Il dramma del mese
Trincea di signore di Silvia Calamai
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Trincea di Signore, vincitore sezione under 32 del Premio Battipaglia 2002 e segnalato al Premio Calcante dello stesso anno, si prepara a nuovi appuntamenti. Il primo il 24 novembre, quando Marisa Fabbri e Franca Nuti entraranno nei panni di Gervasia e Ortensia; il secondo nel marzo 2003, quando i due personaggi parleranno con la voce di Lucia Poli e Marcella Ermini (già in scena nei primi studi con Renata Palminiello): una vera e propria staffetta di interpreti che lasceranno tracce nette del loro lavoro e daranno prospettive e nuove angolazioni all’architettura del testo”
Autrici a Confronto XI edizione, Festival Nazionale sulla Drammaturgia Contemporanea delle Donne, Compagnia Laboratorio Nove e Teatro della Limonaia
Studi a cura di Barbara Nativi. Con Marisa Fabbri e Franca Nuti (24 novembre 2002) con Marcella Ermini e Lucia Poli (marzo 2003)
musiche originali Marco Baraldi
canta Francesca Messina
aiuto regia Sandra Garuglieri
Premio Battipaglia Magna Graecia II ed. 2002 - Sezione Under 32 Testo vincitore: Trincea di Signore. Cronache da un assedio di Silvia Calamai.
Commedia centrata sulla condizione degli anziani, sul loro rapporto quotidiano con la TV, rivela le singolari qualità di scrittura dell’autrice. È un’opera essenziale, incisiva, esente dal minimalismo oggi di moda, che scava nella psicologia delle due protagoniste con una scaltrezza teatrale e con una maturità di pensiero inconsuete nella giovane drammaturgia.
Giuria: Giovanni Antonucci (presidente), Giuseppe Pelloni, Massimo Pedroni, Mico Galdieri, Antonio Calenda.
Calcante 2002 (SIAD)
Segnalato: Trincea di Signore. Cronache da un assedio di Silvia Calamai
Con Trincea di Signore. Cronache da un assedio l’autrice Silvia Calamai ha scritto una pièce degna di segnalazione per la capacità di imbastire un dialogo serrato allusivo, linguisticamente credibile per la dimensione scenica. Due settantenni, amiche e rivali assieme, s’incontrano e si scontrano, evocando atmosfere pinteriane, ‘assediate’ da uno spazio claustrofobico pieno zeppo di mobilia; dagli annunci della radio; da distonie, lapsus e impacci mentali; da catastrofi imminenti; dalle malattie e dalla morte; da se stesse; mentre, tra silenzi, slanci sentimentali, voglia di vivere, ‘al di fuori’ tutto sembra scorrere tranquillo, in una Italia proiettata verso “un’estate meravigliosa”.
Giuria: Gennaro Aceto, Maricla Boggio, Luigi M. Musati, Claudia Poggiani, Ubaldo Soddu, Giorgio Taffon, Mario Verdone.
Il testo è stato pubblicato su Hystrio con questa presentazione da parte dell'autrice.
Dietro Trincea di Signore. Cronache da un assedio, sullo sfondo, in sordina, ci sono anni di interviste e di colloqui con persone anziane, delle più varie tipologie - quei soggetti che i dialettologi e i fonetisti definiscono con l’etichetta di ‘informatori’, ‘locutori’, ‘soggetti’. Da questa (auto)educazione all’ascolto nascono alcune delle mie pagine scientifiche e tutti i miei testi letterari.
Trincea di Signore si presenta come una storia apparentemente casalinga. Ortensia e Gervasia sono chiuse in casa, a spiare dalla finestra una città che sembra alluvionata, ascoltando notiziari, raccontandosi telenovele, litigando su episodi ambigui del passato, parlando di improbabili allegre fughe in canotto. Ma questo loro conversare non è la chiave unica di un testo dai tratti popolari e divertenti: il mondo abitato dalle due donne appare desolatamente vuoto, le voci della radio e le romantiche storie viste e ardentemente vissute davanti alla televisione sono gli unici parziali contatti con l’esterno, i frammenti di vita descritti appaiono contraddittori e distorti: sembra che Ortensia sia salita da Gervasia perché ha finito il latte, oppure l’olio, oppure il caffè, sembra che Ortensia non possa tornare giù al suo appartamento, sembra che la cupola stessa e il campanile si dissolvano e scompaiano in lontananza. Il mondo là fuori sono soltanto rumori e qualche luce, e fa un po’ paura: i ricordi del passato e le chiacchiere del presente non riescono ad addomesticarlo. Ci entra in casa e ci parla, con lunghi e strani silenzi, mentre la pioggia fuori continua a cadere. ll testo avrà una prima verifica in mise en espace nel giugno 2002, al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, sarà poi presente in altri appuntamenti (a fine luglio in estiva e in ottobre al Festival sulla drammaturgia contemporanea delle donne Autrici a Confronto, sempre a Firenze), nell'ambito di un progetto a cura di Barbara Nativi in collaborazione con il Teatro delle Donne-Centro Nazionale di Drammaturgia delle Donne e la Compagnia Laboratorio Nove. Si alterneranno nella lettura alcune delle più note attrici nazionali.
