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di Marco Di Stefano

© 2009. Tutti i diritti sono riservati

 

 

PERSONAGGI:
A, B, M, G: Uomini.

 

LUOGO:
Interno di un container montato sopra un Camion.

 

 

I.

 

Notte. Il container vuoto. Due secchi, una lampadina a cordicella. Si apre il portello. B, M, G, entrano nel container. Hanno tutti e tre uno zainetto. B tira la cordicella della lampadina. Si accende la luce. I tre si guardano intorno. Il portello viene richiuso alle loro spalle.
Il camion parte. I tre uomini stanno per perdere l’equilibrio. Rimangono in piedi. B si mette in un angolo. Stende un sacco a pelo. Si sdraia. Fa un cenno agli altri, come di saluto. Gli altri due non rispondono. M e G si guardano attorno, straniti. Poi si abbracciano e scoppiano a ridere.

M: Hai visto? Ce l’abbiamo fatta! Te l’avevo detto che non dovevi preoccuparti di niente!

G piange.

Ma cosa fai stupido? Perché piangi? Non capisci, ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!

G lo abbraccia forte.

Hai avuto paura, lo so, ma ora è tutto finito. Ora siamo al sicuro.
G: Hai ragione. È solo uno sfogo, scusa.
M: Dai, sistemiamo le nostre cose.
G: Sì.

Estraggono due sacchi a pelo e li sistemano a terra. Estraggono alcuni oggetti e indumenti dai loro zaini e li sistemano come cuscini. Si sdraiano.

M: Cerca di riposare ora.
G: Ho fame.
M: Non ci è rimasto molto.
G: È da ieri che non tocco cibo.
M: Va’ bene, ma solo un pezzo di pane e formaggio. Non sappiamo dove ci lasceranno. Potremmo averne bisogno poi.

G annuisce. M estrae un pezzo di pane e formaggio dalla sua sacca. Si guarda le spalle, tenendo d’occhio B. Poi divide in due il pezzo di pane e formaggio e ne porge una parte a G.

M: Tieni.
G: Grazie.

Mangiano.

G: (indicando B) Forse dovremmo…
M: No. Qui ognuno pensa per sé.

Pausa.

G: Scusa.
B: Non preoccuparti. Ha ragione lui.

M e G continuano a mangiare. Quando hanno finito, M prende una borraccia dalla sua sacca. Beve un piccolo sorso e poi passa la borraccia a G, che la prende e beve a lungo.

M: Non così. (Strappa la borraccia a G) Anche questa deve bastare. E ora dormi.
G: Sì. (Si sdraia)

Silenzio.

La mamma sarà in pensiero.
M: La chiameremo dopo aver passato il confine.
G: Non avremmo dovuto lasciarla sola.
M: Non pensarci. Riposa.
G: È nostra madre.
M: Ma cosa ti prende? Ne abbiamo già discusso.
G: Lo so, però non posso fare a meno di pensarci. È stato crudele.
M: È stato necessario. Anche lei era d’accordo.
G: Questo non cambia le cose.
M: Dovevamo andarcene.
G: L’abbiamo abbandonata.
M: Una volta superato il confine troveremo il modo di farci raggiungere.
G: Bugiardo, sai anche tu che da sola non ce la farà mai.
M: Manderemo qualcuno a prenderla. E ora finiscila, voglio riposare anche io. Abbiamo deciso insieme di partire, e non si torna indietro. Quindi zitto e dormi. Sono stanco.

Silenzio.

G: Non avrei dovuto seguirti.
M: E cosa volevi fare? Stare lì a morire di fame?
G: Io potevo cavarmela.
M: Come? Chiedendo l’elemosina?
G: Non pensare a me. Se siamo andati via è solo per colpa tua. Per salvare la tua pelle. Non la mia.
M: Come?
G: Eri tu quello in pericolo. Io facevo la mia vita tranquilla. Certo, non bella. Però nessuno ha mai pensato di ammazzarmi…
M: Basta!

Silenzio.

M: Non davanti a un estraneo.
B: Continuate pure.
M: Lo trovi divertente?
B: No. Però non voglio disturbare. Fate come se io non ci fossi.
M: Ascoltami bene. Non immischiarti. Non siamo amici, non siamo compagni, non siamo fratelli. Siamo qui insieme per caso. E ognuno pensa per sé. D’accordo?
B: D’accordo.
M: Bene. Dimentica quello che hai sentito torna a farti i fatti tuoi. (A G) E tu pensa a dormire. Sei stanco e dici cose senza senso. Ora non voglio ascoltarti.
G: Non vuoi mai ascoltarmi.
M: Quando sarà tutto finito.
G: Perché non adesso?
M: Perché ora dobbiamo rimanere insieme. Non ha senso litigare, non cambierebbe nulla.

Pausa. M e G si guardano. Poi G si sdraia e dà le spalle a M, che si alza e spegne la lampadina.

 

 

II.

 

Il container. Qualche ora dopo.

G: Da quanto siamo in viaggio?
M: Non lo so.
G: Non riesco a dormire.
M: È impossibile.
G: Dobbiamo fermarci.
M: Non si fermerebbero mai per farci riposare. È troppo pericoloso.

