La decapitazione di Marco Gualco
Dramma in diciotto quadri
di Riccardo Cacace
© 2024. Tutti i diritti sono riservati
«Se uno vuole seguirmi,
rinneghi se stesso e porti
giorno per giorno la sua croce.»
(Matteo, 16,24 e Luca, 9,23)
PERSONAGGI
Marco Gualco, un uomo, trentenne;
Bianca Pastorini, sua moglie, trentenne;
Silvestro Pastorini, datore di lavoro di Marco nonché suo suocero, sessantenne;
Olivo, segretario di Silvestro, quarantenne;
Fabio Ricci, collega e amico di Marco Gualco, trentenne;
Boia, nessuno.
Benché il sito della scena cambi in continuazione, l’arredo è sempre lo stesso, con eventuali mobili in ombra all’occorrenza.
La scenografia, nella sua forma più embrionale, la immagino così: le due pareti laterali convergono leggermente verso il fondale, descrivendo una stanza trapezoidale; entrambe le pareti hanno una porta.
A destra, una cassapanca adibita a credenza. Al centro, un tavolo rettangolare adibito qualche volta a tavola da pranzo, qualche altra a scrivania. Sul fondale, un appendiabiti. A sinistra, c’è un grosso ceppo d’albero sul quale il boia conficca la scure e sovente si siede ad assistere agli episodi. Due scale ai lati del palcoscenico o anche al centro.
PRIMO TEMPO
Delirium cordis
Parodo. Il boia
Mezza sala accesa. Il sipario è chiuso. Marco Gualco entra dalla platea, vestito con cappotto nero, camicia bianca e cravatta rossa, e inizia a percorrere la sala implorando il sipario come se fosse il suo boia. Se il palcoscenico è basso, una volta giunto al bordo, Marco Gualco si genufletterà e reciterà queste battute in preghiera.
GUALCO ~ Boia, boia! Dimmi che ho fatto la cosa giusta. Dimmi che questa è la cosa giusta da fare. Perché io non lo so. Lasciami raccontare. Ti supplico, lasciami tornare indietro, solo per un attimo. Ho bisogno di raccontarti chi sono.
BOIA ~ (in voice over) Concesso.
Buio. Una musica lugubre. Il sipario si apre. Le luci basse e fredde, dall’aspetto onirico, si aprono sul palcoscenico, e si vede il boia: ha una scure in mano ed è vestito con un cappuccio nero, una camicia bianca, bretelle, pantaloni eleganti e scarpe da cerimonia. Si toglie il cappuccio e fissa la sua vittima dall’alto in basso.
Perché dovrebbe interessarmi la tua storia?
GUALCO ~ Perché sei il mio boia.
BOIA ~ Non è una risposta.
GUALCO ~ Tu non mi conosci, e mi preme che il mio boia sappia chi ha di fronte, voglio che tu sappia perfettamente chi stai per uccidere. Ricordi almeno il mio nome?
BOIA ~ Non l’ho mai saputo.
GUALCO ~ Te lo ricorderai, se te lo dico?
BOIA ~ Sai già la risposta.
GUALCO ~ Be’, io ci tenevo comunque a presentarmi. Lascia che mi presenti.
BOIA ~ (dopo una pausa) Concesso.
Il boia posa il suo cappuccio sull’appendiabiti, mentre Marco Gualco sale sul palcoscenico.
GUALCO ~ (girato verso la platea) Io mi chiamo Marco Gualco.
BOIA ~ Descriviti.
GUALCO ~ Come?
BOIA ~ Ragazzo mio, non sembri avere le idee ben chiare del perché siamo qui. Hai detto che vuoi raccontarti, no? Descriviti.
GUALCO ~ Sì.
BOIA ~ Un aggettivo.
GUALCO ~ Sostanzialmente sono un pezzo di merda. Un uomo meschino, potremmo dire. Meglio meschino.
BOIA ~ Perché meschino? In che senso?
GUALCO ~ Be’, io definisco «meschino» un uomo perfettamente consapevole di tutto quel che fa. E ad esempio ogni gesto che io muovo è perfettamente calcolato, e questo mi fa schifo.
BOIA ~ Ti fa schifo?
GUALCO ~ Esatto.
BOIA ~ Perché?
GUALCO ~ Perché mi sembra di star fingendo in continuazione. Un po’ mi odio: odio i miei pensieri; odio ogni parola che mi bisbiglia il cervello.
BOIA ~ (poggia la scure per terra) Credi di essere migliore degli altri?
GUALCO ~ Perché questa domanda?
BOIA ~ Per conoscerti. Tu ti credi migliore degli altri?
GUALCO ~ Sì, certo.
BOIA ~ Ma dimmi: se ogni tuo gesto era perfettamente calcolato, allora come hai fatto a finire sul patibolo?
GUALCO ~ Siamo qui apposta, no?
Le luci si aprono anche sul resto della scena. Il boia si gira e si allontana per mirare gl’interni; Marco Gualco si muove dalla parte opposta.
BOIA ~ Dove siamo?
GUALCO ~ Casa mia. Ci tenevo a partire da questa sera; per presentarmi.
BOIA ~ (dopo una pausa) Quindi è qui che tutto ha avuto inizio?
GUALCO ~ No, qua siamo già avanti nella trama.
Bianca entra in scena, si siede al tavolo e si dà un’occhiata al polso senza orologio; ha una camicia da notte.
Questo è il giorno della rottura con mia moglie. Guardala là. Si chiama Bianca. A te Bianca apparirà solamente come una persona a cui farò del male, e spero che mi esecrerai per questo.
BOIA ~ Ragazzo… dimmi veramente: perché siamo qui?
GUALCO ~ Voglio che tu mi giudichi. Ho bisogno che tu mi giudichi.
BOIA ~ Perché proprio io?
GUALCO ~ Perché mi stai per uccidere. E se devi farlo, voglio meritarmelo. Perché io ho vissuto a lungo nella convinzione di meritare la morte, e adesso mi affido a te. (Esce di scena)
EPISODIO SESTO. Squarcio
Casa di Marco Gualco. Notte. Il boia solleva la scure e la conficca nel ceppo. Un tonfo assordante. Marco Gualco entra dalla porta a destra, le luci diventano calde e la musica si arresta all’improvviso. Silenzio. Marco Gualco vede la moglie, si ferma qualche secondo, poi chiude la porta, si dirige verso l’appendiabiti e si toglie il cappotto.
