nei momenti finali. Anche la condivisione dello spazio è sofferta, lui rincasa sempre che lei già dorme, dividono il letto come estranei. È lei a incrinare per prima l’artrosi del rapporto, gli confida che, a volte, lo aspetta sveglia, lo ho ascoltato agitarsi nel sonno, persino parlare. E in questo parlare, una volta, invocare distintamente il nome di lei. Quando lui dorme, lei riesce a toccarlo, quando lei non lo vede, lui la ascolta cantare. Devono incontrarsi fuori dal discorso, fuori da una quotidianità meccanica che li fa estranei. Basta una trasgressione, e di nuovo le mani si intrecciano a pelo d’acqua.
Bambino di guerra di Massimo Nicoli
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Bambino di guerra non è mai stato rappresentato ma ha ricevuto alcuni riconoscimenti. Nel 1995 ha ottenuto una segnalazione di merito nell'ambito del premio nazionale "Giacomo Bardesono". Nel 1997 ha superato la selezione italiana per la partecipazione a uno workshop tenutosi in Olanda dal titolo: "Ouch, theatre meets social reality in Europe" promosso dall'Unione Europea e organizzato dall' European network of art organizations for children and young people (EU NET ART). In quell’ambito ad Amsterdam fu presentata anche una scena del lavoro teatrale con la regia di Marco Baliani. Al termine della manifestazione “Segnali”, il testo fu pubblicato su Sipario del maggio 1995.
Una nota critica
di Sergio De Sandro Salvati
Molto intelligente l’idea dell’autore di non collegarsi ad alcun elemento spazio-temporale in modo da rendere la ‘sua’ una storia universale, realistica, con tutti i risvolti emotivi al posto giusto, forse un po’ scontati, ma mai banali. I racconti di guerra fanno parte, ormai, di una certa routine: entrano quotidianamente nelle nostre case attraverso i media con la semplicità disincantata e accattivante degli stereotipi, impossibili da rielaborare perché essi stessi sintesi, simboli, maniera, oggetti da prendere e consumare con interesse sempre più distaccato. Non è difficile riscontrare in questo una sottile insidia per la nostra coscienza: anche se in modo non intenzionale le continue incursioni di immagini e commenti raccapriccianti ci rendono paradossalmente sempre più insensibili ai dolorosi drammi della guerra che tutti i giorni si vivono concretamente nel mondo. Ma qualcosa può invertire questa tendenza: la rappresentazione teatrale; una sorta di scorciatoia per arrivare prima agli ‘obiettivi’ più sensibili dell’uomo. Come operatore teatrale ritengo che “Bambino di guerra” di Massimo Nicoli sia valido proprio per questo motivo; perché ripropone finalmente la magica condizione di poter essere spettatori attivi (non televisivi), offrendo la possibilità di rappresentarsi direttamente nella “verità” del teatro e di esaltare i caratteri più genuini della propria sfera emotiva. Nella sua stesura drammatica e relativa lettura teatrale il testo risulta molto scorrevole, ricco di scambi, attese, sorprese e, anche se apparentemente rigido nella successione e articolazione delle scene, riserva ampi spazi dove la fantasia del regista può liberarsi per favorire, se occorre, occasioni di esaltante spettacolo.
Presentazione di Giuseppe Manfridi
Dal numero 556 di " Sipario" maggio 1995
Testo breve ma articolato e composto con notevole abilità drammaturgica. Durante un ipotetico conflitto che molto ricorda quelli a noi limitrofi e con cui conviviamo, ormai assuefatti da tempo, il piccolo Stefan e sua madre Ruth danno asilo in uno sgabuzzino della loro piccola casa a Mitch, una sorta di partigiano schierato, all’apparenza, dalla parte dei giusti. In realtà, che Mitch, per dirla in modo infantile, sia uno dei buoni o no poco importa. ricordo quello splendido racconto che è il silenzio del mare di Vercors in cui un gerarca nazista, durante l’occupazione tedesca in Francia, stabilisce un rapporto di straordinaria comunicazione con la coppia di padre e figlia costretta ad ospitarlo e che oppone, all’ansia di conoscenza del nemico, un fiero ma permeabilissimo mutismo. Nulla di più alto della passione di quello straniero in pena per una terra non sua ma profondamente venerata. Così Mitch, poeta e mago col dono di un’affabulazione che incanta, diventerà il grande compagno di giochi di Stefan a onta delle angosce di Ruth, creatura vulnerabile e forte, dolcissima nel suo essere scissa tra le preoccupazioni materne e il proprio senso di umanità. Ma vorrei lasciarvi alla lettura di questo testo con l’incantata domanda che nella commedia di Massimo Nicoli il piccolo Stefan rivolge a sua madre: - Mamma, anche gli alberi fanno la guerra? -”.
