Luigi Chiarelli ricordato da Paolo Puppa di Maeve Egan |
Chi si ricorda più del nome di Luigi Chiarelli? Eppure quest’uomo piccolo e taciturno, buffo con una faccia quasi sempre inquieta e gli occhi costantemente stupiti, verso il 1920 fu uno dei commediografi italiani più famosi e rappresentati non solo in Italia ma anche all’estero. Dopo il successo strepitoso - di pubblico e di critica - del suo capolavoro La Maschera e il Volto nel 1916, divenne un portavoce di quella generazione di autori del grottesco operanti nella seconda metà degli anni ’10. All’epoca, fu ammirato da grandi scrittori come Gabriele D’Annunzio e da grandi intellettuali come Antonio Gramsci. Parlando del suo capolavoro, Max Reinhardt disse che era “una commedia che è pietra miliare nella storia di tutto il teatro.” E di rincalzo G. B. Shaw in un telegramma a Chiarelli scrive: “Avrei voluto che La Maschera e il Volto portasse il mio nome.” Chiarelli è stato un grandissimo drammaturgo ma fu offuscato da un genio più grande: Luigi Pirandello. Appena Pirandello cominciò a dimostrarsi un drammaturgo più intellettuale e più sofisticato, Chiarelli fu abbandonato dai critici. Paolo Puppa è uno dei pochi critici contemporanei che si interessano ancora a Chiarelli, e in un’intervista condotta a Venezia il 14 giugno 2007 ho voluto chiedere il suo parere sulla spinta innovatrice e sui limiti dell’autore pugliese. Maeve Egan: All’inizio del Novecento, Luigi Chiarelli fu uno dei commediografi italiani più famosi, tra i pochissimi tradotti e rappresentati in Paesi stranieri e con una sola commedia ebbe in sorte di diventare il capostipite di un genere di teatro, del teatro grottesco. Perché, secondo te, pur essendo stato all’epoca uno dei commediografi italiani più famosi, oggi Luigi Chiarelli non si ricorda più? Paolo Puppa: Perché il nostro non è un teatro di repertorio. Cioè a differenza di altri sistemi nazionali, in Francia, in Inghilterra che hanno sempre curato una politica di memoria e dunque cercano il nuovo, coltivando il vecchio, da noi, del passato, si isolano alcune grandi “montagne”: Goldoni e Pirandello. E le “colline”, perché Chiarelli fa parte delle “colline” come paesaggio corografico, in tal modo sono cancellate. In realtà così non ci permettiamo neppure di capire meglio Pirandello. Voglio dire: un geografo per capire un paesaggio deve conoscere la differenza tra le cime e le montagne vicine - perché sono le montagne vicine che fanno capire più le cime e non viceversa. In Italia c’è sempre questa amnesia nei riguardi del passato, non abbiamo nel cartellone molti autori del nostro passato, tanto più poi che il Novecento in generale, specie nel periodo tra le due guerre, è stato molto aiutato dal Fascismo che durante il ventennio privilegiava i titoli autarchici, ovvero i testi nazionali, svalutando quelli stranieri. Negli ultimi anni prima della guerra, in particolare, opera una vera e propria censura contro certa drammaturgia, come quella americana o inglese. Però il risultato è stato che nel dopoguerra secondo, dopo il ’45, questo repertorio, prima supportato dal regime, viene considerato in qualche modo colluso cioè complice del regime. E Chiarelli, che poi è morto nel ’47, in qualche modo ha subito questa rimozione nella cancellazione dei suoi titoli, anche se La Maschera e il Volto, quello più celebre, del ‘16, cronologicamente anticipa il Fascismo. Ma, insomma, tutta quella drammaturgia nazionale ha subito un processo di cancellazione. ME: Si può allora ipotizzare che forse per questo motivo Chiarelli si sia poi lasciato alle spalle lo stile grottesco dell’inizio della sua carriera per tornare a scrivere, negli anni Venti e Trenta, delle commedie borghesi? PP: Sì, durante il ventennio, Chiarelli era un opinion maker, nel campo della drammaturgia, un po’ come San Secondo. Non dimenticare che lui era pugliese, Chiarelli, quindi va tenuto conto del fatto che tutta l’area del grottesco - in cui per certi versi rientra anche San Secondo - era meridionale. Chiarelli era pugliese, Cavacchioli era siciliano, Antonelli era abruzzese. Sono tutti dunque meridionali e appartengono in qualche modo a un filone volto a disturbare l’ establishment: hanno sempre preso in giro il tema del cornuto perché nel meridione, come è noto, fino al dopoguerra secondo esisteva il