GUALCO ~ Che cosa fai ancora in piedi? Che ore sono? (Viene distratto dalla presenza del cappuccio del boia)
BIANCA ~ (si alza, facendosi coraggio) Marco, noi dobbiamo parlare.
GUALCO ~ (riconcentrandosi) Che cosa? Di che cosa dobbiamo parlare? Abbiamo già parlato a sufficienza. Che cos’altro dobbiamo dirci?
BIANCA ~ (senza ironia) Volevo chiederti una cosa, se posso chiederti una cosa…
GUALCO ~ (razionalmente) Bianca, te lo ricordi cosa ci siamo detti l’ultima volta, eh?
BIANCA ~ Sì…
GUALCO ~ Che se mi ami, è perché ti fidi di me…
BIANCA ~ Sì, sì…
GUALCO ~ E una mancanza di fede equivale ad una mancanza di rispetto. Sì? Te lo ricordi questo?
BIANCA ~ Sì, sì… però…
GUALCO ~ E tu, amore mio, vuoi amare una persona che non rispetti? È un paradosso. Lo capisci questo o no?
BIANCA ~ Sì, ma una moglie ha il diritto di sapere, no? Se tu mi ami, ho il diritto di sapere cosa stai facendo alle mie spalle.
GUALCO ~ (si muove verso la porta a sinistra) Alle tue spalle? Ma senti come mi parli? Mi tratti come un criminale.
BIANCA ~ No, amore, aspetta! (Pausa) Resta qui un attimo, per favore. Siediti.
Marco Gualco va a sedersi, poi Bianca fa lo stesso, prende coraggio e inizia a parlare.
Io… ho solo bisogno di essere rassicurata. Non chiamarmi «stupida». Lo so che sembro stupida, però la conosci la mia situazione; io ti sto solo chiedendo di venirmi incontro. E invece no: sono settimane che torni a casa tardissimo, non mi dici niente, neanche mi guardi più in faccia… Io cosa dovrei fare? Fingere che vada tutto bene? Che sia tutto come prima? Non è tutto come prima. Qualcosa è cambiato e tu non mi vuoi dire cos’è.
GUALCO ~ Esattamente.
BIANCA ~ (non subito) E quanto andrà avanti questa storia? Io non dico che devi per forza starmi dietro tutto il tempo – ecco, ora se lo dico, passo per egoista – però così davvero sembra che non te ne freghi niente. Mio padre sta morendo, Marco! Ho dovuto prendere un permesso perché non ce la facevo più ad andare al lavoro.
GUALCO ~ (dà un pugno al tavolo) Santo Dio, parlami di tutto, accusami di qualsiasi cosa, ma lascia da parte tuo padre.
BIANCA ~ (sconvolta) Cos’ho detto?
GUALCO ~ Lascia stare. Solo, parlami di altro.
BIANCA ~ Perché, ma cosa c’entra adesso?
GUALCO ~ Basta che non tiri più fuori il suo nome. Lo so io cosa c’entra. Non mi chiedere perché. (Si passa una mano sul viso) Ho avuto una giornata tremenda. Domani alle due ho anche un colloquio importante. (Si alza. Perentorio) Ora io, adesso, vado a letto.
BIANCA ~ Lo vedi come fai? Io come dovrei comportarmi con uno che mi risponde così? Perché adesso non posso parlare di mio padre? Che cosa c’entra?
GUALCO ~ Bianca, santiddio! Io non ho tempo per queste cose. Ho una miriade di cose da fare domattina! Voglio solo essere lasciato in pace, si può?
BIANCA ~ (si alza) Marco, io sono una donna che merita rispetto. A me non si parla come coi bambini. È vero, avrò torto io ad avere dubbi su di te; ma io ti ho chiesto una cosa ben precisa—
GUALCO ~ Bianca, Bianca! Tu mi hai fatto una promessa: di non farmi domande. Ora, non prendermi in giro: o tu accondiscendi a questa mia necessità – e una te ne ho chiesta, una sola! – oppure non ha senso stare qui a discutere.
BIANCA ~ (incredula) Cos’è, una minaccia?
GUALCO ~ Non è una minaccia, è una conseguenza. Perché, per quanto mi riguarda, una persona può anche essere gelosa per i fatti propri, eh, ma appena questa gelosia inizia ad invadere la libertà altrui, tutto questo diventa insostenibile!
BIANCA ~ (sconvolta) Io gelosa? È gelosia voler sapere cosa fai tutte le sere invece di tornare a casa? È gelosia voler sapere perché cazzo mio marito da un giorno all’altro ha iniziato a trattarmi così?
Marco Gualco non sa cosa dire, rimane immobile un attimo, poi le concede un abbraccio di riconciliazione. Silenzio.
GUALCO ~ Bianca, io ti ho tradito.
BIANCA ~ Cosa?
GUALCO ~ E mi è piaciuto farlo.
BIANCA ~ Con chi?
GUALCO ~ Con una.
BIANCA ~ Stai scherzando?
GUALCO ~ Se fosse uno scherzo, ti farebbe ridere?
BIANCA ~ (si stacca da lui) Fai schifo. Perché?
GUALCO ~ «Perché»? Ti serve un perché!?
BIANCA ~ Sì. Credo di sì.
GUALCO ~ Io voglio il divorzio.
BIANCA ~ Mi stai prendendo in giro? (Pausa) È perché non facciamo più sesso?
GUALCO ~ Io non ti amo più.
BIANCA ~ Tutto qui? È tutto quello che sai dirmi? No, non puoi essere serio. Tutto questo è inverosimile. Io sto assistendo alla fine del mio matrimonio e non so neanche il motivo. Ma tu ti sei bevuto il cervello, amore mio. Non puoi essere serio, non riesco proprio a concepirlo.
GUALCO ~ Bianca, smettila. Io non ti amo più. Lo vuoi capire o no?
