Aquila sapiens sapiens

canto per Prometeo

di

Maria Letizia Compatangelo




Aquila sapiens sapiens è pubblicata nel volume Il teatro dell’inganno - Opere Complete, di Maria Letizia Compatangelo, collana “Il Meridiano del Teatro”, edito da Enrico Bernard Entertainment & Art.



Il protagonista è in proscenio, intento a modellare la creta su una ruota da vasaio. Le mani sporche, il viso e gli abiti schizzati di fango. Curiosamente è in frac, ma l’eleganza dell’abito non cancella qualcosa di animalesco nel suo aspetto, ci si aspetterebbe quasi di veder spuntare da sotto la coda del frac, in fondo alle gambe dei pantaloni o dai polsini delle piume di rapace.

Come i balbuzienti, ogni tanto l’homo aquila si impunta, si inceppa, e “sgraaccrraa”, ovvero emette il grido dell’aquila misto al verso dell’avvoltoio, un suono mai udito altrove. (Soprattutto quando si imbatte in sillabe contenenti la erre e la a.) Di contro, talvolta si impunta e con eccesso di perfezionismo cerca di rendere al massimo un’immagine o un concetto.

E’ stata tutta colpa di Zeus. – Io me ne stavo lì, non so più da quanto tempo, traaanquillo. Mi occupavo… delle pulizie intorno all’Olimpo. Non stavano mai quieti, quei benedetti! – Gli dei, no? – E un gioco oggi, e una scaramuccia domani, e scommesse, e vere e proprie guerre… E poi un dispetto, un capriccio continuo! – Insomma non vi dico cosa lasciavano sulla Terra: montagne di residui! Cadaveri, carogne, carcame putrido… un sacco di materiali organici di scarto che ingombravano i campi… E ce n’era sempre una tale sovra-sovraaaa-sgraaaaah! – una tale sovraa…bbon-dan-za! (sorridendo) Un surplus, un inbandimento, un mischia mischia di carni sanguinolente, di membra disarticolate, teste mozzate, di budella e carcasse marce che si abbrunavano e si disfacevano sotto i raggi di Iperione come tante bocche spalancate in una preghiera verso il cielo: mangiami, mangiami, eliminami! / Allora io scendevo, in lente, pigre volute, in cerchi perfetti… e provvedevo. / Poi, dopo quelle epiche scorpacciate, me ne tornavo in alto, fermo nell’aria, serio serio, movendo appena la punta estrema delle ali… Ah, erano magnifiche! L’unica mia vanità: due ali immense, grandi più del mantello di Ares, capaci, quando le dispiegavo sotto il sole, di produrre ombra più vasta e accogliente di un pino centenario… ma i viventi non amavano venire a ripararcisi. – Rimanevo così (a braccia aperte, movendo soltanto la punta delle dita, come se suonasse il pianoforte nell’aria) a guardare giù. In alto, fermo nel cielo. Ad annoiarmi. (movendo la testa come un metronomo) Noia. Siesta. Scorpacciata, siesta noia. Noia, scorpacciata, siesta – sì, questa è la progressione giusta. Insomma mi facevo gli affari miei, avevo individuato una nicchia di sopravvivenza e loro, gli dei, mi lasciavano fare volentieri, lieti che il profumino del mio pasto non andasse ad interferire con le loro ambrosie. Ero diventato una sorta di servitore di fiducia.
E questo è stato l’errore.
Non bisogna mai volare troppo in alto, è pericoloso farsi notare! Basso profilo, basso profilo e rimani a rimpinzarti come vuoi, quanto vuoi e senza fastidi! Diventa invece l’avvoltoio di fiducia… e prima o poi arriva la tegola! E infatti un giorno Zeus mi chiama e dice: ho una missione delicata da affidarti. Mi devi andare per un po’ in trasferta nel Caucaso, c’è un tipo a cui bisogna dare una lezione, vedi bene che è proprio un incarico di fiducia.
Gra-graaa-graaaach! graande Zeus, rispondo io – ero un po’ emozionato – obbedisco! Cosa devo fare? – Una cosetta di tutto riposo: ogni giorno, quando il carro di Febo appare all’orizzonte, gli devi mangiare il fegato. Tutti i giorni, sino a quando dirò io basta. Tanto poi la notte glielo faccio ricrescere.
– Ma chi è, graaande Zeus? Quale crimine ha commesso maai?!
– Lo so io… Deve imparare a portare rispetto. Ah, già: si chiama Prometeo. Vai, vai, vola sempre verso est, poi lo vedi, non puoi sbagliare, è incatenato a una vetta.

