LA CINTURA DI IPPOLITA

di

MARIA LETIZIA COMPATANGELO





Zona blu notte. Ippolita è seduta su un trono, con un mantello di pelle di montone, un’aria intensa, uno sguardo millenario, stanco ed allo stesso tempo vivissimo


Dormire. Vorrei solo poter dormire. (chiude gli occhi) Sognare… Sì, sì, sognare: il profumo penetrante del muschio, e l’odore caldo del mio cavallo, il ritmo del suo cuore nel galoppo… lo posso sentire, sotto di me, tra le mie gambe, il petto che si gonfia, i muscoli che spingono, gli zoccoli che battono tatatàm … tatatàm… tatatàm… Tutt’intorno, negli occhi, le lame rosse del crepuscolo sull’orizzonte… Ecate alta sulle nostre teste veglia sul buon ritorno. A casa, compagne mie! La caccia è stata propizia, i riti sono assicurati, le dispense impinguate… e sono solo giorni di godimento quelli che ci aspettano… – Il torneo… la sfida… e notti e giorni, e giorni e notti di sesso e di maschi potenti…
No! Basta. Questo sogno l’ho già fatto migliaia di volte. E finisce . Finisce sempre. – Certo, tutti i sogni finiscono, svaniscono, svaporano… Ma poi lasciano il campo alla realtà!
Morire. Non essere più. Ma proprio più! Pi-u. Chiuso. Mai più. Niente sogni, nessun ricordo, fine dei rimpianti. Non ho paura della fine. Ho vissuto, io… a lungo… tanto… appieno. La vita mi ha attraversata in ogni fibra: negli occhi, nella gola, dentro la pancia, nel sangue… il mio corpo è stato il suo regno, il suo inno di vittoria, il suo dominio! Ora il reame è deserto, ogni canto si è spento… Ma è stato grandioso. – Ho vissuto cose io, ho assaporato giorni io, che… Ho visto millenni di albe sulla terra, di stelle nel cielo, di tramonti sulla storia e sulle cose… ne ho ancora pieni gli occhi. Sì, ne ho avuto abbastanza, più di quanto nessun altro essere potrà mai desiderare. – E allora basta, d’accordo, perché no?!! (imprecando) Perché non posso finire anch’io? Magari su una bella costellazione lassù?! Ci hanno messo di tutto, cani e porci, e capre!… Poteva avanzare un posto anche per me, no?! – No. Eh no. Troppo semplice (di nuovo imprecando) A chi serviamo noi?! A chi servo ancora io?!! (le scivola il mantello di pelliccia) Guarda là, com’è ridotto… Almeno una veste meno sdrucita! (si guarda intorno) La bella selvaggia vostra sorella! Io non sono una zotica primitiva. So cavalcare, so cacciare, so scuoiare la preda meglio di voi ma non sono una zotica primitiva. Io sono la regina! Ricordatevelo bene, tutti! (Prende una bottiglia, toglie il tappo, beve. Alzando il braccio, fa ancora scivolare il mantello. Borbotta.) Quella cintura! Perché ho accettato di privarmene, di… spogliarmi del segno del mio potere?… Sciocchezze! Sarebbe stato solo un sacrificio temporaneo, se... – Io volevo solo far sapere che da qualche parte sulla terra, almeno da noi, sulla terra, era stata e forse era ancora possibile una vita diversa! Era mio dovere tentare, l’ultima possibilità! Ma lo capite? Se Eracle il valoroso, se Eracle il più grande degli eroi, l’avesse testimoniato, forse… Per questo ho accettato di donargli il cinto! – Ma tu, Era, non l’hai permesso. Perché ti sei messa in mezzo, aizzandogli contro le mie compagne? Lo sai che noi serviamo la trivia, la tre volte bianca, la dea dai denti di lupo grondanti di sangue, la dea della notte senza luna… cosa c’entravi tu, madre gelosa e insicura dell’ultima generazione? Quando una accetta di fare la sposa del re degli dei, non può farsi venire un attacco isterico ad ogni infedeltà coniugale! Avevi ragione tu a non fidarti… Uhhh, quante volte dovrò sentire questa storia!… Sai come suona? Beh, è tutto “senno di poi”, il famoso, ineffabile, vomitevole “Hai visto? Te l’avevo detto io!” – Se tu invece mi avessi lasciata tentare… Innamorata io?!! Sedotta dalla sua fama? E di chi? Di un eroe in disgrazia, senza fortuna e senza patria, condannato a soddisfare i capricci di quello stupido villano, di quell’infido assassino di Euristeo? – D’accordo, ammetto che mi è piaciuto subito. Insomma… uno di quella taglia non va in giro in pelle di leone, portando sulla fronte quel marchio di semidio sventurato, senza suscitare un minimo di reazione. Così, visto che avevo comunque stabilito di concedergli il cinto… mi sono presa la clava.