Silvia Calamai
Mises en espace:
21giugno 2002 Teatro della Limonaia, Sesto Fiorentino, con Marcella Ermini e Renata Palminiello
30 luglio.2002 Teatro all’aperto di Villa Strozzi, Firenze, con Marcella Ermini e Renata Palminiello (Rassegna Streghe e Madonne)
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Tomba di cani di Letizia Russo
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Tomba di cani è una produzione dell'Associazione Teatrale Pistoiese-Teatro del tempo presente per la regia di Cristina Pezzoli. Con Isa Danieli, Peppino Mazzotta, Aram Kian, Sara Bertelà, Federico Pacifici, Giuliano Amatucci, Antonio Casagrande. Scene Giacomo Andrico. Costumi Rosanna Monti. Musiche Alessandro Nidi. Luci Roberto Chiti.
Motivazione del Premio Tondelli 2001 (Riccione teatro):
“Per la forza rabbiosa con cui questa acuta stupefacente ventunenne, senza trascurare la lezione di Sarah Kane ma con una propria sentita impronta, rappresenta un mondo condotto all’ultimo stadio dalle ferite di una guerra disperata e stremante, giovandosi di una scrittura aspra e voluta, ma di immediato rilievo scenico per raccontare un’umanità primordiale ma forse futuribile, densa di richiami mitici e assai prossima a un’arcaica comunicazione con il regno dei morti. Se qualche disagio mina lo svolgersi dei fatti, emoziona nel profondo la costruzione singolarmente viva dei personaggi, vessati dal dolore, toccati dai rimorsi e tentati dal tradimento, che manifestano la loro angoscia attraverso lunghi dialoghi evocatori di un passato dalle poderose immagini, dove il lacerarsi dei corpi si accompagna a un fermo sentimento della famiglia e dei principi fondamentali, infranti per sempre dall’ineluttabilità di una fine guardata con pietà come se si trattasse d’un ritorno agli inizi”.
Note di regia
di Cristina Pezzoli
Una tragedia contemporanea. “I minuti non passavano mai, ma gli anni volarono.” Mi tornano a mente le parole di un altro autore contemporaneo, Danilo Macrì, per parlare di Tomba di cani di Letizia Russo. L’infinita lentezza del tempo quotidiano e al centro di questa scrittura evocativa e potente. “ Nel tempo presente. In una nazione sta per finire una lunga guerra…”
I personaggi di Tomba di cani, uomini e donne degradati ad una condizione di sopravvivenza, non fanno altro che aspettare. Aspettano che finisca la guerra. Aspettano che passi la vita. Un problema teatrale grosso l’apparente assenza di azione che caratterizza circa due terzi del testo. Una sfida che va accettata, non snaturata. Il luogo di questa guerra è il cerchio chiuso di una famiglia, dove l’eccesso di vicinanza costringe gli esseri umani a diventare il peggio di se stessi. E’ sorprendente, data la giovane età di Letizia Russo, la quantità di riferimenti teatrali che sembra aver tenuto presente nella scrittura dei suoi personaggi e della storia. Glauce, vedova senz’occhi, seduta su una sedia a rotelle, come su un trono, è un Edipo femmina, un’Ecuba condannata a veder scomparire tutti; il suo rapporto con il figlio Johnny - scartato alla leva militare perché “non aveva le misure del soldato” - , condannato a vivere la sua stanca guerra non in trincea, ma a casa con la madre, ricorda quello di Hamm e Clov in Finale di partita, ed è una specie di ritorno di Agamennone da Troia quello del soldato Luther da Cinosséma – la tomba del cane – quel pezzo di mare in cui la leggenda vuole che sia morta Ecuba. E a ciò si aggiunge l’estrema raffinatezza della scrittura che ha una disposizione anaforica, cioè ripetitiva, come le ripetizioni bibliche o della fiaba popolare, in cui la ripresa ripetuta di alcune espressioni ottiene un effetto cumulativo o diminutivo di straordinaria espressività. Queste ripetizioni sono una grammatica in azione, non possono essere ‘tagliate’, come si farebbe per un testo verboso e ridondante. Tomba di cani è un testo che costringe a fare esperienza della forma e ad udire come la grammatica si sia fatta musica per raccontare il copione illimitato del tempo e del mondo. Ma soprattutto è, a mio parere, un atto di esistenza, in cui lo scandalo della vita sciupata, dell’inerzia che non è assenza di movimento, ma lento scivolare verso l’urto frontale con il destino, diventa un grido di disperazione senza melodramma. Una tragedia contemporanea.