Silenzio.

B: (guarda un orologio) Cinque ore.
M: Cosa?
B: Cinque ore. Siamo in viaggio da cinque ore, cinque ore e otto minuti.
M: E tu come lo sai?
B: Ho questo.
M: Un orologio! Fammi vedere.
B: Se vuoi sapere l’ora basta chiedere.
M: Era solo per curiosità. A noi li hanno presi quando siamo saliti.
B: Lo so. Io ho fatto in tempo a nasconderlo. Non bastano i soldi che devi pagare per il viaggio, quelli si prendono tutto: anelli, collane, orologi. Ma qui dentro, io senza orologio non ci sto. Impazzirei.
M: Hai fatto bene a tenerlo. (Pausa) Cinque ore.
B: Sì.
G: Dio. Chissà quanto manca.
B: Un giorno. O una settimana. O due. Nessuno può dirlo.
M: Ma cosa dici? Il confine sarà ormai vicino. Tre ore al massimo.
B: A loro non importa niente del confine. Loro hanno bisogno di un punto dove passare. E se non lo trovano, il container lo spediscono via mare.
G: Cosa?
M: Figurati. È troppo rischioso. Una volta al confine, troveranno un modo sicuro di farci passare. Un giorno al massimo.
B: Sì, un modo sicuro per loro. Altrimenti ci spediscono e loro se ne tornano a casa. Sai cosa gliene importa. Ormai abbiamo pagato.
G: Merda.
M: Non starlo a sentire. Non possono metterci su una nave e abbandonarci.
B: Be’, qualcuno che viene ad aprirci dall’altra parte c’è. Speriamo che il viaggio duri poco.

Silenzio. G ridacchia.

M: Cosa c’è?
G: Stavo pensando che appena sceso vorrei bermi un bicchiere di birra gelata. Anche a costo di morire di congestione.
B: Siamo in due, allora.
M: In tre.

Ridono

G: E una bistecca al sangue. Quasi cruda. Carne, insomma. E del pane caldo. Poi posso anche morire.
B: Una doccia. Prima di morire una doccia.
M: A me basta la birra. E la consapevolezza di essere morto libero.
B: (a M) Stai scappando per motivi politici?
G: Ma no, la politica non c’entra. È stato…
M: (interrompendolo) Basta adesso. (A B) Non sono cose che ti riguardano. (A G) E tu non dire una parola di più. Chiaro?

Silenzio.

B: (si alza e va a pisciare in un secchio) Come vuoi. A me sta bene.
M: Grazie.
B: Meglio così. Lo status di prigioniero politico lo danno a pochi. Meno siamo, meglio è. Il resto non mi interessa. Era solo per parlare. (Finisce di pisciare e torna sul suo sacco a pelo)

Silenzio.

 

 

III.

 

Il container. La mattina dopo. I tre uomini sono sdraiati. Dormono. G si gira su se stesso. Si sveglia. È completamente sudato. Si alza e si spoglia. Inizia a battere alle pareti. Il caldo è soffocante.

G: Aprite. Aprite!
B: (si sveglia) Cosa c’è?
G: Il caldo. Si soffoca.
B: Stai calmo. Il camion è fermo. Devono aver parcheggiato al sole.
G: Aprite! Voglio uscire!

M si sveglia.

B: Adesso basta. Tanto non aprirà nessuno.
M: Cosa succede?
B: Non lo vedi? È impazzito per il caldo.
M: Calmati.
G: Fammi scendere.
M: Non posso.
G: Tu mi hai portato qui. E adesso mi tiri fuori
M: Non posso!
G: Fammi uscire!

G si scaglia contro il fratello. Lottano. B si allontana, si siede sul suo sacco. Dopo qualche secondo da fuori battono. G e M si fermano.

Aprite! Aprite vi prego!

Da fuori si sente ancora battere. Poi silenzio.

(Supplicando) Aprite…

Silenzio. Dopo qualche secondo, il camion riparte. G crolla a terra. Inebetito. Dopo qualche secondo, M gli si avvicina e gli mette una mano sulla spalla.

M: Alzati, dai.
G: Non mi toccare.
M: Ormai siamo partiti. Non ci possono più sentire.
G: Stammi lontano, ho detto!

Silenzio. M si allontana.

È tutta colpa tua. Tutta colpa tua. Colpa tua se siamo scappati, colpa tua se abbiamo abbandonato nostra madre, colpa tua se non sappiamo quando e dove arriveremo, colpa tua se ci siamo messi nelle mani di sciacalli senza scrupoli che se ne fregano se qua dentro ci sono cinquanta gradi. È colpa tua se moriremo. Colpa tua. Solo colpa tua.

Silenzio.

B: (prende la propria borraccia e la porge a G) Tieni. Bevi.
M: No. Non abbiamo bisogno di te. L’acqua per mio fratello ce l’ho.
G: Sì. Ma per quanto ancora?
M: Ce la faremo. Te lo prometto, ce la faremo.
G: Senza acqua, senza cibo, senza aria.
M: Prima o poi arriveremo. E allora ti prometto che avremo tutto, tutto. Lavoro, soldi, donne. E cibo. Tanto cibo e tanta acqua. Non avremo mai più sete.
G: Va’ bene. Ma ora fai silenzio.
M: Ascoltami, ti giuro che…
G: Basta parole. Non c’è più niente da ascoltare.