E così mi metto in viaggio, saluto i campi pietrosi rigurgitanti di tanti appetitosi manicaretti e dirigo il rostro verso le terre dell’aurora… est nord-est… Un viaggio lungo, faticoso anche per le mie ali possenti. Praticamente tutta una filata, oriente espresso dall’Olimpo all’Asia … – sinché arrivo in vista delle cime del Caucaso. Scruto in lontananza il profilo erto della montagna, più bruno nella pallida oscurità del crepuscolo della notte, avanzo fendendo l’aria con battiti prepotenti, ascendo e plano sfruttando le correnti, mi avvicino ansioso … e subito lo vedo.
Graaa-graaaach, sgraaachh! Graande! Un gigante corrucciato … avvinto alla roccia, immenso, oscuro nell’ombra … un Titano! – Che testa enorme, osservo molto impressionato … No no! Non assomiglia a niente che abbia mai visto prima – ha un cranio di due taglie più grande di quello di Zeus… e che occhi! Capaci di penetrare la roccia, di gelare il sangue, di scuotere il senno… – se io allora ne avessi avuto.
E’ lui, è lui, l’ho trovato! Zeus ha ragione, non è possibile confondersi.
Per un po’ rimango immobile sulle remiganti. Sta per sorgere il sole, approfitto dell’attesa per riprendere fiato… poi, non appena la corona dei raggi lucenti si innalza sulle linee assonnate del Caucaso, mi dispongo, efficiente e puntuale, all’operazione divora-fegato.
E’ la prima volta con un essere vivente, sono un po’ impacciato.
Decido per una linea retta, attacco frontale, gli ordini sono ordini. Verticale, e giù! – E all’improvviso un urto terribile, come sbattere contro uno scudo gigantesco. Sto per precipitare, riprendo a stento il filo del vento, rinculo… (terrorizzato) Le urla, le urla, le urla! Io non c’ero abituato. Nell’Olimpo, non è che… Ci sono sistemi diversi… insomma… il capo c’ha la folgore, il vice il tridente, quell’altra l’arco, un altro la lancia… il serpente, il bastone, il cavallo, l’ulivo, la quercia, i pampini, la cetra… un carnevale che non vi dico! – Ma gli dei non parlano. Pochissimo. Giusto le nove sorelle, le Muse, ma loro veramente non volevano avere a che fare con me allora.
Insomma inizia la lotta. Le parole sono le sole armi di Prometeo, lui per fortuna è incatenato… ma funzionano! Un tuono potente, un rombo minaccioso… e tuttavia diverso, perché dentro c’è qualcosa… qualcosa ogni volta differente – un… un segno diverso! Sono confuso, stordito, meno giù colpi su colpi, e lui continua a urlare, imprecare, maledire… E sangue, piscio, smerdazza dappertutto… ho tutte le piume imbrattate, si stanno appesantendo, devo cambiare tattica… – Raccolgo tutte le energie rimaste, mi innalzo sino quasi alle ruote del sole, salgo, salgo… All’improvviso mi lancio giù come una freccia e con tutta la mia forza lo colpisco sulla testa con il rostro.
Finalmente! Sono riuscito a farlo stare zitto. – Ma tu guarda in che situazione... Rivolgendo un voto non esattamente di gratitudine verso il re degli dei, riesco a portare a termine il compito del giorno sinché Prometeo è ancora privo di sensi.
– Zeus non l’aveva pensata proprio così, d’accordo, la mia è stata diciamo… un’interpretazione. – L’odore è diverso da quello del mio solito cibo. Dolce-frizzante… Senza contare che il sangue vivo gorgoglia, zampilla, schizza… Sulle prime il nuovo sapore mi disgusta. Mi ha fatto ribrezzo per molto tempo… Poi mi sono abituato. E d’altra parte non c’erano molte guerre sul Caucaso, una trasferta proprio disagiata, bisogna dirlo! Dovevo adattarmi per forza. – Ecco, io ho sempre avuto la capacità di adattarmi! Una questione genetica.
Anche agli urli raccapriccianti di Prometeo mi sono abituato, a quelle grida inumane di dolore – non vi dico di notte, quando gli ricresceva il fegato! I primi tempi glielo divoravo più in fretta possibile e me ne volavo via sconvolto, a… a non fare niente, ma altrove! A cercare il silenzio, lontano da lui.

