Fax a Andrea Camilleri

Monologo di

Antonio  Sapienza


Fax a Andrea Camilleri nr. 069944*** ( il numero l’ho “rubato” a Montalbano)

Carissimo Maestro, anzi, no Maestro, perché mi risulta che lei rifiutava quel titolo onorario, che si concede a tutti gli Artisti anziani e…bravi. Allora la prego di permettermi di darle del tu, come si usa tra colleghi. Certo, capisco, carissimo ‘Ndria, che tra te e me c’è un abisso: Tu sei bravo, famoso e ricco; io, invece, sono un modesto Autore teatrale, sia pure molto, ma molto prolifero; e però, in compenso, sono molto, ma molto sconosciuto-  urbi et orbi. (ma come diceva il nostro corregionale Leonardo Sciascia: A ciascuno il suo). E, senza malizia, per carità, non sono mai stato iscritto al PCI. E già, il Pci, al quale appartengono (o appartenevano) per ideologia, interesse, imitazione, snobismo, quasi tutti i giornalisti, intellettuali ed editori italiani, naturalmente con qualche solida eccezione. Ora te lo ricordi ciò che dicesti al tuo amico e sodale nel successo di Montalbano, Luca Zingaretti, quando non eri ancora così famoso? Ecco cosa dicesti, cito a memoria: “ Io valgo quel che sono, al di là del riconoscimento dal mondo… e non è detto che sia io a valer poco, ma che sia il mondo a sbagliare (parole profetiche) … e non è il successo a determinare la mia autostima”. Parole condivisibili al cento per cento. Magnifico! Sei sempre stato una cannonata!
A Proposito di cannonata, sai cosa mi hai combinato, a me personalmente, di persona? Certo che adesso lo saprai. Però, ad ogni buon conto, te lo rammento: Quando facesti lo spettacolo su Tiresia al teatro greco di Siracusa, io ti vidi in televisione, e ne restai fulminato: Troppone bello assai- ultrabellissimo! E sai cosa feci? Roba da non crederci: Ti applaudii in TV. Ma quello che non sai, e che mi colpì tantissimo, fu il tuo viso, alla fine della serata, quando avesti l’ovazione- meritatissima: Era sgargiante di felicità appena appena timidamente celata. Ora io spero che la stessa felicità tu ce l’abbia ancora nel luogo dove ora ti trovi.
Ho fatto questa premessa per evitare qualsiasi equivoco su ciò che penso di te e della tua Arte.