BIANCA ~ No, amore. No, perdonami, ma non lo capisco. Non capisco cosa ti succede. Ma c’è qualcuno che ti costringe a dire tutte queste cose? (Si accascia accanto a una sedia) Io sto male. Ti prego, dimmi che è uno scherzo. (Pausa) Marco, santo Dio! Di’ qualcosa! Io sto impazzendo!
GUALCO ~ (grida) Io non ti sopporto più! (Pausa) Io non ne posso più di tutte queste nenie. Basta! Non fai che piangere e lamentarti e piangere e lamentarti. Sei insopportabile. Cristo! Ecco cosa c’entra tuo padre. È da mesi che va avanti così, io non ce la faccio più. Lo capisci?
BIANCA ~ Quindi è per colpa mia che fai così?
GUALCO ~ Io ogni sera torno a casa e vorrei spaccarti la testa, io mi sento soffocare da questa tua disperazione! Io vorrei morire!
BIANCA ~ Ma io ho sempre cercato di non coinvolgerti il più possibile, per timore di angosciarti.
GUALCO ~ Ma mi credi forse scemo? (Le si avvicina) Bianca, guardami in faccia e dimmi che sono un cretino. Credi che basti non parlare, secondo te? Credi che non lo avverta questo clima (grida) di merda, quest’angoscia che permea le pareti di questo carcere?
BIANCA ~ (in lacrime, a testa bassa) Scusa, amore. Io… Non lo scelgo io di essere così.
GUALCO ~ E allora non possiamo farci niente. È finita, Bianca. (Pausa) Sai, quando l’ho fatto, quando ti ho tradito, non facevo altro che pensare a te e a quanto ti avrebbe fatto male saperlo. E questo mi eccitava ancora di più.
Marco Gualco fa per uscire dalla porta a destra, frattanto inizia a sentirsi un fischio di 800 Hz. Le luci sfumano presto in controluce. Bianca inizia a ripercorrere i movimenti della scena al contrario, come un rewind, soffermandosi con un sospiro interrotto sull’abbraccio. Marco Gualco percepisce il fischio e il cambio di luci. Si gira, osserva sconvolto Bianca e ne coglie l’orrore del portato delle sue azioni. Bianca termina il rewind seduta come all’inizio della scena, e si pietrifica. Marco Gualco le si avvicina lentamente, poi, scettico, allunga una mano per toccarle i capelli.
Stasimo I. Per farle del male
Il fischio sfuma in una musica cupa. La luce riassume un aspetto onirico. Il boia estrae la scure dal ceppo.
BOIA ~ Tutto bene?
GUALCO ~ (sobbalza di spavento. Dopo una pausa) Sì. (Si allontana da Bianca) Allora? Cosa ne pensi?
BOIA ~ Di cosa?
GUALCO ~ Di me. Hai visto come l’ho trattata?
BOIA ~ Sì, ma non basta. Non mi basta sapere che hai tradito tua moglie per giudicarti.
GUALCO ~ Tradirla? Io non l’ho tradita.
Bianca esce dalla quinta a sinistra.
BOIA ~ Non l’hai tradita?
GUALCO ~ No! Lo giuro su mio padre! Quella era una bugia, era tutto architettato: io ero in ufficio la sera prima. Ero col mio amico Fabio, che parlavamo.
Fabio entra in scena, prende il cappuccio del boia dall’appendiabiti e lo mette nella cassapanca.
Visto? Io sono meschino. E non lo faccio solo per dimostrare qualcosa a me stesso.
BOIA ~ Perché l’hai fatto, allora?
GUALCO ~ Per farle del male.
Fabio chiude la cassapanca, poi si gira verso Marco Gualco e rimane in piedi a guardarlo colle mani in tasca a bordo scena.
Hai capito ora chi stai per ammazzare? Cosa ti avevo detto? Un uomo meschino. Un pezzo di merda. Un piccolo pezzo di merda: (misurandolo) uno stronzetto così.
BOIA ~ (poggia la scure per terra) Tu sei uno che perde spesso le cose, dico bene?
GUALCO ~ In realtà no, anche se sono abbastanza disordinato. Perché?
BOIA ~ Per conoscerti.
GUALCO ~ Credi ancora che io l’abbia tradita?
BOIA ~ Credo solo che mi manchino dei pezzi.
GUALCO ~ Allora facciamo così: lascia che ti mostri cosa è successo quella sera stessa, qualche ora prima di tornare da Bianca.
BOIA ~ Concesso.
Marco Gualco si toglie il cappotto, lo posa sulla scrivania e si siede.
EPISODIO QUINTO. La sera prima
Ufficio di Marco Gualco. Tarda sera. Il boia solleva la scure e la conficca nel ceppo. Un tonfo assordante. Le luci diventano calde e la musica si arresta all’improvviso. Silenzio.
FABIO ~ Hai riflettuto su cosa fare? (Pausa. Si avvicina) C’è almeno qualcosa che sei sicuro che non vorresti fare?
Silenzio. Si siede alla scrivania.
L’altro ieri ero al mercatino che danno in questi giorni sotto casa tua, ho comprato queste scarpe. Guarda. Non le ho pagate niente. Dovresti passarci, danno un sacco di roba interessante.
Silenzio.
Dopodomani parto, credo che starò via tutto il weekend. (Pausa) Indovina dove vado.
GUALCO ~ Guarda, non me ne fotte un cazzo.
FABIO ~ E santo Dio, però! E di soluzioni non te ne va bene una, provo a parlarti di altro e tu neanche mi guardi…! Sicuro che non mi stai nascondendo niente? Sei strano negli ultimi tempi.
GUALCO ~ Io strano? A me tu sembri un po’ troppo tranquillo, pensa te. Ma lascia stare, guarda. (Breve pausa) E cosa dovrei fare, denunciarlo? Io non posso; lo sai che non posso.
FABIO ~ Non c’è scritto da nessuna parte che devi fare qualcosa.
GUALCO ~ Io proprio non ti sopporto. Ma come fai a far finta che non sia successo nulla?
FABIO ~ A me non sembra che tu stia concludendo molto, invece.
Silenzio.
GUALCO ~ Che ore sono?
FABIO ~ (si guarda il polso senza orologio) Si è fatta mezzanotte. Io dovrei andare a casa. (Breve pausa) Vai anche tu… Stai un po’ con Bianca.