delitto d’onore; cioè se uno ammazzava la moglie poteva venire assolto. Quindi era molto strano che in una cultura, come quella meridionale, con una componente così forte, sanguigna, con al centro il tema dell’onore, nascessero commedie invece che prendevano in giro una simile tematica. Ma in ogni caso, dicevo, Chiarelli - prima maniera o secondo maniera - fa parte di quel territorio di scrittori medi importanti travolti non solo perché nel dopoguerra secondo l’ anti-fascismo penalizza gli autori precedenti, ma anche perché nasce, con molti anni di ritardo - quasi settanta - rispetto ai paesi stranieri, il regista, di fatto l’autore dello spettacolo, il quale cerca di mettere in scena fondamentalmente autori o stranieri o morti, classici, con cui può lavorare come dramaturg. Un autore italiano vivente non avrebbe permesso al nuovo despota della scena di diventare il vero autore dello spettacolo. ME: A proposito del regista, potresti elaborare un po’ il contributo di Virgilio Talli al successo della Maschera e il Volto? PP: Talli, un po’ come Ermete Novelli, era in origine un interprete che per il proprio fisico, il physical role, non era portato ad essere primattore. Faceva parte di quella categoria attorale che aveva il ruolo di solito del caratterista o promiscuo, cioè alle prese con personaggi diversi, e aveva quindi già in sé una componente grottesca nel potere essere di volta in volta comico o tragico. Sono questi ex-promiscui che ad un certo punto della carriera si sono stancati di recitare per il palcoscenico e si sono messi in platea, in prima fila come concertatori. Quindi sono stati in qualche modo dei registi ante-litteram senza saperlo. ME: un proto-regista. PP: Sì, sono stati proprio dei proto-registi. E ha una grande importanza, io credo, Talli nel rapporto con Chiarelli e La Maschera e il Volto. Ho letto, credo in uno studio di Gigi Livio, un volume edito dalla Mursia, Il teatro italiano tra Otto e Novecento, che Chiarelli, come poi è successo a San Secondo con Marionette che passione, aveva scritto dei testi con forte registro drammatico. In fondo la prima stesura de La Maschera e il Volto presenta un andamento serio. E invece questo proto-regista, che ha in sé forti propensioni al grottesco per la sua capacità di fare più ruoli, ha dato una forte virata, una forte sterzata, alla comicità, al nucleo della commedia - il cornuto che veniva giù dall’antica tradizione della commedia dell’arte. Quindi un tema caldo e forte, mescolato a questa opzione recitativa, ha creato proprio lo stile grottesco, che nasce già in Talli, prima ancora che in Chiarelli. E Chiarelli poi con i testi che farà dopo, La Morte degli Amanti, La Scala di Seta ad esempio, ha seguito per un po’ questo andamento di registri misti. ME: Quindi tu sei del parere che Chiarelli abbia creato La maschera e il volto come uno scritto serio. PP: Bisogna vedere la carte, ci vorrebbe un lavoro di archivio, di filologia che non si è ancora fatto per Chiarelli. E’ stato fatto per Antonelli: è uscita l’edizione delle opere complete di Antonelli curata da Paesani, abruzzese di Pescara, dunque molto motivato a sovrintendere l’opera omnia. Ma di Chiarelli non mi pare che ci sia un’opera omnia, assolutamente. E quindi bisogna vedere veramente, se è il first draft, questo testo, della prima commedia o se invece ci sono altre redazioni. ne Ma io mi ricordo perfettamente che in qualche modo non di una tragedia si tratta, in quanto il plot finisce bene, perché la coppia fugge felice. Si tenga conto poi del nome Paolo Grazia, che è un omen, in quanto Paolo Grazia grazia la moglie, e il verbo graziare significa che l’assolve di fatto perché l’amore prevale alla fine. Però doveva essere costruita attraverso una forte tensione, come un thriller, c’è pure un annegato. Non manca pure qualche riferimento al Mattia Pascal di Pirandello sul tema dell’ annegamento simulato dal protagonista, riguardo al cadavere della moglie. Invece Talli ha accentuato la componente comica. È chiaro che gli attori non recitavano comicamente, erano seri. Però la spinta di questo proto-regista ha fatto sì che alle fine il pubblico non piangesse, non ci commuovesse, ma si divertisse, perché erano buffe “marionette, che passione” in pratica. ME: Io invece propendo a pensare che l’abbia scritta come una