Otto cerchi intorno al ghiacciaio superiore, quattro circoli sulla punta più bassa, di nuovo otto sull’ultima cresta erosa dai venti… Una grande noia. Beh, almeno questa l’ho ritrovata, mi dico. Pure, non è la stessa dei bei tempi dell’Olimpo, quella noia piena, soddisfatta, che non chiede e non si muove. Questa è una smania che rode dentro… una noia vuota – o noia del vuoto?
Magari del vuoto nel mio stomaco, penso, e mentre sono lassù che osservo l’immobilità delle pietre e dei ghiacciai, il mio sguardo cattura qualcosa. Ma sì, sì, è proprio vero! Quale sorpresa inaspettata, certo un regalo degli dei! Allora non sono stato dimenticato! Ringraziando Zeus scendo gioioso, pregustando commosso il sapore della carogna che il disgelo sta scoprendo sotto la coltre di neve e fanghiglia sulle pendici più basse… E’ solo una vecchia lepre con una zampa spezzata, ma a me sembra più appetitosa di un turgido e tenero guerriero adolescente. – E poi quello che conta è il pensiero.
Al primo assaggio (pausa, mima un certo disappunto) mi dico che forse è soltanto un po’ troppo rigida, anche per le mie abitudini. Annuso con attenzione… L’odore è lo stesso, più o meno… vabbè, forse non era proprio morta fresca fresca quando è stata congelata – da due o tre giorni sarebbe la perfezione – … comunque il ghiaccio sembra averla conservata intatta. Aspetto che si scongeli un pochino. (sorridendo compiaciuto) Ritento. (esterrefatto ed impaurito) Non mi piace… non mi piace più!!! Non è possibile, adesso riprovo. Devo riprovare! (assaggia e sputa e tossendo) Ma ha un sapore ripugnante, disgustoso!… Grande Zeus, cosa sta succedendo?! Mi fa schifo! Avanti, ancora una volta! Ho la gola chiusa dal ribrezzo… Sforzati!!! Ma mi sta schizzando lo stomaco di bocca dalla nausea!!!
Niente da fare.
Mi allontano sconfitto abbandonando la carcassa della lepre alla terra. Fuggo inseguito dalle ombre del crepuscolo che si allungano cupe alle mie spalle, ingigantendo le montagne. – Ritorno al mio ufficio. Mi sento colpevole per aver rifiutato un dono della sorte… ma soprattutto, mentre volo lento e meditabondo verso la roccia ove è incatenato il Titano, ho paura di confessarmi quello che la mia pancia ha già capito.
Domani. Domani all’alba mangerai, ha sussurrato.
E così è stato: ormai avevo bisogno di immergere il becco nel sangue vivo e zampillante! Cibarmi del fegato di Prometeo, giorno dopo giorno, luna dopo luna, anno dopo anno… aveva fatto mutare i miei gusti. Non riuscivo più a mangiare le carogne. (disperato)
E ora come faccio?! E che farò, quando potrò tornare all’Olimpo?! Sono diverso, sono un altro! – Traaa-trraaaach- traaanquillo, stai tranquillo, cerco di rassicurarmi, è solo una traaaasformazione della pancia… Mi ripeto che in fondo è un bene… adesso, almeno, la fuga quotidiana dai lamenti di Prometeo ha uno scopo preciso: ora che ho bisogno di carne fresca da squaaaa-squaaaarch-squartare, devo esplorare il territorio in cerca di cibo!
Così comincio ad andare a caccia tutti i giorni. Con metodo. – Anche se rifiutavo di accettarla, la realtà sopravanzava le mie intenzioni: i fatti, le cose… mi apparivano sotto una prospettiva nuova, ed io spontaneamente cominciavo a collegarli e ad ordinarli secondo una diversa esperienza. – Ho subito imparato, per esempio, che a caccia è fondamentale non essere mai troppo presenti nella stessa zona, altrimenti la preda ti avverte e resta rintanata… ma quelle montagne erano talmente simili l’una all’altra! Le cime del Caucaso sono quanto di più brullo e meno interessante ci si possa augurare: quante volte mi sono ritrovato senza accorgermene a battere una zona esplorata solo poche ore prima, tanto è monotono il paesaggio!
E allora un giorno, per non distrarmi, mi sono sorpreso… come a contare – beh, non è che sapessi proprio contare, era piuttosto un sentire, un distinguere… – Contavo i colpi delle mie ali e contemporaneamente ho cominciato ad ascoltare i battiti del mio cuore… Un colpo d’ala, un battito del cuore, tre battiti, un colpo d’ala: ( a ritmo di musica) un-due-tre/un! un-due-tre/un! Quanti colpi del cuore, per un battito d’ali? Cuore, cuore, cuore, ali… ali… vento, cuore… – e… ed ho sentito il vento! Per la prima volta in vita mia, il vento che mi portava, che mi sosteneva, che mi sussurrava tra le piume!
Nulla era più come prima, le montagne non erano più monotone, né il panorama desolato, o il cielo troppo terso: io stavo VO-LAN-DO!!!
Sì, sì, lo so, mi dico, sto compiendo le stesse manovre di sempre, sto facendo esattamente le stesse cose, MA… io ora le… le sento! – Stavo assaporando un piacere, lo sentivo, un piacere diverso, che non aveva niente a che fare col cibo, né derivava dal riposo… un piacere che non nasceva soltanto dal corpo… (si tocca la testa, ma non sa definire la nascita del pensiero estetico, la descrive) qualcosa di completamente nuovo… una scoperta… una musica mai udita… Il piacere del volo, del volo in sé!
Un battito d’ali, e ancora e ancora un altro, e su! – Come il crescendo di una sinfonia: le mie ali come archi maestosi, il piccolo tamburo del cuore, e il vento con i suoi fiati caldi e squillanti… – Giù, verso quel crepaccio rossastro! Colore scuro, tonalità bassa e tenuta… e poi su, verso l’azzurro argentino del cielo, e avanti a volo radente a sfiorare le rocce, a spolverarmi le ali con bioccoli di nuvole basse! Io stavo GO-DEN-DO il mio volo!!! – E volavo, volavo, volavo, sotto il sole benigno, sugli zefiri sereni…
Acceleravo, bloccavo, piombavo in verticale e filavo veloce nell’aria azzurrina del meriggio, tra un lampo e l’altro del tramonto, nel chiarore della luna: per tre giorni e tre notti ho continuato felice a disegnare capriole nel cielo, a rocambolare inebriato nel vento, dimentico del mio dovere, di Prometeo e persino del grande Zeus. E la noia... la noia… non esisteva più. (si tocca la pancia, le braccia, la testa) Ero diventato un’Aquila! La mia trasformazione era compiuta.

E un giorno, mentre sono lì che mi libro, cabro, sperimento alcune picchiate clamorose… mi coglie l’uzzolo di volare più in alto. Perché? Forse per conoscere altre regioni del mio territorio… per vedere di più, più lontano! Per possederne di più. E’ un desiderio nuovo, che nasce nelle ali, mi percorre tutto e solletica dietro la nuca come un brivido dolce. Mi sento forte.
Salgo, salgo, salgo ancora, e mi sento sempre più leggero, mi sembra di diventare quasi parte del vento, scorgo i confini delle mie montagne, il mare nero che avevo trasvolato tanti anni addietro… e all’altra estremità un altro mare, e riflessa laggiù, un puntino in movimento tra le nuvole, la mia sagoma alata… Più in alto e in alto e in alto: sto diventando azzurro come il cielo e splendente come i raggi del carro di Febo, posso sentire le sue ruote stridere sopra di me, è meraviglioso! – Ma… che accade?! Le piume, attento! Stanno prendendo fuoco!!!
Per un micron non sono abbrustolito in una fiammata. Stavo per diventare uno spiedino stellare. – Ho perso i sensi, e solo la fortuna, il caso, ha voluto che una depressione mi risucchiasse in un nuvolone gravido di pioggia, che ha spento il fuoco e lavato la cenere dalle mie ali… Per tutti gli dei, com’erano ridotte! Malconce da fare pena, doloranti e deboli – ma sono riuscite comunque a riportarmi a casa.
Ero sconvolto, impaurito, e furioso con me stesso. Stupido, stupido, stupido! Dove volevi arrivare? Più in alto, più in là, dove?! Oltre! Ma sono cose da osare, non essendo un dio?!! – Volevo soltanto vedere più lontano… più… Più lontano?! – Un momento… come pronunciano gli dei nella loro lingua? Vedere più lontano… pro-meteor, più innanzi… Ma è il nome del Titano: Prométeo!!!
Dev’essere stato lui… Certo! Con quelle sue strane parole… mi ha fatto un sortilegio! Ma… allora… tutto questo forse non esiste… E’ solo il frutto di un incantesimo malefico, un’illusione, e io sono sempre lo stesso, lo stesso! Ah, ma gliela farò pagare!

