ALLA FINE DEL VIALE
di
Roberto Russo
(Buio. Una voce maschile, accompagna il gracchiare di un mangiadischi)
“ Torna presto amica mia,
torna presto a casa mia,
non andare per il mondo senza me.
Ti perderesti come stai perdendo me..
Torna presto….”
Silvia, accadrà un giorno che ci rincontreremo alla fine del Viale, nella curva,
vicino alle scalette che si affacciano sulla “Esso”, mentre il sole farà rossi i
palazzi dei Cacciottoli fino alla collina di San Martino.
E saranno bianchi tutti i pensieri.
E saranno gialli tutti i ricordi.
E avrà il colore dell’indaco ogni nostra parola…..
(Un uomo in scena, un pallone vicino al piede. Il mangiadischi è a terra)
E’ l’Estate del 1970..
“ Posso giocare con voi?”.
Non conosco nessuno. Sono da pochissimo a Viale Michelangelo. Dal balcone di
casa vedevo magliette colorate di coetanei, giocare sul marciapiede di fronte.
Il pallone rotola verso di me: Un solo calcio e sono nella mia e nella loro
storia.
Ora li osservo da vicino.
C’è Michele, il bello. Capelli ricci e occhi verdi.
C’è Tonino, il biondo. Suo cugino.
E ci sono il garzone del fruttivendolo, il gommista, il ragazzo del salumiere.
Ad alcuni li chiamano per nome.
Altri hanno dei nomignoli.
A uno lo chiamano “ Sciord’ ‘e vacca”.
Capisco il perché. Con il pallone è una schiappa. Mi viene incontro e si
presenta come un Grande di Spagna: “ Io sono sciord’ ‘e vacca!”.
E poi c’è Giovanni e poi una ragazza che ho subito notato.
E’ sua sorella….Silvia.
Silvia ha pantaloncini cortissimi, una maglietta scura e uno strano tipo di
scarpe, forse degli zoccoli, più adatti per il mare che per il calcio.
Quando corre, gli si sfilano e ogni volta, li recupera.
Silvia urla, si sbraccia e si smarca. Corre con i piedi un po’ “a papera” e
quando riesce a colpire la sfera, la becca sempre di punta.
O è un goal imparabile, o il pallone si perde sul marciapiede opposto a cento
metri di distanza. Lo zoccolo rotea sempre alto e atterra a una decina di metri.
“ Uà a quel signore l’hai beccato in pieno! Via!! Piglia il pallone! Piglialo!”
Tutti a scappare. Ma Silvia non scappa. Si avvicina al “colpito” e gli chiede
scusa.
Sta passando una vecchietta. Silvia ferma il pallone con le mani e la rassicura.
La donna ringrazia e le accarezza il volto.
E si fanno più profonde le fossette sul viso di Silvia che sorride.
“Ragazzi, io c’ho un problema..Mio padre non vuole che giochi sul marciapiede.
Ora, lui, non c’è ma c’è un mio vicino, Ajello, che se si affaccia e mi vede,
glielo dice!”
“Azz ! Ma perché!? Che male c’è?” mi rispondono.
E Giovanni e Silvia, si mettono di vedetta. Un occhio al pallone, ed uno al
balcone….
“ Ajello! Roberto! Ci sta Ajello!”.
“Non sta giocando! Non sta con noi!”
E io mi allontano, fingendo di essere lì per caso.
“Mio padre, oggi, ci porta al mare…Vuoi venire con noi? Il posto c’è..anche se è
una Bianchina…”
E la Bianchina con la scritta “Daro” ci portava al mare e noi 4 ridevamo e
cantavamo mentre i seggiolini di pelle, arroventati, ci bruciavano le gambe.
“Dove andiamo?”
“Molto lontano…ai Damiani o alle Rocce Verdi!”
E quando tornavamo il mangiadischi suonava: “ My world” dei Bee Gees.
La sera, nel tuo tinello, si sentivano i rumori della cena estiva, stoviglie
ritirate…le voci dei vicini..
“Dai Roberto..resta a cena da noi…Mamma ha cucinato l’uovo fritto...oppure vuoi
una frittata?”
E ridesti tanto quando quella sera, per darmi un tono, a 11 anni, iniziai a
tagliare quell’ uovo fritto con coltello e forchetta.