MUSICA Ippolita va nella zona rossa.
Poooi… avremmo parlato. Nulla giova meglio alle relazioni di un clamoroso appagamento dei sensi. (girando su se stessa sempre più veloce, come una tarantolata) - Corri, cavallo, corri! Rampa puledro, sgroppa! Artiglia leonessa, e guarisci le mie ferite con la tua lingua di fuoco! Sibila, serpe del desiderio, e fai ardere il cervello con i tuoi morsi! Soffia, tempesta della passione! Insieme abbiamo varcato tutte le frontiere del piacere, più e più di una volta, io stretta tra le sue braccia, lui avvinto dalle mie gambe, io placata dalla sua forza, lui posseduto dal mio ventre, ebbri e deliranti l’uno dell’altra abbiamo conosciuto la perfezione dell’appagamento… – Certo che l’avrei lasciato andare! Lui era già segnato, destinato al sacrificio da un altro disegno. Ma prima sarebbe servito al mio! (si blocca di colpo) E per questo doveva restare intero! – Ma cosa accade? Chi urla nel cortile della reggia? Le mie compagne? Tradimento… Eracle, no!!! (delusa) E’ fuggito, terrorizzato, rubando la mia cintura per quell’isterica viziata della figlia di Euristeo. Al suo posto, sul candore del mio corpo, un fiore rosso, profondo e insanguinato…

Ippolita va nella zona bianco lunare
Il compianto fu generale. Il lamento funebre corse ai quattro angoli della terra. Eracle , scoperto l’inganno di Era – un po’ tardi, povero cocco, ma lui era fatto così – ne fu addoloratissimo. La pira funebre e le esequie grandiose, degne del mio alto incarico, non avevo proprio niente da recriminare. Una fine gloriosa. Imprevista in quel modo, ma tant’è… prima o poi tocca a tutti, no? – E invece… Fu allora che mi accorsi dell’errore.
Ma sarà stato un errore? Una smagliatura nel tessuto del tempo? Uno iato tra il battere e il levare, il raggio di una dimensione parallela insinuato tra le pieghe delle ore, a fare da specchio e riflettere in eterno la mia sorte, immutabile…
Ma no! Se fosse stato veramente così il mio destino sarebbe rimasto fisso in questo o in quell’attimo… E invece di cose ne sono successe, da allora, altroché se ne sono successe, e quante!!!
Solo mi sono resa conto di non poter morire.

MUSICA
Ippolita siede, dialoga con la giovane musicista (o con una giovane spettatrice) parlandole come una maestra alla discepola.