Presentazione dell'autore
Il testo è nato e si è sviluppato all’interno di un laboratorio di drammaturgia, organizzato nel 1995 dalla Regione Lombardia, nell’ambito della manifestazione “Segnali. Le proposte 95/96 del Teatro Ragazzi Lombardo”. Il laboratorio fu condotto con grande abilità e competenza da Giuseppe Manfridi. La prima sollecitazione fu quella di proporci un tema da cui partire: “Sogni da un campo di battaglia”. Questa frase suscitò in me un’immagine che fu germe e punto di partenza di tutto il lavoro successivo. Immaginai un bambino che stava giocando con una barchetta in una pozzanghera. Il gioco veniva interrotto perché il bambino era attratto dal rumore sempre più incombente di soldati in marcia. Una donna, la mamma del bambino, usciva di casa allarmata, abbrancava il bambino e lo trascinava via. Successivamente i militari passavano e nella loro marcia travolgevano la pozzanghera e la barchetta di carta. Dopo aver pensato questa immagine (più cinematografica che teatrale) cominciai a considerare il motivo e quali significati racchiudeva. Scoprii così che c’era già tutto il senso del lavoro. Un bambino strappato al suo gioco da un adulto spaventato e preoccupato. La barchetta distrutta. Il bambino privato del suo diritto a giocare e costretto a rimanere chiuso in casa. Quello che volevo raccontare era proprio questo: ciò che la guerra provoca nel bambino. Non necessariamente in quei bambini che vengono sempre più tragicamente coinvolti da esplosioni e sparatorie, per i quali ci si strappa le vesti e poi, altrettanto rapidamente, ci si dimentica, ma in tutti i bambini che si trovano a subire condizioni e condizionamenti dovuti alla guerra. La vicenda, che comprende anche uno sviluppo avventuroso, ruota principalmente attorno alla figura di Stefan, il bambino, ed è caratterizzata dalle sue frequenti domande. A rispondere a queste domande sono Ruth la madre, comprensibilmente preoccupata e ansiosa , e Mitch, un misterioso rifugiato nascosto nella casa di Stefan, capace di offrire al bambino nutrimento alla sua fantasia e alla necessità di gioco. L’ultimo personaggio è rappresentato da Ierivna, una donna pettegola e impicciona, forse addirittura un’informatrice che rappresenta una minaccia continua per la piccola famiglia. In quel periodo era in corso il conflitto nella ex Jugoslavia ma il testo non vuole avere una collocazione precisa nello spazio, anche la scelta dei nomi è fatta seguendo questo criterio. Vuole rappresentare idealmente tutti i conflitti e i loro effetti sui bambini. Non credevo che il testo avrebbe continuato a restare di attualità così a lungo.
Massimo Nicoli
I contrattempi del tenente Calley di Luigi Lunari
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I CONTRATTEMPI DEL TENENTE CALLEY è stata rappresentata al Piccolo Teatro di Milano nel 1974 con la regia di Enrico Damico e interpretazione di Oreste Rizzini nel ruolo di Calley. Pubblicata dall'editore Gremese e recentemente da Bulzoni, in un volume che raccoglie altre due commedie dello stesso autore: "Rosso profondo in punto di morte" e "Sotto un ponte, lungo un fiume..." Dopo l'allestimento del Piccolo Teatro, la commedia è stata rappresentata in tedesco al Nationaltheater di Mannheim.
Presentazione dell'autore:
La guerra in Iraq - con tutto il suo carattere tragico e farsesco - mi ha convinto a rispolverare una vecchia commedia che ho scritto nel 1974, e che ha per tema la guerra del Vietnam e la strage di My Lai. Vedo in effetti che molti giornali si sono rifatti a quella guerra e a quella strage come ad un'illuminante anticipazione di quello che sta succedendo ai giorni nostri, e vedo anche che la stessa Hollywood ha rispolverato films come Apocalypse Now, e Il Cacciatore. La commedia si intitola I CONTRATTEMPI DEL TENENTE CALLEY. Nel 1974 fu rappresentata al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Enrico Damico, e con un buon successo di critica e di pubblico: il titolo in quell'occasione era "Ma perché proprio a me?", poi corretto in quello citato in tutte miuscole. I CONTRATTEMPI DEL TENENTE CALLEY è stato pubblicato di recente dall'Editore Bulzoni di Roma in un volume dedicato al sottoscritto e comprendente altri testi miei. Secondo il parere - peraltro interessato - del sottoscritto, varrebbe la pena dargli un'occhiata e riproporlo sulla scena come testo di particolare e rinnovata attualità. Magari rinunciando a una qualche ennesima edizione della Locandiera, o dell'Avaro, o del Bugiardo, eccetera eccetera. Nient'altro da dire. Grazie per l'attenzione.