 

 

IV.

 

Interno del container. Buio. I tre uomini addormentati. Dall’esterno si odono alcune voci. All’improvviso il portellone si apre. Entra una luce fioca. È notte.
Entra un altro uomo, A, con uno zainetto. L’uomo si guarda intorno. Si tappa il naso disgustato. Il portellone viene richiuso alle sue spalle. Il camion parte. L’uomo sta per perdere l’equilibrio. Riesce a restare in piedi. Trova la lampadina appesa, tira la cordicella. La luce si accende. L’uomo guarda i tre addormentati. Si siede a terra. Apre lo zainetto e sistema una coperta per terra. Si mette sulla coperta e sistema un maglione come un cuscino. Estrae degli occhiali e se li mette. Estrae un taccuino e una penna. Inizia a scrivere.
B si sveglia. Guarda A. gli si avvicina. A lo vede e mette via subito il taccuino.

B: Cosa stai facendo?
A: Niente.
B: Non fai niente con la luce accesa?
A: No. Cioè, sì. Non facevo niente di importante.
B: Che ore sono?
A: Le due circa.
B: Quando sei salito?
A: Adesso.
B: E hai pensato bene di accendere la luce.
A: Non volevo dare fastidio.
B: È quello che hai fatto.
A: Non volevo.
B: Non sei da solo qui.
A: Mi dispiace.
B: Mi hai svegliato.
A: Scusa.
B: E potevi svegliare anche gli altri.
A: Volevo vedere se c’era qualcuno.
B: C’è sempre qualcuno. Volevi stare da solo? Cosa ti aspettavi, una suite privata?
A: No, anzi, io…
B: Bene. Hai dell’acqua?
A: Sì.

Dà una borraccia a B, che la prende e beve avidamente a lungo, finché la ridà ad A.

B: Grazie.
A: Di niente. (Mette via la borraccia)
B: Hai solo questa borraccia?
A: Sì.
B: Potevano darti dell’acqua per noi.
A: Mi spiace, questa è mia.
B: Lo so. Tienitela stretta.
A: Comunque io sono…
B: Non mi interessa.
A: Come?
B: Il tuo nome. Non mi interessa. Non siamo amici.
A: No, certo, però mi sembrava giusto.
B: Perché?
A: Siamo compagni di viaggio.
B: Viaggio? E tu questo lo chiami viaggio?
A: Be’, tecnicamente lo è.
B: Praticamente no. (Si allontana) Chiusi in un container. E lui lo chiama viaggio. (Si sdraia) E spegni la luce!
A: Certo. Scusami. (Spegne la luce)

Buio. Silenzio. Solo il rumore del viaggio.

Scusa.

Silenzio.

Scusa. (Accende la luce) Scusa…
B: Cosa vuoi?
A: Dove siamo diretti?
B: Che cazzo di domanda è?
A: Davvero. Dove stiamo andando?
B: Lasciami dormire.
A: Rispondi e ti lascio stare.
B: Andiamo. Non ti basta?
A: Voglio sapere se mi portano dove mi hanno detto.
B: Dove ti hanno detto?
A: No. Prima dimmi quello che sai.
B: Ma io non lo so dove stiamo andando.
A: Dimmelo!
B: Non lo so davvero.
A: Qualcosa ti avranno detto.
B: Sì. “Hai portato i soldi, non fare rumore alla frontiera, non rompere i coglioni…”
A: E tu non hai chiesto…
B: …No, non ho chiesto. E poi, cosa avrei dovuto chiedere? Dove mi portate a fare colazione? L’importante è andarsene. Dove non conta.
A: Non è possibile… (Fa per avvicinarsi a uno degli altri due uomini che dormono, per svegliarlo)
B: Non farlo.
A: Perché?
B: Siamo in viaggio da due giorni. Hai già disturbato me.
A: Io devo sapere dove siamo diretti.
B: È un miracolo che stiano ancora dormendo.
A: E io?
B: Tu cosa? Tu sei appena salito, sei fresco come una rosa. Noi siamo qui dentro da due giorni. Pisciamo e caghiamo in dei secchi. Non la senti la puzza? È da due giorni che stiamo in questo schifo. Lasciaci in pace.
A: Forse loro sanno dove stiamo andando.
B: Non sperarci. Ma anche se fosse? Come credi di scendere da qui? Pensi che basti gridare: “Scusate, ho sbagliato camion, portatemi indietro?” Ormai sei su e su rimani. Finiscila di fare il ragazzino viziato. Lasciaci dormire.

A si ferma. Silenzio. A e B si guardano.

Bene. E adesso spegni la luce.

A spegne la luce. Silenzio.
A estrae il taccuino e tenta di scrivere facendosi luce con un accendino. B si alza di colpo e si getta su di lui. Gli butta per terra l’accendino, lo prende per il collo e gli illumina il volto con una torcia.

