Woyzeck o la tragedia dell’estremo inganno di Marco Badi |
E’ certamente il personaggio più famoso di G. Buchner e, probabilmente, uno dei più importanti del teatro moderno. Woyzeck, il puro. Woyzeck, l’ingenuo. Woyzeck, il semplice. L’uomo che sembra, e forse è, inadatto alla vita, perlomeno a questa vita, catapultato nel nostro mondo da un regno incantato, dove l’inganno sembra impossibile, e così il tradimento. Nel momento in cui l’autore tedesco inizia a narrarci la vicenda (vedi scena I nella versione combinata di Poschmann), sul suo capo incombe già una lama affilata, pronta a tagliare quell’esile filo che ancora tiene legata la sua ragione. I presagi di morte e di sventura sono già ben presenti e diverranno sempre più incalzanti durante il frammentario (e modernissimo, sebbene forse involontario, vista l’incompiutezza dell’opera e l’artificiosità opinabile della ricostruzione…) susseguirsi delle scene successive. Il punto di rottura si ha nel momento in cui il capitano (scena XII nella versione di P.) rivelerà a Woyzeck, quasi irridendolo ma più per un gioco da caserma che per un reale gusto sadico, il tradimento di Marie, la sua donna. E’ qui che il filo si rompe. Egli non può assolutamente accettare che anche quell’ultimo inganno venga perpetrato e proprio da colei che aveva rappresentato l’estremo baluardo di una purezza perduta e di un edenico ideale di amore; è questo l’istante finale prima della definitiva caduta. Infatti, Woyzeck sebbene già immerso in una vita fatta di sotterfugi, di arroganza, di prevaricazione, di menzogna (possiamo ricordare le figure del dottore a cui egli si presta per fare da cavia umana o dello stesso capitano) inizialmente sembra quasi voler passare in mezzo a tutto ciò senza “curarsi di loro”, proteso verso quell’unica luce di vita che è, ai suoi occhi, Marie. Quando però la lordura di quel peccato originale che è il tradimento giunge a lambire anche la parte più profonda del suo essere (ovvero al momento della prova concreta del tradimento di Marie, vedi scena XV nella versione di P.), ecco che la lama cala implacabilmente e il filo è tagliato. Non gli è possibile, infatti, tollerare che vi sia, anche lì, proprio lì dove aveva riposto tutte le sue speranze, un lato oscuro, un luogo “oltre” dove la menzogna può abitare indisturbata. Woyzeck non è un uomo di Virtù, come egli stesso afferma (vedi scena IX nella versione di P.), non può esserlo; Woyzeck è un uomo Naturale, alla maniera, potremmo dire, di Rousseau. E quando la Ragione si separa da lui perché ormai portatrice di un mondo che non può più esistere, un mondo sognato e perduto per sempre, ciò che rimane è soltanto il Cuore, e il suo linguaggio non può essere che quello delle passioni violente. E’ il cuore di un amante tradito che fino ad allora aveva vissuto solamente per l’oggetto amato. Ed ecco la Caduta. La più terribile delle cadute. Quella che arriva a distruggere anche l’idea stessa dell’amore. Siamo, in una parola, all’orrore. E all’orrore non si può che contrapporre la violenza. Ed ecco l’omicidio, ovvero una violenza disperata che cerca disperatamente di liberarsi da quella terribile notte da cui è scaturita. |
Un atto estremo che vorrebbe essere estrema catarsi, ma che, invece, finisce per spalancare un’altra, e ancor più grande, voragine dentro la sua anima (es. il senso di colpa e di persecuzione che si scatena in lui dopo l’assassinio, vedi scena XXVI secondo P.).
E poi la fine. Una fine strana. L’ultima scena in cui è presente anche Woyzeck, la penultima in assoluto (n° XXX secondo P.), è una scena addirittura di tenerezza, con l’assassino che si mette a giocare con un bambino (figura emblematica d’innocenza) nel tentativo di consolarlo da una brutta caduta in acqua (elemento purificatore).
Buchner sembra così ricordarci la fondamentale purezza di Woyzeck che, misteriosamente, non è stata del tutto cancellata neppure da quell’atto di sangue, ma che
resta come memoria di un mondo primigenio e lontanissimo da cui, come dicevamo all’inizio, egli sembra provenire, ma verso cui non gli è più possibile fare ritorno.
E’ il definitivo, tragico esilio da un Eden ormai trasformato in un luogo mitico e, per questo, perso nelle nebbie dell’immaginario, a cui soltanto la purezza di un fanciullo può ancora credere e verso il quale solo una memoria felice può continuare, inutilmente, a slanciarsi fino all’ultimo; fino a precipitare, silenziosamente, nella mente sadica di un anonimo dottore (vedi scena
XXXI).
Opere teatrali di Georg Buchner (Goddelau, 1813 – Zurigo, 1837): Il messaggero dell’Assia (1834); La morte di Danton (1835); Leonce e Lena (1836); Woyzeck (1836). Sinossi: il soldato Woyzeck, che per guadagnare qualche soldo in più svolge svariati lavori tra cui la cavia umana, è innamorato di una donna di nome Marie, la quale però si concede anche ad altri uomini. Una volta scoperto il tradimento di Marie, Woyzeck decide di ucciderla e, dopo aver acquistato un coltello da un venditore ebreo, mette in atto il suo tragico proposito, finendo poi per vagare intorno al luogo del delitto nel disperato intento di cancellarne le tracce. |