GUALCO ~ Con Bianca? Ma perché? E poi? Vado da lei e cosa faccio, le confesso tutto? Ma come ragioni tu?
FABIO ~ Io non ti ho detto questo. Ti ho detto solo di stare con lei.
GUALCO ~ Ma tu lo sai ch’è successo due settimane fa? Dopo che tu ed io abbiamo festeggiato qui per la mia promozione? Lo sai ch’è successo?
FABIO ~ Sì, me l’ha detto Bianca.
GUALCO ~ Te l’ha d— Te l’ha detto?
FABIO ~ Sì.
GUALCO ~ E da quand’è che tu parli con mia moglie?
FABIO ~ Era preoccupata, e mi ha contattato. Sono anche amico suo.
GUALCO ~ Quando?
FABIO ~ Ieri, dopo il lavoro.
GUALCO ~ Ieri? E non mi hai detto niente?
FABIO ~ Adesso te lo sto dicendo. Mi ha detto di quando sei tornato ubriaco alle sette di mattina. E che sono settimane che la eviti… Io non avevo idea che la situazione fosse questa.
GUALCO ~ Forse Bianca non vorrebbe che tu mi dicessi queste cose.
FABIO ~ No, forse sei tu che non le vuoi sentire. (Pausa) Lo so che sei in una situazione di merda, ma pensa a come sta lei. Stalle vicino. Fallo almeno per pararti il culo con suo padre.
GUALCO ~ In che senso pararmi il culo…?
FABIO ~ E dai… Lo sai meglio di me come hai ottenuto questo lavoro.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Mi stai dando del raccomandato?
FABIO ~ Davvero pensi che avresti ricevuto questo posto, se non fossi stato il genero del Pastorini? Non fare il finto offeso.
GUALCO ~ Be’, il Pastorini ha avuto due infarti nel giro di un anno, qualcuno dovevano pur nominarlo suo successore…
FABIO ~ E tra tutti proprio tu.
GUALCO ~ (subito) Non lo so, tu chi pensi che sarebbe stato?
FABIO ~ Sinceramente? Non tu. Ma questa è la mia opinione.
GUALCO ~ (va verso la cassapanca) Quel vecchio di merda! Morisse!
FABIO ~ Be’, non manca molto. A maggior ragione dovresti stare con lei.
GUALCO ~ Ma io non posso! Non lo capisci? Mi sento così in imbarazzo per lei, per questa cosa, che mi viene da piangere. Io più che ordinarle di non farmi domande non so cosa fare. Mi sento così meschino. Non se lo merita. Non merita me. Ma sento che se non sono crudele con lei… (Batte nervosamente una mano su uno scaffale) Ma dove cazzo è?
FABIO ~ Cosa?
GUALCO ~ (nervoso) Il coso… il quadrifoglio.
FABIO ~ L’avrai lasciato a casa, non lo so.
GUALCO ~ No, è qui, è sempre qui. Quando ho cambiato ufficio la prima cosa che ho fatto è stato mettere il quadrifoglio qui. (Trova il cappuccio del boia e lo getta con orrore sul bordo dello scaffale. Pausa) Io non riesco proprio a guardarla in faccia, Fabio. Non riesco a tornare a casa. E so che se torno e mi chiede qualcosa, la tratterò male; e non voglio.
FABIO ~ E allora confessale tutto.
GUALCO ~ (chiude la cassapanca con un lembo del cappuccio fuori) Eh, sì, peggio ancora. Bell’idea.
FABIO ~ (va a mettersi il cappotto) E allora fa’ come ti pare. Tanto, che si tratti di tuo suocero o si tratti di tua moglie, ogni cosa che dico per te è una stronzata.
GUALCO ~ Sì, ma non sono l’unico motivo per cui ti ho chiesto di vederci. C’è un’altra questione che non mi dà pace ultimamente.
FABIO ~ (si ferma ad ascoltarlo, intimorito. Dopo una pausa) E di che si tratta?
GUALCO ~ Del segretario di mio suocero.
FABIO ~ Olivo!? E che ha fatto?
GUALCO ~ Ti ricordi la chiamata che ho fatto quando abbiamo scoperto…?
FABIO ~ E allora?
GUALCO ~ … Si è presentato a casa mia la mattina stessa che sono tornato ubriaco.
FABIO ~ La mattina!?
GUALCO ~ Sì.
FABIO ~ Che gran figlio di puttana! L’ha mandato lui, sicuramente.
GUALCO ~ Olivo sa già tutto: sicuro come la morte.
FABIO ~ E tu cos’hai fatto?
GUALCO ~ L’ho cacciato, cosa dovevo fare? E ora sta venendo qui, eh. Te lo dico. Sono settimane che mi cerca negli orari più insospettabili e io gli dico che non ho tempo. È tornato l’altro giorno e io non ero a casa, ha parlato con Bianca. Le ha detto di dirmi che sarebbe passato di nuovo fuori dall’orario di lavoro. Sai che lui non lavora più qui alla sede centrale?
FABIO ~ Ah, sì?
GUALCO ~ Sta sempre a casa del bastardo di mio suocero. A quanto pare, bada a lui.
FABIO ~ E vuole venire qui per cosa stasera?
GUALCO ~ Non lo so! Viene qui tutt’i giorni. E tuttavia non posso evitarlo sempre. (Va a mettersi il cappotto) Infatti è meglio se andiamo. Se adesso mi vede, mi toccherà sentire cos’ha da dirmi.
FABIO ~ Va bene. Però ora promettimi che vai da lei. Appena esci da quest’ufficio tu torni a casa.
GUALCO ~ Ma perché?
FABIO ~ Perché lei non c’entra niente con tutto questo. Ascolta: siamo amici da quanto noi?
GUALCO ~ Da tanto…
FABIO ~ Ecco. Mi chiedi di venirti a fare compagnia nel tuo ufficio tutte le sere. Avrai un po’ di stima nei miei consigli, mi dico. Quindi, ascolta me: ci pensi a lei adesso?
GUALCO ~ Certo.
FABIO ~ Si starà preoccupando, Marco. Torna da lei. Qualsiasi cosa sia accaduta e mai accadrà, lei non merita il tuo odio; nessuno lo merita. Tu dici di sottacere tutto per non farle del male, ma lei lo sa che tu hai dei segreti con lei. Dei segreti, tra l’altro, per cui hai mutato il tuo atteggiamento nei suoi riguardi. Questo fa ancora più male; dovresti saperlo.
