Il dramma del mese
LIFE di Emiliano Brioschi
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Sono assolutamente convinto che non vi sia null’altro che il testo per raccontare un autore. E sono altresì convinto che non vi sia null’altro che il testo a raccontare il testo stesso. Il resto serve a fornire qualche riga di riferimento allo spettatore, o a preparare il materiale da presentare al direttore di un teatro o di un festival.
Un giorno un caro amico e caro collega mi disse la sua su questo tema: «Mi piacerebbe che il pubblico entrasse a teatro senza nessun depliant, nessun riferimento, nessuna introduzione. Come comprare un disco. Nessuna spiegazione. Lo apri lo metti su. Lo ascolti».
Io sono d’accordo con lui. Per cui invito il gentile lettore che mi legge in questo momento a passare direttamente al testo se lo crede opportuno. Io proverò nel mentre a raccontare qualcosa del mio lavoro come da gentilissima richiesta.
LIFE affronta il tema della costrizione, innanzitutto. La costrizione fisica, psicologica, intellettuale, di due esseri umani. Ulrike Meinhof e Roberto Peci, che per diversi motivi hanno passato gli ultimi istanti della loro vita rinchiusi in uno spazio da cui non hanno avuto la possibilità di uscire. Valutando in questi giorni cosa scrivere per la redazione di “Dramma.it” ripensavo ai miei due piccoli tentativi di testo precedenti, TROPPA GIOIA e ARGENTINA ’78. Mi sono accorto che anch’essi parlano della stessa materia. Nel primo ci sono due personaggi chiusi in uno spazio indefinito in attesa di un segnale per portare a termine un atto criminale; e, nel secondo, una detenuta in una struttura militare durante la dittatura in Argentina in attesa del suo destino. In tutti e tre i testi è presente un luogo chiuso. È presente la limitazione. È presente l’attesa. È evidente che l’impossibilità di divincolarsi da una reclusione fisica, o ancor di più se possibile, da una reclusione psichica è per me materia interessantissima. La costrizione, quasi sempre accompagnata dalla solitudine, obbliga prima o poi l’essere umano a fare i conti con se stesso. Senza pose, posizioni, chiacchiere, menzogne. Obbliga l’individuo a stare davvero in relazione con sé. E questa condizione costrittiva, quando non esiste nessuna via di uscita, costringe alla verità. Perlomeno a un attimo di verità. Quell’attimo di verità trasferito su di un foglio di carta, e poi se dio vuole, su un palco di fronte a un pubblico, è il senso che personalmente mi piace dare al teatro. Se poi si potrà mai dare un senso al teatro.
Emiliano Brioschi
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Diretto e interpretato dall’autore stesso, LIFE è uno spettacolo di cui è coprotagonista Cinzia Spanò, fra le luci disegnate da Claudine Castay e con le realizzazioni audio e video di Elvio Longato. Un lavoro in cartellone nella rassegna “Nuove Storie 2021 - Diritto di cronaca” del Teatro Elfo Puccini di Milano, dove è prossimo al debutto nazionale dal 14 al 18 di giugno. Ogni informazione e aggiornamento si trova sul website “elfo.org”.
Emiliano Brioschi si diploma alla Scuola di Teatro Arsenale, a Milano, dove si forma con Marina Spreafico. Vince poi una borsa di studio per frequentare la Scuola Internazionale di Teatro - The Acting Center. Studia tra gli altri con Jerzy Stuhr, Frantisek Veres, Danio Manfredini, Gabriele Vacis e Marco Baliani. Recita quindi nei maggiori teatri italiani e in numerosi teatri europei: da Parigi a Lione, Lille e Rouen, passando per Barcellona, Berlino, Hannover e Bucarest, sino a Cluj, Graz e Zagabria per citarne solo alcuni. Lavora in una quarantina di spettacoli, tra i quali figurano creazioni di Antonio Latella, Giuseppe Massa / Sutta Scupa, Giorgio Albertazzi, Gilbert Rouvier, Renata Ciaravino, Pasquale Marrazzo, Babilonia Teatri e Cristian Ceresoli. Nella stagione 2017-18, debutta alla regia con la trilogia sulla paternità XY in collaborazione con ERT - Emilia Romagna Teatro. Nel 2017 il suo testo TROPPA GIOIA viene selezionato al Premio Dante Cappelletti. Nel 2018 sue poesie vengono inserite nell’“Enciclopedia di Poesia Italiana” contemporanea, edita dalla Fondazione Mario Luzi con il Patrocinio della Presidenza della Repubblica; nello stesso anno ricevono una segnalazione speciale al premio Le Ali Incantate. La sua prima raccolta di poesie è in fase di ultimazione. Nel 2019 il testo LIFE vince il bando “ARTEFICI.ResidenzeCreativeFVG” promosso da a.ArtistiAssociati di Gorizia ed è finalista al Premio Dante Cappelletti dove riceve la Menzione Speciale della Giuria Popolare. Oltre che in Teatro lavora in diverse produzioni cinematografiche. Il suo website è “emilianobrioschi.it”.
