Il più bello di tutti i fratelli

di

Aquilino




MADRE Gina… Gina… Gina… Ma indove sito?
GINA Guido è timido. Parla poco. Non mi guarda nemmeno. Come fa a volermi bene, se non mi guarda? Nino, invece… Mi sentivo un nodo qui, quando mi fissava. Con quegli occhi che brillavano. Così bello.
MADRE Avanti. Accomodatevi. Prendete un bicchiere di vino.
VOCE Viva la sposa! Dov’è la sposa?
MADRE Gina, par amore de tuti i santi… ma indove… Piero, no te ghè visto Gina? Me dà sempre un pensiero!... Sono tutti qua che aspettano… e lei non c’è.
GINA Non sta mai zitto, Nino. È allegro, lui. Che male c’è? Anche a me piace ballare e divertirmi. Mica solo lavorare. Che vita è, sempre e solo lavoro?
MADRE Ma varda… Se deve maridare! Xe ora de andare in cèsa. Guido xe on bravo toso, xe on lavoratore. Gina dev’essere contenta. È fortunata.
VOCE Viva gli sposi!
GINA Nino è rimasto là, in Veneto, nella sua officina. Io sono qua, in Lombardia. Non posso lasciare la famiglia, ha bisogno di me. Devo sposare Guido, devo dimenticare Nino.
MADRE Gina… Gina… Gina…
GINA Oggi mi sposo, domani torno in fabbrica. Il viaggio di nozze… mah, lo faremo un’altra volta. Di soldi ce n’è pochi. Però Guido studia da orefice. Che sono fortunata me lo dicono tutti. Ma Nino è là. E io sono qua. Chissà se è arrabbiato. Chissà se anche lui… se gli viene da piangere, come a me.
MADRE Oh, Gina, Gina!… Xe na brava tosa. Seria, onesta. Sarà emozionata. Il vestito bianco... tanti parenti… Anca mi… anch’io sono emozionata. Ma dove è andata? Qua va tuto a ramengo.
GINA Oggi mi sposo e domani monto sulla bicicletta e torno a lavorare, ma a me lavorare piace.
MADRE Lavora tanto, la mia Gina. Non alza mai la testa dal telaio. Non perde mai tempo. Non prende mai una multa.
GINA Ho cominciato presto. Avevo undici anni. A Riese, provincia di Treviso, dove sono nata figlia di contadini. È il 1935. Nino impara a riparare le macchine, io vado a servizio.
MADRE El paròn de le terre xe bon. Se premura di mandare a servisio le putine come Gina. Vanno a fare i mestieri dai signori suoi amici. Gran signori.
GINA Mi trattano bene. Non mi picchiano quasi mai. Imparo tante cose. Mi piace vedere come vivono, loro che sono signori. Ogni tanto mi parlano, ma io non rispondo. Ho sempre paura di sbagliare. Quando sbaglio, è perché mi emoziono. Ma sei muta? Io faccio segno di no. Loro ridono.
MADRE La sera torna stanca che non sta in piedi, ma qua ghe xe sempre da fare. La mando in stala o in del ponaro. O ghe diso: Gina, fa’ dormire el puteo. A ela ghe piase prenderse cura dei più piccoli.
GINA Solo per andare al catechismo posso lasciare la casa dei signori. E al catechismo nessuno manca mai. Il parroco è come i signori, bisogna sempre obbedirgli. Mi batte forte il cuore, quando entro nella chiesa. È tutto così pulito che ogni volta controllo di non avere fango o letame sotto le scarpe. La chiesa è il più grande di tutti i palazzi. C’è un profumo d’incenso… mi fa girare la testa. Quando passo davanti all’altare, mi inginocchio e faccio il segno della croce. Così. Lento. Con gli occhi bassi. Pensando a Gesù.

Musica sacra.

MADRE Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum; benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostrae. Amen.
GINA A catechismo c’è qualche bambino che si muove o che parla, ma io non mi muovo e non dico mai niente. Non voglio che il prete mi sgrida. Quando mi interroga, divento rossa e mi va via la voce. A scuola non sono brava, non ricordo mai niente. Ma il catechismo lo so sempre tutto. Non voglio mica andare all’inferno, io. Il prete lo dice sempre, dei bambini cattivi che vanno all’inferno. Io uno lo conosco. Una volta mi ha regalato una caramella. Mi spiace se va all’inferno. Forse non è così cattivo come dice il prete. Ma io che cosa ne so?

Per qual fine Dio ci ha creato?
Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in paradiso.
I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale che cosa meritano?
I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale meritano l’inferno.
Che ci ordina il decimo comandamento?
Il decimo comandamento ci ordina di essere giusti e moderati nel desiderio di migliorare la propria condizione, di soffrire con pazienza le strettezze e le altre miserie.
Che ci ordina il quarto comandamento: “onora il padre e la madre”?
Il quarto comandamento “onora il padre e la madre” ci ordina di amare, rispettare e ubbidire e i genitori e i nostri superiori in autorità.
Che ci proibisce il quarto comandamento?
Il quarto comandamento ci proibisce di offendere i genitori e i superiori in autorità e di disubbidirli.

Canto: Adeste fidelis.