Quella notte, una notte di tempesta terribile come la mia vendetta, mi sono avventato sul mio prigioniero con un gusto, una ferocia, un desiderio di annullarlo, di divorarlo pezzo a pezzo!… – Urla, maledetto, urla, non mi fai paura! Soffri abbastanza? Riesco a farti il male che vorrei? Urla, urla ancora! Sei un essere malvagio, volevi stregarmi, ma ora è finita, perché io ho capito tutto, e tutto tornerà come prima! Solo il timore di Zeus mi ha trattenuto dal finirlo – MA ho cercato di procurargli più dolore possibile. Potevo soltanto mangiargli il fegato, e quello gliel’ho roso sino all’ultima spugnosetta di sangue. Le sue grida si mescolavano alle mie invettive, al rombo del tuono, allo scroscio dell’acqua che si rovesciava inesausta dal cielo, e più la nostra roccia si trasformava in teatro di guerra e di sciagura, più lui urlava di dolore, e più io godevo e infierivo e inveivo… Ma ad un tratto, tra le urla e il frastuono della tempesta, percepisco qualcosa di incredibile… Ci dev’essere un errore. Non distinguo bene… Macché, hai sentito benissimo: ride! – Rideva!!! Lui rideva… più io lo maledivo e lo martoriavo, più lui scordava il dolore e rideva! Allora non ho capito più niente, ho visto rosso, rosso come il fiume di sangue che fiottava dal suo fianco. Ho cominciato a menare colpi scoordinati, all’impazzata, lottando contro le sue risa e la tormenta che mi sbatteva e mi scagliava contro la roccia… sino a che sono crollato al suolo, con la sconvolgente risata di Prometeo che continuava a rimbombarmi nella testa: Lui ha capito, che Aquila! Ha capito tutto! Non hai nemmeno cominciato a capire, povero sciocco! Ti sei nutrito di me! Niente tornerà mai come prima!!!

Il giorno dopo decisi di farla finita con le novità. Io sono sempre stato un avvoltoio e per tutti gli dei tale voglio rimanere! Mi riabituerò a mangiare come prima, è solo questione di longitudine, si sa che paese che vai… usanze che trovi. Spicco il volo, determinato, guadagno una quota dignitosa, guardo intorno per vedere se c’è da scovare qualche carogna… niente. D’accordo, ci vuole tempo, te ne sei scordato? – Mi dispongo dunque per piazzarmi lì, a piumeggiare immobile, nell’alto, come facevo in Olimpo… e cado. (comicamente disperato) Caduta a piombo! Verticale. Una piastra da stiro.
E’ stato allora che ho capito. Non si può tornare indietro. Aveva ragione Prometeo. – E poi anche questa storia del “capire”… Non poteva trattarsi soltanto di fusi orari! Comprendere era evidentemente collegato alla mia trasformazione, alla mia nuova natura… – non per niente ancora si dice “essere un’aquila”… – (sorride al ricordo) Avevo operato una deduzione. Il mio primo approccio all’intelligenza complessa. Sì, ero proprio diventato Aquila. Troppo a lungo mi ero nutrito di Prometeo. Troppe cose erano mutate: non riuscivo più a galleggiare immoto nel cielo, non riuscivo più a nutrirmi di cadaveri… e soprattutto non riuscivo più a fare a meno di lui, che pure era alla mia mercé.

