Intervista
a Mariano Rigillo di Vincenzo Morvillo |
![]() Maestro, perché “Derive”? Come dice il titolo, c’è un abbandonarsi ai sentimenti, alle esperienze, ai ricordi, alle passioni di un percorso d’arte fatto con Cicci Rossini. Quindi, compaiono brani di cose che abbiamo fatto o che avremmo voluto fare e che, invece, non siamo riusciti a portare in scena. Ci tengo a dire, comunque, che non si tratta di un semplice recital ma di uno spettacolo vero e proprio, che vede la collaborazione di ottimi musicisti e di uno scenografo/pittore, Paolo Petti, che ha contribuito in maniera determinante all’allestimento. C’è un motivo particolare che le ha fatto privilegiare alcuni autori –Palazzeschi, Diderot, Prèvèrt, Lerici, Montale, D’Arrigo, Dante, Lorca, De Filippo, Malerba, Benni, Caproni, Guardagli- ad altri? Sicuramente, alla scelta hanno contribuito le passioni poetico-letterarie e teatrali mie e di Anna Teresa Rossini. “De Pretore Vincenzo”, ad esempio, è un testo che io conosco molto bene; mentre il bellissimo e “tosto” “Orcinus Orca”, di D’Arrigo, è un amore della mia compagna, la quale avrebbe dovuto portarlo in scena, per la regia di Guicciardini, poco tempo fa, senza però riuscirci a causa di difficoltà sopraggiunte. Il suo è un teatro in cui, spesso, tra le righe, si può leggere un impegno sociale e politico. Anche questo spettacolo contiene un fattore importante di riflessione? Le mie scelte hanno sempre un coefficiente sociale, dunque, anche in questo caso, le scelte degli autori seguono questa logica. Ad esempio, De Pretore ha un riferimento sociale molto forte ed icastico, trattandosi di un “mariuonciello” come a Napoli ce ne sono tanti; Circè, di “Orcinus Orca”, traghetta un soldato, reduce della II guerra mondiale, attraverso le acque dello stretto ricoperte di cadaveri, ecc. Ma lo spettacolo deve avere anche una sua leggerezza, far pensare sorridendo. Bisogna unire l’impegno e la leggerezza, e perché no, l’impegno e il botteghino: non credo ci sia niente di male, del resto noi, gente di teatro, viviamo per il pubblico e grazie al pubblico. All’interno dello spettacolo c’è una sezione dedicata alla memoria, per non dimenticare, con la proposizione di stralci tratti da “Le luci di Algeri” di Gianni Guardagli –un autore italiano purtroppo un po’ messo da parte- per raccontare le stragi che coinvolgono l’Algeria e i suoi bambini. Oggi, nel mondo, ci sono circa ventiquattro guerre in cui si vivono tragedie come questa: pensiamo all’Iraq, alla Liberia, al Sudan, all’Eritrea, al Burundi ecc. Ecco, secondo lei, gli intellettuali e gli artisti, di fronte a questi orrendi massacri, possono/devono avere un ruolo? Certo che possono averlo! Il nostro compito è quello di osservare la realtà e denunciarne, almeno, i suoi lati più deteriori. L’artista, l’intellettuale, devono perciò essere in qualche modo presenti nel loro tempo e, personalmente, non riesco a concepire un intellettuale che non si guardi attorno. Ovviamente, senza essere pedanti, stupidamente di parte, guardandosi intorno con intelligenza e, soprattutto, facendo riferimento all’intelligenza degli altri. Maestro, un ultima domanda. Nel suo percorso artistico, Viviani ha sempre avuto un posto particolare: pensa di riproporre qualcosa, nell’immediato, del grande autore di Castellammare? E quali sono i suoi progetti più immediati? Certo, Viviani non lo dimentico, essendo stato fondamentale, tra l’altro, per la mia formazione. In questo momento, però, sento più l’esigenza di affrontare Eduardo che Viviani, pur non avendolo abbandonato del tutto. Porto in giro, infatti, “Simmo Zingari”, un pezzo in cui, da solo sul palco, recito alcuni passi tratti dall’opera di Viviani, insieme a canzoni e poesie del grande autore. |