Ionica di Alessandro Sesti
- Scritto da Damiano Pignedoli
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IONICA è arrivato all’improvviso, quasi per caso.
È arrivato, nella mia vita, come un camion lanciato a folle velocità, di notte, sotto un diluvio. Potevo scegliere di farmi prendere in pieno oppure defilarmi. Se sono qui a scriverne, la scelta che ho fatto è lapalissiana.
Sono sempre stato convinto che siano le storie a trovarci, sta a noi avere la prontezza e il cuore di tradurle in racconto. In realtà credo fermamente che, ogni giorno, avremmo l’occasione di vederne a decine. Siamo solo troppo assuefatti allo stress e alla superficialità che, ormai, non osserviamo più davvero.
Anche la storia di Andrea Dominijanni – senza andare a fondo – è solo la storia di un signore in là con gli anni, della sua famiglia e di un atto di coraggio, unico nelle sue zone, ma non unico nel suo genere.
Per capire la grandezza di ciò che mi sono trovato davanti, occorre scavare a fondo nella sua vita, nella sua storia. Servirebbe sedersi e guardare le ore di video realizzate mentre suo figlio, Giuseppe, mi accompagna per i paesi, le montagne, le spiagge, inanellando un racconto dopo l’altro. Sarebbe utile, sì, ma non abbastanza.
Storie del genere, siamo abituati a vederle in televisione, raccontate da fiction che, a mio avviso, fanno poco bene alla verità. In quei prodotti tutto è esasperato, i cattivi sono cattivi, i buoni sono eroi senza paura e spesso manca il contesto o, peggio ancora, anch’esso è sinonimo di sguardi truci, occhiali da malavitoso, minacce alla luce del sole e pistole bene in vista.
La parte più difficile di riuscire a restituire ciò che ho vissuto in quei giorni, vivendo sotto scorta insieme ad Andrea, è senza dubbio quella sensazione che anche le pareti abbiano gli occhi. Il peso dell’aria, i silenzi assordanti delle campagne dove sai che puoi trovare uno “sconosciuto” sulla tua strada, a fianco alla tua macchina, in attesa di farti capire che “loro sanno”.
È altrettanto complesso poter raccontare l’amore di un uomo per la sua famiglia. Sia perché oggi è proprio mutato il senso di famiglia che abbiamo, sia perché quello che ho toccato in quei giorni è davvero unico.
Ma facciamo un passo indietro. Come sono arrivato lì?
A inizio 2019, Alfonso Russi, che ha contribuito alla stesura del testo di IONICA, mi contatta per farmi conoscere la storia di un testimone di giustizia.
Una storia, senza dubbio incredibile, che covava anche una richiesta: farla conoscere quanto più possibile per proteggere Andrea.
Sì, perché con una grande esposizione mediatica si crea troppa attenzione e dunque si protegge il testimone. La ’ndrangheta non fa martiri.
Chiesi allora di poter vivere per un po’ lì, così da conoscere tutto di quella vita massacrata dall’illegalità. Questo è il metodo che mi impongo. Se voglio scrivere una cosa, devo immergermi in essa; non basta aprire un giornale e raccontare un fatto, magari romanzandolo. Per quanto bravi possiamo essere, la nostra pelle non vibrerà al momento del racconto, perché non ci siamo contaminati con la vita altrui; rimane solo il nostro pensiero, il nostro punto di vista, senza dubbio, non così interessante.
In quei giorni mi sono sentito accolto come un figlio, spaventato, piccolo, inutile come un insetto. Mi sono chiesto più volte, di fronte a questo mostro, a cosa servisse questo mio atto artistico. Più volte mi sono risposto “a nulla”.
