16 germinale

Il monologo di un rivoluzionario

Giancarlo Ferraris




Nota dell’autore

    Il contenuto di questo monologo è puramente opera di fantasia anche se basato su eventi storici reali: l’arresto, il processo e la successiva condanna a morte di Georges Jacques Danton, uno dei protagonisti di primo piano della Rivoluzione francese, avvenuti tra il marzo e l’aprile 1794 (germinale secondo il calendario della Rivoluzione). Pertanto, le notizie riguardanti i fatti narrati sono tutte documentate.

*Voce narrante*

I tre punti di sospensione indicano:
- brevi momenti di pausa nei discorsi del personaggio;
- discorsi interrotti o sospesi.


Che orrore

    *Parigi, carcere della Conciergerie, 16 germinale (5 aprile) 1794, Anno Secondo della Repubblica. Georges Jacques Danton, uno dei leader della Rivoluzione francese che ha osato sfidare la dittatura di Maximilien Robespierre è stato arrestato, processato e condannato a morte insieme a tutti i suoi compagni di lotta. Nella penombra della cella, in attesa dell’esecuzione capitale, riflette ad alta voce sulla sua vita e sugli eventi accaduti*.

    Che orrore!... La Rivoluzione è perduta!... Perduta per sempre!... Che orrore!... Avrebbe dovuto generare un mondo nuovo e una umanità rinnovata e invece ha generato soltanto odio, violenza, fanatismo, sangue, distruzioni, terrore e morte. Che orrore! Io, Georges Jacques Danton, uno dei padri della Rivoluzione, sono stato il solo, l’unico che abbia cercato di metterla in salvo, ma la cieca e brutale forza delle cose ha prevalso sulla pur ferrea volontà dell’uomo... Tutto senza di me si sfascerà e anche in poco tempo… Gli uomini saranno presi dall’odio e dalla paura più grande che si possano immaginare e l’odio e la paura, si sa, sono demoni della distruzione che non si fermano davanti a niente e a nessuno… Neppure a quelle libertà, fraternità ed uguaglianza mai tante volte così proclamate a voce e mai tante volte così violate nei fatti… Ma come è stato possibile tutto ciò? Perché è accaduto? Perché?


Primo momento. Avere la rivoluzione dentro

    Sono nato ad Arcis-sur-Aube, un paese della Champagne-Ardenne, trentacinque anni fa. La mia famiglia non era ricca, ma neppure povera. Ero un ragazzo vivace, robusto, schietto e penso proprio di aver sempre avuto la rivoluzione dentro di me… Lo riconosco: non amavo molto la scuola, a essa preferivo le nuotate nel fiume Aube e le scorribande nelle campagne… Quante scazzottate con i coetanei! Di botte ne davo tante, ma ne prendevo molte di più, anche se contavo e raccontavo alla gente soltanto quelle che distribuivo!... Ho avuto anche alcuni incontri-scontri molto poco simpatici con la fauna locale, tori, vacche e maiali, che mi hanno lasciato due “bei” ricordi: la bocca sfigurata e il naso schiacciato. Il vaiolo poi - maledetto! - ha fatto il resto, butterandomi il volto… Alla scuola elementare imparai a leggere, scrivere e far di conto, ma lo ammetto, mi comportai talmente male che il mio maestro mi riempì di bacchettate e sculacciate. A undici anni papà e mamma mi misero in collegio dai padri oratoriani. Ho un bel ricordo di quella scuola, che ancor oggi giudico molto democratica e molto moderna e quante letture, soprattutto di nascosto, feci in quegli anni: Rabelais, Montaigne, Molière, Dante, Shakespeare… Anche se a scuola non sono mai stato un allievo brillante ho sempre amato la cultura e posso dire di conoscere abbastanza bene Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Diderot, Buffon, Mably, Helvétius, Beccaria e soprattutto l’Encyclopédie che io considero la mia seconda madre, l’ispiratrice di tutto ciò che ho fatto in questi anni per la Rivoluzione e per la Francia: poter cambiare il mondo senza fare piazza pulita del passato rispettando, pur con tutti i suoi limiti, la natura umana e soprattutto la libertà di coscienza di ogni singolo uomo... Esattamente ciò che non è accaduto, anzi è successo esattamente il contrario.
    A ventun anni partii per Parigi in cerca di fortuna. Ero pieno di entusiasmo. Nella capitale condussi vita da bohémien. Che tempi!... Bellissimi e indimenticabili!... Scherma, nuotate nella Senna, allegre bevute nelle taverne, donne… Una volta, durante una nuotata nella Senna, dissi agli amici guardando la Bastiglia:

Quando la vedremo abbattuta? Quel
giorno le darò una fiera picconata!