E poi Giovanni iniziava una filastrocca:
“Salvatore, salvatutti, salva l’anima dei prosciutti, salva anche sua sorella,
che si chiama…Mortadella!”.
Salvatore ed Elvira abitavano nel tuo palazzo ed Elvira era tua amica e quando
saliva, vi confidavate a voce bassa e per la prima volta intuii che, anche per
noi, il tempo sarebbe passato.
(Buio. Si odono delle voci che in sottofondo ripetono queste due frasi)
I VOCE :Silvia, l’abbiamo fatto noi questo mondo? E questa città dai lastroni di
tufo è opera nostra?
II VOCE Oppure è stata lei a marchiarci e l’abbiamo amata e odiata come una
madre e come una megera. E le abbiamo consentito di schiacciarci sulle sue
pietre?
(Luce ancora sull’uomo)
“Io fumo solo Gauloises…senza filtro…ormai mi sono abituato..”
Ho 14 anni. Voglio farti impressione…voglio che tu mi veda un po’ più grande...
Rispondi che le Gauloises sono troppo forti.
E io, quasi mi strozzo per la tosse.
“Secondo, il portiere del 54 di viale Michelangelo, è un infame.. ma pure
Serena, sua moglie non scherza..Si sono accoppiati proprio bene!”
Loro Ci avvertivano “con le buone” che davanti al loro palazzo non potevamo
giocare.
“ Ci spostiamo…”
Ma come fai a prevedere un “battimuro” o il rimbalzo di un pallone?
Il pallone per sbaglio passava davanti al palazzo di Secondo e lui lo
sequestrava.
Era già armato di coltello da cucina, e lo sventrava.
Alla fine ci lanciava quei pezzi di plastica arancione che, una volta, erano
stati un Super Santos..
E una volta che ti combina quel benedetto pallone!?.
Per un calcio maldestro, dato da non so chi, la sfera finisce nel balconcino di
in piano rialzato proprio del palazzo di Secondo..
“Se c’è la signora, ce lo ridà…ma se c’è la figlia, quella con gli occhiali, ce
lo “schiatta”! E dove lo ricompriamo più?”
E allora Silvia sale sulle spalle di Giovanni e di Michele, e s’inerpica sul
balconcino…
“L’hai trovato Silvia?”
“E allora buttalo…! Dai! Fai presto! La signora! E’ in casa!”
La padrona di casa ti sorprese in quella flagrante violazione di domicilio!
“Scappa! Scappa!”
“E Silvia!?”
“Nun ce penzà! Scappa!”
Eccoti lì. Ti vediamo su quel balcone, ad almeno 50 metri di distanza,
protestare la tua innocenza!
“La denuncerà!? Chiamerà i genitori!? Arriverà la polizia!?”
La signora s’incazza di brutto ma ti lascia andare.
Quando esci dal palazzo ci guardi come tanti Giuda..
“Io torno a casa”.
Ti avevamo lasciato da sola su quelle pietre e forse lì, in quel momento,
crescesti e un po’ ci abbandonasti.
“Tu…mi piaci tanto…Silvia..” Non te l’ho mai detto.
Sei stata la mia prima cotta ma nemmeno mi vedevi: eri una signorina di quasi 15
anni che frequentava l’Istituto Magistrale Mazzini ed io e tuo fratello ti
sembravamo proprio dei bambini.
…E un giorno, l’infanzia, finì. Vi trasferiste a Villa Maio nei pressi di Piazza
Leonardo.
(canticchia a bassa voce…)
“Torna presto amica mia….”
Quando ti penso, non sono uno scrittore, né un autore teatrale e nemmeno un
testimone.
Sono solo un bambino grasso di 10 anni e ho tanti pezzetti di fotografie nella
mente…..coriandoli..
(Incalzante, in crescendo)
…Sapevi rispondere per le rime, ma non facevi a botte perché giocavi a fare il
maschio, ma era solo un gioco!
Litigavi per la stanza con Michela e difendevi Giovanni e ti piaceva fosse
elegante e che vestisse bene!
E in questi coriandoli rivedo dei volti. Come quelli dei tuoi genitori!