B: Ma che cazzo fai?
A: Niente… volevo solo scrivere…
B: Cosa?
A: Un… diario…
B: E hai pensato bene di usare un accendino.
A: Sì… non volevo disturbare…
B: Niente fuoco. Per due ragioni. Uno: se fai una cazzata qui bruciamo vivi in quattro. E non pensare che i tizi là fuori ci vengano a salvare. Secondo: forse tra poco questo container sarà sigillato e imbarcato. E probabilmente messo in mezzo ad altri container. E allora l’aria inizierà a mancare. E il fuoco è nemico dell’ossigeno, lo sai questo vero? (Pausa) Rispondi. Lo sai vero?
A: Sì.
B: (gli molla il collo) La prossima volta pensa. E non farmi più sprecare le pile della torcia. Possiamo averne ancora bisogno. E per motivi ben più seri di uno stupido diario.
A: Ma la luce c’è…
B: E se si rompe la lampadina? Ci hai pensato? (Spegne la torcia. Pausa. Torna al suo posto e si sdraia)

Silenzio.

A: Buonanotte.

 

 

V.

 

Il container, la mattina dopo. Si accende la luce. È G. Prende un pezzetto di pane. Lo mangia lentamente. Poi prende dell’acqua e beve un piccolo sorso. Mentre beve si accorge di A. Mette via la borraccia. Si avvicina ad A che sta dormendo. G si mette a ridere. È una risata isterica. Lentamente smette di ridere. Colpisce A con un calcio.

G: E tu chi cazzo sei?

A si sveglia. Non capisce cosa sta succedendo. G continua prenderlo a calci.

G: Chi cazzo sei? Eh? Quando sei salito?
A: (si copre la testa con le mani e si chiude cercando di proteggersi) Basta, basta!
G: Chi sei? Mi vuoi rispondere?

M e B si svegliano. Si gettano su G per fermarlo.

B: Smettila! È uno nuovo, è salito stanotte!
G: Voglio sapere chi è!
M: Si può sapere che ti prende?
G: Io lo ammazzo!
M: Non ti ha fatto niente!
G: Doveva svegliarmi!
B: Svegliarti? E Perché?
G: Perché voglio scendere! Lo capite o no che non me ne importa più niente? Voglio scendere, tornare a casa!
M: Sei impazzito? Ormai manca poco, ce la faremo!
G: No! Non ce la faremo! Dovevamo scendere! E invece stavamo dormendo! Proprio quando potevamo scendere! E lui non ci ha svegliati!
B: Pensi che ti avrebbero lasciato andare?
G: Sì! Che si tengano i miei soldi, non mi interessa!
B: Adesso basta. Lui non c’entra niente.
G: Non mi ha svegliato. Potevo scendere, vi rendete conto? Potevo scendere… (Scoppia a piangere)
B: Cerca di calmarti adesso. Non è colpa sua. Lui non poteva sapere.

M si avvicina ad A, ancora terrorizzato.

M: Ti prego, perdona mio fratello.

A non risponde.

M: Sono due giorni che siamo chiusi qua dentro.
A: Capisco.
M: Perdonalo. Ha perso la testa.
A: Sì. Mi dispiace.
M: Anche a me.
A: Se avessi saputo lo avrei svegliato.
M: No. Meglio così. Dobbiamo farcela, arrivare a destinazione.
A: Dove state andando?
M: Non lo so. E non me ne importa. L’importante è andarsene.

Silenzio. A annuisce.

G: (Lentamente G smette di piangere. Guarda A, si avvicina lentamente a lui) Scusami.

Silenzio.

Scusami, non dovevo aggredirti, tu non c’entri niente.
A: Va’ bene. Finiamola qui.

G tende la mano ad A. Dopo qualche secondo A la stringe. Silenzio. I quattro uomini si siedono ai loro posti. Lungo silenzio. Dopo qualche istante B scoppia a ridere.

A: Perché ridi?
B: Stavo pensando una cosa.
M: Cosa?
B: Che se ne sale un altro tuo fratello lo ammazza.
G: Perché dovrei?
B: Non lo so. Ma un motivo lo trovi, questo è sicuro.

Silenzio. Tutti scoppiano a ridere. È una risata fragorosa, liberatoria.

G: Gli diciamo che puzza e lo picchiamo a sangue.
B: O che è finito il pane e ci tocca mangiarlo.
A: Che la sua prenotazione non risulta.
M: Che il container non è omologato per cinque.

Ridono. Il camion si arresta bruscamente. Tutti smettono di ridere di colpo. B si alza e si appoggia a una parete ad ascoltare.

A: Cosa succede?
B: Ci siamo fermati.
M: Non è la prima volta.
B: Aspetta. Sta facendo manovra.
G: Dovranno fermarsi a mangiare.
B: No, stanno girando il camion al contrario. Non sentite? Non l’hanno mai fatto prima.
M: Forse siamo arrivati.
B: Fammi ascoltare. Sento un rumore strano.

Silenzio. Dall’esterno si sente un vago rumore metallico.