Luigi Lunari
L'ultima corsa di Fred di Mario Gelardi e Giuseppe Miale Di Mauro
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L’ULTIMA CORSA DI FRED ha debuttato il 21 gennaio 2003 al Theatre De Poche di Napoli. Prodotto da Vesuvioteatro e Theatre De Poche, con la regia di Peppe Miale, è interpretato da Massimo De Matteo con la musica scritta ed eseguita da Floriano Bocchino, i costumi di Alessandra Gaudioso, le scene di Luigi Ferrigno. Tuttora in tournèe è stato presentato a Benevento Città spettacolo e al Premio Troisi. E’ stato in cartellone tra gli alti, al Teatro Nuovo di Napoli, al Teatro Vascello di Roma, al Teatro dei Filodrammatici di Milano, al Teatro Comunale di Bellinzona.
Di cosa parla: 3 febbraio 1960, una Ford Thunderbird sfreccia per le strade di Roma alle sei e venti del mattino. La folle corsa di quell'auto verrà fermata da un camion con cui si scontrerà. Non occorre molto perché gli inconsapevoli spettatori di quella scena si rendano conto che, alla guida di quell'auto, c'è Fred Buscaglione.
Una vita ed un successo lampo, finita con altrettanta immediatezza, una vita tra il fumo dei locali italiani ed europei a interpretare il ruolo del taciturno e imprevedibile cantante da night, un ruolo che forse non gli apparteneva tanto. Una storia raccontata da un testimone casuale, di quella vita breve, appena quarant'anni, un fan qualunque come ce ne sono ancora oggi. E' il sogno del fan. Che non immagina ad occhi aperti ma agisce, fa, ripete fisicamente replica il mito. E nel mito specchia il proprio vissuto, rendendolo per quanto possibile parallelo alle vicissitudini dell'Altro. Altro che il Fan scruta, spia, insegue, ma non raggiunge mai. Anche perché l'Altro, infine, schizza via e la scelta da fare, stavolta, è diversa.
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Foto di Tommaso Le Pera
La stampa:
Giulio Baffi (La Repubblica)
Racconto appassionato di un uomo malato di nostalgia. Uno spettacolo intenso, segnato dalla forza delle canzoni non dimenticate di Buscaglione. Malinconia e ironia tra invenzione e ricordi. Bravo Massimo De Matteo in un teatro della non aggressione, per personaggi e differenti psicologie.
Conchita Sannino (La Repubblica)
Un magnetico Massimo De Matteo…
Roberta D’Agostino (Roma)
Un incredulo Massimo De Matteo comincia la sua prova con grande intensità emotiva dettata dal momento di grande nostalgia e commozione che prova il metronotte nel ricordare l’incidente che successe al suo Fred: giuste pause, ottima voce, momenti suggestivi in cui De Matteo interpreta alcuni dei brani più famosi di Buscaglione con grande bravura e sicurezza. La regia e il testo di questo spettacolo funzionano come un orologio alternando momenti poetico-struggenti a momenti di vera comicità.
Giuseppe Giorgio (Cronache di Napoli)
Grazie alla bella e incisiva interpretazione di De Matteo, che in scena si sdoppia proponendo attraverso un turbinio di ricordi i pensieri del metronotte testimone dell’incidente, il lavoro raggiunge degli apici di emotività eccezionali. Diretto abilmente da Peppe Miale, lo spettacolo piace soprattutto per il modo efficace di presentare la storia e per la ricercatezza con cui viene fotografata un’epoca.
Fabrizio Bancale (Napolipiù)
L’artista piemontese rivive grazie all’ispirato Massimo De Matteo. Uno spettacolo che non si limita a raccontare il successo di un grande musicista, ma che scava nell’animo di un uomo forse tanto distante dal personaggio che si era cucito addosso, ma sempre con ironia, come sarebbe piaciuto a Fred.