Già! Proprio così: io la rivoluzione l’ho sempre avuta dentro di me… Quattro anni dopo ottenni la Licensié en Droit dall’Università di Reims, aprii uno studio legale e iniziai la carriera forense. Incominciai anche a vedere e capire come andavano le cose nella nostra bella Francia… Parigi!... Che città!... C’era tutto il mondo, tutta l’umanità a Parigi!... Bellissima per le sue vie, le sue piazze, i suoi palazzi, i suoi monumenti e orribile per quello che vi stava accadendo… Ho sempre avuto un carattere provinciale e campagnolo che mal sopporta le frivolezze, che non mi fa accettare niente come assoluto e immutabile e che al tempo stesso mi consente di comprendere e di immaginare piuttosto bene il futuro… Come era ridotta male la Francia!...  Il popolo oppresso dalla miseria e dalle tasse, la borghesia, il motore dell’economia, senza nessun peso politico, i nobili e i preti smisuratamente ricchi, pieni di privilegi di ogni sorta e detentori insieme alla monarchia del potere… Sono sempre stato un avido lettore, soprattutto mi sono nutrito dell’Encyclopédie dalla quale ho appreso tre cose che ho sempre tenuto presenti come uomo, come avvocato, come rivoluzionario: la ragione, formidabile strumento di critica per verificare e giudicare ciò che viene imposto dall’autorità; la libertà, diritto assoluto e naturale prima ancora che diritto storicamente acquisito; il progresso dell’umanità e della società, frutto della vittoria sulle disuguaglianze e di una giustizia rinnovata. Capii subito però che non potevo campare con il lavoro del mio studio legale data la quasi totale mancanza di clienti. Fu così che dovetti indebitarmi - maledetto schifoso sistema! - per comperare la carica di avvocato del Consiglio del Re. Che razza di gente c’era in questo Consiglio del Re! Inaccettabile per uno come me che ha sempre avuto la rivoluzione dentro di sé! Tutti avvocati leccapiedi che rifiutavano le nuove idee che io invece sentivo sempre più come mie. L’ambiente del Consiglio del Re, che pure mi dava un lavoro con cui vivere, non mi piacque mai. Cominciai allora a frequentare il Cafè Parnasse, dove strinsi amicizia con Camille Desmoulins e altri poveretti i quali oggi stesso mi seguiranno sul patibolo, le Gallerie del Palais-Royal, dove chiunque poteva salire sopra un tavolo e tenere un discorso, e soprattutto l’ex-Convento dei frati cordiglieri, che era uno dei distretti elettorali in cui era stata suddivisa Parigi e soprattutto uno dei posti dove si incontrava gente decisa a lottare per la libertà.


Secondo momento. L’ora della Rivoluzione

    Il 14 luglio 1789, tutto cambiò in Francia. O meglio incominciò a cambiare. L’ora della Rivoluzione era arrivata. Quel giorno si avverò ciò che avevo detto alcuni anni prima: vidi la fortezza della Bastiglia finalmente abbattuta!... La sera prima, all’ex-Convento dei frati cordiglieri, in piedi su un tavolo, avevo arringato tutti i presenti esortandoli a prendere la armi per respingere il dispotismo della monarchia e della nobiltà che voleva schiacciare le legittime rivendicazioni del popolo francese. Da quel 14 luglio in poi successero tante, tantissime cose… La Rivoluzione era ormai in corso... A tirare le fila era l’Assemblea Nazionale Costituente, di cui anch’io facevo parte, formata dai rappresentati del popolo: di tutto il popolo francese non soltanto dai nobili e dai preti… Ad agosto l’Assemblea, dopo che la gente delle campagne aveva distrutto castelli e registri antichi, decretò la fine dei diritti feudali e proclamò la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, vera e propria condanna senza appello, in nome della libertà individuale, della monarchia assoluta e della vetusta società degli ordini. Ah, dove sei cara e bella Dichiarazione!? Dove sei, adesso che ho bisogno di te!?
    27 aprile 1790, una data importante per me e per la Rivoluzione: la nascita del Club dei Cordiglieri. Fu un’idea mia e di Camille Desmoulins quella di fondare questo club che ebbe la sua sede nell’ex-Convento dei frati cordiglieri e dai quali prese il nome. Io e Camille volevamo qualcosa che fosse vicino alla gente del popolo, agli artigiani e agli operai dei faubourg parigini, tanto che stabilimmo una quota d’iscrizione veramente popolare, appena due soldi. Fu un successo fin dall’inizio: a ogni seduta, di media, si contavano dalle trecento alle quattrocento presenze.
    Nei mesi successivi tenni molti discorsi sia all’Assemblea che al Club. Ne ricordo uno in particolare con cui feci una sorta di ritratto di me stesso:

La natura mi ha dato in sorte le forme atletiche e l’aspra fisionomia della libertà… Ho conservato, creandomi da solo la mia esistenza di cittadino, tutto il mio nativo vigore, senza tuttavia cessare un solo istante, sia nella vita privata che nella professione da me abbracciata, di provare che sapevo unire il sangue freddo della ragione al calore dell’anima e alla fermezza del carattere. Se nei primi giorni della nostra rigenerazione ho sperimentato tutti i ribollimenti del patriottismo, se ho deciso di sembrare esagerato per non essere mai debole, è perché vidi ciò che ci si doveva aspettare dai traditori che proteggevano apertamente i serpenti dell’aristocrazia… Ho consacrato l’intera vita a questo popolo, che non si attaccherà, non si tradirà più impunemente… Morirò, se necessario, per difendere la sua causa.