GUALCO ~ E va bene. Adesso mi preparo e torno. Però non le dirò niente.
FABIO ~ Bravo. È la cosa giusta.
GUALCO ~ Io ho dei bruttissimi presentimenti.
Bussano alla porta a destra. Pausa.
FABIO ~ Chi è?
GUALCO ~ E chi vuoi che sia? Te l’ho detto che mi sarebbe venuto a cercare qui.
FABIO ~ Che fai, gli apri?
GUALCO ~ Eh, che altro posso fare? Lo sa che c’è qualcuno. Tu non fiatare. (Alla porta) Chi è?
OLIVO ~ (da fuori) Signor Gualco, sono Olivo.
Marco Gualco fa cenno a Fabio di aprire la porta. Si vede Olivo, che porta due guanti neri, una camicia e un panciotto sotto un cappotto. Ha con sé una cartellina portadocumenti.
Permesso. (Vede Fabio) Signor Ricci, buonasera.
FABIO ~ Buonasera.
GUALCO ~ Cosa fa Lei qui?
OLIVO ~ Signor Gualco, noi dobbiamo parlare.
GUALCO ~ Olivo, Le ho già detto che non ho tempo per le visite. E poi non è orario di lavoro. Che cosa fa Lei qui?
OLIVO ~ Non ha parlato con Sua moglie?
GUALCO ~ No. Quindi per favore, adesso—
OLIVO ~ (sfila i guanti) Sapevo che L’avrei trovata qui, sapevo che avrebbe avuto tempo da dedicarmi.
GUALCO ~ Io non ho tempo per nessuno, lo capisce?
OLIVO ~ (dopo una breve pausa) E il Suo collega? Mi prende in giro, signor Gualco?
GUALCO ~ Non La prendo in giro. Stavo giusto congedandomi con il collega Ricci, qui. È piuttosto tardi, dovrei andare a casa.
OLIVO ~ Sì, ma, signor Gualco, con tutto il rispetto, posso parlare un secondo? A me pare… che in due settimane che io insisto nell’avere la Sua udienza – data anche la mia insistenza, no? – sia piuttosto straordinario che Lei non abbia avuto nemmeno un quarto d’ora da dedicarmi. Soprattutto dopo che l’altra volta sono rimasto ad aspettarLa fuori dal Suo ufficio per sei ore. Eh! Il tempo è vita, signor Gualco. So che può sembrare troppo filosofico e banale come concetto. Però… davvero: il tempo è vita. Se io spendo dei soldi per un servizio, è in fin dei conti per permettermi del tempo per fare altro e guadagnare più spazio per la mia vita. Se pago una domestica, lo faccio non tanto perché non sono bravo a pulire, ma perché così posso fare altro in quel tanto tempo che avrei impiegato a pulire; e così per tutto. E io qui ho perso sei ore del mio tempo, e io perdo della vita ad attendere ogni volta una Sua risposta. Ora, non è neanche il fatto in sé di cui vorrei discutere, ecco, per quello potrei aspettare altri tre mesi: il punto è che mi piacerebbe essere trattato colla dovuta considerazione; vorrei che si avesse rispetto per la mia vita. Perché vedermela rubata così volgarmente, no, questo è sbagliato, questo non è giusto. Non ci si comporta così.
GUALCO ~ Va bene, mi ha convinto.
OLIVO ~ Cosa?
GUALCO ~ La ascolterò.
OLIVO ~ (lancia un’occhiata a Fabio) Sul serio?
GUALCO ~ (si toglie il cappotto) Sì.
OLIVO ~ Non mi prende in giro?
GUALCO ~ Perché, L’ho mai presa in giro, signor Olivo?
OLIVO ~ No. Allora… grazie. Grazie. Mi siedo, posso sedermi?
GUALCO ~ Vai pure, Fabio. Non aspettarmi.
FABIO ~ Va bene. Fai come ti ho detto, per favore.
GUALCO ~ Sì.
FABIO ~ Ciao.
GUALCO ~ Ciao.
FABIO ~ (a Olivo) Arrivederci.
Fabio esce dalla porta a destra. Olivo intanto si è tolto il cappotto e ha posato la cartellina sulla scrivania. Entrambi si siedono. Breve silenzio.
OLIVO ~ Cosa Le ha chiesto di fare?
GUALCO ~ Parlare con mia moglie; difatti ho poco tempo: se vuole arrivare presto al sodo, farebbe un favore a Bianca.
OLIVO ~ Al sodo…?
GUALCO ~ Sì, al sodo. (Breve pausa) Olivo, il motivo per cui Lei è qui. Me lo vuole dire o no?
OLIVO ~ Il motiv— Ah! Il motivo! (Pausa) Sì, scusi, il fatto è che ero sicuro che non mi ricevesse. Mi ero preparato tutto il discorso sul rispetto del tempo che Le ho fatto testé, ecco, ma non mi aspettavo…
Breve silenzio.
GUALCO ~ Mi ascolti, Olivo. Ora siamo soli e finalmente Le potrò parlare in tutta sincerità.
OLIVO ~ Se nelle scorse settimane non siamo potuti rimanere soli, era per causa Sua.
GUALCO ~ Appunto. Se mi lascia finire… Va bene? Il motivo per cui L’ho trattata così freddamente prima, e anche nei giorni scorsi, è perché sono vincolato da delle aspettative di mia moglie e del mio collega.
OLIVO ~ Cioè?
GUALCO ~ Mi lascia finire!? Oh… Due domeniche fa, quando Lei è venuto a casa mia per farmi firmare quei fogli, io ho dovuto cacciarLa via.
OLIVO ~ Ma perché?
GUALCO ~ Ma come «perché»? Eh! Olivo! Come «perché»? Ma le aspettative che si crea la gente su una persona come la mia, che ha fatto carriera così in fretta, sono letali se non vengono soddisfatte. Io appartengo ad un apparato sociale fortemente catalogante. E Le posso giurare che questa percezione netta, tassativa e prevedibile della mia identità si riflette anche negli affetti più intimi. Mia moglie ha soggezione di me per un motivo. E mi ama perché ha soggezione di me. E se non agisco come da copione, se non eseguo senza la benché minima esitazione tutte le azioni che il mio ambiente sociale s’attende da me; lei smetterà, in maniera più o meno inconscia, di amarmi. In definitiva, io non posso mostrarmi con Lei come voglio mostrarmi con Lei.