Di cosa parla:
In un paese c'è una guerra. in un paese c'è due persone. una vecchia punitrice di se stessa più un figlio che non parla quasi mai, non bisogna far caso alle battute. più i cosiddetti amici, più i cosiddetti vicini di casa e il cosiddetto amore la morte l'inaspettato e tutto il resto. in un paese c'è. gente che sopravvive alla guerra. alla guerra fatta per l'acqua alla guerra fatta per sopravvivere non per rubare terra non per rubare bandiere non per fare i quattro cantoni
di un paese più bello e più grande che pria. in un altro paese nel nostro tempo c'è una tomba. solo quella resta, alla fine della guerra. delle guerre direi, se non suonasse morale e la morale io mi ci pulisco il culo. un paese diventa tomba di se stesso della carne che lo abita. cani. questo siamo. costole occhi lingua. perché ho scritto. perché quello che faccio è guardare intorno. guardare dentro. ma di capire non mi va non mi interessa poi tanto. questa è la storia. di un paese
nel nostro tempo. questa è una storia. di un paese che inghiottisce se stesso i suoi cani la sua carne. questa è. una storia. niente più che questo. ci trovi dentro magari un po' di grecia ci trovi dentro magari un po’ di occidente che sarà ci trovi dentro magari un po’ degli amici che ti hanno tradito un po’ delle donne che ti hanno tradito un po’ della penombra della casa del vicino, quelle case che le vedi solo di sfuggita solo l'ingresso mentre aspetti l'ascensore e la volta che
le vedi per bene è quando ci hai un conto da regolare e ti accorgi che i suoi mobili non sono migliori dei tuoi. ci trovi delle cose dentro e altre non ce le troverai. va bene pure così. questa è la storia di tomba di cani. cinossèma. il confine. il luogo lontano. la dogana. il deserto.
LETIZIA RUSSO
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B. di Giampaolo Spinato
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Nell'ambito del festival Tramedautore organizzato da Outis, Giovedì 12 Settembre, al TEATRO GRASSI di Milano si terrà una lettura scenica della pièce di Giampaolo Spinato, per la regia di Fulvio Cauteruccio.
Con Fulvio Cauteruccio, Paolo Lorimer, Fabio Mascagni, Emiliano Morrone, Emanuela Villagrossi. In collaborazione con la compagnia Krypton.
B. è stato segnalato all'ultima edizione del Premio Riccione 2001 con la seguente motivazione:
Per avere creato con ellittica scrittura beckettiana di lucida potenza l’intrecciarsi di un doppio enigmatico quadro: la vicenda di sesso e di sangue di B. e di una Lei, che quando non scopa selvaggiamente si traveste da Madonna, contrapposta al chiacchiericcio di guardie, o voyeur, o spettatori tv con telecomando, o registi che ripassano il girato del video… Via via l’azione si stempera nell’immagine astratta di un fatto e della sua eco diffusa dalle voci degli astanti, creando uno spaccato metropolitano carico di suggestione.
Presentazione dell'autore:
Chi ha ucciso. Chi è ucciso. Chi/cosa ha visto, sentito, perduto, forse scoperto. Chi accusa e/o è accusato. La vera condanna è che l’indicibile può/deve essere nominato. Anche se B. non potrà più tornare indietro e il suo interrogatorio (prefigurato, reale, esorcismo intrapsichico?), durante la telecronaca di una partita di calcio, ricorda un bacchetto cannibale. E la lingua, teatro del significato, è un conguaglio enigmatico, brutale inseminazione di insopportabile senso, in cui anche il linguaggio più burocratico, contro ogni evidenza, marcendo, concima le forme non prevedibili della sua stessa sopravvivenza.
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Il lungo cammino degli elefanti di Gaspare Dori
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Lo spettacolo
Il lungo cammino degli elefanti debutterà il prossimo 23 luglio nell’ambito del Festival delle Colline Torinesi (Castello di San Raffaele Cimena), con una produzione del Meta-Teatro di Roma in collaborazione con il Teatro Libero di Palermo.
Regia: Marco Carlaccini
Interpreti: Marco Carlaccini, Patrizia d’Orsi, Massimiliano Lotti
Scene: Luisa Tavarella
Costumi: Antonella d’Orsi
Musiche: Claudio Rovagna
Disegno luci: Giuseppe Romanelli.