    Intanto la Rivoluzione proseguiva senza sosta, come un torrente in piena. Nell’aprile 1792 fu la guerra contro le potenze della Prussia e dell’Austria, un disastro per la Francia dal momento che il nostro esercito subì dure e vergognose sconfitte e le truppe nemiche ci invasero. A pagare tutto ciò non fu tuttavia il popolo francese, che anzi venne preso da una febbre patriottica e da una spinta rivoluzionaria incredibili, ma la monarchia, che contava sulla vittoria degli eserciti stranieri per ritornare al potere…
    10 agosto 1792: che giornata gloriosa e indimenticabile per la Francia e per la Rivoluzione! Finalmente la vecchia e odiata monarchia cadde!... Posso affermare di essere stato io il principale organizzatore della giornata del 10 agosto. D’altra parte i tempi erano maturi: il popolo era oppresso dalla carestia e dalla crisi economica, coloro i quali erano poveri - moltissimi - stavano diventando sempre più poveri mentre il nome di re Luigi XVI era ormai sinonimo di traditore della patria. Dopo ferventi preparativi notturni nella sede della municipalità di Parigi dove si formò la Comune Insurrezionale, la mattina del 10 agosto una folla immensa di uomini e donne, popolani e borghesi, civili e militari, parigini e provinciali armati di fucili, cannoni, sciabole, picche, bastoni e infuocati nell’animo dalle mie parole - mi chiamavano il Tribuno del popolo per la mia oratoria potente, vibrante e schietta - prese d’assalto il Palazzo delle Tuileries dove risiedeva la famiglia reale e che era difeso da mercenari al servizio del sovrano. Ne seguì un furioso combattimento al termine del quale il popolo rimase padrone del palazzo. La Comune obbligò subito la nuova Assemblea Nazionale Legislativa a dichiarare decaduta la monarchia. Luigi XVI venne sospeso dalle sue funzioni e rinchiuso nella prigione del Tempio. In quello stesso 10 agosto l’Assemblea mi elesse ministro della giustizia: 222 voti su 282 votanti, un successo! Nessuno, né adesso né in futuro, potrà mai dimenticare quello che ho fatto per la difesa della Francia e della Rivoluzione. Ero inarrestabile.
    E ricordo, come se fosse ieri, ciò che accadde il 2 settembre. Quella mattina, a Parigi, si venne a sapere che i prussiani stavano assediando Verdun. Un’emozione e un furore straordinari si impadronirono di tutti i parigini; furono suonate le campane a martello e venne fatto fuoco con il cannone d’allarme. Immediatamente salii sulla tribuna dell’Assemblea Nazionale Legislativa e iniziai a parlare:

Signori, è veramente motivo di grande soddisfazione per i ministri di un popolo libero, dovergli annunciare che la patria deve essere salvata. La commozione è in tutti, ognuno si scuote e si sente ardere dalla brama di combattere. Sapete che Verdun non è ancora in mano ai nemici. Sapete che la guarnigione ha promesso di uccidere il primo che proponga di arrendersi. Una parte del popolo sta per marciare verso le frontiere, una parte scava trincee, e una terza ancora, armata di picche, si accinge a difendere all’interno le nostre città. Parigi fornirà ogni possibile aiuto a tutti questi sforzi. I commissari della Comune Insurrezionale stanno per proclamare solennemente l’invito ai cittadini ad armarsi e a marciare in difesa della patria. In questo momento, signori, potete veramente dichiarare che la capitale ha ben meritato dell’intera Francia; in questo momento l’Assemblea Nazionale Legislativa sta per divenire un vero e proprio comitato di guerra. Vi chiediamo di concorrere con noi a dirigere questo sublime movimento di popolo, nominando commissari che ci aiutino a varare questi grandi provvedimenti. Chiediamo che chiunque rifiuterà di servire con la propria persona o di consegnare le proprie armi, sia punito con la morte. Chiediamo che i cittadini siano istruiti per dirigere i loro movimenti. Chiediamo che siano inviati corrieri in tutti i dipartimenti per informarli dei vostri decreti. Le campane che a momenti stanno per suonare a martello non sono un segnale di allarme, bensì la carica contro i nemici della patria. Per vincerli, signori, ci occorre audacia, ancora audacia, sempre audacia, e la Francia sarà salva.