Merda…

Il container si muove bruscamente. B perde l’equilibrio e cade a terra.

A: Cosa succede?
B: Ci caricano!
A: Cosa?
G: Su una nave. Aveva ragione, allora…
M: Bastardi. Bastardi.
B: Zitti! Pensate a non sbattere da qualche parte.

Silenzio. Tutti cercano di proteggersi la testa e di non andare a sbattere contro le pareti mentre il container viene sollevato. Tutto a un tratto, si ferma per un paio di secondi. Il container riprende a muoversi più dolcemente.

B: Attenti, ora stiamo scendendo.

Silenzio. All’improvviso il container si ferma bruscamente. Un lungo silenzio.

A: Ci siamo fermati.
B: Sì. Ora siamo sulla nave.

Silenzio.

 

 

VI.

 

Il giorno dopo. I quattro uomini sono seduti, in silenzio.

M: Quanta acqua c’è rimasta?
B: Io l’ho finita.
A: Anche io.
G: Una bottiglia d'acqua. Quando sei salito. A loro non costava niente.
M: (fruga nella sua borsa. Estrae una borraccia. La muove. C’è dentro ancora un po’ d’acqua. Va da G. Gliela porge) Bevi.
G: Non posso. È l’ultimo sorso. Tu non bevi da ieri.
M: Bevi. Senza storie.
G: Bevila tu.
M: Bevi.
G: No.

M colpisce G con uno schiaffo. Silenzio. Dopo qualche istante G prende la borraccia e beve. Beve tutta l’acqua e butta la borraccia per terra. Silenzio.

M: Bravo. (Va a sedersi)

Silenzio.

B: Ora siamo alla fine. Da qui in poi non ci resta niente.
A: Neanche la speranza.
B: Tu sei salito dopo. Hai più possibilità.

Pausa.

M: Va bene così. Per un po’ ho sperato. A me va bene così.
G: Per un po’ di tempo.
M: Meglio di niente.

Silenzio.

G: Prima o poi arriveremo.
B: Sì. E saremo già morti.
G: Ma non capite? Gli altri sapranno. Se moriremo gli altri sapranno ciò che succede a quelli come noi. Quelli che sono costretti a scappare. Sapranno che esistiamo.
M: Illuso.
G: Illuso?
M: Lo sanno già. Tutti. Sanno che siamo disperati. Sanno che per noi l’unico modo è partire. Sanno che ci sono persone che si arricchiscono alle nostre spalle, persone che se ne fregano se moriamo durante il viaggio. Tutti lo sanno, tutti. Ma nessuno vuole vedere. È tutto inutile, non servirà a niente. Sarà inutile come il sacrificio di quelli prima di noi. D’altronde siamo partiti per noi stessi. Nessuno di noi voleva essere un martire. Essere martiri è qualcosa di troppo nobile per noi.

Silenzio.

B: Vi va di giocare a carte?
A: Non mi sembra il caso.
B: Dico davvero. Giochiamo.
G: Sarà un anno che non gioco a carte.
M: Anche io.
B: E allora? Giochiamo, il tempo passerà più in fretta. Arriveremo prima.
A: Moriremo prima.
B: Ci risparmieremo un po’ di sofferenze.
G: Va bene.
M: Anche per me.
A: E va bene. Giochiamo.

B estrae un mazzo di carte dal suo zaino. I quattro uomini si dispongono in cerchio per giocare.

B: Poker? Va bene a tutti?
G: Per me sì.

A e M annuiscono.

B: Bene. (Mischia le carte) Cosa ci giochiamo?
M: Non abbiamo niente.
G: Scommettiamo sul futuro.
B: A me sta bene.
A: D’accordo.
M: Sì, ma cosa? Denaro?
B: No. Cene. Cosa ne dite?
G: Cene?
B: Ognuno di noi punta un numero di cene. E quando siamo fuori di qui si riscuote. Abbiamo dieci cene a testa di partenza, alla fine della partita vediamo chi paga.
A: Sì, ma cena può voler dire tante cose.
B: Cena vuol dire qualsiasi cosa degna di esser chiamato cena. Ci state?
M: Sì.
G: Anche io.
A: Cominciamo

B distribuisce le carte. La partita inizia.

 

 

 VII.

 

Qualche ora dopo. I quattro stanno ancora giocando a carte.

A: Passo.
M: Anche io.
B: E così rimaniamo solo io e te. Io copro e rilancio. Con tutto quello che ho.
G: Vedo.
B: Poker di nove.
G: Scala reale. Ho vinto.

Silenzio.

G: (scoppia a ridere) Ragazzi, mi dovete dieci cene a testa!
B: Spero proprio di potertele pagare.
A: Idem.

Improvvisamente M crolla a terra. B e G gli si avvicinano per aiutarlo. A si allontana e osserva la scena spaventato.

B: Merda.
G: Che cos’ha?

Pausa.