Mitti, tua madre era romana. Bruna, alta. Era bellissima e dolcissima.
E Michele, tuo padre, era un napoletano pratico e simpatico.
Te li invidiavo.
Michele faceva il rappresentante di abiti e quando usciva, Mitti, qualsiasi cosa
stesse facendo, la lasciava lì, incompiuta. Andava alla porta a salutarlo e si
abbracciavano come se fossero al loro primo incontro.
L’Amore dovrebbe essere così.
“Hai visto Roberto? E’ stato proprio dietro casa mia..a Villa Maio…Siani era
appena arrivato non gli hanno nemmeno dato il tempo di scendere dalla
macchina…E’ orribile” Era l’85.
E poi ancora altri anni. Ti sposi, hai due bellissimi figli..
“Alessandra e Francesco…Anche Roberto ha due figli, vero Signora? Me lo
saluti..”
“Ciao Silvia…vai di fretta? Anche io con Lorenzo…Questo è Francesco? Dai, poi ci
vediamo..…”
Via Mario Fiore. Due battute.
Un saluto. Un sorriso. L’ultimo.
Quella lapide che ti hanno dedicato a Piazza Medaglie d’Oro, l’ho vista solo una
volta.
Oggi sei anche un simbolo innocente di questa città assediata e senza protezione
in cui si galleggia e si cerca di sopravvivere.
Di questa città che non difende, ma che offende.
Di questa città che ti lascia solo e che mischia grandezza e miserie profonde,
come sempre.
Sei un simbolo, Silvia.
Ma io quella lapide l’ho letta solo una volta.
Perché non eri quella che leggevo e ancora oggi mi rifiuto di pensare che parli
di te.
E mi rifiutai di pensare che, il giorno dopo e tutti gli altri giorni a venire,
i giornali parlassero proprio di te perché, io, ti ho lasciato su quel
balconcino, di un piano rialzato del numero 54, a recuperare un pallone…
Perché tu stai ancora giocando con quei pantaloncini troppo corti sui ciottoli
roventi di Viale Michelangelo e ci giochi ogni giorno!
Quelli più distratti, forse, non ti vedono, ma tu sei lì.
Insieme a me, a Giovanni, a Michele, a Carlo, a Tonino, ad Erberto, a Marcello,
a “Sciord’ ‘e vacca” e, poiché a quel tempo ancora non potevano conoscerti, ci
sono anche Lorenzo, Alessandra e Francesco….tutti.
Silvia, va a prendere il figlio a scuola a via Nuvolo presso piazza Immacolata.
Scende le scalette che dalla piazza conducono in quel budello che chiamano
Salita Arenella…Intanto, proprio in quel momento, in pieno giorno, sta scattando
l’agguato che i componenti del clan Alfano hanno teso al boss Cimmino che abita
proprio all’inizio di Salita Arenella. Una moto di grossa cilindrata percorre in
controsenso la ripida discesa. Incrocia un motorino con due persone, affiliate
al clan avversario, che si inerpica per giungere a Via Orsi. E’ un inferno di
fuoco e piombo. Silvia è quasi al cancello del proprio parco. E’ sulla
traiettoria. Cade colpita a morte da un proiettile vagante. E’ l’11 giugno del
1997. I sampietrini di salita Arenella si tingono di rosso. Sangue innocente.
Sangue della mia Silvia.
Ma io lo, ne sono certo che accadrà un giorno…
Silvia, ci rincontreremo alla fine del Viale, nella curva, vicino alle scalette
che si affacciano sulla “Esso”, mentre il sole farà rossi i palazzi dei
Cacciottoli fino alla collina di San Martino.
E saranno bianchi tutti i pensieri.
E saranno gialli tutti i ricordi.
E avrà il colore dell’indaco ogni nostra parola…..
E sono sicuro che ci saremo tutti!
I tuoi e i miei figli…le persone a te care e a me care, mio padre, i tuoi
genitori, e tutti gli amici di un tempo, ragazzi e bambini per sempre!
E saremo tutti i colori insieme.
Tutti.
Ad eccezione del nero che rimarrà solo come un gioioso gioco di ombre nei tuoi
occhi, color nocciola, che sorridono al tramonto.
(parte Without you di Harry Nilsonn)