Le mie parole sortirono l’effetto desiderato. Il 20 settembre il nostro esercito di straccioni, come lo chiamavamo affettuosamente e orgogliosamente, riuscì a fermare i prussiani a Valmy. La Francia era al settimo cielo, la Rivoluzione aveva trionfato sul nemico venuto da fuori. Il 21 si formò una nuova assemblea chiamata Convenzione Nazionale: ne facevo parte come deputato di Parigi, eletto con 638 voti su 700 elettori. In quello stesso giorno la Convenzione Nazionale, in un tripudio incontenibile, proclamò la nascita della Repubblica di Francia, redasse una nuova Costituzione repubblicana e ratificò nello stesso tempo la fine totale e definitiva del vecchio regime. La Rivoluzione aveva vinto.
    Restava tuttavia un problema, una questione grossissima da risolvere: che fare di Luigi XVI, l’ex sovrano di Francia? Su questo individuo, che aveva cercato anche di fuggire all’estero, pesavano accuse gravissime: manovre contro la Rivoluzione e soprattutto l’appello allo straniero per la restaurazione del suo antico potere. Ciò che pensavo di lui lo dissi, come è nel mio stile, ben chiaramente:

Si può salvare un re sottoposto a giudizio? È già morto quando compare davanti ai giudici.

Ma aggiunsi anche, parlando ai miei amici cordiglieri:

Una nazione si salva, ma non si vendica mai.

Il 21 gennaio 1793, comunque, la testa di Luigi XVI cadeva sotto la lama della ghigliottina. La Rivoluzione era giunta a un punto di non ritorno. E io insieme a essa.


Terzo momento. La lotta per la vita

    Nei primi mesi del 1793 fu guerra, guerra e ancora guerra!... Io per primo l’avevo voluta per servire la Rivoluzione e rendere la Francia pienamente indipendente. Stavamo combattendo contro l’Europa dei tiranni, tutti sconvolti perché avevamo mozzato la testa di un re: eravamo in lotta contro l’Inghilterra, la Prussia, l’Austria, la Russia, la Spagna, il Portogallo, l’Olanda e diversi Stati italiani… Ai primi di marzo gli austriaci cacciarono le nostre truppe dai territori che avevano occupato diversi mesi prima. Quando giunse la notizia a Parigi, il popolo fu preso da una febbre patriottica e da un ardore rivoluzionario, forse ancora più forti di quelli dell’estate precedente tanto che reclamò la creazione di un tribunale speciale per giudicare tutti i nemici della Rivoluzione. In quell’occasione dissi:

Profittiamo degli errori dei nostri predecessori, facciamo ciò che non ha mai fatto l’Assemblea Nazionale Legislativa: siamo terribili per far sì che il popolo non lo sia.

    Fui dunque io, lo riconosco - d’altra parte non lo ho mai negato - che proposi alla Convenzione Nazionale l’istituzione del Tribunale Rivoluzionario, lo stesso che mi ha condannato a morte con i miei compagni di lotta. Che idea terribile! Il Tribunale poteva giudicare su tutto quello che facevano i francesi e aveva una caratteristica molto particolare: chi veniva condannato non poteva ricorrere in appello. Bella trovata davvero! Incominciò subito a diffondersi una strana e pericolosa frenesia che portava a vedere dappertutto manovre controrivoluzionarie, complotti per ristabilire il potere del re, attentati alla libertà, all’uguaglianza, alla sovranità popolare, all’unità della Repubblica, alla sicurezza della Francia. In aprile entrai a far parte del Comitato di Salute Pubblica che dirigeva collegialmente la politica interna, l’amministrazione statale, la giustizia, la politica estera, la guerra e l’economia. Vi rimasi fino a luglio. In tutto questo periodo fui praticamente il capo del governo della Repubblica di Francia, occupandomi soprattutto degli affari esteri e della guerra contro l’Europa che stava andando nel peggiore dei modi. Era assolutamente necessario rafforzare gli animi con il ferro e il fuoco essendo in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Una settimana dopo il mio ingresso nel Comitato dissi:

Cittadini, è il genio della libertà che ha lanciato il carro della Rivoluzione. Tutto il popolo lo tira e si fermerà ai limiti della Ragione. Facciamo vedere che siano degni di guidarlo; decretiamo che non ci immischieremo in ciò che accade nei nostri vicini, ma decretiamo anche che la Repubblica vivrà. Condanniamo a morte chiunque proponga un accomodamento diverso da quello che ha come base i principi della nostra libertà.

La Convenzione Nazionale mi appoggiò totalmente giungendo a dichiarare che avrebbe preferito rimanere sepolta sotto le sue stesse rovine piuttosto che tollerare che qualche potenza straniera interferisse negli affari interni della Repubblica. E dopo la guerra il Terrore… Sì! Io sono stato tra coloro i quali hanno voluto il Terrore! Lo ammetto… Ma affermo anche che ho cercato di fermarlo, senza però riuscire nel mio intento… E questo, ovviamente, non basterà per mandarmi alla ghigliottina sereno, in pace con me stesso… Il 5 settembre sostenni le rivendicazioni del popolo dopo che la Convenzione Nazionale aveva messo il Terrore all’ordine del giorno. Ho ancora scolpite nella mia mente e nel mio cuore le parole terribili che dissi:

Un esercito rivoluzionario non basta, siate rivoluzionari voi stessi… Resta ancora da punire e il nemico interno che avete nelle vostre mani e quello che dovete ancora afferrare. È necessario che il Tribunale Rivoluzionario sia diviso in un numero sufficientemente grande di sezioni, perché ogni giorno un aristocratico, uno scellerato paghi con la testa i suoi misfatti… Chiedo infine che si faccia un rapporto sul modo di dar maggior vigore all’azione del Tribunale Rivoluzionario. Che il popolo veda cadere questi nemici!