Ascoltami, figlia. Tu dici che l’allenamento è troppo duro per un giovane cuore ed un giovane corpo. Ascolta bene. Non sei obbligata. Non a tutte è chiesto di governare. Si può vivere felici accudendo a se stesse e badando a più piccole cose. Ma per chi voglia diventare una vera figlia della Dea… occorre dimostrare di essere degne della sua benevolenza.
Il suo potere è grande, sale dal ventre della terra: lei ha danzato con il serpente ed ha diviso il cielo dal mare, lei ha generato la luna e gli animali e le piante, lei fa grondare il sangue che dà la vita, lei è la Grande Madre che ride e scuote le montagne. C’è stato un tempo, un lungo, lunghissimo tempo in cui tutti si inchinavano a lei con rispetto e la veneravano con gratitudine: i campi erano inondati dall’oro dei raccolti abbondanti, non esistevano la carestia, la diplomazia e la guerra… – Ora nuovi dei irosi popolano il cielo, e noi dobbiamo difenderci. Noi siamo le sacerdotesse della Grande Dea. I nostri compiti sono sacri. E ti sembra gran cosa allora imparare il calcolo e la medicina, la musica, la corsa e il volteggio, o saper cavalcare, cacciare e maneggiare l’arco?
Tu mordi il freno, la disciplina ti annoia e il tuo animo ribelle vorrebbe correre libero sulle montagne e nei boschi, a nutrirsi del cuore dei leoni e del midollo di tigre ed orsi… Ma con chi sarai? Per chi vivrai? Che scopo avrà la tua esistenza? Tu sei del nostro popolo, Pentesilea, sei legata a noi e noi a te. E tuttavia sei libera. Nessuno può costruire a forza la sapienza , come non si può inculcare l’ardimento o infondere la saggezza… ma queste sono le doti che una vera figlia della Dea deve possedere per poter guidare le altre. – Perché il tuo viso si illumina e rabbuia come un giorno di fine estate, attraversato da cupi temporali ed improvvisi arcobaleni? Cosa divide il tuo pensiero? - Dovresti essere lieta, sei la falce di luna leggera nel cielo, la tre volte bianca, l’alba nascente dell’umanità, sei la sfera intatta della vita e della morte, il canto dell’allegria e della speranza, sei la giovinezza del mondo! Tu sei figlia e sei sorella – hai ali per volare, sesso per generare, piede per danzare, mani per insegnare, occhi per governare, cuore per… amare… Ah, l’amore! Perché no, l’amore? Ma dovrai imparare a conoscerne i colori, a scegliere… e separare. – Verrà presto la festa del nuovo anno, e allora forse capirai. Sentirai l’odore del toro scalpitante e sentirai le tue gambe fremere, e i muscoli scoppiare mentre il popolo urla e applaude e canta… e non saprai trattenerti dal saltare! Ci siamo passate tutte. Mi sembra ieri! Il piede saldo sulla terra liscia dell’arena avanza veloce, pesta prepotente, batte e su! In alto! Più in alto delle altre compagne, leggera nel sole! Volteggiando sul dorso della bestia inferocita! I capezzoli dritti contro l’aria, piccole gocce d’ambra in una coppa di latte immacolato, ubriaca della sfida con la forza, sarai ansiosa di sperimentare la tua abilità, e alla fine sudata, eccitata e vincitrice potrai immergere le mani nel sangue caldo del toro e berlo dalla coppa riservata a quelle che hanno saputo compiere la prodezza, soltanto alle vere figlie della Dea! Allora capirai. E capirai che ciò che è fatto non si può disfare.

Pausa. Ippolita va nella zona nera.

