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L'avaro
di Maria Dolores Pesce

Molière in noire, è questo il segno linguistico esplicitamente scelto da Marco Martinelli e Ermanna Montanari per riproporci questo “Avaro” dalla struttura drammaturgica e dalla articolazione scenica enfaticamente molto classica nella traduzione, non manipolata o intaccata di Cesare Garboli, e nella tradizionale strutturazione dei cinque atti che si dipanano sul palcoscenico. Produzione del Teatro delle Albe in collaborazione con AMAT ed Emilia Romagna Teatro Fondazione, dopo il recente esordio a Ravenna, è andato in scena al Teatro Astra di Torino dal 21 al 24 aprile nell'ideazione drammaturgica, appunto, di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, che è un Arpagone significativamente en travesti, e per la regia dello stesso Martinelli. Drammaturgia dalla lettura complessa, dunque, ove all'interno della struttura, come detto, apparentemente tradizionale o tradizionalista viene immesso un meccanismo per così dire proiettivo che ne ribalta paradossalmente i parametri significativi. In questo modo il denaro, elemento materico per eccellenza, viene, con effetto ironico ed insieme smascherante, traslato in una dimensione religioso-metafisica diventando paradigma e metafora ultra-ideologica della natura umana nelle sue concrete relazioni esistenziali. Specularmente queste ultime vengono elaborate linguisticamente in una dimensione misteriosa e onirica che tutta avvolge l'evento scenico, in cui però la libertà e la liberazione propria del meccanismo fantasmatico del sogno è come ostacolata ed impedita dalla pesantezza del corpo, che diventa vero e proprio dominus di ogni significatività e dominatore ultimo di ogni attività anche mentale. La vicenda, dunque, l'evento teatrale si svolge così nella sua ben conosciuta articolazione davanti ai nostri occhi sulle tavole del palcoscenico, ma è come se traesse il suo significato da una dimensione nascosta ed oscura che tutta la avvolge e la domina. In questo modo la scrittura scenica di Martinelli sceglie spesso di enfatizzare la meccanicità dei comportamenti e delle relazioni dei personaggi, accentuandone gli aspetti di maschera e burattino comunque intrinseci anche alla impostazione drammaturgica di Molière, ed insieme ne esalta la reciproco interdipendenza, per cui ciascun personaggio pare trarre la propria significatività nel contesto della subordinazione al dominus Arpagone, unico microfonato ad esaltare l'efficacia denominativa della sua voce, la voce intensa e fascinatrice di Ermanna Montanari. Ad un tale meccanismo proiettivo, poi, la drammaturgia ne abbina uno per così dire inclusivo, che riguarda il pubblico, il quale viene, attraverso una telecamera che ne riprende l'ingresso in sala, traslato sul palcoscenico nello schermo televiso lì installato. Si potrebbe dire dunque che la drammaturgia si sviluppa, più che sulla scena, negli spazi che si aprono tra la scena e la sua intima proiezione prospettica da cui discendono i significati, il non detto della scena stessa, e tra questa ed il pubblico. In un certo senso Martinelli e la Montanari fanno dell'Avaro anche una dura commedia sentimentale, con accenti del miglior melodramma nero fassbinderiano, ove le relazioni non possono sottrarsi al potere e a quella dimensione, insieme metafisica e concretissima, del potere del denaro. Arpagone è innamorato del denaro, o meglio è innamorato del suo innamoramento del denaro, per cui il denaro, dio oscuro e miserabile, ha per lui senso solo nella proiezione della relazione del potere, all'interno della quale viene articolata tutta la gerarchia di personaggi, ciascuno dei quali perde progressivamente qualsiasi autonomia psicologica e qualunque spessore esistenziale, che gli possa consentire di 'sottrarsi'. Ancora una volta però Le albe non vogliono limitare il loro discorso scenico alla sola scena, per così dire, ed in effetti non può non leggersi, seppur mai esplicitamente sviluppato, nella loro drammaturgia una analisi, nelle forme proprie della loro estetica, dei contesti e delle relazioni di una società, della nostra società contemporanea, analisi che va al di là della semplice e ovvia constatazione del potere del denaro, per cercare di indagare quanto questo potere abbia inciso sul senso e sulla articolazione di ogni soggettività e ogni interiorità. Affascinante e complessivamente di grande tenuta questo nuovo tentativo delle Albe di rileggere in un testo classico le dimensioni e le tendenze della nostra contemporaneità, è certamente destinato a riconfermare l'apprezzamento ed il successo riscosso sulla scena torinese.