    Fu l’inizio della fine di tutto: della Rivoluzione, della Francia, del popolo, di noi stessi… Il 17 settembre la Convenzione Nazionale approvò la legge dei sospetti: iniziarono così gli arresti in massa, dal momento che chiunque poteva essere arrestato, come specificava la legge stessa, con l’accusa di non partecipare alla vita politica, di essersi dimostrato, con la sua condotta, i suoi propositi o i suoi scritti, tiepido o indifferente verso la Rivoluzione, sostenitore della tirannide e nemico della libertà… Iniziarono i processi politici e iniziarono a cadere le teste in serie: prime fra tutte quella dell’ex-regina di Francia Maria Antonietta e quelle dei girondini i quali, difendendo il denaro e la proprietà, si erano messi contro quell’essere orribile di nome Maximilien Robespierre che con i suoi giacobini era diventato il padrone della Francia e che, in questi giorni, ha voluto la mia condanna a morte… Ma fu anche l’inizio di un’altra lotta da condurre per me stesso, per la Rivoluzione, per la Francia: la lotta per la vita… Potrà sembrare strano, ma proprio per lottare meglio mi ritirai dalla scena politica adducendo ragioni di salute e nascondendo la mia profonda avversione per il Terrore che io stesso avevo contribuito a instaurare. Ritornai nel mio paese natio, ad Arcis-sur-Aube, dove per più di un mese riflettei a fondo su ciò che era accaduto, che stava accadendo - ogni giorno alcuni amici mi portavano notizie fresche - e che, presumibilmente, sarebbe accaduto. Un mese e mezzo dopo, il 21 novembre, ritornai a Parigi, che trovai in preda al Terrore, mettendomi subito al lavoro alla luce di una nuova idea, di un nuovo principio con cui portare avanti la Rivoluzione, salvare la Francia e la mia stessa vita: la moderazione. Questo voleva dire: basta con il sangue cioè basta con il Terrore, basta con la guerra e basta anche con la fame… Implicitamente voleva anche dire che era giunto il momento di passare dalla distruzione della vecchia Francia, quella dei privilegi e delle ingiustizie, alla costruzione di una nuova Francia, quella della libertà e dell’uguaglianza, generata dalla Rivoluzione, perlomeno dalla sua parte sana non certo da quella folle e malata. In quei giorni mi ritornarono in mente le pagine dell’Encyclopédie che avevo letto avidamente diverso tempo prima e che mi apparvero subito come una luce salvifica in mezzo delle tenebre: la ragione, eccezionale strumento di critica per controllare e giudicare ciò che viene imposto dall’autorità; la libertà, diritto assoluto e naturale prima ancora che diritto storicamente acquisito; il progresso dell’umanità e della società, frutto della vittoria sulle disuguaglianze e di una giustizia rinnovata.
    Sono partito subito all’attacco. Alla Convenzione Nazionale come prima cosa mi sono scagliato contro Jacques-René Hébert e i suoi cordiglieri arrabbiati mentre io, Desmoulins, Basire, Chabot, Delaunay, Fabre, Lacroix, Philippeaux e gli altri compagni di lotta da quel momento in poi siamo stati chiamati cordiglieri indulgenti… Hébert e quelli del suo gruppo, pazzi fanatici scatenati, stavano facendo un grande e nefasto putiferio: Terrore portato all’estremo, calmierazione dei prezzi e dei salari, scristianizzazione con devastazione di chiese e mascherate antireligiose, guerra a oltranza contro l’Europa… Come seconda cosa ho attaccato i sanculotti, il movimento popolare che ormai spadroneggiava, con la precisa intenzione di disciplinarlo e di metterlo sotto il controllo dell’autorità costituita tanto che dalla tribuna della Convenzione Nazionale ho detto chiaramente ai sanculotti che la loro parte nella Rivoluzione era finita:

Ricordiamoci che se con la picca si rovescia, è con il compasso della ragione e del genio che si può innalzare e consolidare l’edificio della società.
E come terza cosa ho incominciato a fare opposizione a quei mostri chiamati Comitato di Salute Pubblica e Comitato di Sicurezza Generale che usavano il Terrore come strumento per governare, in due sole parole, un nome e un cognome, a Maximilien Robespierre. In questo mi ha aiutato Camille Desmoulins, che con il suo giornale Le Vieux Cordelier ha messo in discussione il Terrore e tutto il governo guidato da Robespierre, la direzione autoritaria dell’economia incapace di assicurare alla gente i mezzi con cui campare, la riduzione del movimento popolare, che pure ho cercato di contenere, a una cosuccia borghese… Ma il Terrore genera altro terrore come la violenza genera altra violenza. È una legge della natura… E anche degli uomini… Robespierre non ci ha messo molto per liberarsi di Hébert e dei suoi cordiglieri arrabbiati che, stolti, stavano preparando contro governo un’insurrezione: il 24 marzo 1794 sono tutti finiti sotto la mannaia. Allora ho pensato: è venuto il momento di attaccare in grande stile il governo e l’uomo che lo guida per salvare la Rivoluzione, la Francia e la mia stessa vita. Subito Camille con il suo Le Vieux Cordelier ha indirizzato una requisitoria così forte contro la politica del Comitato di Salute Pubblica e del Comitato di Sicurezza Generale che il giornale è stato sequestrato per ordine dello stesso Robespierre. Su di me - lo sentivo - si stavano addensando nuvole minacciose, ma preferivo dimostrarmi noncurante davanti agli altri dicendo che nessuno avrebbe osato toccarmi. A un amico che mi consigliava di fuggire ho risposto:

Non si trascina la patria alla suola delle proprie scarpe!


Quarto momento. Il processo

    Nella notte di lunedì 31 marzo, l’11 germinale, il Comitato di Salute Pubblica e il Comitato di Sicurezza Generale mi hanno fatto arrestare insieme a tutti i miei compagni di lotta. Dapprima ci hanno portato nella prigione del Luxembourg, due giorni dopo in quella della Conciergerie… Orrendo posto la Conciergerie: oltre a essere una vera fogna - mi domando come si possa seppellire la gente prima ancora di averla uccisa - nella stragrande maggioranza dei casi una volta entrati non se ne esce che da morti. Mercoledì 2 aprile, il 13 germinale, nel pomeriggio, è iniziato il processo nella sede del Tribunale Rivoluzionario, al Louvre, stracolmo di gente che non credeva ai propri occhi e che si affollava anche sotto le finestre e nelle vie vicine; presidente quel venduto a Robespierre di Herman, pubblico accusatore quella belva sanguinaria di Fouquier-Tinville… Io, Desmoulins, Basire, Chabot, Delaunay, Fabre, Lacroix, Philippeaux e gli altri compagni di lotta ci siamo ritrovati alla sbarra insieme a delinquenti comuni, al che ho detto ad alta voce:

Che cosa ho in comune con siffatta gente? Che cos’ho?... Avanti!... Ditemelo, razza di mascalzoni!

Invece che rispondermi Herman ha iniziato a fare l’appello degli imputati. Quando ha pronunciato il mio nome gli ho detto:

Mi chiamo Georges Jacques Danton. Sono nato ad Arcis-sur-Aube e ho trentacinque anni, avvocato dell’ex Consiglio del Re, rivoluzionario di professione e rappresentante del popolo… Domani spero di dormire nel seno della gloria. Non ho mai domandato la grazia e mi vedrete salire sul patibolo con la serenità propria della calma e dell’innocenza. La mia dimora sarà ben presto nel nulla e il mio nome nel Pantheon della Storia. Ma non aspettatevi una difesa rassegnata da un rivoluzionario come me. Vi strapperò la maschera che portate sul volto con cui nascondete il vostro disonore, la vostra infamia e la vostra viltà.

Poi il cancelliere ha iniziato a leggere l’atto di accusa, una serie di mostruose stupidaggini, di calunnie, di infamie senza nome secondo le quali io, Georges Jacques Danton, sarei stato corrotto dal re e dagli aristocratici, non avrei fatto nulla nella giornata del 10 agosto, avrei abbandonato la gestione della cosa pubblica, sperperato il denaro statale quando ero ministro della giustizia, cospirato contro la Repubblica per porre fine alla Rivoluzione e restaurare il potere del re, complottato contro il Comitato di Salute Pubblica e il Comitato di Sicurezza Generale, proposto la fine della guerra contro l’Europa, consigliato la ripresa delle libere attività economiche e del libero commercio… Puah!... Dopo aver sentito tutte queste ridicole e assurde falsità mi sono messo a ridere fragorosamente e con me ha riso tutto il pubblico… Poi, a voce alta, direi quasi gridando, ho fatto richiesta esplicitamente di due cose:

Chiedo che la Convenzione Nazionale nomini una commissione per ascoltare la denuncia mia e dei miei compagni di lotta contro il governo del Comitato di Salute Pubblica e del Comitato di Sicurezza Generale… E chiedo anche che vengano convocati, a nostra difesa, i testimoni: e non per una questione di umanità, ma per una questione di diritti come d’altro canto prevede il regolamento del Tribunale. E non dimenticate, banda di codardi e di impostori, che dinanzi a voi avete quello che tutti chiamano il Tribuno del popolo. Non dimenticatelo!