Poi però sono arrivate le parole della persona cui devo gran parte di ciò che ho scritto: “Quando si tratta di lotta alla ’ndrangheta, niente è poco”. Gigi, che scoprirete meglio durante la lettura della drammaturgia, è stato per me l’uomo dei mille racconti. Da quelli che ti fanno sgranare gli occhi a quelli che ti strappano anche le lacrime. Lacrime di mirto.
Quella di Andrea, non è la storia di un eroe, è la storia di un esempio. Di una persona normale educata all’onestà fin dall’infanzia. Di un lavoratore che nel tempo libero coltiva l’orto, alleva animali e prepara un mirto da favola.
L’unicità di Andrea?
Gli occhi.
Di fronte a uno sguardo del genere capisci che anche se ti senti piccolo, inutile, qualcosa devi fare.
Perché quegli occhi non meritano la paura, ma le cose belle della vita.
A Gennaio 2020 sono arrivate le condanne per gli ’ndranghetisti che Andrea “ha mandato” in carcere grazie alla sua testimonianza. Nessuna televisione ne ha parlato. Nessun giornale. Forse uno, se non ricordo male.
Questa è l’urgenza che muove il mio scrivere, il mio fare teatro. La rabbia che sento ogni volta che penso al bisogno che abbiamo di toccare il “sensazionale” e lo riconosciamo in un politico che per una volta fa il suo lavoro – o in un gossip del personaggio di turno e simili – ma non siamo in grado di riconoscerlo quando ce lo abbiamo davanti.
Le storie come quelle di Andrea, dovrebbero essere un aggiornamento settimanale nei telegiornali, più del calciomercato o del campionato. Perché metterle nel mainstream significherebbe invogliare altre persone a denunciare. Potrebbe far desistere quella stampa collusa che prova a far passare Andrea come un collaboratore di giustizia, così da sporcarne la storia.
Potrebbe fare la differenza, ma la sappiamo tutti questa storia: è più vecchia del tempo stesso ormai.
Alessandro Sesti
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La vicenda raccontata da Alessandro Sesti nella pièce IONICA nasce dalla storia vera di Andrea Dominijanni, testimone di giustizia calabrese contro la ’ndrangheta, sottoposto a una scorta di massimo livello. Sesti ha vissuto con lui per un periodo durante il 2019, previa apposita richiesta in seguito autorizzata dai Nuclei Operativi di Protezione e dal Servizio Centrale Operativo di Catanzaro. Lo spettacolo si è poi aggiudicato diversi riconoscimenti: dal premio della critica al festival Direction Under 30 del Teatro Sociale di Gualtieri (Reggio Emilia), nel 2020, alla vittoria della sezione “Luna Crescente” della rassegna L’ultima luna d’estate – organizzata da Teatro Invito di Lecco nel 2019 – sino alla conquista del bando “Teatro… Voce della società giovanile” promosso nel 2018 da Endas Emilia Romagna. Prodotta da Strabismi, Teatro Thesorieri e Infinito Srl, la messinscena diretta e interpretata da Sesti vanta le musiche dal vivo di Debora Contini al clarinetto, Federico Passaro al contrabbasso e Federico Pedini alla chitarra classica, oltre al disegno luci di Marco Andreoli. Per ogni altra informazione, si veda il website “strabismi.wixsite.com”.
Alessandro Sesti. Nato a Foligno – nella grande madre Umbria – il 10 giugno 1988, è un attore e drammaturgo di formazione indipendente. Insieme ad altri artisti umbri, nel 2013 fonda nella sua cittadina l’associazione culturale Strabismi, un collettivo che dal 2015 dà vita all'omonimo festival di cui è direttore artistico: ruolo che riveste anche per il Teatro Thesorieri di Cannara, in provincia di Perugia, dal 2017. Sempre il 2015 è l’anno in cui avvia un suo percorso artistico riguardante due fronti di lavoro in particolare: uno riguarda il teatro di narrazione con gli spettacoli FORTUNA del 2016, VELENO del 2018, il menzionato IONICA e LUCA 4,24 che, realizzato con Mattia Maiotti e Debora Renzi, si aggiudica inoltre il premio ex-aequo Tuttoteatro.com alle arti sceniche “Dante Cappelletti” 2019; l’altro concerne la riscrittura della fiaba attraverso performance sonore quali C’ERA UNA VOLTA UNA BAMBINA e BARBABLÙ, in cui si pone al centro della ricerca il ritorno al racconto senza l'ausilio d’immagini. Lo studio del suono prosegue insieme al musicista Nicola “Fumo” Frattegiani con BARRACUDA - RADIODRAMMA PER VOCE SOLA E WHISKEY e il progetto TRUE MAN SHOW che indaga lo scollamento dalla realtà portato dalle malattie degenerative. Il suo lavoro è sostenuto da Libera, la rete di «Associazioni, nomi e numeri contro le mafie» (www.libera.it).
