A vent’anni dalla scomparsa del grande drammaturgo, attore e regista napoletano, vogliamo offrire, qui di seguito, alcune testimonianze su Eduardo, raccolte sfogliando i volumi più interessanti, editi in occasione del centenario della sua nascita; e un frammento, commovente, del discorso che lo stesso Eduardo tenne a Taormina, in occasione di una serata dedicata alo teatro, poco prima di morire. “Quello che io voglio darvi è il coraggio di scrivere. Mettetevi bene in mente questo. Perché, all’epoca, anch’io ho tremato davanti al foglio bianco e quindi so a quale setaccio deve passare la vostra sensibilità… O si sa scrivere o no. Questo è tutto.”
Con queste parole -come ricorda Paola Quarenghi nella nota introduttiva alle “Lezioni di Teatro”, raccolte nella collana Gli Struzzi, Edizioni Einaudi– Eduardo apriva, il 24 Novembre 1981, il suo corso di drammaturgia con gli studenti dell’Università di Roma, nel tentativo di realizzare un’utopia comune a molti uomini di teatro: trasmettere il loro sapere alle generazioni future.
«…Era il Maggio del 1979». A ricordare, con accenti di autentica commozione, è Giulio Baffi, in “Il Camerino di Eduardo”, libretto in scala pubblicato dalle edizioni Dante & Descartes. Un cammeo preziosissimo, che senza dubbio arricchisce la pubblicistica sull’autore-attore-regista, e in cui il critico di Repubblica, ex direttore del San Ferdinando, ricorda un particolare momento di intimità vissuto con Eduardo, all’interno di ciò che poteva essere definito il suo santuario, il camerino, durante l’ultima stagione al teatro che sorge alla fine di Via Giuseppe Antonio Pasquale. La memoria dell’autore lascia materializzare il ricordo e, anche il lettore, rapito dalla suggestione evocativa, attraversa quel luogo inviolabile -in cui pochi erano ammessi- e vede davanti a sé, riflessa nella magia di uno specchio, la figura di un attore che, con l’uso sapiente del trucco, si prepara ad entrare nei panni di uno dei tanti suoi altri “sé stesso” e, nel frattempo, racconta e svela i misteriosi prodigi di un’arte millenaria al giovanissimo e trepidante interlocutore. L’immagine , la parola, il gesto che segna il volto con la matita, s’insinuano lenti anche in noi che, come Baffi «…guardiamo –ed ascoltiamo- emozionati, quel vecchio attore straordinario che si preparava a trasformare il suo volto». «Vengo presto in camerino perché mi devo truccare con calma; ci vuole tempo per essere pronto, il trucco è importante. Certi attori pensano che basti uno sguardo, una mossa del volto o del sopracciglio, uno sbattere delle palpebre. Invece io credo che l’attore deve trasformarsi piano piano, truccandosi lentamente e da solo per diventare un altro e prendere l’aspetto del personaggio in cui vuole trasformarsi. Cambiando l’aspetto viene naturale cambiare anche qualche tono della voce ed adeguare il gesto al personaggio». Eduardo, quella sera, si stava preparando ad assumere la figura di Sik-Sik l’artefice magico…
Ma “Il Camerino di Eduardo” non fu il solo omaggio ad Eduardo in quell’autunno-inverno 2000. Colonnese Editore pubblicò, infatti, un vero gioiello, uno di quei libri di dimensioni ridotte che contengono sempre originalissimi e raffinatissimi scritti. In questo caso, l’edizione raccoglie una breve narrazione, un poemetto gastronomico in versi, pensieri di Eduardo sotto il titolo di “Storielle da sala d’aspetto”, cui si accompagna una testimonianza di Isabella Quarantotti De Filippo, moglie del grande autore. Lettura piacevolissima e rapida che si apre con alcune note autobiografiche, alle quali fanno seguito un racconto di intrattenimento, in cui Eduardo ci dice, con molta autoironia, della sua ipocondria – malattia tipica degli artisti – e ci narra del suo bizzarro rapporto con medici e clinici illustri, e il poemetto gastronomico, introdotto da un gioioso ricordo di donna Isabella. E qui Eduardo è capace, con un uso del dialetto brillante e ritmico, di far affiorare tutta intera la gamma degli odori, dei sapori, dei gusti legati alla cucina napoletana tradizionale. La descrizione dei vari modi di cucinare i piatti tipici napoletani assume prepotentemente una dimensione artistica e fa della culinaria stessa una vera arte non seconda alla poesia, e che come questa richiede devozione e pazienza. L’immagine della preparazione delle pietanze risulta talmente nitida e dettagliata che il lettore comincerà ad avvertire un inevitabile languore di stomaco, avendo la sensazione di trovarsi in mezzo ad un tale
ben di dio che non potrà trattenersi, dopo quel supplizio della fantasia, dal commettere un liberatorio ed eccessivo peccato di gola, mandando a farsi benedire diete, linea, palestra e quant’altro la società dei fast food stile Mc Donald’s e dell’estetica ossessiva ci ammannisce, con conseguenti stati depressivi.
Ad ogni modo,“Storielle da sala d’aspetto” fu preceduto dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro di Federico Frascani, “Ricordando Eduardo” –sempre per Colonnese- e Gaetano Colonnese –anch’egli, ahimè, da poco scomparso- giustamente soddisfatto per questi omaggi in onore di uno dei più grandi autori-attori-registi del secolo, disse:
«Uno dei compiti dell’editore è anche quello di ricordare i migliori figli di Napoli. Noi, quindi, crediamo di aver ottemperato, almeno in minima parte, alla nostra funzione».
…Era il 1984, poco prima del sopraggiungere della morte, il 31 Ottobre dello stesso anno.
In occasione della sua ultima apparizione in pubblico, avvenuta a Taormina nel corso di una serata dedicata al Teatro, Eduardo operò un passaggio di testimone generazionale. Scrisse, con quella sua voce rotta dalla fatica e dagli anni, ma ancora segnata da quel timbro che l’aveva resa strumento recitativo di rara, spigolosa purezza e vibrante pienezza, con quella voce in cui fremeva tutta intera l’emozione del teatro, e della vita - di cui il teatro è riflesso ineffabile e inafferrabile, il crudele, scostumato specchio, “ ‘o parlanfaccia” che, nell’apparenza ingannevole dell’immagine afferma la verità, e la verità più crudele: l’eterno dissolversi – scrisse Eduardo, dicevamo, un testamento con il quale consegnava, nelle mani delle giovani generazioni, l’eredità spirituale del Teatro, dunque il destino del Teatro futuro. Un atto d’amore e un gesto che racchiudevano la volontà e la speranza di un uomo, che al Teatro aveva sacrificato l’intera vita, che quello stesso Teatro continuasse a vivere anche dopo la sua morte.
Ricordiamoci, oggi, noi che amiamo il teatro, del suo testamento sotto le stelle di Taormina, e di quel “gelo” che, confessò trattenendo l’emozione, lo aveva accompagnato per tutta la vita. Perché “così si fa il Teatro”, in solitudine, in silenzio, pagando un prezzo carissimo agli affetti, all’amore, alle relazioni.
Ma si sa, spesso le eredità diventano fardelli pesantissimi da raccogliere! Specie quando a consegnarceli è Eduardo De Filippo.
Foto:
Eduardo con Peppino e Titina
Eduardo con Rosanna Schiaffino e
Marcello Mastroianni
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