Quindi ho risposto alle nefandezze del Tribunale Rivoluzionario che ha voluto processarmi con un procedimento farsa, dove la mia presenza e quella dei miei compagni di lotta è stata solo una formalità e dove la stampa non era ammessa: un processo che in realtà è stato un duello politico condotto slealmente, ignobilmente e criminalmente dalla parte che poi ha vinto. Ci ho messo un’intera giornata per replicare, con forza e rabbia, a tutto ciò che mi veniva mosso, strappando ripetutamente applausi al pubblico:

Io corrotto?! Gli uomini della mia tempra non si corrompono, non si comprano! Sulla loro fronte è impresso con caratteri indelebili il sigillo della libertà, il genio repubblicano. Si facciano avanti coloro che sanno di questo mercato e li ricoprirò dell’ignominia e dell’obbrobrio che gli sono propri. Come sarei stato comprato dal re e dagli aristocratici? Come? Voglio vedere se quei vigliacchi che mi calunniano avranno il coraggio di parlare guardandomi in faccia. Sappiatelo ora, se ancora non lo sapete: un uomo come Danton non ha prezzo! La giornata del 10 agosto: tutto il popolo mi chiama l’uomo del 10 agosto. E a ragione!... Volete forse smentire quello che il popolo dice e mettervi contro di esso? Migliaia e migliaia di parigini e di provinciali, uomini e donne, popolani e borghesi, civili e militari possono dirvi che io, quel giorno, ero con loro e che a un mio cenno hanno assalito il palazzo dove se ne stava nascosto il re con i suoi parenti… Piuttosto, perché non domandate a quel pavido signore incipriato che mi ha fatto portare qui dov’era lui il 10 agosto. Posso darvi io stesso la risposta: di certo Maximilien Robespierre non era con me. Non ho mai abbandonato la gestione della cosa pubblica tradendo così la fiducia del popolo e sono sempre stato completamente dedito alla patria, offrendo a essa il generoso sacrificio di tutta la mia esistenza e combattendo contro tutti coloro i quali volevano occupare le cariche della Repubblica più importanti per fare i propri interessi, porre fine alla Rivoluzione e uccidere la libertà. Come del resto non ho mai messo le mani sul denaro pubblico quando ero ministro della giustizia se non per sostenere la Rivoluzione, poiché mai l’ambizione e la cupidigia hanno avuto potere su di me, mai hanno guidato le mie azioni, mai queste passioni mi hanno spinto a compromettere il bene pubblico. Sono nato rivoluzionario: ho la rivoluzione dentro di me, da sempre, da quando mia madre mi ha messo al mondo. Io e la Rivoluzione siamo la stessa, identica cosa: se io vivo anche la Rivoluzione vive e va avanti, se io muoio anche la Rivoluzione si ferma e muore. Essere rivoluzionario significa essere repubblicano ed essere repubblicano significa detestare enormemente il potere tirannico del re, i privilegi di cui si ammantano i monarchi e gli aristocratici, le disuguaglianze, la mancanza di libertà. Ora come avrei potuto io, rivoluzionario nato, cospirare contro la Repubblica per porre fine alla Rivoluzione e restaurare il potere di Luigi XVI? Sono accusato di aver congiurato contro i Comitati, di aver proposto la pace con l’Europa, di aver indicato la ripresa delle libere attività economiche e del libero commercio. Ebbene, io mi autoaccuso! Sì! Mi autoaccuso! E rivendico con consapevolezza e con tutta la forza che ho queste mie intenzioni: ho macchinato contro i Comitati per porre fine al Terrore, al bagno di sangue in cui la Francia da troppo tempo è immersa; ho proposto la pace con l’Europa perché non possiamo fare la guerra in eterno contro altre nazioni che appartengono anch’esse al nostro caro e vecchio continente e che costano tante vite umane e tante risorse; ho consigliato la ripresa delle libere attività economiche e del commercio per mettere fine alla fame che tormenta il popolo francese… E soprattutto ho rivendicato e rivendico ancora, qui, davanti al Tribunale Rivoluzionario, la mia intenzione di aver progettato la costruzione di una nuova Francia finalmente e veramente libera e uguale per tutti i suoi cittadini.

    Giovedì 3 aprile, il 14 germinale, sono stati interrogati i miei compagni di lotta che non si sono minimamente lasciati intimorire e si sono tutti difesi con precisione assoluta e soprattutto con l’ardore proprio del rivoluzionario, respingendo ogni accusa anzi ogni calunnia. Da parte mia ho fatto sempre sentire la mia voce tonante, rispondendo con vigore e rabbia al Tribunale, scuotendolo ed entusiasmando il pubblico che applaudiva alle mie parole:

Dov’è la commissione che ho richiesto? Dove sono i testimoni? Esseri meschini e striscianti, credete forse di farmi paura? Voglio la commissione! Voglio i testimoni! Qui! Davanti a me! Davanti al popolo! Davanti alla Storia!