Andò proprio così, come avevo predetto. Almeno sembrò che andasse così, in principio. Dopo la festa di primavera diventò la più brava, la più entusiasta, la più audace e devota… E invece non aveva veramente capito. Cercò di mutare il corso delle cose, e fu ben altro sangue quello in cui immerse un giorno le mani. Il sangue del suo amato. Non poteva abbandonarlo e non riusciva ad amarlo come le nuove leggi dei maschi imponevano, come lui le chiedeva. Povera, amabile, tormentata Pentesilea… Aveva paura di tradirci abbandonandosi al suo desiderio di normalità, di sottomissione, di fuga in un altro mondo. Temeva se stessa, cominciò ad odiare ed impazzì. Che la Dea ci salvi dalla fede dei fanatici! Pretendeva di riportare il nostro popolo al tempo delle antiche cerimonie, quando al posto del toro… (sorride suo malgrado) c’era lui, il giovane re, il campione… (si scuote con decisione) –- La fine di Achille non giovò affatto alla nostra reputazione. Si cominciò a dire in giro che storpiavamo… e mangiavamo? … i bambini – solo i maschietti, s’intende – e cominciarono soprattutto a… (non trova le parole adatte) a trasformarci, in un certo senso, sì, come delle chimere, o dei draghi: (brutale) esseri diversi e pericolosi contro i quali ogni eroe che volesse farsi un nome e diventare famoso poteva andare impunemente ad esercitarsi. – Credo che i nuovi vincitori abbiano scientemente teso a dipingerci come dei mostri sanguinari, contro i quali tutto è permesso, perché la licenza e il disprezzo ammessi sono totali. – E allora sapete come succede… ti tocca fare il mostro, non ti piace, non lo vuoi, ma alla fine ti rassegni – no, non è che ti rassegni, ti imbestialisci dalla rabbia! E cominci a recitare la parte oltre e meglio di quanto il ruolo richieda: perché vuoi vendicarti.
Anche il nome del nostro popolo fu oggetto di una deformazione infame.
(alterandosi via via) Noi, le sacerdotesse della Triplice Dea, della Grande Madre… (con le mani fa segno di abbondanti tette da tutte le parti) non so se mi spiego… cosa vanno a stabilire, in nome della loro cultura, della loro lingua… (sprezzante) dell’etimologia?! Che ce ne manca uno! Anzi no, che ci bruciamo il seno per tirare meglio con l’arco!!! - Veramente non c’è limite alla mancanza di, di… ma anche di semplice buon senso!… Avete mai provato a “tirare meglio” con l’arco… con una cicatrice grande così, roba da non poter nemmeno tendere il braccio?!! (Ippolita ha un istintivo moto di orrore) Beh, secondo loro è questo che significa amazzone. Noi, le Donne-Luna, avremmo dovuto diventare per tutti, nei secoli dei secoli, le mutilate, le non madri, le nemiche di noi stesse. Come si può inventare un’assurdità, una cattiveria del genere? Ma non ci siete riusciti! No, non completamente, non avete mai veramente vinto! (triste) E invece è successo. Non fu subito chiaro, non si trattò certo di una questione di un giorno… – Il nostro apparire aveva sempre suscitato rispetto, cordialità… ammirazione. Un tempo, quando maestose a cavallo attraversavamo in formazione le contrade straniere, la vista dei nostri scudi lunati era fonte di gioia e di preghiere alla Dea… – Da lontano ci correvano incontro cantando per offrirci sacra ospitalità, recando acqua di sorgente e frutti della terra per il nostro ristoro… Poi, a poco a poco, non venne più nessuno. Procedevamo silenziose, in processione solitaria nelle vaste distese, attraverso borghi un tempo ospitali… e intorno a noi solo timore, ostilità, terrore.


MUSICA . Come un interrogativo.

Cosa? Il sacrificio umano?
Ma quando mai, che sciocchezza, quella fu la povera Pentesilea che…

MUSICA. Di nuovo come una domanda, insistente.

Solo questo interessa? Non di centinaia di migliaia di anni vissuti in pace?

PAUSA. La MUSICA tace, Ippolita ne approfitta per insistere.

Non vi piacerebbe sapere come veniva amministrato il nostro regno quando si estendeva sino ai confini della terra, dal caldo mare dell’Asia sino alle gelide coste delle Ebridi? - O se vi raccontassi di quando, in cento mesi e cento raccolti, celebravamo i misteri del grano e del pane?…

MUSICA. Di nuovo come una domanda, ma più impaziente. Ippolita sorride, tra il rassegnato e il malizioso.