La notte di Antigone di Giacomo Ferraù e Giulia Viana
- Scritto da Damiano Pignedoli
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ANTIGONE, l’antica tragedia greca creata da Sofocle attorno a una delle mitiche figlie di Edipo, è la riflessione più lucida e profonda che sia mai stata scritta sul conflitto tra la legge interiore di un’anima umana e quella fissata pubblicamente, secondo un sistema disciplinato di norme, da un rigido organismo statale. Vi si racconta, infatti, dello scontro avvenuto per il trono di Tebe tra i due fratelli della protagonista, che si sono dati la morte a vicenda. Uno è Eteocle, reputato buono e giusto, degno di onori funebri; l’altro è Polinice, il reietto e cattivo, dichiarato nemico della patria. Una versione che tuttavia collide con l’amore pietoso della sorella, inducendola alla ribellione contro l’imposizione del re tebano, Creonte, di lasciare il cadavere di Polinice senza sepoltura alla cruda mercé di bestie feroci.
Sul luogo fratricida, del resto, lei ha visto soltanto un corpo esanime e martoriato. Ed è lì, in quel momento, che guardandolo capisce e assume una superiore consapevolezza. Osserva il corpo di Polinice e si rende conto che lui ed Eteocle sono le due facce della stessa medaglia, dello stesso fratello: amato e criticato, redarguito, allontanato e poi rincorso di nuovo. Così che, sulle nude spoglie di questi, nasce autenticamente Antigone. Quella, cioè, che attacca Creonte alla luce del sole e ne mette in dubbio la parola al punto da venir reclusa, nei fatti intombata, in una caverna.
Il sovrano alza intorno a lei dei muri di silenzio, un abisso che la isola per limitarne l’azione. E chi conosce la storia mitica sa che la giovane non uscirà mai più da quell’antro tombale.
Ma se invece, per un’ultima volta, la nostra Antigone riuscisse ad alzare la testa?
Se fosse in grado di sollevarsi dal suolo e puntare il dito verso Creonte? Un re senza volto, quasi inafferrabile, al quale chiedere – continuamente e con ostinazione – giustizia?
Perché, infine, cosa significa svegliarsi e ritrovarsi Antigone?
Probabilmente, le Antigoni di ogni tempo e luogo sono donne che si battono per aprire la strada ad altre Antigoni. Donne che cercano la verità sfidando il sistema, animate da un senso di giustizia che sorge dall’amore verso un proprio fratello, o simile, «ultimo fra gli ultimi»: tanto più se inafferrabile e sottratto alla vita, sentendo però proprio per questo la dura presenza della sua assenza.
Antigone, d’altronde, non si nasce. Semmai, ci si scopre. E, sempre, lottando.
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Scritto da Giacomo Ferraù e Giulia Viana, prodotto dalla loro compagnia Eco di fondo, LA NOTTE DI ANTIGONE è un dramma andato in scena in anteprima il 29 novembre 2019 a Milano, presso Campo Teatrale. Interpretato dagli stessi drammaturghi, con Ferraù anche regista, è ispirato alla figura di Ilaria Cucchi: assurta alle ribalte della cronaca per la sua tenace ricerca della verità in merito alla morte del fratello Stefano, avvenuta il 22 ottobre 2009 a Roma, in cupe circostanze che hanno coinvolto medici e agenti penitenziari. In scena, oltre ai due autori, compaiono: Edoardo Barbone, Enzo Curcurù e Ilaria Longo, fra le luci e le scene di Giuliano Almerighi, i suoni di Gianluca Agostini e secondo i movimenti scenici di Riccardo Olivier. Lo spettacolo ha il patrocinio di Amnesty International Italia e, dopo una nuova anteprima tenutasi il 4 settembre 2020 al Castello Sforzesco di Novara, è previsto in prima nazionale il prossimo 12 ottobre 2020 al festival Primavera dei Teatri di Castrovillari, in provincia di Cosenza. Per ogni altra informazione e approfondimento, si veda il sito internet “www.ecodifondo.it”.