Il lungo cammino degli elefanti è pubblicato in Italia dalla casa editrice Editoria & Spettacolo.
Nota di regia
di Marco Carlaccini
Ho individuato due livelli separati e paralleli sui quali far muovere la messa in scena de Il lungo cammino degli elefanti. Un livello è costituito dalla sostanziale differenza di clima fra primo e secondo atto (un primo atto, più astratto, in cui prevale il gelido grigiore di una incomprensibile reclusione; il secondo, più concreto, pieno di sudiciume, depravazione). Un primo atto di asettico bianco-nero; un secondo di colori sfacciati. Il secondo livello è costituito da un filo sottile che, nel progredire delle storie, “sembra” condurre a un ritrovamento, a un’indagine, a una possibile scoperta. Il secondo livello è sempre espresso con tecniche suggestive (immagini in trasparenza, luci soffuse, musiche evocative) per anticipare, come nel primo atto, o richiamare, come nel secondo atto, elementi emblematici della scena. Nel primo atto, in un’atmosfera sospesa, affiora di tanto in tanto il clima dell’indagine, collegato a immagini sfocate che appaiono in profondità: fantasmatiche deformazioni di oggetti che nel secondo atto, saranno presenti in scena nella loro vera fisionomia. Nel secondo atto appariranno, collegati all’unico momento di “suggestione”, alcuni oggetti già visti in scena nel primo atto, ma, anche questa volta, deformati dalla trasparenza. La scena è costituita da un sistema di pareti che permettono, da un atto all’altro, un cambiamento di forma e di colore dello spazio scenico e, all’interno di ogni atto, l’accendersi di un piano retrostante in cui appaiono le anticipazioni e i richiami. L’attore dovrà staccare completamente il secondo ruolo dal primo. Senza che ne dimostri alcuna coscienza, l’attore si porterà addosso, passando dal primo al secondo atto, l’evoluzione della vita precedente. Nel primo atto l’attore non avrà indumenti sotto al costume, né accessori di nessun tipo; nel secondo una dovizia di elementi sfacciatamente colorati e luccicanti. Per far riconoscere il collegamento fra i due personaggi, l’attore, nel primo e nel secondo atto, avrà due costumi uguali, ma trattati in modo diverso, a mostrare il percorso di una esistenza che prosegue in un’altra. Alla musica e alle luci, il compito di creare il distacco fra il primo e il secondo atto e quello di far vivere i momenti di “suggestione”.
La storia
(dalla prefazione al testo di Aldo Nicolaj)
“[...] Per entrare subito nel clima della commedia, vi dirò che all’alzarsi del sipario ci vediamo davanti tre personaggi che, a sorpresa, si ritrovano in una specie di tugurio senza sapere né chi né perché ce li abbia portati. Sono vittime di un sequestro di persona? Pur se improbabile, l’autore sarebbe anche disposto a lasciarcelo credere, se non apparisse subito evidente che non di sequestro si tratta, ma di una qualche altra diavoleria misteriosa. Chi sono i personaggi? Un industrialotto piuttosto sgradevole, un simpatico ed intelligente bidello ed una modesta psicologa, disperata e spaurita. Forse i tre potrebbero provare a conoscersi meglio e ad uscire dall’inspiegabile situazione in cui sono venuti a trovarsi, ma la sciocca presunzione dell’industriale impedisce ogni forma di comprensione ed il loro battibeccare non porta ad alcuna soluzione. Il dialogo prosegue animatissimo, ma quando ormai ci si è affezionati ai personaggi e si vorrebbe conoscere la soluzione del mistero, un colpo di scena li fa sparire tutti. La seconda parte ci riporta in un luogo completamente diverso dove l’industriale è ora un patetico ritardato, la donna è la sorella che vorrebbe “venderlo” a quello che era il bidello e che ora è un losco commerciante di organi umani. Ognuno è il contrario di quello che era nelle scene precedenti [...]”.
Il premio
Il lungo cammino degli elefanti ha vinto il Premio Oddone Cappellino nel 2001. Questa la motivazione del premio: “Una commedia in due atti che riesce a delineare in modo efficace personaggi dotati di coerenza psicologica e funzionalità teatrale. Il primo atto è costruito con sapiente dosaggio di coinvolgimento intellettuale e tensione emotiva: la vicenda di due uomini e una donna che si trovano ad affrontare, con sconcerto e sorpresa, l’inizio di una vita diversa da quella abituale, è svolta evitando facili moralismi e creando una suspence che cresce fino all’imprevisto finale. Il secondo atto, scritto con uguale abilità e sicurezza, propone situazione e personaggi completamente diversi, affini ai precedenti solo a livello concettuale: ciò implica la scelta cosciente di una disomogenità sostanziale”.