Ma siete morbosi! Famelici, assetati di sangue… e di sesso … (cerca ancora di sottrarsi) Io veramente non vorrei… non amo ricordare quei tempi, no, non perché li disapprovi, ma perché mi ricordano …

MUSICA. Riprende dall’accordo precedente, con la domanda, e poi si sviluppa in un motivo autonomo, ritmato, frenetico, ed accompagnerà tutto il racconto di Ippolita, che sulle prime tace, come raccolta in sé e nel ricordo, poi, quasi automaticamente – è la musica stessa che la obbliga al movimento, come un richiamo irresistibile – comincia a saltellare prima su un piede, poi su un altro, come un uccello. Ride.

La danza delle pernici! Beh, non è che fosse proprio così… – provate ad immaginare cinque file di bianche fanciulle… dieci e dieci e ancora tre volte dieci… adornate di piume e ghirlande fiorite, saltare e incrociare i loro passi leggeri, a formare splendide allegorie di fiori e di piante, di animali e di mostri meravigliosi… Per lei, la Grande Dea nella sua forma di Ninfa d’amore! – Così sarebbe riemersa dalle tenebre con il giovane toro di primavera, e allora io, la regina, avrei cavalcato in piedi e preso come sposo il vincitore tra tutti i pretendenti… (Ippolita si trasforma, ora è la Regina dell’età felice)
E’ tempo! E’ giunto il tempo della vita nuova! E’ giunto il tempo del nuovo re!
Già le sacerdotesse hanno predisposto i riti e circondano il campo e si aggirano fiutando l’aria densa come leonesse in caccia…
Che siano chiusi i recinti! Che la sfida mortale dei pazzi combattenti per l’amore della regina abbia inizio! Uno solo dovrà essere il vincitore!
Il cuoio teso dei tamburi si consuma e rimbomba sotto i colpi inesausti di mani frenetiche… ancora, e ancora, ora dopo ora, minuto dopo minuto, ancora… sino all’ultimo rantolo dell’ultima agonia. Il ferro del vincitore cade nella polvere. E’ finita. – Che la festa cominci!!! E’ ora che tutto ha inizio! Offriamo al campione la coppa ricolma di idromele! Che l’ebbrezza del nettare si aggiunga all’ebbrezza del sangue! Dentro il sacro cerchio le sue membra potenti laviamo e massaggiamo, dolcemente carezzandolo con unguento di malva e vite rossa.
La fronte, le guance e le palme tingete con la nobile porpora, dono dell’edera tenace, sì, così… è un dolce dovere essere gentili con lo sposo della regina… La sua pelle tesa sui muscoli guizzanti crea seducenti chiaroscuri che invitano le vergini al sogno confuso di desideri inappagati, mentre le donne cantano, e sfregano e molciscono, ridendo alla promessa delle interminabili notti di piacere che verranno…

Una luce solare splendente avvolge Ippolita, ora al centro della zona rossa, maestosa e potente come una madonna in trono, avvolta di porpora e gioielli.

Oh, se giunsero, quelle notti e quei giorni di sesso e di godimento! Il piacere si percepiva tutt’intorno come una qualità palpabile dell’aria, un polline che tutto inseminava. – Come vorrei riuscire a far sentire, a farvi rivivere la stagione d’amore del re d’estate! Era bene, era bello ed era sacro. Ed era tutto un popolo a seguire la propria regina nell’isola della gioia! Ogni strada, casa, palazzo, il bosco intero echeggiavano di richiami e di risa, di grida acute e di sospiri che si acquietavano tutti, sempre, in una dolce, sommessa nota di appagamento.
A sera si moltiplicavano i giochi e le feste, i canti ed i racconti sotto le stelle, seduti in cerchio ad onorare la Luna, che due volte rinasceva su quel tempo spensierato! Con le dispense piene e i fienili stipati di foraggio per le bestie appena sgravate la felicità riempiva l’aria di lodi alla Dea, mentre nei campi ancora induriti dal freddo appena trascorso i teneri germogli cominciavano ad occhieggiare verso il cielo, salendo lentamente dalla nera terra verso il loro destino di spighe orgogliose e d’oro chiomate!