«Abbiamo studiato le differenti variazioni del mito a partire dalla tragedia di Sofocle e approfondito il caso Cucchi confrontandoci con altre storie, altri casi di cronaca. Abbiamo intervistato differenti personalità del settore confrontandoci con diversi punti di vista, come Laura Petruccioli (Amnesty International Italia), Alessio Scandurra (Associazione Antigone), Valentina Calderone (A Buon Diritto) e diverse cooperative sociali di ex detenuti ed ex tossicodipendenti. Siamo giunti a una sintesi concentrandoci nel raccontare le paure, i dubbi, la rabbia, il sentimento di frustrazione e profondo dolore che ha dovuto affrontare una sorella nella notte in cui sceglie se mostrare pubblicamente le foto del corpo martoriato di suo fratello.»
(Dalle note di presentazione dello spettacolo)
Giacomo Ferraù si forma prima a Roma, laureandosi al DAMS nel 2005, e poi a Milano all’Accademia dei Filodrammatici dove si diploma nel 2007. Regista, attore e drammaturgo, è direttore artistico con Giulia Viana della compagnia Eco di fondo, che ha fondato con lei nel 2009 a Milano. Come interprete recita in numerose messinscene e viene diretto da teatranti come Bruno Fornasari, Francesca Cavalli, Claudio Autelli e, in modo speciale, César Brie, per il quale interpreta i drammi KARAMAZOV, ORFEO ED EURIDICE e SUZANNE. Come regista, invece, monta una decina di spettacoli scrivendone inoltre la drammaturgia con la stessa Viana. Creazioni che affrontano in genere storie mitiche o fiabesche, reinventate alla luce di scottanti temi attuali. Tra queste si ricordano, appunto, talune produzioni per Eco di fondo: LE ROTAIE DELLA MEMORIA che ha vinto il Premio ANPI Cultura nel 2008 e il Premio Riccardo Pradella sei anni dopo; NATO IERI, finalista al Premio Scenario Infanzia 2012; O.Z., STORIA DI UN’EMIGRAZIONE del 2015; a cui segue un anno dopo LA SIRENETTA, prima di un biennio che lo vede impegnato in qualità di regista nel campo dell’opera lirica con due produzioni per il Festival della Valle d’Itria, ALTRI CANTI D’AMOR e IL TRIONFO DELL’ONORE, e una terza per AsLiCo ovvero CARMENSITA. Nel 2018 riprendono comunque le sue reinvenzioni con Viana di miti e fiabe, da cui trae la regia per lo spettacolo POLLICINO e, l’anno seguente, quella già menzionata riguardante LA NOTTE DI ANTIGONE. Lavoro preceduto dalla pièce DEDALO E ICARO – scritta da Tindaro Granata – che dirige con Francesco Frongia per una coproduzione con il Teatro dell’Elfo di Milano. Da ricordare, infine, la sua vittoria del Premio Fantasio Piccoli al Festival Internazionale della Regia 2010 e il riallestimento de IL TRIONFO DELL’ONORE (prodotto dal Festival della Valle D’Itria) a Tokyo nel 2019; mentre, attualmente, è al lavoro sulla messinscena intitolata SONO SOLO NELLA STANZA ACCANTO, una coproduzione Eco di fondo e Compagnia Caterpillar.