MADRE El prète e i siori hanno studiato, loro sa come se vive. Noi che cosa sappiamo? Solo di laorare la terra. Noi viviamo e basta. Ma bisogna che laoriamo bene, mai scontentare i siori. I xe esigenti e guai a sbaliare. Se i siori non sono contenti, chi te lo dà un laoro? Beati loro che no ghe nà bisogno. Chi che laora magna, chi che no laora magna e beve. La fame è brutta. La cosa pì brutta che ghe xe, la fame.

Canzone: Bambina innamorata.

GINA La gente mi dice: come sei diventata alta! Ho quattordici anni. Sono alta e magra, sono svelta. I ragazzi mi guardano, ma io sono sempre timida. È un bene, così mi lasciano stare. Vanno dietro a quelle che gli fanno i sorrisi. Io non ho tempo per fermarmi in piazza. Ho sempre da fare.
MADRE Ti no vardare mai nissùn. Tien la testa basa. Obbedisi e no fare oservasiòn. Parla solo se i te fa na domanda. Te ghè capìo?
GINA Sì, mamma.
MADRE No te devi fare come quee che mostra el cul a tuti. Fa’ la seria, Gina. No ghe xe tempo par el divertimento.
GINA Sì, mamma.
Ogni tanto a casa dei signori ascolto la radio, ma non ci capisco niente. Mi piace solo quando si sente la musica.

Canzone fascista: Ciao biondina.

VOCE RADIO Sessanta tra vescovi e arcivescovi e duemila sacerdoti sono dichiarati benemeriti nella battaglia del grano. Inquadrati da Starace, vengono presentati al duce e manifestano fascisticamente per il regime. Sono poi ricevuti dal papa.
In una cerimonia militare al Colosseo viene ufficialmente presentato il passo romano, che Mussolini ha voluto introdurre nell'esercito italiano.
Una circolare ordina a tutte le organizzazioni di partito l'uso del voi e la proibizione del lei nella lingua parlata e scritta. Una circolare della presidenza del consiglio proibisce la stretta di mano e dispone che sia sostituita dal saluto romano.
Il partito fascista ordina che tutti i segretari federali e i membri del direttorio nazionale siano chiamati a sostenere tre prove sportive: salto, equitazione, nuoto. Il segretario nazionale del partito Starace dà una dimostrazione di salto attraverso un cerchio di fuoco. Mussolini svolge un giro di propaganda nel Veneto, dopo il quale, il 5 novembre, ventimila contadini poveri sono imbarcati per colonizzare la quarta sponda.

GINA Un giorno torno a casa e vedo che hanno buttato tutto per aria. La mamma piange. I fratelli corrono da una parte all’altra e fanno solo confusione. Sono diventati tutti matti? Papà, che cosa succede?
VOCE Se parte.
GINA Mi manca il respiro. Partire? Andare via da Riese? No…non voglio. Non posso. C’è Nino. Non è che siamo morosi, ci siamo parlati qualche volta, ma… ma io a lui ci penso. E dove andiamo?
VOCE In Tripolitania. Mussolini ci dà la terra. Semo paroni de la tera, dèsso.
MADRE Madonna santa, Madonna santa!... Ma come se fa? Ma come se pò?
GINA Papà, dov’è la Tripolitania?
VOCE In Libia. Tera bona. Là vien su tuto senza fadìca. Ci danno la terra e la casa e anche i mobili ci danno. E i atrèzi e le sementi. Tutto ne dà, Mussolini!
GINA Mussolini è proprio bravo se tutta questa roba la dà a uno come mio padre. Ha fatto la guerra e gli è rimasta una scheggia nella gamba. Zoppica e ogni tanto deve smettere di lavorare. È anche per questo che siamo poveri. Mia madre, però, non è convinta. Lei ha sempre paura di tutto.
MADRE La tera! Ma cossa ch’el dise! La tera xe di siori, noialtri no podemo deventare paroni de la tera.
VOCE Basta criare. Non xe miga on funerae. La terra ce la dà il Duce. E lui ai signori ghe stopa la boca.
GINA Mussolini è un santo, lo dice anche il prete. Forse è proprio vero, se ci dà la terra e ci fa diventare anche noi come i signori. Ma quando torniamo? Perché noi torniamo, no? E poi… dov’è la Libia?
MADRE Dighe de no. Semo italiani. Dovemo stare in Italia.
VOCE E ti te pensi che i domanda a noialtri che cossa volemo? Ili comanda de partire e noialtri andemo. E po’ che cossa gavemo qua in Italia? Dò strassi e tre piati crepai. Là i ghe dà tuto novo.
MADRE E Vitorio? E Bruna? Me porta via i fioi!
VOCE A luri ghe pensa el Fascio. I ghe dà on laoro. I va a stare mejo. E po’ xe par uno ano, magari du. Po’ se torna tutti insieme, ma in una casa nova. Parché i ne dà la casa, come prèmio.