Pausa.
MUSICA. Ripete l’interrogativo. Ippolita cambia tono, decisamente meno idillico ma ugualmente trascinante.

Sino alla notte del solstizio…

MUSICA, come un tormentone

Ho capito, ho capito, il sacrificio! E un momento, ci sto arrivando… – Allora… l’allegra vita da passeri lussuriosi andava avanti per un paio di mesetti circa, sino al solstizio d’estate, sino a quando (le affiora un sorriso di gioia quasi feroce) altri semi, piantati nei nostri ventri, non fossero stati saldamente innestati nella carne e nel sangue. Sangue che aveva bisogno, che aveva sete di sangue sacro da offrire alla Dea.
E anche questo era bene, era buono… e bello. Il re sarebbe diventato un nume protettore del popolo, un destino prestigioso di cui sembrava ben contento. Più di una volta qualcuno di loro mi ha chiesto di essere accompagnato in visita al recinto dei capi… nel senso letterale di capi (si prende la testa tra le mani con gesto esemplificativo), il posto insomma in cui sotterravamo le teste coronate di mirto dei re defunti. E mi dicevano: io vorrei stare qua, oppure : a me fammi mettere così, verso il sole di mezzogiorno… oppure mi raccomando, lo sguardo dev’essere a est, così posso profetare meglio circa eventuali invasioni, eccetera eccetera.
Erano molto fieri.
E quando giungeva il tempo di scatenare la sacra giumenta dai denti affilati… erano pronti, quasi ansiosi. Era un rito speciale. Solo il re e le sacerdotesse, nel cuore del bosco e nei campi pieni di mille fuochi, per l’ultima meravigliosa orgia d’amore, per bere alla coppa del piacere assoluto. – Dicono che agli impiccati la pressione della corda sul collo provochi un'erezione, e un ultimo, formidabile orgasmo… (sorride sognante) E’ vero. E non solo questo…
Il re moriva al culmine del godimento, poi (pratica) veniva sbranato perché il suo sangue fertilizzasse la terra, e la sua bella testa collocata con tutti gli onori insieme alle altre.
No, ad esser sincera non sono mai stati loro il problema. Erano paghi, felici. Mai fu sacrificato un mite o un innocente. Loro erano i re! Avevano giocato tutta la propria esistenza per quei pochi mesi di regno. Avevano voluto, cercato e vissuto il massimo, e sapevano che avrebbero avuto il massimo anche dopo la loro morte terrena. Non era un sacrificio. Era un’apoteosi!
(con un accento di straziante nostalgia) Ma certi addii…
Erano eroi! Bellicosi, d’accordo… non certo poeti… e neanche lavoratori… gente pericolosa. Tuttavia individui con delle qualità… Ti ci affezionavi, ecco!
Per questo non me la sono mai sentita di condannare Pentesilea oltre certi limiti: come ebbe a dire in seguito quel famoso ribelle palestinese… chi è senza pecca scagli… eccetera…
Insomma, cominciammo a pensare che forse, visto che nel recinto non c’era quasi più spazio per seppellire le teste… che la Dea forse avrebbe accettato che li mandassimo in esilio – partire è un po’ morire ma non è esattamente la stessa cosa – sacrificando un bel toro nero al posto del re. L’esperimento per un po’ parve funzionare, i raccolti non ne risentirono… Ci furono anche re più furbi che si aggiustarono con la regina e il popolo facendo finta di morire e di rinascere dalla pelle di un capretto, e così continuarono a regnare per anni… altri che si trovavano di anno in anno dei sostituti per il sacrificio, magari dei prigionieri pericolosi, visto che per difendere la pace bisognava, dicevano, sempre di più fare la guerra… – E poi tutti volevano trasmettere il regno ai propri figli e cominciarono a farsi venire le smanie della discendenza e addirittura della monogamia… – Dall’altra parte i re esiliati si andarono riunendo in bande di predoni sempre più minacciose….
Ci furono un paio di diluvi e una serie di migrazioni, ma la situazione era ormai irrimediabilmente compromessa.
Quale era stato il momento?! Quale fu l’errore?! La pietà? Debolezza?