G: (isterico) Che cos’ha?
B: È disidratato.
G: Fa’ qualcosa.
B: Non sono un medico!
G: Dobbiamo aiutarlo.
B: Senz’acqua non possiamo fare niente.
G: (scuote il fratello cercando di rianimarlo) Svegliati! Svegliati!
B: Lascialo stare, così è peggio.
G: (scoppia a piangere) Svegliati, ti prego, svegliati… (Si alza di scatto e comincia a tirare pugni alle pareti) Aprite! Abbiamo bisogno di acqua, mio fratello sta male! Aprite! (Agli altri) Datemi una mano, devono sentirci! Aprite! Aprite!

A e B si guardano. Anche loro iniziano a tirare pugni alle pareti. I tre uomini continuano a chiedere aiuto. Dopo qualche istante iniziano a sentire dolore alle mani. Lentamente le loro forze calano. Smettono di colpire il container e si stringono nocche e polsi dolorosamente. Silenzio.
Improvvisamente G prende la borraccia, la apre e si avvicina al secchio dell’urina. Ha un conato di vomito, poi immerge la borraccia nel secchio. Disgustato riempie la borraccia di urina. Torna verso il fratello e cerca di farlo bere.

Bevi. Svegliati e cerca di bere, lo so che fa schifo, ma devi bere, è l’unica cosa che abbiamo, non c’è altro ti prego, bevi.

M apre gli occhi e beve un piccolo sorso di urina. Lo risputa.

Così, bravo, ma non devi sputarla. Mandala giù, devi bere.

M beve un piccolo sorso di urina.

Bene. Starai meglio, te lo prometto, starai meglio.

M sussurra qualcosa all’orecchio di G che scoppia a piangere e stringe forte il fratello a sé.

Non importa… non importa…(continua a stringere il fratello e a piangere sommessamente)

Lungo silenzio.

 

 

VIII.

 

Il container. G, B e A sono seduti con lo sguardo fisso nel vuoto. Silenzio. Il corpo di M è coperto da un sacco a pelo in fondo scena. G beve un lungo sorso di urina dalla borraccia. La porge ad A.

A: No, grazie.

G la porge a B, che beve un sorso, chiude la borraccia e l’appoggia a terra. Silenzio. G si alza a va verso il corpo del fratello. Lo scopre per un attimo. Gli accarezza il viso. Lo ricopre e torna a sedersi. Silenzio.

G: È stata una sua idea. (Pausa) Io non volevo partire. Avevo paura. (Pausa) Ho ancora paura. (Pausa) Io volevo stare a casa, ma lui ha insistito. “Abbiamo i soldi per andarcene, non preoccuparti, vieni con me, se resto qui mi ammazzano, nostra madre capirà, ci vuole bene.” Partire. Che stupidi. Per andare dove? Pensava di poter risolvere tutti i problemi, di essere forte, furbo, intelligente. E invece è morto di sete in un container sperduto chissà dove. E l’ultimo sorso d’acqua lo ha dato a me, per salvarmi. Bastardo. Mi ha solo allungato l’agonia, costretto a bere piscia per sopravvivere, non so neanche perché cazzo lo faccio, forse dovrei sdraiarmi e aspettare che tocchi a me, senza bere, senza respirare. Solo aspettare. Mio fratello è morto per darmi un sorso d’acqua. Lo odierò per sempre, per questo. Non doveva sacrificarsi, non doveva costringermi a pensare che dovevo essere io a cedere per primo. Voleva sempre proteggermi, e lo ha fatto fino alla fine, anche in questa situazione. Ma che senso ha uscirne vivi a questo punto? È solo l’istinto che ci costringe a continuare. Razionalmente non c’è alcun motivo. Non si può dimenticare. Anche voi, che ve ne state lì in silenzio, cosa pensate di fare? Pensate di uscire da qui e vivere come se niente fosse? No. Non ci riuscirete neanche voi. Ormai non è più possibile. È tardi. Troppo tardi.

Silenzio.

B: Era già tardi quando abbiamo deciso di partire.
G: Sì. Era già tardi quando abbiamo deciso di partire.

 

 

IX.

 

Il giorno dopo. I tre uomini dormono. A si sveglia. Guarda B e G per controllare che stiano ancora dormendo. Si muove molto lentamente per non fare rumore. Aspetta qualche secondo. Quando è sicuro che stiano entrambi dormendo fruga nella propria borsa ed estrae una grossa bottiglia d’acqua ancora piena. La apre molto lentamente. Si sente un lieve rumore di apertura. A controlla che il rumore non abbia svegliato nessuno. G e B stanno ancora dormendo. A beve avidamente un lungo sorso d’acqua. Poi, sempre attento a non fare rumore, rimette la bottiglia nella borsa e si rimette a dormire. Dopo qualche istante si rialza perché non riesce a prendere sonno. Estrae il suo taccuino e una penna. Si ferma a pensare qualche secondo poi comincia a scrivere. All’inizio scrive velocemente, in maniera fluida, ferma. Ma più va avanti più la sua scrittura diventa lenta e nervosa. Butta rabbiosamente la penna e il taccuino a terra. Si copre il viso con le mani. È stravolto.

B: (Lentamente si sveglia. È allo strenuo delle forze. Si mette a sedere, afferra la borraccia con l’urina, la scuote. È vuota. Si alza e va al secchio) Merda.