OLIVO ~ Signor Gualco, io ho bisogno che Lei sia onesto con me. Lei mi ha evitato per due settimane; e non sono uno stupido: sin da subito Le ho dato fiducia, ma Lei se n’è approfittato e con questo pretesto è scampato alle Sue responsabilità; e io non accetto che mi si sbologni con una menzogna. Perché guardi che io… io me ne rendo conto e so che col mio atteggiamento Le risulto asfissiante, lo so bene… ma non è che dipende solo da me.
GUALCO ~ Ma no, Olivo! Non è personale, mi creda. Io mento a tutti, a tutti! Glielo confesso; a Lei lo posso dire perché è una persona onesta, ma mi creda: è una giungla. Io dico un sacco di bugie, lo sa perché? È che non sopporto chi dà per scontata la mia confidenza e crede che io sia sempre alla loro mercé. Qui al dipartimento è pieno così di gente che insiste per chiedermi udienza, e io non posso che rifiutarli, come ho fatto con Lei. La differenza tra Lei e i miei dipendenti è che io non ho motivo di mentirLe. Lei è sempre stato così discreto, cortese. Sono altri i motivi che mi hanno spinto a rifiutarLa, mi creda, e non ha nulla a che fare con Lei.
OLIVO ~ Quindi non sentiva il mio fiato sul collo?
GUALCO ~ Ma io il Suo fiato non lo sentivo nemmeno a un chilometro da me. Guardi, dico davvero: i Suoi solleciti sono di una remissività tale, un pudore che pareva che ogni volta che veniva da me si sentisse in colpa anche solo per avermi rivolto la parola.
OLIVO ~ Be’, finché mi respingeva in quel modo…
GUALCO ~ (si rimette il cappotto) Ha ragione, signor Olivo, su questo ha ragione e me ne dispiaccio. Ma io non La deploro come Lei crede, no. Anzi, sa cosa? Io La invidio! Sì. Io vorrei essere come Lei. Io vorrei essere proprio Lei: Olivo, il signor Olivo. Dovrebbe essere un po’ più egoista nell’esigere la Sua parte di tempo. Su! (Apre la porta) Ora, mi scusi, ma si sta facendo tardi e ho da litigare con mia moglie.
OLIVO ~ (si alza) Ma! Aspetti! Non Le ho ancora detto il motivo della mia udienza.
GUALCO ~ La Sua udienza. Ah, già. Ha ragione. Però faccia in fretta, su.
OLIVO ~ Sì, sì, allora… quello che volevo dirLe è che…
GUALCO ~ Il sodo!
OLIVO ~ Il sodo, sì! In soldoni, è per i documenti che ha rifiutato quando sono venuto a casa Sua, che doveva firmare.
GUALCO ~ Ah, tutto qui?
OLIVO ~ Sì, avevo anche altre cose da dire a riguardo, ma ora ho dimenticato tutto… E comunque in sostanza era che, sì, il signor Pastorini voleva che Lei firmasse quella delega.
GUALCO ~ E le ha qua le carte? Solo che adesso non posso leggerle, sa…
OLIVO ~ A dire il vero, no, poiché il signor Pastorini ha chiesto espressamente che Lei venisse a firmarle da lui.
GUALCO ~ Mio suocero vuole che vada a casa sua?
OLIVO ~ Sì. Un colloquio informale.
GUALCO ~ Ci mancherebbe pure che fosse formale. Da quando mi ha nominato suo successore nell’azienda, ha perso ogni potere su di me; è bene questo che ve lo ricordiate.
OLIVO ~ Sì.
GUALCO ~ Io ho tutto il diritto di non vidimare nessuna delega.
OLIVO ~ Certo.
GUALCO ~ È bene che ve lo ricordiate.
OLIVO ~ (dopo una pausa) Sì.
GUALCO ~ Allora… quando vuole ricevermi?
OLIVO ~ Il prima possibile, dice.
GUALCO ~ Eh… E va bene, gli dica… che vengo domani pomeriggio alle due. Immagino vada bene.
OLIVO ~ Andrà benissimo, signor Gualco.
Inizia una breve musica inquietante.
GUALCO ~ Arrivederci, allora.
OLIVO ~ Arrivederci.
La musica termina in un tonfo assordante. Controluce. Olivo si pietrifica. Marco Gualco lo osserva interdetto. Poi il boia fa un piccolo cenno e Marco Gualco gli si avvicina per sedersi ai piedi del ceppo accanto a lui.
EPISODIO SETTIMO. Il meriggio seguente
Casa di Silvestro Pastorini. Meriggio. Le luci diventano tiepide. Olivo si rianima.
OLIVO ~ (si guarda il polso senza orologio) Signore, sono le due, credo che stia arrivando.
Silvestro si avvicina col suo bastone da passeggio al tavolo, su cui poi si siederà fiaccamente. Porta una vecchia camicia, un cardigan dai tristi colori e delle pantofole. Frattanto, Olivo prende il cappuccio del boia dalla cassapanca e lo poggia sulla sedia libera, poi si rimette il cappotto.
SILVESTRO ~ Sì, Olivo, sì, non ti preoccupare. Io gli voglio solo parlare di mia figlia. Tanto è un ragazzo in gamba, non è uno stronzo. Gli faccio solo presente questa cosa e tanti saluti! Devo pur dire la mia in quanto suocero, o no?
OLIVO ~ (prende la cartellina) E per quanto riguarda le informazioni riservate? Non vuole dirgli niente?
SILVESTRO ~ Ma che cosa c’è da dire! C’è tempo e luogo per ogni cosa, ma non ora.
OLIVO ~ Neanche della delega? Lui sta venendo qui per la delega che non volle firmare.
SILVESTRO ~ Non ce n’è bisogno.
OLIVO ~ (subito, inquieto) Ma non ha paura delle conseguenze?