Mi accovacciavo di fronte a Prometeo e lo fissavo per ore. Mi stavo abituando anche al suo aspetto, che cominciava ad apparirmi interessante. Quel craaanio così grande nascondeva saperi che mi incuriosivano ogni giorno di più, ed anche questo era uno dei tanti mutamenti che si stavano producendo in me, come la scoperta del piacere del volo… la curiosità. Ma adesso non mi opponevo più alle novità, che anzi mi eccitavano e mi mettevano di buon umore. Tutto ciò che era movimento mi rallegrava!
Quello che invece non cambiava era l’ordine di Zeus, e la faccenda iniziava a crearrrr-creaaaaarrrh-creaarmi qualche imbarazzo. Io avrei preferito assorbire in altro modo gli insegnamenti del Titano, nutrirmi delle sue parole, che avevo cominciato ad intelligere… e invece mi toccava rodergli quotidianamente il fegato! Ora mettetevi un po’ nei miei panni… Come si fa poi a chiedergli un favore? Per piacere mi spieghi questo? Mi racconti come va questa faccenda, com’è che succede questa cosa?… Forse Zeus si è scordato di noi, penso, e un giorno mi decido e con il rostro comincio a martellare la roccia in cui sono inchiavardate le catene del mio prigioniero.
Prometeo è sorpreso, mi osserva e tace, eppure scorgo un lampo di ironia nei suoi occhi, un risolino trattenuto che gli increspa appena le labbra. Picchio come un dannato, risoluto e sereno nella giustizia del mio proposito, la roccia scintilla sotto i colpi… Smettila, dice Prometeo. - Come, smettila? Ti sto liberando! – Piantala, non puoi… comunque grazie per l’intenzione. – Ma sei scemo? faccio io, continuando a martellare cocciuto e fiero, sino a che un urlo di Prometeo, potente e terribile come la prima volta, mi colpisce con la forza di un pugno e mi fa rotolare per qualche metro… giusto in tempo per schivare la folgore di Zeus, che si abbatte esattamente nel punto dove stavo scavando e ricompatta la pietra intorno alla catena.
– Te l’avevo detto, mi fa Prometeo.
– E tu accetti di rimanere incatenato per l’eternità?! domando perplesso, non appena riesco a riprendermi dallo spavento, è la seconda volta in poco tempo che rischio di finire arrosto!
– No, ma tu non puoi mutare il mio destino. E adesso mangia. Avanti, mangiami! – No. Non voglio! – Mangia, sono io che te lo offro!
Quel giorno mi sono reso conto di quanto nutrirmi di lui mi saziasse. Oh, certo, di tanto in tanto sentivo le mie budella ribellarsi, strepitare, pretendere, e allora fuggivo il più lontano possibile dal mio Titano, e cercavo di soddisfare l’animale che era ancora in me cacciando e sbranando qualche preda scovata con furia tra le pietre e gli arbusti delle montagne. Facevo a pezzi il malcapitato essere, straziandolo e divorandolo sino alla più piccola fibra, succhiandone il sangue sino all’ultima goccia… e poi me ne tornavo da Prometeo, che dalle piume macchiate indovinava il motivo della mia improvvisa sortita… e di nuovo gli scorgevo quel lampo malizioso e allegro negli occhi, quel risolino agli angoli della bocca.
Ma il suo essere cibo era un’altra cosa.
Il sangue del mio maestro racchiudeva e trasportava una qualità del suo essere: ogni beccata traduceva in me qualche preziosa parte di lui… – e ogni volta, dopo, avevo la sensazione che il colore delle pietre, o la trasparenza del cielo e tutte le cose intorno cambiassero in qualche misteriosa porzione della loro essenza – o forse ero soltanto io a mutare, ancora…

Ma come soffriva… Lo ripeto per chiarire eventuali malintesi: Prometeo non godeva affatto ad essere seviziato, e il tormento era perpetuo, altro che pene dell’inferno! Di giorno la ferita, lo strazio, di notte la tortura della riproduzione del fegato… una catena spaventosa che ormai mi appariva di totale insensatezza. Perché?!! Perché un individuo così pacifico e simpatico doveva subire un tale supplizio? Perché proprio io dovevo esserne lo strumento?!!
… E non avrei fatto meglio a morire fulminato, piuttosto che continuare ad eseguire gli ordini?!! – Devo farla finita!
Ma tutti e due sapevamo che dall’Olimpo un altro servitore sarebbe stato inviato a perpetuare il supplizio… e io non volevo morire, ogni fibra del mio essere voleva continuare a vivere, e a parlare con lui.
E un giorno gliel’ho chiesto: perché? Cos’hai fatto a Zeus?
Di nuovo quella luce negli occhi, di nuovo quel risolino divertito.
– Insomma, Prometeo, sei impossibile! Non c’è niente di divertente in tutta questa faccenda! – E’ che il re degli dei non ha spirito umoristico, replica lui. E ride.
– Scusa, sibilo seccato, fai ridere anche me, per piacere?
– Perché, sai già ridere? domanda lui, sorpreso e compiaciuto.
– So fare un sacco di cose, ribatto stridulo, ero proprio esasperato!, so anche provare pietà, se proprio lo vuoi sapere, e non so se avere più pietà per te che soffri o per me che non comprendo di quale gioco sia la pedina… Non voglio essere ricordato come quello che ha tormentato Prometeo!
– Grande madre di tutte le cose! Hai anche acquisito il senso del tempo! Lo sapevo che saresti stato un buon allievo. Bene, molto bene!
– Allora?!! – Che vuoi che ti racconti, sospira lui, è una storia lunga … Io e Zeus eravamo amici, lui teneva moltissimo ai miei consigli, non per niente sono chiamato Pro-meteor, colui che guarda avanti… Nella lotta di successione contro Crono ho previsto la sua vittoria e combattuto dalla sua parte … Poi sono tornato ad occuparmi dei miei esperimenti, a creare anch’io, pur senza essere un dio… e questo ha cominciato ad infastidirlo. Non vuoi una ricompensa? Perché non vuoi diventare una divinità, mi fa… come Amaltea, la vuoi una bella costellazione? Come dio saprai tutte le cose… Per carità Zeus, non ne parliamo nemmeno, sai che noia! Io la realtà mi diverto a scoprirla… non ambisco a sapere tutto una volta per tutte! – Se la legò al dito… Lo so, lo so, non è stato da me, è stata un’ingenuità imperdonabile. A lui piace solo essere adorato, mentre io sono uno spirito libero. Non parliamo poi di come rimase – malissimo, una vera e propria crisi di nervi! – quando con la creta riuscii a creare i primi uomini… esserini imperfetti ma promettenti, che purtroppo ha spazzato via con un diluvio… Ora però ci sei tu.
– Come sarebbe a dire?
– Lo so io…
– Sempre così, rispondete voi immortali! Non si può mai andare oltre il mistero, con voi! Perché non vuoi dirmi cos’è successo? Perché dall’Olimpo sei rovinato su queste rocce desolate?
– Non esiste il mistero, esiste l’oltre, ricordatene! (sospira) Ho riportato il fuoco alle creature umane contro il volere di Zeus. Ora lasciami in pace.