GINA Dei miei sei fratelli, solo due vengono con noi. Gli altri… uno da una parte uno dall’altra… in giro per l’Italia, in posti che non abbiamo mai sentito nominare.
A mia madre hanno già portato via il nome. La chiamano Italia, ma lei preferiva il suo nome di battesimo, Maria. Anche la fede d’oro le hanno portato via, e le hanno dato un anellino di ferro che non le sembra neanche di essere sposata. Ora le tolgono anche la casa. Pazienza, la casa è del padrone. Ma i figli! Non possono portarle via i figli!
MADRE Luri pode tuto.
GINA Ma dov’è la Libia?
MADRE De là del mare.
GINA C’è un mare di mezzo? E Nino? Come fa a venire a trovarmi? Non può, se c’è il mare. Non lo vedo più, il mio Nino. Come faccio a dirglielo? Mamma! Io non voglio andare in Libia.
MADRE E chi te scolta? A noialtre, chi ne scolta? Dèsso tàsi che ‘ndemo a la cerimonia. E basta criare. Ghe xe tuto el paese che ne varda.
GINA Non si può ridere. Non si può piangere. Si può solo dire di sì.

Marcia bandistica.

GINA Ci sono il prete, il podestà, il direttore delle scuole, il dottore… Ci sono tutti quelli che conosco. C’è anche Nino. Mi fissa. Io abbasso gli occhi. Ho un nodo in gola. Mi viene su un singhiozzo, ma devo tenerlo giù. Nino! No, non posso gridare. Devo stare zitta e ferma. Mi graffio il dorso della mano. Lo vedo, lui, lo vedo che brutto sguardo ha! Poi scappa via. E io, io vorrei scappare anch’io. Ma come faccio? Dove va, lo so. Dietro il fienile. Là nessuno ci vedeva. Stavamo lì, a dire poche parole, emozionati tutti e due. Un giorno mi ha dato un bacio. Mi girava la testa, ho fatto finta di dargli una sberla. Gli corro dietro? No, non posso. Devo stare ferma e zitta. Non posso nemmeno piangere.

VOCE Fratelli di Riese, ringraziamo Dio e il Duce per questa provvidenza. Oggi dieci famiglie partono per portare il nostro lavoro, la nostra civiltà e la luce del vangelo in un paese lontano. Altre le seguiranno. Sono le famiglie più fortunate, fratelli. Vi leggo la lettera di un colono partito tre mesi fa.
Il nostro viaggio è stato bello: mangiare e bere abbondantemente e accolti bene dappertutto. Poi arrivati alla nostra bella casa abbiamo trovato: un sacchetto di farina di cinque chili, cinque chili anche di riso, tre chili di pasta, dieci litri di olio, scatolette di carne in conserva, formaggio, quattro litri di vino, sapone, fiammiferi, sei pacchetti di candele, una latta di petrolio per il lume, una bibbia e un quadro con il duce e il re. La casa tutta ammobiliata con lusso. La stalla bellissima per otto bestie. Insomma, non ci manca niente. La terra è buona, il clima bello che sembra primavera, un bel verde dappertutto. È una delizia e siamo contenti tutti. Viva il re! Viva il duce!

Canto fascista: Il canto del legionario.

GINA Ci mettono su un camion e via. Ci portano a Genova. Ci sono tanti altri camion come il nostro. Ci fanno scendere che comincia a fare buio. Siamo in mezzo a tanta gente che così tanta non l’ho vista mai, da fare spavento.
MADRE Par amor de Dio, stè tuti qua, che se uno se perde chi lo trova pì?
GINA Ci spingono sulla nave e ci fanno attraversare il mare. Troviamo posto in un angolo tranquillo, vicino a un’altra famiglia che conosciamo. Vomitano tutti. Ma non è questo che mi tormenta. Da qualunque parte guardo, non vedo che mare. Se la nave affonda… Tutto il mondo è solo acqua e sotto l’acqua che cosa c’è? Mostri, mi dice uno dei fratelli. Mi tiro indietro, come per scappare, ma dove vado? Le onde si muovono, la nave si muove, e anche le nuvole si muovono e io mi sento come quando faccio la trottola e dopo mi gira la testa. Dove sono, adesso? E dov’ero, prima? E dove sarò, quando il mare finirà? Mi sento come se mi sono persa. Ma persa dentro, che non mi trovo più.
Canzone fascista: Tripoli bel suol d’amore.
MADRE Gina!
GINA Sono qua. Non vado in giro.
MADRE Me racomando.
GINA La mamma ha sempre paura di tutto, ma io sono curiosa. Voglio ascoltare che cosa dice la gente. Quello lì non è un contadino come noi, è un avvocato. Non l’avevo mai visto un avvocato. Che cosa ci va a fare in Libia? Quelli che gli stanno intorno non vogliono lasciarlo parlare. Fanno la voce dura e gli dicono parole, qualcuno gli mette le mani addosso. Mi viene paura. Lo vogliono picchiare? Ma perché lo vogliono picchiare?
MADRE Vien via, Gina!
GINA Mio fratello mi porta via e non posso più sentire che cosa voleva dire l’avvocato. Ma tanto gli avevano tappato la bocca. Perché non l’hanno lasciato parlare?

VOCE A Tripoli ci sono più italiani che libici. Che fine hanno fatto i libici? I fascisti vanno nei villaggi, ammazzano gli uomini per dare un esempio ai ribelli e portano via le donne per farle prostituire. Il generale Graziani ha ordinato di annientare le mandrie e di bruciare i raccolti, e poi di usare i gas e le armi chimiche. Centomila libici dell’altopiano deportati in tredici campi di concentramento. In quarantamila muoiono per fame, epidemie, violenze, esecuzioni. I cadaveri sepolti a mucchi, bruciati o scaricati nel deserto. Ma soprattutto esposti nelle piazze. Che fine hanno fatto i libici? Carni putrefatte e ossa bruciate.