commedia comica. Chiarelli aveva scritto a Talli tante volte chiedendogli di metterla in scena e Talli non voleva all’inizio. PP: Talli era molto conservatore, allora: quando non riusciva a inquadrare bene un testo, cercava di evitare la pressione da parte dell’autore. Poi alla fine ha deciso di farlo e disponeva di un ottimo gruppo di attori, tra cui Maria Melato, e altri importanti interpreti. ME: Era molto preciso nella sua scelta? PP: Sì, ma era un dittatore, Talli. Gramsci lo considerava come il più grande intellettuale del nostro teatro. Ci sono delle pagine di Gramsci critico teatrale in cui si dimostra entusiasta di Talli. Quindi era una personalità molto forte, vedi il rapporto con Pirandello. Aveva un grande carisma, è morto presto purtroppo. ME: Vorrei parlare anche del personaggio-coro del teatro di Chiarelli o il ‘soggetto-epico’ come lo descrivi tu altrove. Un’altra descrizione notevole che gli hai dato era ‘cripto-futurista’. Perché futurista? PP: Sì, prendiamo questo trittico grottesco, appunto, La Maschera e il Volto, L’uomo che incontrò se stesso e L’uccello del paradiso, quindi Chiarelli, Antonelli e Cavacchioli. E consideriamo la figura del brillante: il brillante nell’Ottocento era faiseur de bon mots, cioè l’uomo fuori della mischia, un commentatore. Pensiamo ai testi di Dumas fils, di Pinero, di Shaw, di Wilde. Il brillante non era un amoroso; o si è un brillante che si compiace di dare battute ironiche o si è invece un innamorato col cuore sempre grondante. Ci troviamo quindi di fronte a variazioni sul tema del brillante, una gamba dentro e una gamba fuori della storia che si incrocia con il raisonneur Pirandelliano. Sono gli anni in cui Pirandello costruisce il suo salotto filosofico dove la figura del brillante la fa da protagonista. Chiarelli invece lo considera ancora come un ruolo ottocentesco. Se confrontiamo la figura di Cirillo della Maschera e il Volto con Climt dell’Uomo che incontrò se stesso e Lui, soprattutto, dell’Uccello del Paradiso, possiamo dire che per certi versi è cripto futurista perché il cinismo con cui prende in giro la passione, l’onore, ricorda un po’ le sintesi di Marinetti. Marinetti aveva fatto con la sua fanta-sintesi Il Teatrino dell’amore un testo minuscolo delizioso, dove proprio il gioco degli amanti, la presenza del cornuto, il triangolo – insomma - diventa un giochino da teatro delle marionette. Cioè si ha un play within play, e in più un metateatro, perchè i personaggi alle fine giocano con un teatrino, per cui il titolo è emblematico. Allora sia il raisonneur pirandelliano, sia il brillante ottocentesco, sia in qualche modo il funambolo futurista sono tutti e tre accumulati nel grande disgusto che hanno per il tema dell’onore, della passione, della fedeltà. ME: Si rifà anche alla tradizione della commedia dell’arte? PP: Tematicamente certo sì, perché tematicamente il centro ospita il tema del cornuto. C’è un bel libro a cura di Giulio Ferroni che si intitola Il comico nelle teorie contemporanee, edizione Bulzoni, in cui una parte è dedicata a Backtin, un’altra a Bataille, i quali usano il riso come terapia contro la paura. Allora, essere cornuto costituisce un’esperienza tragica, occupa un posto forte nella storia dell’uomo comune e la comicità sulle corna pertanto ottiene un grande successo a teatro. Ora nei canovacci della commedia dell’arte che per quasi tre secoli hanno penetrato il teatro d’Europa, uno dei temi cardine era di solito lo scontro tra giovane e vecchio per una cortigiana, schema tra l’altro rinascimentale, vedi la commedia illustre, Ariosto ecc, che a sua volta derivava da Plauto, dalla tradizione latina. E i comici dell’arte l’hanno recuperato per il grande successo che aveva a corte, e l’hanno adattato alle piazze. Così, uno dei temi, uno dei topics fissi era questo: lo scontro tra vecchio e giovane per una donna, c’era poi il servo che aiutava il giovane a vincere. Ora in questa fase non trovi lo stesso plot in Chiarelli, però nella parodia dell’amore e delle sue conseguenze almeno nella prima parte della commedia, questo si verifica. Cirillo potrebbe essere inteso come il servo, Pseudolus il personaggio tipico della grande commedia di Plauto, che addiriturra dà il nome alla commedia, cinico, intelligente. Devo dire che nella seconda parte Chiarelli