Ho riflettuto intere lune su questa storia. Non riuscivo a capire cosa potesse esserci di tanto offensivo nel fare il lucifero… sino a quando mi è balenato nella mente che doveva essere qualcosa appartenente ad una categoria speciale, all’Autorità.

In breve, ero diventato Prometeo dipendente, il bisogno di stargli vicino mi avvinghiava l’anima. Ogni giorno gli mangiavo il fegato, ed ogni giorno osservavo qualche nuovo sapere crescere dentro di me… o meglio, un’attitudine al sapere – essendo un’Aquila, le cose poi le imparavo anche da solo.
Adoravo la mia vittima, il mio Titano, desideravo servirlo… ma come si può servire un individuo legato mani e piedi ad una roccia?!!
– Magari distrraaendolo dal dolore, escogito un giorno. Potrei inventare qualcosa per distraaaar-distraaaarrrch-distraaarrlo… Senti come si lamenta… ma cosa posso fare?! So parlare… ma lo stancherei di più. So cacciare… no, non mi sembra il caso di insistere col sangue… So costruire un nido! Lui è un esperto di architettura, gli interesserà… No, troppo poco spettacolare… - Un momento… io so volare!!! E come so volare! Sì, volerò per lui! Eseguirò il mio volo-sinfonia, basterà solo adattarlo un po’, ridurlo per farlo entrare nel suo campo visivo… Prometeo! Ehi, Prometeo!!! Ascolta… guaar-guaaaarrrrch-guarrdami! Ti prego, guaarrdami! / Ha smesso di urlare… – Ascolta Prometeo: ora picchio il rostro sulla roccia… senti questo suono? Senti il ritmo? Sì, così… esatto… tieni questo ritmo!

Il percussionista esegue il ritmo di Aquila, e poi lo raddoppia, come se ora anche Prometeo battesse in qualche modo il tempo, possibilmente accompagnandosi con la voce e modulando suoni e richiami ritmati.

Mi seguiva! Ero riuscito nel mio intento, ero così emozionato! Ho volato per lui la mia sinfonia dei colori dell’aria e della terra, spiccando balzi, piroette, avvitamenti, picchiate… seguivo un disegno della mente, tracciavo linee e fantastici solchi nel cielo, accelerando e diminuendo… assecondando il ritmo che Prometeo continuava a darmi, dimentico del dolore, come inebriato, e gridava: Vola, vola in alto Aquila, vola ancora! E’ magnifico! Lo senti? Stai danzando! Danza, Aquila sapiens, danza! E’ arte! Stai inventando l’arte!
Sentivo il maestro fiero di me e io ne ero così felice, così felice che ho danzato sino al tramonto, sino a quando sono stato certo che non sentisse più il dolore.
Da allora ogni giorno ho danzato per lui.
E cantato, quando la mia voce ha cominciato a modulare più di tre note… e narrato, quando la mia memoria è stata in grado di ricordare e rielaborare i miei saperi.

E un bel mattino, chi ti arriva? Eracle!
Ufficialmente per affari, prima di andare a catturare Cerbero, ma è evidente che il suo arrivo in una zona così periferica come il Caucaso non può non avere uno scopo preciso. Prometeo infatti lo sapeva già, lo attendeva. Da molte lune mostrava un aspetto più sollevato, incline al sorriso… ogni tanto però lo sorprendevo a fissarmi pensieroso. E quella mattina mi fa: Va’ via, Aquila, è arrivato il tempo di dirci addio. Qui sei in pericolo.
Avendo imparato a fidarmi della sua preveggenza, so che dovrei seguire il consiglio, ma non riesco a salutarlo per sempre. Abi-ab-bbiamo traaaa-trraasch-traascorso tanto tempo insieme, balbetto, non posso andarmene proprio adesso!
– Adesso che? fa lui, burbero, e io: Non è giunto il momento della tua liberazione? – Bene, ora sai anche prevedere! mi sfotte - gli è sempre piaciuto sfottere… - gli occhi gli brillano di arguzia, ma non insiste più per farmi partire.
Così, quando Eracle raggiunge la cima della nostra vetta, ci trova uno di fronte all’altro, a conversare delle stagioni e della divisione del calendario. Immaginatevi il suo stupore!
In sua presenza mi sento sopraffare dalla timidezza, non so dove mettere le zampe, io sono un sostenitore accanito di Eracle, per me è un semidio clamoroso! Lui invece mi guarda malissimo… mi rendo conto che ai suoi occhi sono soltanto lo spietato emissario di Zeus, il padre suo – che invece, assicura, è tanto pentito di aver inflitto tutti quei tormenti a Prometeo! –
(sarcastico) Sì, si dice sempre così, dopo. Chissà quali pene avrà sofferto tra le delizie dell’Olimpo, in tutti questi secoli! – Eracle però non c’entra, mi ripeto, lui è uno perbene, un vero eroe, e io lo ammiro infinitamente, è colpa sua ciò che combina il padre? Mi piacerebbe tanto potergli parlare, spiegarmi…
Ma un’occhiataccia di Prometeo mi impone di allontanarmi senza fiatare, mentre il colosso spezza finalmente le sue catene. – Ti ringrazio, valoroso figlio di Zeus, lo apostrofa, e rendo grazie anche al padre tuo per la sua benevolenza… Eehm… Adesso immagino che vorrai ripartire… mi dispiace, ma non so proprio come onorare l’ospitalità: capirai, sono secoli che sto qui incatenato, non ho potuto organizzare niente per il benvenuto…
Chiacchierano un po’, Eracle per conto di Zeus invita Prometeo in Olimpo… ma di me neanche una parola. Alla fine imbraccia la clava, si accomiata e si avvia ad ovest, mentre io me ne volo dalla parte opposta un po’ depresso, uscendo allo scoperto… Neanche una parola per me, neanche un saluto, dopo tutto questo tempo!… – E poi è stato un lampo, non so dire cosa sia accaduto: un dolore lancinante all’ala sinistra, l’urlo di Prometeo, o forse prima l’urlo e poi la freccia, destinata al cuore… Precipito. Quando riprendo i sensi, c’è solo Prometeo accanto a me, che medica la mia ferita. – Non potrai più usare le tue belle ali, mormora afflitto, ma ti insegnerò io come fare. Sopravviverai.
Eh già… Era quello l’unico messaggio per me da parte di Zeus: una freccia. Per cancellare con me, il servitore obbediente, il ricordo fastidioso della sua ingiustizia. Se non fosse stato per l’urlo di Prometeo, che come al solito mi ha fatto prendere un accidente e sbandare, la freccia avrebbe trapassato il cuore. Mi ha salvato la vita / l’unico che avrebbe avuto ottimi motivi per volermi morto! Comunque anche da questo sangue, il mio per una volta, ho imparato qualcosa. Ho scoperto che cos’è il dolore… ho assaporato il miele dell’amicizia… e ho avuto il battesimo della politica.