GINA Non l’ho più visto, l’avvocato. Il papà dice che era un comunista e che doveva stare zitto. Non si può andare in Libia e parlare male del Fascio. Io non lo so che cos’è il comunismo, ma è una parola che non si deve nemmeno pronunciare. La più brutta che c’è. È come volere che arriva il diavolo, dire quella parola. Uno dell’altra famiglia dice che l’avvocato adesso fa i discorsi ai pesci. Poi scoppia a ridere, ma il papà non ride. Mio fratello fa la faccia scura. Vado a sedermi vicino a lui.
Che cos’hai? Pensi all’avvocato? Gira la testa, non mi risponde. È il mio fratello preferito. Mi fa sempre ridere. Ma adesso è come me quando ho lasciato Nino. Triste. E arrabbiato.
Al pomeriggio, il capitano ci parla della Libia.

VOCE Si prevede l’invio di ventimila coloni all’anno. A ogni famiglia spetta una fattoria di venti ettari con il pozzo, il gruppo elettrogeno, la stalla e il granaio. Ci sono ventisei villaggi agricoli: Olivetti, Micca, Crispi, Littoriano, Castel Benito, D’Annunzio, Razza, Mameli, Berta, Luigi di Savoia…
Tutti i villaggi hanno la chiesa, il municipio, la casa del fascio, l’ambulatorio, la posta e il mercato.
La Libia che cosa diventa? Diventa Italia. E i libici? O giurano fedeltà al fascio o devono morire tutti.
Anche per loro si costruiscono nuovi villaggi, perché il Fascismo porta la civiltà e il progresso. El fager (Alba), Nahima (Deliziosa), Azizia (Profumata), Nahiba (Risorta), Mansura (Vittoriosa), Chadra (Verde), Zahra (Fiorita), Mamhura (Fiorente).

Musica africana.

MADRE Che altro se pò fare? Tasere, soportare. Na mojère deve seguire il marito. Nel bene e nel male. Cussì dèsso semo qua. In Libia. Mi no vedo campi. No vedo erba. Solo sabia. Sabia. Sabia.
GINA Via dal mare d’acqua, un altro mare. Un mare di sabbia. Non riesco a crederci. Penso: non ci vedo più, il sole mi ha bruciato gli occhi, non ci può essere tutta questa sabbia. Non ci può essere un paese di sabbia! E invece è così. Tutti zitti, adesso. Mio padre, mia madre, i miei fratelli… nessuno dice più niente. Ce ne stiamo qua a fissare la sabbia, zitti zitti, la bocca piena di amaro. Con il camion ci portano in mezzo a tutta questa sabbia che si chiama deserto e ci lasciano davanti a una casa di due stanze.
MADRE Madonna santa! Ma che casa xe, questa? Questi non sono muri. Quello non è un tetto. E no ghe xe na pianta!
GINA Le piante ci sono, si chiamano palme, ma non fanno ombra. Mamma, qui ci arrostiamo il cervello.
MADRE Svelta, svelta. Meti a posto. Bisogna ben che prepara da magnare par to pare e i to fradèi.
GINA Come si fa a lavorare con questo caldo? Cammino sulla sabbia e ci affondo. È proprio come il mare. Ci cammini sopra e ci affondi e muori annegato. Come l’avvocato. Forse lui lo sapeva che qui c’è solo sabbia. Forse voleva dirci che è tutto un imbroglio. Certe cose, però, se le dici… dopo non parli più.
MADRE Ma indove xe la tera? Che cossa i vole che fasemo, che seminiamo sulla sabbia? E l’acqua? Mi no vedo acqua.
GINA C’è un pozzo. Quando lo tiro su, nel secchio c’è più sabbia che acqua.

Musica atmosfera.

GINA Viene buio di colpo. Via il sole, mi viene freddo. Da dietro le palme salta fuori un uomo con la pelle scura. Mi fissa con due occhi di carbone. È il diavolo! Corro a chiudermi in casa. Mi metto a piangere: io non esco più, io non vado al pozzo a tirare su l’acqua, c’è il diavolo! Anche mia madre piange. Mio padre bestemmia, ma non sa che cosa fare. Allora ci mettiamo a mangiare, ma lo stomaco si stringe e poi da fuori si sentono…
MADRE Non i xe cani. Che bestie xe che fa versi come on poareto che cria de desperasiòn?
GINA Sono tanto spaventata che mi butto sul letto e mi tiro la coperta sopra la testa. Qui c’è il diavolo dappertutto. E anche lui piange. Che posto è, questo, dove anche il diavolo si dispera?

Canzone fascista: Carovane del Tigrai.