MUSICA provocante, quasi sfottente

L’amore? – Il benessere ci ha portato alla distruzione?! La pace, la civiltà, il non voler versare più nemmeno una goccia di sangue umano… possono essere un male?! (disperata) Che follia, che sciocchezza da parte di una regina! – Non era la Dea, era il popolo che aveva bisogno di purificazione, di sacrificio, ma questo l’ho capito troppo tardi!!! Chi non ha bisogno di lavare la propria anima nel sangue?! Perché modificare un rito che aveva funzionato così bene per tanto tempo?! – Niente tornò mai come prima. Avete presente l’effetto domino? Trrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!! Giù una tessera dopo l’altra! Vollero i propri dei, vollero procreare – i maschi, intendo – vollero impadronirsi dei figli, impadronirsi del potere… A noi figlie della Triplice dea, a noi che non accettammo mai di rinnegare la Grande Madre… non restò che ripiegare. In Scizia, in Cappadocia, a Creta, nella Colchide, e su, tra le brume e le nevi del nord… Ci isolammo, ci difendemmo. Diventammo brave, questo sì, ma vivevamo in continuo pericolo, perennemente armate, costantemente all’erta… dovemmo tralasciare l’agricoltura ed affidarla a mezzadri e a servi…
Ci staccammo dalla Terra.
E quando dalla Grecia arrivò il bellimbusto nazionale… Teseo, no? Beh, eravamo già sconfitte. Misero in giro la voce… che avevo combattuto con Teseo contro le mie compagne. – Anche questo! (esasperata) Io non gli ho mai donato il cinto di mia volontà! A quell’elleno arrogante, mentitore, assassino del suo stesso sangue! Del mio sangue!…
Avevo sbagliato! Eravamo diventate come gli uomini, macchine da guerra. I popoli non erano più con noi… e forse neanche la Dea. – E l’avversario, l’aggressore… aveva già vinto, perché ci aveva rese simili a lui… Le armi, l’esercito, la battaglia : hai perso prima di perdere.

MUSICA struggente, poi come un’allegra giga

Che tramonto fu! Un lungo, inarrestabile declino. E come il sole che tramonta, quando incontra all’orizzonte una vela, una nube, una vetta, sprigiona raggi più potenti e sfolgoranti intorno all’ostacolo imprevisto, quasi volesse incenerirlo, oppure approfittare della sua presenza per pavoneggiarsi grandiosamente un’ultima volta prima di eclissarsi, così anche le Donne Luna, anche noi Amazzoni abbiamo avuto durante la caduta qualche momento di gloria niente male… Uno di quelli che preferisco è la faccia di Giulio Cesare – un signor avversario, dico! – quando sulle alture di fronte al suo accampamento gli sono comparsa davanti tutta nuda, tutta dipinta, tutta tatuata di blu, adornata di piume maestose e gioielli sul mio carro falcato, d’oro, tempestato di pietre preziose, circondata dai miei terribili guerrieri! – Mi chiamavano Boadicca. Ero la Regina, ovviamente. Il caro Giulietto ebbe un attimo di dislocazione spazio-temporale, poi pensò bene di lasciare l’isola dai tre nomi e se ne tornò lesto lesto in Gallia. La Britannia non gli era piaciuta... Troppo umida. (la musica tace)
Purtroppo non andò sempre così liscia. Fummo sgominate, e con noi tutti quelli che ancora onoravano la Grande Madre e gli alberi sacri. Questo lo capisco. Dovevamo sparire.
Ma allora… Perché?! Perché devo rimanere qui, immobile nel tempo, Ippolita che non può morire? Perché mille pire funebri hanno arso nei secoli e nessuna per me, nessuna che abbia voluto sollevarmi leggera nel cielo? (guarda in alto) Le ceneri. (ora verso il pubblico) Non pretendevo mica di essere “assunta”! –