SILVESTRO ~ Olivo! Lasciati dire una cosa. La conosci la leggenda di re Pagobardo? Ebbene.
Silvestro gli fa un cenno e Olivo si siede.
Il re Pagobardo era un monarca molto prudente, “cauteloso” si potrebbe dire. Era così cauteloso che non gli bastava la parola degli altri per farlo dormire bene la notte, egli doveva a tutti costi monitorare puntigliosamente ogni manovra economica, politica e amministrativa all’interno del suo palazzo. E sì che ne aveva di cortigiani competenti, i migliori del regno; ma lui non ne voleva sapere, non si fidava di nessuno; voleva le cose solo come le faceva lui e si prendeva le responsabilità di chiunque. Così Pagobardo smise presto di delegare le sue mansioni ai sudditi per timore che non fossero svolte alla perfezione e si fidò solo di se stesso. In psicanalisi si potrebbe parlare di un disturbo paranoide, o di un narcisismo sconfinato, ma poi quando si tira in mezzo la scienza si perde sempre un po’ di fascino, di teatro. Fatto sta che gl’incarichi erano talmente tanti che Pagobardo passò l’intera vita a lavorare senza trovare neanche un minuto per se stesso. L’eccessiva precauzione lo condannò a non viver la sua vita. E Pagobardo morì, di cautela.
OLIVO ~ Lei dice che io potrei morire di cautela, signore?
SILVESTRO ~ Non lo so, Olivo, ma se non ci muori tu, ti ammazzo io.
Bussano alla porta a sinistra.
Eccolo.
OLIVO ~ Che faccio?
SILVESTRO ~ Tu vai, vai. E non ti preoccupare. Ah! E, Olivo, ricordati di Pagobardo.
OLIVO ~ Pagobardo, sì. Pagobardo. (Esce dalla porta a destra)
SILVESTRO ~ Avanti!
GUALCO ~ (fa capolino dalla porta a sinistra) È permesso?
SILVESTRO ~ Oh! Marco! Scherzi? Ho chiesto io che venissi qui. Accomodati.
Marco Gualco entra chiudendosi la porta alle spalle. La soggezione per il suocero è ben dissimulata in lui, seppure siano desumibili nel suo fiato le avvisaglie di un’incognita sofferenza.
Scusa se non mi alzo a salutarti, ma sai… È una vera agonia.
GUALCO ~ (poggia il cappotto sull’appendiabiti) Don Silvestro, come state? È da un po’ che non ci vediamo, ma comunque chiedo sempre di Voi a mia moglie.
SILVESTRO ~ Ah, davvero?
GUALCO ~ Sì.
SILVESTRO ~ Ma perché devi sempre darmi del Voi? È insopportabile.
GUALCO ~ È un’abitudine che ho preso da mio padre. Dava sempre del Voi ai suoceri. Non lo faceva per creare una distanza; diciamo… una simpatica venerazione. Niente di formale. Prendetela così.
SILVESTRO ~ Ma che hai in faccia? Ti senti bene?
GUALCO ~ Sì, tutto bene.
SILVESTRO ~ Ma non prendermi per il culo. (Gli fa cenno di avvicinarsi) Fatti guardare.
Marco Gualco si alza e si appropinqua al suocero, che lo tira a sé per il collo col bastone.
Dio mio, ma tu fai schifo, figliolo.
GUALCO ~ Sì.
SILVESTRO ~ Sembri appena stato stuprato. A che ora sei andato a dormire ieri notte?
GUALCO ~ (si allontana) Perché? Ma che ne so!
SILVESTRO ~ Che ti succede ultimamente? Ti vedo spento.
GUALCO ~ E che mi deve succedere? Niente. Ma perché tutte ’ste domande adesso?
SILVESTRO ~ Come «perché»? Lo sai. Guarda che a me mi arrivano le voci! Mi sento dire (tossisce in modo preoccupante) che sei… che sei sempre giù di corda, sei schivo, fai discorsi assurdi. Bianca mi ha raccontato tutto, eh. A me non sfugge niente. Com’è? Torni sempre a casa tardi, fai degli orari improponibili, anche adesso che ti parlo e mi sorridi, lo sento questo tuo sconforto. Cosa c’è che non va?
GUALCO ~ Ma niente, don Silvestro… Non lo so nemmeno io probabilmente: non m’interrogo. (Trova il cappuccio del boia e lo getta con orrore per terra) Ora però possiamo concentrarci sul motivo per cui—
SILVESTRO ~ No, no. Perdonami, ma no, non ti permetto di dirmi bugie, non ti ho invitato qui per sentirmi dire questo. Uno come te, non ci credo che non si rende conto di quello che gli sta succedendo. Ma di’, sono io? È per colpa mia?
GUALCO ~ (lo fissa. Pausa) Se è colpa Vostra?
SILVESTRO ~ Sì.
GUALCO ~ In che senso, scusate?
SILVESTRO ~ (traduce) Ti metto soggezione?
GUALCO ~ Perché soggezione?
SILVESTRO ~ Magari ti imbarazza parlare di queste cose con tuo suocero, non lo so.
GUALCO ~ (inespressivo) Ah, in quel senso. (Pausa) No. Nessuna soggezione.
SILVESTRO ~ Ah. E allora! Avanti, su. Vuoi dirmi che cosa ti prende?
GUALCO ~ (abbandona il contatto visivo) Be’, cosa c’è da dire? Mi sento infelice; ho bisogno di allontanarmi, di stare da solo, pensare…
SILVESTRO ~ Pensare a cosa?
GUALCO ~ Ma niente, cose mie. Ora possiamo parlare della delega?
SILVESTRO ~ Ma… non farai mica… pensieri strani.
GUALCO ~ Pensieri strani?
SILVESTRO ~ Sì, sai… dai, hai capito.
GUALCO ~ Pensieri suicidi?
SILVESTRO ~ Eh, sì… Non volevo dirlo… (Pausa) Oh! Allora?
GUALCO ~ No, niente pensieri suicidi.
SILVESTRO ~ Va bene. Anche se non ti credo. Ma non importa. (Poggia il bastone a terra, si alza e si dirige alla cassapanca) Dai, su, ravviviamo la serata! Vuoi dello scotch? Ne ho di ottima qualità.