Giulia Viana si diploma nel 2005 al corso di Nouveau Cirque della Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone” e, due anni più tardi, all’Accademia dei Filodrammatici di Milano dove vince, peraltro, la borsa di studio intitolata a Giuseppe Chiodi. Attrice e drammaturga, nel 2009 – come detto – fonda e dirige con Giacomo Ferraù l’associazione Eco di fondo. Recita frattanto in parecchie produzioni teatrali, lavorando con registi quali Roberto Trifirò, Karina Arutyunian, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, oltre ai già citati Fornasari, Cavallo, Autelli e Brie. Collabora inoltre con la storica compagine marionettistica di Gianni e Cosetta Colla dal 2010 al 2014: un anno durante il quale, per giunta, si aggiudica il premio di migliore attrice all’International Theatrical Festival di Lomza in Polonia, per la sua perfomance come Pinocchio nell’omonimo spettacolo di Zaches Teatro. Nel mentre interpreta e, con Ferraù, scrive le drammaturgie delle suddette messinscene sospese tra mito, fiaba e cocente attualità, prodotte da Eco di fondo. A queste sono da aggiungere le sue prove da attrice in altre produzioni della sua compagnia, tra cui quelle nate su testi di maestri del teatro contemporaneo: ossia ORFEO ED EURIDICE di César Brie del 2014 e, un triennio prima, COPPIA APERTA dalla commedia COPPIA APERTA, QUASI SPALANCATA di Dario Fo e Franca Rame. Da menzionare, inoltre, la sua interpretazione del pluripremiato ANGELS IN AMERICA di Tony Kushner, riallestito dal Teatro dell’Elfo nel 2019. Completa, infine, il suo profilo di eclettica artista lavorando nelle tre opere liriche dirette da Giacomo Ferraù dal 2017 in avanti: ALTRI CANTI D’AMOR, di cui è interprete e aiuto regista di Ferraù; con il quale e Luana Gramegna monta poi CARMENSITA; mentre, sempre con lo stesso e Libero Stelluti, nel 2018 realizza IL TRIONFO DELL’ONORE. Tutto ciò, continuando a dedicarsi alla prosa e alle proprie attualizzate versioni drammatiche di storie mitiche, di cui la sua Antigone ispirata a Ilaria Cucchi è uno degli ultimi e fulgidi esempi.
Foto di Cristina Pileggi
A.CH.A.B. All CHihuahuas Are Bastards di Aleksandros Memetaj
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Quando inizio a scrivere una storia non so mai esattamente dove andrà a finire. In realtà credo fortemente che la storia sia già scritta dentro di me, solo che io non la conosco ancora. Quindi, quando scrivo, probabilmente sto solo scavando dentro.
Alcune persone più sagge di me, prima che io nascessi, hanno detto che dentro di noi c’è tutto ovvero che, nella nostra anima, convivono: il salvatore e l’omicida, il filantropo e l’egoista, il saggio e l’immaturo, il vecchio e il bambino, l’uomo e la donna, eccetera. Insomma, qualcuno deve avermi fregato facendomi credere che dentro di noi ci sono delle possibilità infinite.
Prima di essere un Regista sono un Drammaturgo e un Attore: e sinceramente non so quale di queste identità venga prima. Per me è necessario partire dal corpo, dallo stomaco dell’Essere che gioca in scena, perché è l’unico possibile custode di verità. Sono profondamente convinto che le parole debbano passare il test dell’azione scenica, la quale deve riconoscere quelle parole e trovare la strada per farle sue e renderle azione.
Ogni parola che viene incisa sul foglio da un’immancabile Bic nera, proviene dal mio stomaco e dalla mia spina dorsale che sta “in azione”, che immagina vividamente quello che scrive. Poi la parola viene passata – come un testimone – all’Attore che riproduce nuovamente il test. Se anche lo stomaco dell’Attore digerisce quella parola, allora posso iniziare a pensare che potrebbe essere la parola giusta da usare.
Molto spesso sono costretto a non affezionarmi alle parole che scrivo: perché sono solito cambiarle fino a pochi giorni (a volte minuti) prima che io vada in scena, o che mandi in scena i miei attori (accettando quindi anche l’odio che una decisione simile comporta in loro). Tutto questo però è possibile perché i miei attori sanno che, per me, a contare è il senso invece che la forma, il contenuto invece che il contenitore.
Non voglio dire che le parole non contano ma, nel Drammaturgo che scrive e nell’Essere che gioca, occorre aver chiari i seguenti aspetti: chi parla e cosa vuole davvero questo “chi” quando si mette a parlare; qual è il mondo in cui si trova mentre sta parlando; quali leggi governano tale mondo. Avendo chiaro ciò, a quel punto le parole dovrebbero essere quelle giuste. E se non lo sono, poco ci manca.
Le parole, in fondo, a mio avviso sono solo un vestito che ci mettiamo addosso. Niente di più. Sono l’abito che decidiamo di indossare. Ma quello che conta è ciò che sta dietro alla parola, che le dà profondità e respiro, che la fa poi arrivare in un determinato modo alle orecchie, al cuore e allo stomaco del pubblico: quello che alcuni definiscono “il senso” o “l’azione” oppure “il sottotesto”, altri ancora “la necessità”. Tuttavia, al di là di ogni declinazione o definizione che si può dare, la “parola adatta” conta averla dentro nel momento in cui si scrive.