Adesso però, finalmente, eravamo LI-BE-RI! Prometeo sciolto dalle sue catene, io ufficialmente defunto… Adesso potevamo abbandonare quelle montagne aride e uggiose, via da tutti quei ricordi di infelicità!
Orizzonti infiniti si schiudevano dinanzi ad ogni desiderio, ma io non sapevo che farmene della libertà, io desideravo soltanto servire il mio Titano. A dir la verità, per lui non significava niente avere un servo, era importante per me: non avere più padroni era una sensazione così strana!… A tratti di allegria, di leggerezza, e allora cantavo, ridevo, e danzavo – anche se non potevo più volare… – ma anche di spaesamento, di vertigine… di solitudine.
L’unica vera passione di Prometeo era scoprire il perché delle cose, nulla lo interessava e divertiva di più di quell’ininterrotto chiedere, domandare, cercare e sperimentare… Ma anche lui, che conosceva così bene la libertà, aveva bisogno di qualcosa, di non sentirsi solo di fronte al cosmo, unico nel viaggio della conoscenza: aveva bisogno di condividere, e di lasciare la sua eredità... Per questo c’ero io. E siamo rimasti quassù, siamo rimasti legati.
E come aveva fatto con i primi esserini di fango, che senza di lui si erano estinti… mi ha insegnato ad usare… gli artigli, e poi le mie dita piumate… e modellavamo, e costruivamo… vasi, utensili, navi, palazzi… e visto che non posso più volare mi ha… rimodellato. Eh sì, ora ho un aspetto diverso, non c’è che dire. Oppongo il pollice. Cammino diritto. Cuocio il cibo…
A proposito di cucina, sono riuscito finalmente a farmi narrare la storia del fuoco! Era proprio come avevo immaginato a suo tempo: questione di lesa maestà! In sintesi, tra due offerte sacrificali, su consiglio di Prometeo, gli uomini avevano indotto Zeus a scegliere il sacco con le ossa, astutamente nascoste sotto uno strato di grasso… Un trucchetto, insomma, una specie di scherzo, di quelli che quando riescono bene – tipo il cavallo di Troia, per dirne una – l’autore si guadagna fama imperitura… Il re degli dei, invece, reagì senza un briciolo di senso dell’humour! Come si sono permessi!!! Si comincia così, sbraitava, questo è il germe pericoloso dell’indipendenza! – E ha punito l’umanità privandola del bene più prezioso: il fuoco.
Immaginate cosa sia una notte senza luna perenne, il buio totale, l’oscurità che tutto avviluppa e stringe la gola in una morsa d’angoscia?! E’ quasi impossibile da concepire: io ho voluto sperimentare in prima persona, ed ho provato ad accecarmi, a privarmi della luce bendandomi gli occhi. – L’orrore delle tenebre è indicibile. Forse ci si può adattare anche al buio, ma il terrore improvviso di non poter più rivedere i colori… è come acqua che si insinua nei polmoni, e preme, e spinge, e soffoca… Mi sono strappato la benda dagli occhi temendo di uscire di senno, in preda alla paura folle e assoluta di non poter più rivedere la luce… - (irritato) Ma che razza di punizioni infligge, questo re degli dei!!! E’ un sadico! (cambia tono) – Prometeo non ha resistito al tormento degli uomini. Ha rubato un po’ di braci dal carro di Febo, le ha messe in una canna, o in un gambo di sedano, e ha riportato il fuoco all’umanità. – E poi è successo quello che è successo… una notte sono andati a prelevarlo a casa, l’hanno condotto qui e incatenato alla roccia. – Il mio maestro non mai voluto rivelarmi se avesse previsto anche la sua punizione. Io credo di sì, che abbia previsto il supplizio, ma anche la gioia degli uomini, se con il fuoco avesse donato loro la vita una seconda volta… e ha scelto di sfidare Zeus. Scientemente, perché il tempo per gli immortali è soltanto un battito di ciglia… – O forse anche per lui il tempo è uno spazio dell’anima, e mille e mille anni di tormento valgono meno di una notte che si incendia di festa e resta scolpita per sempre nella memoria della specie?
Il fuoco, la luce… Il calore, fonte di vita e di distruzione. E’ il calore che fa crescere il pulcino nell’uovo, è il calore che muta l’ordina degli elementi. Nel calore c’è la differenza, e nella differenza c’è la possibilità della vita. Perché la differenza è movimento – e libera l’energia.
Ma devo stare attento. L’universo è in bilico, tende verso la vita come verso la morte: nulla è già scritto. (angustiato) Ed io non sono il Titano, non riesco a prevedere sino all’ultima mossa, sino all’ultima reazione di quello che genero alla ricerca dell’indivisibile, dell’ultima frontiera…
(sorride) Da quando l’ho capito, mi sono abituato a riconsiderare la possibilità del Caos, accanto a quella del Fato. Confesso che tale eventualità, sulle prime, mi ha gettato nello sconforto più atroce, ero di nuovo solo nel cosmo, in balia del vuoto! Precipitavo in un buco nero che risucchiava la volontà, che mi toglieva l’Anima… – ma poi, piano piano, ho recuperato tutti i miei perché, ed ho ricominciato. Ripensando a Prometeo incatenato, alla storia generosa del mio Titano, ho anche compreso che è folle pretendere l’ordine assoluto, perché l’immobilità è la fine di ogni energia dell’universo – Anzi… ora, ogni tanto, permetto che qualcosa scivoli fuori posto di proposito, anche se la disarmonia mi indispettisce: e quando scorgo qualche improvvisa variazione in un piano stabilito, non intervengo più per correggerla, anche se mi inquieta… la lascio procedere, ed osservo con attenzione. E’ il sistema che ho escogitato per educare, per limitare la mia mania di “sistemare” tutta la realtà…
Un’offerta al Caos. Un piccolo sacrificio per propiziarmi la parte vitale della sua essenza ed evitare che esso si scateni nella sua forma di furia devastatrice, magari esigendo atroci, finali olocausti. (con un sorrisetto trionfante) E vi dirò che proprio studiando le insidiose porzioni di realtà che sfuggono al mio controllo ho scoperto ogni volta immensi cancelli spalancati su nuovi mondi inaspettati!