GINA Per tre anni seminiamo senza raccogliere. Il vento porta via la sabbia e con la sabbia porta via i semi e le piantine. Io vado a fare la serva a Tripoli, da una famiglia di industriali. La signora non è cattiva, ma è esaurita. Non le va mai bene niente e bisogna rifare il lavoro anche se è stato fatto bene. A me non dice mai niente, non mi guarda nemmeno. Ci pensa suo marito a farmi morire di vergogna e di umiliazione.
VOCE Gina! O sei stupida o sei sfaticata! Ti pare che l’argenteria sia lucida? A cosa nostra viene gente importante. Deve brillare! Lo capisci? Brillare!
MADRE Porta pasiensa. Pensa a la roba da magnare che te porti via.
GINA Io di pazienza ne porto tanta. Ma è la signora che non sa mai che cosa vuole. E poi si chiude in camera e piange. Io sarò anche stupida, ma lei non fa una bella vita. È tale e quale a noi, lontana da casa. Ma non posso mica dirglielo, se no mi caccia via.
MADRE Tutto el mondo xe paese. In tutto el mondo da na parte i siori e da l’altra i poareti. I siori comanda e noialtri che semo solo contadini dovemo stare contenti se ghe xe da magnare tuti i dì. E ‘l resto se soporta.
GINA Sì, mamma. Il mio dovere lo faccio. Mi sveglio che è ancora buio. Monto sul camion e vado a Tripoli. Lavoro fino a sera. Torno che è buio e ti do una mano nelle faccende. E il giorno dopo lo stesso. Quello che mi pesa di più, a casa della signora, è che mi parlano solo per…
VOCE Corri a svegliare la signora! Corri, stupida! Non senti che cosa succede?

Sonorizzazione: aerei in volo e boati bombe.

GINA Un tuono così forte non l’ho mai sentito. E dopo il primo, tanti altri e non finisce più… non finisce più. È la fine del mondo. La signora ha una crisi di nervi, si mette a strillare, mi manda via. Ma dove vado senza il camion che mi riporta a casa? Le strade sono piene di gente che corre e grida. Le donne come me, a servizio, piangono. I signori scappano e loro non sanno dove andare. Un bambino mi dice che gli aerei ci bombardano. Ma perché? Chi sono? Che cosa gli abbiamo fatto?
VOCE Sono gli inglesi! I nemici del duce! Bombardano le navi nel porto!
GINA Ma ci siamo anche noi, qua! A nessuno importa mai niente di noi? Ci lasciano qui a morire sotto le bombe?
VOCE Correte da quella parte! Vi caricano sui camion!
GINA Monto su un camion che va al villaggio Garibaldi. Per strada, vedo i buchi scavati dalle bombe. Una donna si mette a gridare: Siamo tutti morti! Siamo tutti morti! Un’altra, in ginocchio e con gli occhi chiusi, continua a farsi il segno della croce.
Le bombe fanno nuvole di sabbia. Non si vede più niente. Arriviamo sani e salvi al villaggio. Anche qui c’è una grande confusione. I camion vanno e vengono per portare via i coloni. Noi abbiamo i documenti per tornare a Riese. Ma il papà non vuole che torniamo in paese.
Io mi sento male. Perché no a Riese? C’è Nino che mi aspetta, là.
VOCE Che cossa ‘ndemo là a fare? No ghe xe laoro. No ghe xe manco pì la casa. Via noialtri, sotto on altro. Andemo a Como. Là c’è mio fratello.
GINA Ma dov’è Como?
MADRE Xe in Lombardia.
GINA E dov’è la Lombardia?
MADRE No perdere tempo. No pensare a la Lombardia. Se va dove Dio comanda, e basta. Dame na man a preparare la roba.

Canzone: Signora fortuna.