Magari una stella tutta per me, questo sì, l’avrei proprio gradito. Non capisco perché mai debba esistere una cintura di Orione e non la vera, l’unica cintura dai tempi dei tempi: la cintura di Ippolita! – Lassù, nello spazio siderale… la mia solitudine avrebbe un senso, e forse, da lassù… capirei… se c’è ancora altro da capire. – Basta! Lo so. Non c’è spazio tra le costellazioni per la regina delle Amazzoni. Un riconoscimento del genere, figuriamoci. – Ma allora?! Io non sono Amleto, non sono Lady Macbeth, io sono vera!!! (imbestialita) Perché non posso finire anch’io? Il Fato si è dimenticato di me?… Domina uomini e re, demoni e santi, li illude con i suoi capricci, senza pietà, solo per farli precipitare nell’angoscia e nel nulla… Io sola non gli appartengo? – Eh?! Allora! Ti sei dimenticato di me? Perché non abbatti la tua scure feroce su questo collo, perché vuoi che proprio Ippolita continui a vivere?! (pausa, è smarrita) E’ questa la mia sentenza? Per sempre in questa gabbia… (con un moto di ribellione) – Perché?! Che cosa mai succederebbe se io scomparissi veramente!… (si blocca, fulminata dalla nuova idea) … Le genti un giorno potrebbero scordare … (ride, incredula) No, non è possibile!… (sarcastica) Potrebbero scordarsi di quanto eravamo cattive?! – Hanno paura!!! E’ per questo che devo continuare a vivere. Hanno paura che il potere possa ritornare a noi! (ride) Paura di nuovi sacrifici… o di essere rispediti in esilio?… (di colpo impaurita) Ma se è così… non avrà mai fine questo destino?… (disperata, imprecando) Grande Dea! In quale cloaca dovrò cercare il tuo triplice nome? Hai perso ogni orgoglio? Mi lasci qui, sola… – Ecate! Non hai più la tua forza, sei stata sconfitta anche tu?! Perché non fai sentire il tuo terribile potere, perché non scuoti le viscere della terra e non fai piovere sangue nero dal cielo? – Io non mi rassegno! Da troppo tempo vivo nell’ombra della luna nera… Guarda, ho più coraggio io di te! Sono qui. Aspetto. – Voglio una veste nuova! E la mia cintura! Da donare ancora, perché no? Io sono fuori dal potere del Fato, io lo sfido!

MUSICA

La scena è ora immersa nel buio. Solo una piccola luce bianco lunare illumina il viso di Ippolita.

Tornerà la piccola falce, e crescerà, crescerà… diventerà bianca, tonda, turgida e splendente, e di nuovo comincerà a grondare sangue che cadrà ancora, fertile, sulla terra. Il cielo in lutto si chiuderà su se stesso, ma un’altra volta ancora nel buio germoglierà il nuovo seme. E come questo nella terra pesante affonda le sue tenere radici, succhia la forza e si fa strada verso la luce, così dal ventre della notte torneranno a brillare le due piccole corna dell’arco d’argento di Artemide. Tornerà la piccola falce, e crescerà, crescerà… E di nuovo si cingerà la veste di un cinto rosso come il fuoco e come il sangue / e io lo difenderò, stretto sui miei fianchi, trionfante sotto le mie mammelle… (sorride vittoriosa, dolce e sensuale, come ad una promessa d’amore) /e poi lo donerò, di nuovo, e forse ne morirò… / o forse il mare me lo restituirà.


M. L. C.