Con questo gioco sono riuscito a regalarmi vette di soddisfazione assoluta. Soprattutto nell’arte. – A dir la verità è stata proprio l’arte ad insegnarmelo, facendomi assaporare per la prima volta i piaceri dell’inganno consapevole... Mostrandomi la capacità del Caos di generare l’armonia. E’ sempre questione di trasformazioni, di produzione di mutamenti di stato, che nelle condizioni adatte generano qualità differenti che si condensano in nuove nature…in forma artistica! … Ricordo la prima volta che Prometeo ed io con l’argilla, l’acqua ed il calore producemmo la terracotta! Una statuina deliziosa. E quando inventammo gli smalti?! E la forgia del ferro in mille forme, e arnesi, attrezzi… ed armi potenti. (tossicchia imbarazzato) Non sempre la ricerca è al servizio del bello… Forse l’universo è stato impastato col Caos. – Caos… caso…. e Fato! E dentro, secondo me, c’è il nostro lungo racconto, in mezzo ci sono soltanto le nostre parole, la nostra memoria di uomini.

Sì, la vita con Prometeo è stata una continua, eccitante scoperta.
A volte mi chiedo se verrà mai un tempo in cui l’uomo vedrà tutto e saprà tutte le cose… - Eh sì, sì! Lo so che ho appena detto il contrario, di aver imparato a non pretenderlo, ma è la mia natura di rapace che ancora urla e spinge da dentro, e non sempre riesco a domarla!
Ho tanta nostalgia del volo… E’ una cosa che sogno spesso di fare… Ah, quelle belle planate a sfiorare la cima gemmata degli alberi nell’aria fresca della primavera, e poi su, su, nell’azzurro! – Ma Prometeo ha detto che ci si può riuscire. Un po’ di tentativi li abbiamo fatti, sempre con delle protesi, però… e una volta il ragazzo cade perché si squaglia la cera, un’altra per poco Leonardo, l’italiano, non ci rimette le penne anche lui – non ha mai voluto che si sapesse in giro, ma ci ha provato, altroché se ci ha provato!
Protesi… è già qualcosa. Io però vorrei tornare a volare libero nel cielo! Così come sono ora, non in sofisticate gabbie di plastiche e metallo... E ci riuscirò, ci riuscirò, certo, gaaaar-gaarrrch – sgraaaac! – gaarantito!
E’ possibile, perché le leggi della fisica non lo proibiscono più… in assoluto. Come mi disse quella volta il mio Titano, una delle prime volte che parlammo? Non esiste il mistero, ricordati, esiste l’oltre! (come riascoltando un’eco) L’oltre! L’oltre… (oppresso da un’angoscia improvvisa) Quanto mi manca la tua voce, maestro! Io non ho chiesto di imparare a questo prezzo! (confessando disperato) Io non volevo perderlo, non volevo io, non volevo, ma lui pretendeva, pretendeva che continuassi a mangiare! Un pezzetto per volta. (come un bambino) No, basta! – Mangia! … E quando mi sono accorto che senza l’incantesimo di Zeus le cose non funzionavano più come prima, che non avveniva più nessuna ricrescita … era troppo tardi!
– No, non voglio, gridavo, ch’io sia inghiottito mille e mille volte nelle viscere della terra! Ma lui era irremovibile. Lui, Prometeo, colui che guarda avanti, sapeva che io ero destinato a sopravvivere. Il mio Titano… Aveva previsto la propria estinzione. E ne ha scelto il modo… Non è stata colpa mia!
– Prendi, diceva, non puoi più farne a meno… e neanch’io, sussurrava, sempre più debole, posso più farne a meno…

Ora lui non c’è più. E’… finito. Ma sarà sempre dentro di me.

BUIO

– Sgraaaaaach!

FINE