GINA A Como c’è il lago. Sempre meglio della sabbia e del mare. I fratelli ci fanno il bagno, ma l’acqua va subito profonda e io me ne sto a riva. Non voglio imparare a nuotare. Sotto l’acqua non sai mai che cosa c’è.
MADRE Brava. Luri xe omeni, lasa che i fasa. Ti te devi far la tosa seria.
GINA Lo so. Obbedire, mai rispondere, testa bassa… Ogni tanto, però, mi pare di essere anche troppo seria. Con i miei fratelli faccio la mamma, non la sorella. Tutti pretendono. E io, a me, quando ci penso?
MADRE Semo femene, nate par servir.
GINA Sì, mamma.
MADRE Deo grassia che i parenti ne iuta. Se no chisà indove ne tocava finir.
GINA Gli zii ci danno due stanze. Io vado a servizio da una signora giù in città. Ci devo stare anche a dormire e la signora mi regala subito un vestito che così bello non l’ho mai avuto.
MADRE Te o meti la domenica par andare a messa. Te pari anca ti na siora.
GINA Mio fratello più grande va in giro per l’Italia a raccogliere gli altri. Poveretti. Anche loro ne hanno avuta, di paura!
MADRE Dèsso semo ancora tuti insieme. Se ghe penso… se penso al deserto, alla Libia, ai miei figli che chissà come stavano… No ghe devo pensare. Bisogna andare avanti. Sempre avanti, mai guardarse indrìo.
GINA Il papà fa qualche lavoro per gli zii, ogni tanto trova da fare il manovale, ma poi se ne va in giro in cerca di terra da coltivare. Chiede a tutti se sanno dove ci sono campi, ma nessuno lo sa. Qui sul lago non c’è tanta campagna. Un giorno uno gli dice:
VOCE Va’ a Tradate, là di campi ne trovi quanti ne vuoi.
GINA E così un mattino parte. Sono più di venti chilometri, ma lui cammina svelto. Finisce in mezzo ai boschi e pensa che ha fatto uno sbaglio, perché ci sono solo boschi e non vede campi da coltivare. Incontra un cacciatore.
VOCE Se vai giù in paese e guardi proprio di fianco alla chiesa vedi una casa grande e lì ci abita la signora Bonelli. Tu dì alla cameriera che ti mando io, il Francesco, e dille che cosa vuoi e lei va a sentire la signora se ti riceve.
GINA La famiglia Bonelli ha tanti campi su in Vignalunga, una collina di terra grassa. Alla signora il mio papà le piace e oltre a lui prende il figlio maggiore per i campi e me per aiutare in villa.
MADRE E via n’altra volta. Tira su tutto e via. E subito, da un momento a l’altro. E a Gina? Poareta, bisogna che qualcuno ghe vaga a dire cossa che sucede.
GINA Arriva un uomo a casa della signora di Como e mi dice:
VOCE Devi andare subito a Tradate. I tuoi hanno trovato casa là e sono già partiti.
GINA La signora si arrabbia perché deve cercare un’altra cameriera, ma io che cosa posso farci? Metto la mia roba in un sacco e vado con il cuore che batte forte. Non so nemmeno dov’è, Tradate. Devo tornare a Camerlata dai parenti e loro mi dicono che strada prendere. Ma quando passo per i boschi, che paura!
MADRE Sempre spaventi, noialtre.
GINA Io stavo bene dov’ero nata, a Riese. E poi, invece… il mare, il deserto, il lago… Anche il lago mi fa paura. Un giorno ho visto l’acqua montare su fino alle case. E nei boschi… se qualcuno mi tira in mezzo alle piante, chi mi salva?
MADRE Sempre paure par i fioi. Fin che i xe picoi, pensieri picoi. E quando i se fa grandi, pensieri grandi.
GINA Il paese è piccolo. Meglio. In città, troppa gente che non conosco, troppe strade.
MADRE Allora, Gina, dime: te piase la casa de la siora?
GINA Che casa, mamma. Un palazzo. C’è un salone grande come la stalla. Sui muri hanno attaccato più di trenta teste di animali. Hanno gli occhi di vetro che sembrano vivi. Ci sono il leone, la gazzella, il bufalo… le bestie della Libia, mamma… e ci sono anche bestie che non sapevo nemmeno che esistevano. Tutte le volte che entro a pulire mi fanno…
MADRE Xe morte! Che cossa te fa?
GINA Mi fanno paura.
MADRE Eeeh, sempre paura!
GINA Io non mi faccio vedere che ho paura. I lavori li porto avanti lo stesso e la signora non si lamenta. Anzi, mi dice che sono brava e che è contenta di avermi preso. Io tengo la testa bassa e dico grazie, ma la voce mi esce appena. Mi mette in soggezione, la signora. È sempre elegante e sa parlare con tutti, con i contadini e con i fascisti che invita alle feste. I fascisti stanno su al castello, ma vengono qui quasi tutti i giorni. Alla sera ballano. Quando ballano, la signora vuole che mi fermo a servire la cena e a pulire in cucina.
MADRE Là, sola, in mèzo a tuti i fasistoni. Ma che cossa poso fare? A noialtri ne toca sempre sbassare la testa, sempre.
GINA Torno a casa che ormai è buio e…
MADRE Cori, se te ghè paura, cori!
GINA Sì che ho paura! I fascisti bevono e qualche volta ci sono anche i tedeschi. Mi guardano in un modo… Mi viene addosso un freddo... Allora scappo in cucina.
E se mi vengono dietro? Che cosa faccio, io? Come faccio a dire a un fascista di lasciarmi stare? Peggio ancora a un tedesco. Nemmeno mi capisce, quello. E i tedeschi lo sanno tutti che non puoi mica dirgli di no. Sono capaci di ammazzarti, loro, se gli dici di no.
Per fortuna la mia casa è vicina. Appena dietro la chiesa. Corro lungo il muro della chiesa e mi sento protetta dalla Madonna e dai santi. Entro nella corte, sento i versi dei tacchini e delle vacche e mi sento meglio. In casa c’è il papà che beve il vino. I fratelli più piccoli dormono già. Tu, mamma, non sei ancora tornata. Appena fa scuro vai su nei boschi. Io non lo so come fai a fare la strada al buio, che se ti vedono ti portano in prigione.
MADRE Calcun bisogna ben che pensa ai tosi che se nasconde. I dorme soto e frasche, o in calche rustego. Calcun bisogna che ghe porta da magnare.
GINA C’è anche suo figlio, con i partigiani. Il più piccolo, di due anni minore di me. Il più bello di tutti i fratelli. Ha i capelli lunghi e se li tiene pettinati indietro. Io gli dico che sembra un leone. Qualche volta lo incontro mentre vado in villa. Lui se ne sta lì, appoggiato al muro. Aspetta che qualcuno gli dà un lavoro. E magari invece dopo se ne va chissà dove a mettere una bomba insieme ai suoi compagni. Io lo so che prima o poi… che prima o poi… perché lui non ha mai paura di niente. Gli dico: basta, la guerra è quasi finita, devi smetterla, se no prima o poi ti prendono e allora… e allora lo ammazzano. Ma lui ride e dice che i fascisti sono troppo stupidi per prenderlo.
MADRE Xe questa la paura pì grande. De perdere i fioi. Pézo che morire, quando a morire xe on fiolo.

Canzone: Tu che m’hai preso il cuor.

