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Intervista a Sabrina Petyx
di Paolo Randazzo
Ancora a Palermo. Ancora a Palermo per conoscere un'altra voce nuova e sempre più apprezzata del nuovo teatro siciliano. Ancora a Palermo per incontrare Sabrina Petyx, trentanovenne attrice, allieva della scuola di Michele Perriera, regista e logopedista, e farci raccontare dell’esperienza della sua Compagnia M’arte (Movimenti d’arte) che, partita nel ’99, s’è imposta all’attenzione della critica nazionale con almeno due spettacoli: Come campi d’arare (Premio Scenario 2003) e Deposito Bagagli (Menzione speciale a Enzimi 2003). Spettacoli che non hanno finito ancora di girare nelle più qualificate piazze del teatro di ricerca Italiano. Una compagnia piccola in cui peraltro, a parte la presenza di Giuseppe Cutino, vede una netta ed artisticamente significativa prevalenza femminile: oltre alla stessa Petyx, le attrici Sabrina Recupero, Caterina Marcianò, e Alessandra Fazzino danzatrice che nell’ensemble cura le coreografie.

Parliamo di Palermo, parliamo del suo attuale ambiente teatrale: come si spiega l’attuale fiorire di così tanto teatro di ricerca?

«Si lavora per cocciutaggine. Si lavora spinti soprattutto da una necessità espressiva ch’è fortissima ed implica anche tutta la fase logistica e organizzativa del nostro lavoro. Insomma, il nostro non è soltanto un lavoro creativo: qui nessuno ti aspetta, nessuno ti garantisce una piazza o un palcoscenico. Viviamo in una continua deprivazione di opportunità che ci costringe ad arrangiarci. E arrangiarsi per noi significa soprattutto riuscire a risolvere il problema degli spazi. Ecco, il primo nostro grande problema sono gli spazi per lavorare, per provare, gli spazi per elaborare i nostri spettacoli: ci siamo adattati agli spazi più diversi, davvero dal salotto di casa al garage dell’amico. Direi anzi che proprio la ristrettezza e la precarietà degli spazi ci ha indirizzato su modalità espressive e creative che poi diventano parte essenziale del linguaggio teatrale e della poetica. Poi forse è anche vero che oggi soltanto stanno giungendo a maturazione espressiva, in questa città e negli artisti della mia generazione, alcuni semi creativi che maestri come Perriera per quanto mi riguarda, ma certo anche per fare altri nomi Cuticchio e Scaldati hanno oggettivamente lasciato in questa città.»

Si può leggere questa situazione anche come elemento politico nel contesto della società siciliana?

«Ovviamente sì. Anzi è una dimensione che rivendico. Gestire le difficoltà che una realtà come quella palermitana impone ai teatranti come noi, e gestendo queste difficoltà riuscire a raggiungere risultati artistici che ricevono un apprezzamento nazionale, mi pare oggettivamente un comportamento politico. Poi è ovvio che negli anni scorsi abbiamo fatto anche noi interminabili anticamere, ma oggi non più: abbiamo smesso, e consapevolmente abbiamo scelto di smettere, di fare la questua. Non ci interessano le cordate, sappiamo che significa il silenzio del potere rispetto a certe necessità degli artisti. Poi è anche giusto dire che però, oggettivamente, la rassegna che il Comune di Palermo sta organizzando in questi giorni (il Palermo Teatro Festival) in città rappresenta, finalmente e sotto ogni profilo, un passo nella giusta direzione.»

La vostra distanza dal teatro ufficiale, dal teatro che si vede nelle stagioni degli stabili, non vi indebolisce? Non vi pone in un ghetto?

«Non mi sono mai posta questo interrogativo: quella degli stabili è una realtà che vedo così lontana. Dopodichè non siamo noi a non essere interessati a quel contesto, ma è quel contesto che non è, o non è stato, interessato a noi. E d’altro canto è anche vero che anche il nostro pubblico è cambiato negli anni: abbiamo iniziato con una forte attenzione al testo e al teatro di parola e alla drammaturgia contemporanea inglese, mentre oggi il nostro teatro è più essenziale, scarno, lineare e nasce da una maggiore attenzione al gesto, al movimento, alla corporalità della presenza scenica.»

Quali campi di realtà sono maggiormente stimolanti per la vostra attività drammaturgica?

«Mi verrebbe da rispondere che il campo di maggiore ispirazione per la nostra creatività è proprio l’aria che respiriamo. E sarei veramente sincera nell’affermare questa cosa. Più concretamente rispondo che ci interessano le storie piccole, disperse nel continuum della vita quotidiana. Ci interessa osservarne le passioni e le pulsioni che le muovono.»

Com’è cambiata la sua compagnia in questi anni? Cosa vi ha fatto crescere maggiormente come collettivo.

«Il cambiamento maggiore riguarda la consapevolezza crescente d’essere un collettivo. La consapevolezza che dall’incontro e all’interazione tra persone diverse nasce qualcosa che è sempre più della semplice somma di ciò che ciascuna di quelle persone porta con sé. Questa consapevolezza ovviamente implica una disponibilità a cambiare e a modificare il nostro linguaggio scenico che è parte essenziale della nostra poetica.»

Al di là della presenza pur importante di Giuseppe Cutino, siete una compagnia di donne: lo considera un elemento significativo per il vostro lavoro creativo? E comunque è un elemento su cui lavorate consapevolmente?

«Certo, abbiamo consapevolezza di questa nostra situazione e sappiamo che è portatrice di senso, d’emozioni e di significati specifici sia nei nostri lavori teatrali sia nella nostra comunicazione col contesto esterno alla nostra compagnia. Però tradirei me stessa se dicessi che si tratta di una situazione che abbiamo voluto: no, è una situazione che si è creata casualmente e che altrettanto casualmente può aprirsi, come è già accaduto e come accade in Deposito Bagagli all’apporto di artisti di sesso maschile. D’altro canto considero centrale nella nostro produzione l’apporto di Giuseppe Cutino.»

Avete messo a punto un vostro costante metodo di lavoro? Qual è? Continuate a riflettere sul rapporto tra corpo e testo?

«Il metodo di lavoro cambia a seconda che la regia dei nostri spettacoli sia mia, di Giuseppe Cutino o di Alessandra Fazzino. In generale si può dire che dopo aver superato, come dicevo, una fase di sostanziale attenzione al testo posto al centro dello spettacolo oggi diamo una sempre maggiore importanza all’interazione tra corpo, parola e movimento. Stiamo elaborando insieme una nostra metodologia di scrittura scenica e in questo senso è stato ed è fondamentale l’apporto di Alessandra Fazzino che ha una formazione di danzatrice.»