Silenzio.

È vuoto. (Fa per andare a sedersi. Vede la penna e il taccuino per terra) Non scrivi più?
A: No.
B: Perché?
A: Certe cose è meglio non scriverle.
B: A me sembra di sì.
A: È il mio diario. Sono io che decido.
B: D’accordo, d’accordo. Era solo curiosità. (Si siede)

Silenzio.

Se ne uscirò vivo lo voglio raccontare a tutti. Non importa se sarà inutile, io racconterò questa storia. Una volta che sopravvivi non puoi sottrarti dall’essere testimone. Incontrare la gente, cercare di farle capire. Raccontare. La fame, i soprusi quotidiani, la miseria. E poi quello che accade quando si parte. Non credo che sia diverso per gli altri. Gommone, nave, container. Ho sentito di gente che passa la frontiera a piedi, camminando per settimane intere. A me il container sembrava una buona idea. (Ride) Che stupido. E invece finché non ci sei dentro non puoi neanche immaginare. Ho sempre pensato che morire durante il viaggio fosse da stupidi. Poco cibo, poca acqua… non avevo capito niente. Il cibo e l’acqua non bastano mai. Guarda me. Ho portato una torcia, per paura del buio, sono riuscito a tenere l’orologio per paura del tempo. E quando ti ho visto accendere un accendino ti sono saltato al collo. Dio, come vorrei una sigaretta. Le ho buttate prima di salire, per non avere la tentazione. “L’aria, l’aria ti mancherà”. E l’aria manca, cazzo, ma cosa importa? Ci sarà sempre qualcosa che non hai calcolato. A noi ci sta ammazzando il tempo. E io del mio orologio ora non so che farmene. Da quanto siamo in viaggio? Una settimana? Dieci giorni? Chi lo sa. Ho smesso di controllare. La verità è che non avrei mai pensato che il tempo potesse scorrere così lentamente. Vorrei vivere. Anche solo un giorno fuori di qui, per poterlo raccontare a tutti. Raccontare. Forse è l’unica cosa che conta ora.

Silenzio. A fruga nel proprio zainetto. Estrae un pacchetto di sigarette. Prende due sigarette. Una la porge a B che la prende e se la infila in bocca. A gliela accende e poi si accende la propria.

Grazie.
A: Di niente.

Fumano.

G: (Dopo un po’ tossisce. Si sveglia) Cosa state facendo?
B: Fumiamo.
G: È pericoloso.

A e B si guardano. Dopo qualche istante scoppiano a ridere.

B: Sì, fa male alla salute.

Continuano a ridere. G li guarda impassibile. Poi, lentamente, scoppia a ridere anche lui. A estrae una sigaretta dal pacchetto e la porge a G.

G: No, grazie. Non fumo. (Pausa) E va bene. Proviamo.

A accende la sigaretta a G che si mette a tossire.

Che schifo.
A: È normale, la prima volta fa sempre schifo.

Fumano. Silenzio.

G: Posso chiedervi una cosa?
B: Certo.
A: Di cosa hai bisogno?
G: Voi perché siete partiti?

Silenzio.

G: Voi di me sapete tutto, cioè, tutto quello che c’è da sapere, io di voi non so niente. Perché siete partiti? Perché non siete rimasti a casa?
B: Io te l’ho detto.
G: No, non me l’hai detto, hai accennato di essere un rifugiato politico e basta. È un po’ poco.
B: Sì. È poco, ma non credo che serva molto di più.
G: Continua, non ci hai raccontato niente.

Silenzio. B si sbottona e toglie la camicia. Sul petto e sulla schiena mostra cicatrici e ustioni, evidenti segni di tortura. Lungo silenzio. B si rimette la camicia.

A: Mi dispiace…
B: (secco) Anche a me. Per favore, dammene un’altra.

A gli passa un’altra sigaretta. Gliela fa accendere.

Grazie.
G: E tu?

Pausa.

B: Allora? Coraggio, racconta.
A: No, veramente preferirei di no.
B: Noi lo abbiamo fatto.
G: Adesso tocca a te.
A: No.
B: (amaro) Non può essere niente di così terribile.
A: Infatti. Ho deciso di partire e basta.
G: E poi?
A: E poi niente. Non ho un motivo. O meglio, ne ho tanti, milioni di piccoli buoni motivi per partire e non tornare mai più. La povertà, la politica, la violenza. Se uno è furbo riesce a starsene fuori. Io ci sono riuscito. Sono andato avanti senza troppi problemi. Ma le piccole umiliazioni quotidiane, quelle no, quelle non le puoi evitare. Ma soprattutto la sensazione di essere immobile. Fermo, senza possibilità di movimento, continuando a sopravvivere. Ma vivere è un’altra cosa. E così sono partito. Tutto qui.
B: (raccoglie da terra il taccuino di A) E questo?
A: Dammelo! (Cerca di riprendere il suo taccuino)
B: Voglio solo sapere cos’è.
A: Il mio diario. Dammelo.
G: E cosa ci scrivi?
A: Niente. Chi sono. Cosa faccio. In caso morissimo.
B: Un’ottima idea. Lo voglio fare pure io.
G: Sì, scriviamo chi siamo. Perché siamo qui.
A: No! È mio ridammelo!
B: Ah no, adesso ci scriviamo anche noi.