GINA È l’estate del 1944. Sono appena tornata dalla villa e aiuto a preparare la cena. Qualcuno bussa alla porta. Per un momento mi manca il respiro. C’è sempre paura di disgrazie, quando bussano che fa già scuro. Ma poi penso che è un vicino che ha bisogno di qualcosa. Vado ad aprire…
VOCE Permesso? Mi scuso se arrivo a quest’ora.
GINA Nino!
MADRE Gina, no stare là imbaucà. Falo comodare. Avanti, Nino, avanti. Sito giusto in tempo par la zéna.
GINA È matto. Io dico che è matto. È partito in bicicletta tre giorni fa. Cento chilometri al giorno. Si è portato una coperta per dormire dove capita. Adesso è giù in cucina, su un materasso. Sono tanto contenta che non riesco a prendere sonno. Penso a lui e mi viene da ridere.
MADRE Ah, Nino! Ma che mona el vien a fare. Me dispiase, xe on bravo toso. Come faso a dirghe che la Gina è già promessa, anche se ela non lo sa ancora?
GINA Sta qui due giorni. Facciamo una gita al Sacro Monte di Varese con una mia amica e il suo fidanzato. Mi dice che vuole aprire un’officina. Che se voglio posso tornare a Riese. Ci sposiamo. Proprio così mi dice: ci sposiamo. Io gli dico di sì. Divento tutta rossa. Mi tira dietro una pianta e mi bacia. Un bacio solo. Deve bastarmi per tutta la vita. Ancora non lo so, ma il papà ha già scelto chi sposerò. E non è lui.
MADRE Dèsso basta, Gina. Basta criare. Te o sè anca ti… lo sai anche te che non puoi andare a Riese. E qua? Chi me iuta, se no?
GINA Non voglio perderlo! Nino mi ama! E anch’io gli voglio bene. Mamma, non farmi questo. Non farmelo!... Piango per i tre giorni che lo immagino in viaggio. E ogni giorno che passa è sempre più lontano. E io dentro di me lo so, lo so che non lo rivedrò mai più.

Canzone: Piccole stelle.