E adesso vorrei parlarti del tuo ultimo romanzo, di quel Riccardino, che avete ammantato di mistero (ma penso che sia stata la Casa Editrice la “colpevole”), circa la “fine” del commissario Montalbano.
Saputo della pubblicazione, la curiosità ha incominciato a rodere il mio modesto cervello, stimolata dai vari giornali e giornalisti complici del “complotto”. E l’altra sera, trovandomi a presenziare (da spettatore) ad una manifestazione a sostegno della cultura locale, soprattutto del mare, svoltasi in una località della riviera jonica messinese, alla fine degli interventi, gli organizzatori, che avevano approntato un tavolo della Mondadori, invitarono i presenti, se lo volessero, a donare un libro alla nascente locale biblioteca pubblica. Io vi aderii e notai sulla bancarella il tuo libro, appunto, Riccardino; e ne comprai due copie, una per la biblioteca e una per me.
E che ti devo dire, caro ’ Ndria, che mi sono imbattuto nel peggiore dei tuoi romanzi? Che mi sono ritrovato, nuovamente, alla prese con quella “benedetta” lingua inventata da te: Il vigatese? Ma picchì, m’addumannu, picchì nun lu lassasti comu l’avevi pinzato e scritto nel 2004? Bello, liscio, pulito, accattivante , intrigante, insomma come sai fare tu. Chi motivo c’era di dispensarmi questo supplizio? ’Ndriuzzu, credimi, per me è un martirio leggerti in quell’idioma, che non è dialetto palermitano, né catanese, né tantomeno siracusano o  trapanese. Ma perché l’hai fatto? I Taliani, dici, ca ti capisciunu? Può darisi, ma ju  fatico a capirti. Ju che ahju parrato solu in dialetto siracusano fino all’età di dieci anni, e che, doppu imparai l’italiano a mie spese e rischio e pericolo; che mi formai col dialetto catanese- da adulto- e che uso quando scrivo in vernacolo. Ma comu? Dicu ju, ora vecchiu sicilianu- vagabondo dalle pendici dell’Etna, fino alle riviere del messinese, cognitannu i relativi inflessioni locali -ora restu ammaluccatu di fronti a sta parrata strana - ca m’amburugghia e mi cunfunni- a sta speci di dialetto ‘nvintato da uno dei nostri? E mi smuruddu a circari di capiriti, a siguiriti, santianno qualchi vota contro a su modu scognitu di scriviri?  Non per citarmi, me ne guarderei bene, ma ju qualchi vota, in qualche commedia, uso u dialettu; ma sulumenti pi li dialughi, mentri p’a didascalia uso la lingua madre. E mi pari, si nun mi sbagghiu, ca Martoglio, ci provò a scriviri dialoghi e didascalia in dialetto, fu nto “Matrimoniu ntra civita”; ma l’esperimento, da quello che ne so, forse, non riuscì tanto bene, e credo, che non ebbe più seguito.                                                                                                                  Ora, parrannu cu tia, ma nun era megghiu se scrivivi in koinè? Magari italializzannulu un pocu?                                                                                              Un consiglio?                                                                                                                        Minchia chi presunzione!                                                                                                     Ahu, è Andrea Camilleri che scrive e allura tutti a picuruna! Muti e pipa.
E ora ti cuntu ‘n fattu: Passanniaieri eru nta spiaggia a pigghiarimu lu suli e lu ventu, quannu s’avvicinò ‘n carusazzu cuntinentali cu na sigaretta nta manu e mi dissi: “ Paesano, hai gana – e mi fa cenno di fumare – se mi dai del fuoco?” Cosa? Risposi io, e lui, “ Ma lo conosce il siciliano oppure no?” Hai capito? Quello aveva teorizzato che il gana, del tuo linguaggio, fosse un termine del vero dialetto e che vuol significare voglia, disposizione, noia. (per la cronaca lo mandai a quel paese cu tutti li scarpi).                                                                                                                               C’appoi a mia m’nzignarunu che la voglia si dice valia e, in estensione, siddiu, fastidio. Vidi u dannu ca facisti cu sta ‘nvinzioni: ’mbrugghiasti li carti . Detto ciò senza la pur minima intenzionalità, né colpa o dolo da parte mia, d’interferire nelle tue libere scelte artistiche. L’Artista, come ben sappiamo, è libero- in assoluto!
‘Ndria, nuatri semu quasi coetanei (tu si tanticchia cchi granni di mia) e abbiamo vissuto da ragazzini gli anni del fine Ventennio, poi la guerra, indi il dopoguerra e la ricostruzione, poi il miracolo economico, ecc. ecc., e nun semu di primu pilu, sapemuni sentiri, stu modo di parrari nte to’ libbri mi è indigesto. Sai? una volta ho letto un’intervista, non ricordo a chi, ma probabilmente ad uno scrittore o filosofo. Questi disse: Signori, se non avete capito un periodo, un brano, di uno scritto, vuol dire che quasi certamente avete ignorato il significato di una parola. Basta questo per sviarvi tutto il contenuto. (E allura, ‘Ntoniu, beddu valenti, ricumincia a leggiri u libbru d’accapu e vidi unni t’ancarrammasti).
Allura, tantu pi cuntaratilla, sai cosa mi succede? Mi succede anche questo: dopo aver imparato a scrivere benino l’italiano - e che cavolo!- ecco che, per i motivi di cui sopra ( accapiri qualcosa), ora mi tocca imparare u ‘nglisi. E sai pricchì? Perché nta vicchiania mi trovo alle prese con tutti sti anglofoni – politici, intellettuali, gente ca si cridi tali, e, cridimi, mi sentu comu sperduto, senza sciatu, vardannumi spaisatu, in cerca d’aiutu, comu nu viddanu ca si trova in città e si cunfunni; senza capiri lu significanu de’ nomi ‘nta l’insegne delle putie e dei manifesti appinnuti nte muri, o de’ titoli di pilliculi nte cimina citatini. Ora tu mi chiederai come mai, perché sta cunfusioni mintali? E io, t’arrispunnu: ancora ‘n’ arrimbambii. E  pi spiegarimi ti fazzu un esempio: Qualche giorno fa sul quotidiano La Repubblica, lessi un’intervista fatta al PG militare circa un’indagine sui reati commessi da alcuni carabinieri (‘Ndria, tu muristi appena in tempu pi risparmiariti di vidiri comu ci siamo ridotti in Italia, con scaldali grossi come montagne che riguardano le nostre certezze istituzionali: I magistrati e i carabinieri) e questo illustre magistrato disse che stavano valutando “il whistleblowing” ai fini dell’indagine. Ma che minchia vuole dire sta “palora,” avresti detto sicuramente tu! E lo dissi anch’io, perché non capii ciò che quel colto magistrato volesse dire. Amen. E certamente ti ricorderai che, purtroppo, anche alcuni dei nostri beneamati ed etici politici, oltre che al polichese-Dio ce ne scampi!