Non ho risparmiato nessuno; neppure l’uomo che mi aveva condotto davanti al Tribunale:

Robespierre! Dove sei Maximilien Robespierre?! Dove sei? Perché non sei qui, insieme a me, davanti al Tribunale Rivoluzionario? Tu dovresti essere l’imputato, non io, non noi… Tu, che predichi incessantemente la Virtù, in nome della quale avalli i delitti peggiori e alla quale io oppongo, un’altra virtù a misura d’uomo che si chiama Tolleranza…  Tu, che dici che per essere dei veri rivoluzionari è necessario essere fuori dal normale mentre si può benissimo fare la rivoluzione restando delle persone comuni e vivendo una vita semplice… Tu, che hai voluto il Terrore che consideri l’essenza stessa della Rivoluzione mentre esso è soltanto una necessità temporanea peraltro ormai scaduta… Tu, che pretendi che tutti debbano pensarla allo stesso modo cioè come la pensi tu e non rispetti la libertà di ognuno… Questi sono i veri crimini, i veri delitti, caro Maximilien. Questi e null’altro.

    Venerdì 4 aprile, il 15 germinale, è accaduta una cosa terribile che ha messo fine alle nostre vite. D’altra parte dovevamo aspettarcelo che quella banda di assassini che ci stava processando avrebbe escogitato qualcosa per ammazzarci non riuscendo a metterci fuori gioco con le armi della cosiddetta legalità: il pubblico accusatore Fouquier-Tinville ha letto un decreto fresco fresco della Convenzione Nazionale, di certo voluto da Robespierre e dai suoi, in base al quale se gli imputati a un processo davanti al Tribunale Rivoluzionario osano rispondere a tono alle accuse o meglio dovrei dire alle calunnie che gli vengono mosse possono essere esclusi dal dibattimento processuale con l’accusa di aver offeso la corte. Questo ha significato anche altre due cose: niente commissione e niente testimoni. Inoltre, come se non bastasse, Fouquier-Tinville, sempre imboccato da Robespierre a dai suoi, ha denunciato l’esistenza di un complotto del tutto inesistente, organizzato dalla moglie di Desmoulins, per liberarci e assassinare i membri del Comitato di Salute Pubblica. La mia voce, colma di potenza e di rabbia più di prima, si è fatta sentire subito:
Infame Robespierre! Mille volte infame! Ti aspetta il patibolo! Mi seguirai presto sul palco della ghigliottina! Questo decreto è una macchinazione infernale per condannarci! Avete dimenticato cosa dice la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino? Vi rinfresco io la memoria: la legge, dice la Dichiarazione, deve stabilire soltanto pene necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata prima del delitto e legalmente applicata. Questo fottuto decreto non vale nulla e non può essere valido per questo processo che è iniziato prima del decreto medesimo.

Poi, rilassandomi, ho aggiunto:

La Francia e la posterità sapranno che si è rifiutato di dare a Danton ciò di cui egli aveva diritto. A questo punto non voglio più fare niente… Mi si conduca pure alla morte, così potrò addormentarmi nella gloria.

    Sabato 5 aprile, il 16 germinale, la mattina presto, il Tribunale Rivoluzionario ha chiuso il dibattimento processuale. Allora ho urlato con rinnovato vigore e rabbia:

Chiuso? Ma se il processo vero non è mai iniziato! Come potete fare una simile affermazione?! Spiegatemelo! Voglio la commissione che ho richiesto e voglio i testimoni come prevede la legge! Briganti! Delinquenti! Voi non siete dei giudici, ma degli assassini!

Completamente inutile. Pochi attimi dopo è stata emessa la sentenza: morte per tutti noi. Ho avuto però l’ardire di parlare al cancelliere che me la leggeva oltre le sbarre:

Me ne frego della vostra sentenza! Non voglio neppure ascoltarla. Sarà la posterità a giudicarci. Essa metterà il mio nome nella gloria e il vostro alla berlina.

Poi, guardando in volto Herman e Fouquier-Tinville, ho detto:

Non ci sarebbe stata alcuna Rivoluzione senza di me, non ci sarebbe la Repubblica senza di me… Siamo stati condannati a morte, conosco questo Tribunale, sono stato io a crearlo e chiedo perdono a Dio e agli uomini… Non era nelle mie intenzioni che diventasse un flagello per l’umanità bensì un appello, un’ultima disperata risorsa per uomini disperati e gonfi di rabbia… Non sarà necessario trascinarmi a forza sul patibolo… Se ho difeso me stesso l’ho fatto per difendere quello a cui aspiravamo e, più ancora, che abbiamo ottenuto e non per salvare la mia vita.

    *Danton fu l’ultimo a salire sulla piattaforma del patibolo impregnata del sangue dei suoi compagni di lotta. Cadeva la notte. Ai piedi dell’orribile statua della Libertà la cui massa si stagliava contro il cielo, una sagoma spaventosa, io vidi, come un’ombra dantesca, il tribuno ritto in piedi, debolmente illuminato dal sole morente, come se emergesse dalla tomba invece che accingersi a entrarvi… Il tempo non potrà mai cancellare dalla mia memoria l’orribile pantomima. Io ricordo tutta la forza del mio sentimento alle ultime parole di Danton, che non udii, ma che passarono di bocca in bocca con orrore e ammirazione:

Soprattutto non dimenticare di mostrare la mia testa al popolo: vale la pena di vederla.*

(dalle memorie di Antoine Arnault, drammaturgo e testimone oculare dell’esecuzione di Danton)