G tiene fermo A. B apre il diario.

A: (disperato) No! Non leggere! Non leggere!

Silenzio. B legge il diario. Rimane impietrito.

Non leggere…

Silenzio.
B guarda G. Dopo qualche attimo gli dà il taccuino. G lascia A. A cade a terra piangendo. G legge il taccuino.
Silenzio.
G scaglia con forza il taccuino contro A.

G: Dov’è? Dov’è l’acqua?
A: No… vi prego io non volevo…
G: Dov’è l’acqua, cazzo!

A continua a piangere.

B: Nella borsa. Deve essere nella borsa.

B e G afferrano la borsa di A. Frugano dentro ed estraggono la grossa bottiglia d’acqua. G la apre, ne beve la metà in un sorso solo, B gliela strappa e beve l’altra metà. Butta la bottiglia a terra. Lungo silenzio.

G: Hai guardato mio fratello morire.

Silenzio.

Lo hai guardato morire e avevi ancora dell’acqua.
A: Ti prego… non volevo…
G: Sono giorni che beviamo piscia.
B: E tu aspettavi che dormissimo per bere.
A: Avevo paura di morire.
G: E mio fratello? Secondo te non aveva paura, mio fratello?
A: Ma cosa avrei dovuto fare? Sacrificarmi per uno sconosciuto? Lo avreste fatto anche voi al mio posto.
B: Forse. Ma non è successo a noi. È successo a te. Potevi scegliere.
A: Che importanza ha? Tanto moriremo tutti!

Improvvisamente G colpisce A con un pugno nello stomaco. A si piega su se stesso, gli manca l’aria.

G: Bastardo.
B: Aspetta.

Fruga nella sua borsa. Estrae una corda. Prende A, ancora dolorante, e gli lega le mani dietro la schiena.

A: Che fai?
B: Zitto.
A: Cosa stai facendo, lasciami.
B: Zitto, ho detto.
A: Lasciami!

B colpisce A al volto. A piange.

B: Bravo. Così, non ti muovere.

B finisce di legare A. Silenzio.

(A G) È giusto che sia tu a decidere. Fanne quello che vuoi. A me non importa.

 

 

X.

 

Il container. Silenzio. B e G seduti. Il corpo di A e il corpo di M coperti da due sacchi a pelo. Da fuori, improvvisamente, si sentono dei colpi e delle voci. Il container viene sollevato. B si alza di colpo. Inizia a colpire anche lui. G rimane seduto, inebetito.

B: Aprite! Siamo ancora vivi, aprite! Cosa aspetti, dammi una mano.
G: Non apriranno.
B: Muoviti, alzati!
G: Non ci hanno aperto fino a adesso, perché dovrebbero aprirci ora?
B: Siamo arrivati!
G: No.
B: Sì, invece, alzati, dammi una mano.
G: Non siamo arrivati. Non arriveremo mai.
B: Aprite, siamo ancora vivi, presto!
G: (ride) Vivi.
B: Alzati!
G: Qualcuno è vivo. Qualcuno no.
B: Ma si può sapere cosa ti prende?
G: Pensavo a una cosa buffa.
B: Cosa?
G: Dovevo partire per migliorare la mia vita. Ho perso mio fratello e ucciso un uomo. Buffo, no?
B: No, non è buffo per niente.
G: Io, un assassino.
B: Adesso basta. Ma ti rendi conto che siamo arrivati?
G: Chi l’avrebbe mai detto?
B: Ma non senti? Stanno scaricando il container. Non è il momento di crollare, hai capito? Siamo arrivati!
G: Illuso.

B colpisce con uno schiaffo G. Silenzio.

B: Scusa.
G: No, scusami tu. Hai fatto bene.

Silenzio. Si guardano. Di colpo si abbracciano. Silenzio. All’improvviso si sente un rumore metallico. I due stanno per cadere. Il container è stato scaricato. I due uomini rimangono in ascolto. Silenzio per qualche secondo. Altro rumore metallico e voci dall’esterno. Il container viene dissigillato.

B: (ansioso) Stanno aprendo.
G: (ansioso) Sì. Prendiamo le nostre cose, presto.

Riempiono le proprie borse frettolosamente.

G: E adesso?
B: Adesso… non lo so.

Silenzio. I due uomini aspettano. Dopo qualche istante, un altro rumore metallico. Il container viene aperto. È giorno. Da fuori entra una luce accecante. I due uomini si coprono gli occhi. Dopo qualche istante, riescono ad abituarsi alla luce e guardano dritti davanti a sé.

G: Non c’è nessuno.
B: Ci hanno lasciati da soli.
G: Dove siamo?

Silenzio. Dopo qualche istante, B inizia a ridere. G lo guarda.

B: Spero solo di non rivederti mai più

Dopo qualche istante, anche G scoppia a ridere. La loro risata diventa fragorosa, assordante.

 

 

Fine