mostra di essere furbo. La commedia in qualche modo, è minore perché non tiene... è una macchina perfetta, c’è la palinodia di Paolo Grazia che fa dichiarazioni in pubblico e poi deve rimangiarsele. Ma il lieto fine conferisce alla commedia un umore di cassetta, vuole appagare il pubblico e quindi si è fatto un po’ condizionare dal suo tempo. Insomma, la commedia è un po’ vecchia per il finale. ME: Forse ha capito quello che voleva il pubblico. Aveva 35 anni, forse cercava soprattutto un successo di cassetta, anche per motivi economici... PP: Certamente, però, questo rende una commedia che deve essere molto importante nel terzo millennio un po’ datata storicamente. ME: E oggi, se si mettesse in scena la sua opera, andrebbe bene? PP: Io penso che bisognerebbe fare un lavoro di adattamento, magari data così integrale, non so se tiene. ME: No? PP: Non lo so, posso anche sbagliare. Magari tradotta potrebbe funzionare bene e magari inserita nella tradizione inglese o francese può avere anche il suo fascino. Ma in Italia manca questa cultura del teatro di parola, del teatro di parola scritto perché in fondo è un “discussion play,” una pièce ideologica. ME: Voglio tornare ad una domanda a cui, in parte, hai già risposto. Cosa voleva dire Chiarelli aggiungendo questo sottotitolo “grottesco”? PP: L’ha aggiunto dopo il conflitto che ha avuto con il proto-regista,VirgilioTalli, probabilmente ha voluto aiutare il pubblico. Ricordiamo che questo secondo sottotitolo è in funzione della stampa, cioè per chi legge. Il teatro non solo era al centro degli interessi, perché non c’erano la televisione o il cinema, ma era altresì aiutato dal fatto che tutte le commedie erano pubblicate e questo consentiva allora di avere una doppia ricezione e di fare una commedia per il pubblico e una commedia per il lettore. Per il lettore quindi il titolo è come una chiave didattica per aiutarlo ad entrare nello spirito della commedia. ME: Giovanni Calendoli scrive che La Maschera e il Volto sottolinea l’importanza teatrale del Mattia Pascal. Secondo te? PP: Io dicevo prima, il discorso di fondo nel plot, questo tema della simulazione del morto, è un tema che nasce dal grande romanzo, un successo indubbio del 1904, Mattia Pascal. Bisogna stare molto attenti a non confondere Pirandello con Chiarelli perché c’è una differenza e non solo per la statura, come dicevo prima, tra montagna e collina. Perché Chiarelli in fondo è ancora ottocentesco nel dualismo, un po’ ingenuo, tra la maschera sociale, quindi Paolo Grazia in salotto che fa dichiarazioni dogmatiche e poi Paolo Grazia a casa con la moglie di cui è ancora innamorato. Insomma come dire, in pubblico sei qualcosa, vai a casa tua, sei un altro, ti togli le scarpe, resti scalzo. Pirandello è novecentesco perchè non crede al dualismo, cioè la sua concezione del doppio in realtà diventa molteplicità perché tu vai a casa, ti togli la maschera e viene fuori un’altra maschera. Io ho detto spesso e lo scrivo spesso: a monte di Pirandello non solo c’è Nietzsche ma c’è proprio, come scelta diretta – parlo di Pirandello che lo amava molto - Ibsen. L’Ibsen del Peer Gynt, che è del 1866-1867, in cui c’è quella grande scena con Peer, che, come un eroe picaresco, cambia continuamente ruolo, professione, amori, famiglie, che – mi pare nell’ultimo atto – da solo, seduto nel bosco, si sbuccia e proprio si toglie gli strati delle sue varie identità, come dire ieri ero il professore, l’altro ieri facevo l’avventuriero. Dov’è la mia essenza? Dov’è il mio volto? E si paragona a una cipolla perché non ha base. Mentre invece in Chiarelli, è molto salda l’idea del volto. ME: Pensi che Chiarelli sia stato una creazione dei critici - Tilgher e D'amico in particolare - e il risultato del loro sforzo di trovare un nuovo teatro italiano? Avrebbe forse avuto più successo se fosse stato considerato indipendentemente, e non all'ombra di un cosiddetto movimento di cui non voleva fare parte? PP: Ritengo che il fatto di essere stato parte di un particolare movimento abbia aiutato Chiarelli ad assumere un’identità immediatamente riconoscibile, ma allo stesso tempo questo fatto ha anche determinato la sua rimozione per la oggettiva contiguità temporale col Fascismo. Bisogna comunque tener presente che quello grottesco è solo uno dei registri di Chiarelli. |