GINA Mamma!
MADRE Gina, che cossa ghe xe?
GINA Niente, un brutto sogno.
MADRE Anca ti? Che cossa sucederà ancora?
GINA Sono solo sogni, mamma. Torna a dormire.
Ma io ho un brutto presentimento. I sogni non sono mai solo sogni. Vado a lavorare in villa che non ci sto con la testa. Ombre sui pensieri. Il respiro che manca. La signora mi osserva e sospira. Pensa che sono innamorata e sorride. Dei partigiani non vuole nemmeno sentirne parlare.
Pulisco l’argenteria. La signora si fida solo di me. Solo io la pulisco come piace a lei.
Si avvicina un fascista.
È un ragazzo che ogni tanto mi guarda e io so che ha una simpatia. Ho vent’anni, ormai sono una donna. Già in tanti mi dicono che sono bella. A me non interessa. Penso solo a lavorare, io. Non voglio morosi. Ce l’ho già il moroso. Anche se quando penso a lui mi viene da disperarmi.
VOCE Se vuoi vedere tuo fratello, va’ a Rescaldina.
GINA Ma che cosa vuole? Quale mio fratello? I miei fratelli sono nei campi o in fabbrica. Che cosa ne sa lui dei miei fratelli? Continuo a pulire senza guardarlo in faccia.
VOCE Lo vuoi vedere, tuo fratello? Va’ a Rescaldina!
GINA Io ho già capito. Ma certe cose si capiscono senza volerle capire. Io so già che cosa trovo, a Rescaldina. Una voce dentro di me grida e un’altra le sussurra: sta’ zitta, sta’ zitta, sta’ zitta. La voce che grida mi dice la verità, ma l’altra non la vuole sentire. Non riesco più a muovermi, non riesco nemmeno a parlare.
VOCE Corri, stupida!
GINA Me lo dice di nascosto dagli altri. Ha simpatia per me, lo so. Mi viene come un buio davanti agli occhi. Con una scusa esco fuori nel giardino e riprendo a respirare. Oh, mamma, mamma!
MADRE Vago in stala, po’ in del ponaro, e curo l’orto, e dopo meto su da magnare, e ghe xe sempre on boton da tacare, na camisa da cusire… ma il pensiero è sempre là, con quel figlio mato che fa el partigiano. E ‘l pensiero non xe mai alegro. Aspeto sempre che se vèrde la porta e calcun me dise… me dise…
GINA Fuori c’è l’imbianchino che mescola i colori. Si chiama Carlo. Mi presti la bicicletta, Carlo?
VOCE Dove vuoi andare con la bicicletta?
GINA Vado a Rescaldina, ma non dirlo alla signora. Tu lo sai dov’è Rescaldina?
VOCE È lontana, Rescaldina. Che cosa ci vai a fare?
GINA Non sono cose che si possono dire, a nessuno devi dire che vado là. Tu lo sai che strada devo prendere?
VOCE Ma sta’ attenta, bambina, sta’ attenta che basta poco…
GINA Mi chiama bambina e invece sono già una donna, ma perché mi sento che ho bisogno della mamma? Forse perché quello che vado a fare a Rescaldina solo una mamma può farlo. Carlo mi dice che basta poco e anch’io lo dicevo a mio fratello: sta’ attento che basta poco… poco… proprio poco, e dopo… e dopo noi come facciamo con questo dolore dentro?
MADRE E alora no bisogna pensare. Solo laorare e no pensare mai a quel figlio là… che basta così poco… così poco per portarmelo via.
GINA Corro via sulla bicicletta che sembro un vento di tempesta. Va’ giù per Gorla, ha detto Carlo. E dopo chiedi a un paesano. E quando arrivo e domando a due donne se sanno qualcosa dei giovani di Tradate una mi fa: là, al cimitero.
Là, al cimitero.
Me lo dice astiosa, con due occhi duri e cattivi.
Là, al cimitero.
Me lo dice come se fosse contenta di mandarmi là, al cimitero.
Corro lungo il viale. La ghiaia scricchiola. Scivolo. Cado. Mi tiro su con la voglia di piangere, ma non piango. Una donna si alza dalla tomba dove pregava e mi fa un segno… là, devo andare là?… e poi abbassa gli occhi e scappa via.
Mi guardo intorno. Ci sono solo io. Sono qua, tutta sola. Oh, mamma, mamma.
C’è buio, nella cappella mortuaria.
Ma i miei occhi vedono con il cuore. Lui è lì. Cado in ginocchio. Lui è qui, sotto le mie mani e sotto le mie lacrime. Vorrei morire come è morto lui, perché forse così ci incontriamo ancora e scoppiamo tutti e due a ridere e lui mi dice: bello scherzo che ti ho combinato!
Guarda quanto sangue.
Che cosa gli hanno fatto, i maledetti? Che cosa gli hanno fatto? Me l’hanno ammazzato, me l’hanno ammazzato per sempre.
VOCE Va’ via. Hanno chiamato i fascisti.
GINA E lui? Qui da solo? Chi gli tiene la mano?
VOCE Stanotte il prete se lo porta in parrocchia. Adesso scappa che i fascisti vengono a prendere anche te.
GINA E lui lo lascio qui? Con i capelli sporchi di sangue? Ma prima gli chiudo gli occhi. Non deve più vedere. Ci sono anche i suoi amici. Uno lì, un altro là. Buttati sul pavimento come roba vecchia che non serve più.
Non deve vedere che li hanno ammazzati tutti.
MADRE Me pare de no gavere fiato. Ma el lavoro xe tanto. No me posso fermare. Se mi fermo io, qua se ferma tutto. Mi o so. Xe ‘l pensiero par quel mio figlio che combatte i fascisti. Me ga dito che stasera non xe su nei boschi. Chissà dov’è andato. Ogni volta penso: chissà se ritorna.
GINA Pedalo e piango e grido e maledico. E quando rientro in villa mi asciugo le lacrime e la signora mi dice: Gina, ma dov’eri finita? Il fascista mi guarda forse con pietà, ma io gli caverei gli occhi. Quando torno a casa, non dico niente a nessuno. Non ho il coraggio di dirlo alla mamma. Mi tengo dentro la morte. Di notte sento sparare e gridare, ma è solo un sogno. Un altro brutto sogno. Il brutto sogno di lui e degli altri partigiani della brigata Marcobi. Traditi da un compagno anima nera. Sorpresi in un bar dai fascisti e dai tedeschi. Ammazzati tutti.
MADRE Che cossa ghe xe, Gina? Un altro brutto sogno?
GINA Come faccio a dirglielo? Come si fa a dirlo alla mamma?
MADRE I xe solo sogni, Gina. Torna a dormire.
GINA È così, è così, è così. Solo un brutto sogno. Non può essere vero. Che non c’è più libertà, che i fratelli più belli li ammazzano così. Come bestie. Solo un brutto sogno. Se no, il mio cuore non lo sopporta. E io divento matta, se penso che lui è morto ammazzato. Là, al cimitero. Solo un brutto sogno. Domani mattina lo vedo ancora sull’angolo, che mi fa: tutto bene, Gina? Che bel sorriso! Com’è bello mio fratello! Non ce n’è un altro bello come lui. Il più bello di tutti i fratelli.

Canzone partigiana: Dalle belle città (Siamo i ribelli della montagna).

VOCE Siamo qui riuniti per commemorare le vittime della brutalità nazifascista. Siamo qui per testimoniare che il ricordo sopravvive. Siamo qui per tramandarlo alle future generazioni. Siamo qui per onorare il sacrificio di quanti hanno perso la vita per la causa della libertà e della democrazia.

Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa…

MADRE Gina, xe n’ora che te cerco. Guido xe già in cèsa che te spèta.
GINA Sono pronta.
MADRE Brava. Dame on baso. Sito tanto bea, Gina.
GINA Si forma il corteo. Io davanti con il papà, e dietro tutti gli altri. Attraversiamo la corte. I vicini mi battono le mani. Ho il vestito bianco lungo fino a terra con il velo tenuto dalle bambine. Anche per strada c’è gente.
VOCE Viva la sposa!
GINA Ecco là Guido. Dai, Guido, non essere sempre così serio. Fammi un sorriso, ne ho bisogno. Per un momento immagino che al tuo posto c’è Nino… ma via via questo pensiero. Io sono qui, ti sto al fianco adesso e per sempre. E imparerò a rispettarti e a volerti bene, adesso e per sempre.

Canzone partigiana: Bella ciao.