E quando io scrivo, lo faccio perché voglio che il pubblico provi le emozioni che provo anch’io nell’istante in cui immagino qualcosa. È come se fosse una voglia egoista e al contempo ‘filantropica’. Non so dove sia il limite tra un bisogno egotico di far sentire la propria voce e uno invece filantropico di far vedere cosa c’è fuori dalla caverna in cui siamo chiusi.
Io scrivo per il bisogno di comunicare con gli altri e gioco l’attore allo stesso e identico scopo.
Anche questa storia che è A.CH.A.B., con la sua specie di casa sospesa nel mondo delle idee, risponde al bisogno di comunicare con gli altri: provando a restituire, tramite quattro personaggi, un ritratto dell’oggi. Inoltre è forse il tentativo personale di sublimare velleità violente; insieme a quello di raccontare la mia generazione attraverso un trio di personaggi totalmente diversi tra loro come sono Lorenzo, Eva e Maia, cercando nondimeno una riconciliazione con quella precedente rappresentata dalla figura di Luigi. Allo stesso tempo, è pure il tentativo di dare delle possibili soluzioni all’insofferenza quotidiana odierna, di far sorridere le persone e mettere alla prova coloro che, nonostante tutto, riescono a sorridere. Per vedere se, da quel sorriso, riescono a scavare in profondità e scoprire le migliaia di versioni di sé che hanno all’interno.
Aleksandros Memetaj
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Con la regia dello stesso Memetaj, che ne ha composto la drammaturgia, A.CH.A.B - All CHihuahuas Are Bastards è uno spettacolo andato in scena per la prima volta il 17 settembre 2019, al Piccolo Teatro Grassi di Milano, in occasione del festival Tramedautore. Interpretato da Agnese Lorenzini, Ilaria Manocchio, Ciro Masella e Valerio Riondino, è prodotto da Nogu Teatro (di cui al website “nogu.it”) e concorre per la vittoria finale alla rassegna In-Box 2020 (online al link “inboxproject.it”) che valorizza e premia le esperienze più interessanti della scena emergente italiana.
Aleksandros Memetaj. Nato a Valona in Albania, all’età di sei mesi viene portato in Italia a Venezia, dopo una traversata migratoria del mare. Cresce e si forma nella città veneta, dove si dedica a studi classici per distinguersi poi, diciassettenne, nel torneo “Disputa Filosofica” organizzato dall’Università di Padova. Competizione che vince per due volte. Nel 2015, arriva un’altra conquista: quella che lo vede al debutto come drammaturgo e attore del suo monologo ALBANIA CASA MIA, prodotto all’epoca da Argot Produzioni di Roma e attualmente da Nogu Teatro, per la regia di Giampiero Rappa. Un assolo appassionante che riscuote fortune e applausi per oltre 150 recite in Italia, Svizzera e USA, mentre nel 2016 si aggiudica un paio di riconoscimenti: quello del Festival Avanguardie 20 30 di Bologna e il Premio del Pubblico al 15° Festival Teatrale di Resistenza organizzato dal Museo Cervi di Gattatico, in provincia di Reggio Emilia. Nel 2018, quindi, si occupa della scrittura e interpretazione di ELOGIO DELLA FOLLIA - #ILIKEDOPAMINA, diretto da Tiziano Panici ancora per Argot Produzioni e Cie Twain - centro di produzione danza. L’anno dopo è insignito come “Giovane Artista Euromediterraneo” al Mare Magnum Festival e – fatta già menzione di A.CH.A.B. – scrive i testi per la pièce JULIETTE, di cui è uno dei 10 performer diretti e coreografati da Loredana Parrella per Cie Twain. Come attore, infine, si cimenta nel 2020 con un testo altrui qual è L’OSPITE - UNA QUESTIONE PRIVATA di Oscar De Summa, montato e co-interpretato da Ciro Masella per la produzione di Pupi e Fresedde. Mentre, al di là delle ribalte teatrali, lavora come attore di cinema e televisione recitando nei lungometraggi BRUTTI E CATTIVI di Cosimo Gomez del 2017, SULLA MIA PELLE di Alessio Cremonini del 2018, KARIM di Federico Alotto del 2019 e nella serie Tv THE MIRACLE, ideata da Niccolò Ammaniti per l’emittente “Sky Atlantic” che l’ha trasmessa in prima visione nel 2018.