- per farsi “capire” da tutti i cittadini della penisola, usano le parole inglesi nei loro atti pubblici di governo, tipo: Job act, think tank, e ora smart working, lockdown ( che per fortuna tu non hai subito, perché vuole dire nientedimeno che quarantena) ecc, ecc. Perché sta quarantena? ‘Ndria, il discorso è lungo. Va beni, va beni, te lo accenno: Nel mese di febbraio in Italia arrivò un virus, chiamato covid 19, che si portò via un’intera classe di vecchi come noi, vittime di tale maledizione. Sai, ci sono stati-fino a ora- più di trentacinquemila morti, quasi tutti anziani comu a tia e mia, che non furono in grado di superare il mortale contagio. Ma se vuoi te ne parlerò più approfonditamente la prossima volta, perché ho scritto tanto sull’argomento; oppure, possibilmente, tra non molto, potremmo magari vederci di presenza, e ti informerò dettagliatamente sui fatti accaduti all’Italia e agli italiani in questi giorni tristi. Tu dove ti trovi adesso in alto o in basso? Perché se ti trovi in alto sarà difficile che possiamo vederci.
Ma passiamo a Riccardino. Ma dimmi ‘Ndria, come ti venne in mente quella telefonata assurda al commissario? Quale telefonata? Ma quella che Riccardino gli fece quella mattina prima di morire ammazzato. Gli disse, quel, poveretto, che gli dava appuntamento davanti al bar, ma Montalbano non rispose che si era sbagliato, invece, disse che ci sarebbe stato. Esatto? Si? Bene, ma allora al Commissario Montalbano perché gli fai fare l’ipotesi che Riccardino abbia telefonato di nascosto dei suoi amici facendo un numero registrato già sul suo telefonino? Ma questa operazione non poteva farla perchè, il numero del commissario non era nella memoria del suo telefonino; ma per chiamare, l’avrebbe dovuto comporlo digitandolo. Eppò, picchì sta maliritta tilifunata alli settimatinati? Quindi, come la mettiamo?
E le corna collettive? Dove li metti? Ma ti sembra normale che, in Sicilia, ci siano, contemporaneamente, tre mariti cornuti (intimi amici, per altro, col cornuficatore) e tre moglie “buttane”, con una quarta consenziente?
E questo matrimonio strano, cervellotico, pirandelliano, fatto da Riccardino, sposando una donna scialba per avere mano libera per le sue future avventure di pilu? Ma ti sembra logico imbarcarsi con una racchia per godere dei favori futuri di altre fimmini? Ma stu Riccardinu chi è scemu di guerra?
E il piscopo, che ruolo ha nell’economia del romanzo? Solo per bacchettare il clero? Per segarti qualche corno? Ma via, non mi pari tu! Forse volevi ingarbugliare i fatti e sviare il lettore? Si? Ah, bene.
E il vigilante killer? Inverosimile che facesse il vigilante nel complesso dove abitava Riccardino, per “controllarlo”, anche perché questi era parente della moglie della vittima, la quale poteva essere benissimo la mandante del delitto del marito. E poco convincente anche la mazzata che dette al commissario: Per qual motivo proprio lì in casa della moglie della vittima? Poi, lui, grande e grosso qual era, come potette temere e, quindi far passare, una specie di malandrinetto che lo sfidò malamente all’ingresso del complesso, senza mollargli una santa tumbulatuna che gli facesse fare tre giri di valzer?
E il Mafioso di turno? (mamma mia, ancora mafia e droga) che cosa lo spinge a fare, eventualmente, uccidere Riccardino, dal quale aveva ricevuto un sostanzioso finanziamento per comprare droga? A gelusia p’a russa? Poco credibile. A meno che, come al solito, a causa della lingua, non ci abbia capito nulla sul movente dell’assassinio.( Ma, a proposito del prestito, non sono i mafiosi che hanno tanto denaro disponibile da smaniare per riciclarlo?)  
E l’autista infedele? Si trova in mezzo ai grossi guadagni con la droga e va a rubacchiare il gasolio dell’automezzo della ditta? E potrebbe starci, i minchioni sono sempre disponibili. Ma poi con quale complicata manovra lo andava a nascondere e a prelevare per portarselo in garage? Quindi minchione al quadrato. Ma, diamine, anche un orbo vede che è un escamotage per inserire la chiaromante e il suo “santu cristianu” nella vicenda, per renderla più sugosa. (c’appoi, t’u fiuri n’abbitanti di un quartiere degradato, che si mette le corna in testa e va a denunciare in commissariato la rottura di un tubo esterno- sicuramente abusivo?  Comu diri ca u diavulu va nta l’acqua santa)
Appoi, ti avissi a diri na cosa troppu prissunali, pozzu? Si? Allura ascutami: Il dialogo del commissario vero con l’autore è non solo surreale, che ci starebbe, ma è estremamente stucchevole. Poi la scomparsa del commissario vero è quasi repentina. Si, c’erano delle avvisaglie di stanchezza, non solo fisica; ma arrivare a quella fine, ci fu in mezzo tantu, ma tantu, di non narrato.   
‘Ndria, chi pensi? Haiu parratu assai? Si? E allura scusami tantu, ma- non sacciu se s’è capito- avevu nu muccuni aggruppatu nto cannarozzu ca nun vuleva scinniri, e, ora scinniu.
Tante cose belle Andrea Camilleri e…cu sapi se un domani ni accanuscemu prissunalmenti di prissuna, (Catarella docet) nta li parti unni stai ora tu, e, in tal caso, se mi vorrai tirare le orecchie, a disposizione.
Indegnamente
Antonio Sapienza, drammaturgo (ca nun è accanusciutu mancu de so’ parenti).

Sant’Alessio Siculo, 1 Agosto 2020