GUALCO ~ A quest’ora?
SILVESTRO ~ E che male c’è a bere alle due del pomeriggio?
GUALCO ~ (alludendo) Be’, insomma…
SILVESTRO ~ (si ferma, non subito) Che fai, dello spirito sulla mia malattia?
GUALCO ~ No, dico solo che tutto quell’alcol non Vi fa bene.
SILVESTRO ~ Sì, ma io già son moribondo. Cosa vuoi che cambi? Sei tu che devi stare attento.
GUALCO ~ Forse siete moribondo proprio perché non state attento.
SILVESTRO ~ (s’inginocchia a fatica) Mi sa che hai ragione. (S’infila nella cassapanca come se fosse profonda un metro, e inizia a parlare con tono alto come se fosse in un’altra stanza) Sai, ieri mi ha fatto visita il dottore. Dice che il mio tempo qui è finito.
GUALCO ~ Per davvero?
SILVESTRO ~ (a gattoni dentro la cassapanca) Sì. Ti va un po’ di cognac?
GUALCO ~ No, scusatemi, cosa vuol dire «il mio tempo è finito»?
SILVESTRO ~ E cosa può voler dire, Marco Gualco! (Esce momentaneamente dalla cassapanca, restando a gattoni) Tu considera: già la situazione è questa, poi figurati se devo pure venire a pensare che il marito di mia figlia si vuole ammazzare! E che vogliamo fare, lasciarla sola? Io non ho alternative, ma tu, d’altra parte… (Rientra nella cassapanca) Comunque non voglio parlare della mia malattia. Lo vuoi il cognac o no?
GUALCO ~ Ma, scusate, per salutarmi non Vi siete mosso di un millimetro e ora Vi alzate e Vi mettete a gattoni?
Silvestro estrae una bottiglia d’alcol vuota. I personaggi, così come per gli orologi che non indossano, non faranno caso a questo dato mancante.
SILVESTRO ~ (gli passa la bottiglia di cognac) Ognuno ha le sue priorità.
GUALCO ~ (la posa sul tavolo) Io vengo dopo l’alcol?
SILVESTRO ~ (esce dalla cassapanca con due bicchierini) Tu vieni dopo molte cose, se è per questo, Marco mio.
GUALCO ~ E allora perché ci tenete tanto che io non mi ammazzi?
SILVESTRO ~ Ah, io dicevo per mia figlia, a me non frega niente se ti ammazzi. Siediti pure.
GUALCO ~ (si siede) Però il ruolo di vicedirettore me l’avete assegnato Voi, come lo spiegate questo?
SILVESTRO ~ (si siede) Be’, Marco Gualco… alle volte bisogna scendere a compromessi col mondo (tira a sé la bottiglia di cognac col bastone) e accantonare il cielo.
GUALCO ~ Molto spiritoso.
SILVESTRO ~ Allora, ne vuoi un po’, sì o no?
GUALCO ~ No, grazie, don Silvestro, non mi piace l’alcol.
SILVESTRO ~ (si versa da bere) Ah, no? Eppure i fatti dicono il contrario. (Posa la bottiglia) Dico bene?
Pausa. I due si fissano. In Silvestro non esiste la benché minima aria provocatoria o maliziosa; le insinuazioni che avanza vivono di ingenuità e sollecitudine.
GUALCO ~ Bianca Vi ha raccontato…
SILVESTRO ~ Be’, è successo ancora due settimane fa.
GUALCO ~ E allora suppongo che abbia avuto pure modo di dirVi cos’è successo ieri notte.
SILVESTRO ~ Perché, cos’è successo ieri notte?
GUALCO ~ Lo sapete benissimo cos’è successo ieri notte.
SILVESTRO ~ Certo che lo so. Lei mi racconta tutto.
GUALCO ~ E Voi? (Breve pausa) Le raccontate tutto, don Silvestro?
Lunga pausa.
SILVESTRO ~ Prego?
GUALCO ~ Ho detto: Voi le raccontate tutto, a Vostra figlia?
SILVESTRO ~ Cosa significa? Io mi preoccupo soltanto della tua condotta autodistruttiva, apparentemente autodistruttiva. Tutto qui. Non capisco a cosa devo queste tue indebite insinuazioni. Davvero. Voglio soltanto parlare con te.
GUALCO ~ Be’, io non voglio parlare con Voi. O quanto meno dei miei affari personali. Capito? Io sono stato chiamato qui per parlare della delega. Nient’altro. (Si alza) E se per arrivarci dobbiamo prima girare intorno a fatti per nulla inerenti a questo colloquio, utili anzi solo ad alimentare… inadeguate pressioni psicologiche – che io, mi dispiace, ma non riesco a reggere – ritenetemi fuori da tutto questo.
SILVESTRO ~ No, Marco. È mio preciso compito preoccuparmi di quello che mina l’umore e il rendimento del mio vicario. Non posso fare finta di niente.
GUALCO ~ E invece sì!
SILVESTRO ~ Perché?
GUALCO ~ Perché? Perché sono cazzi miei.
SILVESTRO ~ Ragazzo, vedi di moderare il linguaggio.
GUALCO ~ Il linguaggio!? Ma quale linguaggio! Io dovrei bestemmiare! Per rispondere a tono alle insinuazioni che mi avete appena fatto!
SILVESTRO ~ Non ho fatto alcuna insinuazione.
GUALCO ~ Io sono stato chiamato qui per parlare della mia pretesa delega! L’unico motivo per cui sono qui è questo. E se avessi saputo che dovevo venire qui per discolparmi dall’aver tradito mia moglie—
SILVESTRO ~ No. Marco, io so benissimo che tu non hai tradito proprio nessuno.
GUALCO ~ La delega delle mie funzioni al Vostro segretario, ecco di cosa dobbiamo parlare. La delega che mi avete fatto avere, senza un apparente motivo, nel giro di una notte dalla mia promozione. Di domenica. Io non voglio sentire parlare di nient’altro. Nulla. Allora? (Si siede) Io sono qui, sto aspettando. Che cosa volevate dirmi? (Pausa) Voi… mi avete chiamato qui solo per parlare di Bianca. Non esiste nessuna delega, non è così?
SILVESTRO ~ Tu le hai chiesto il divorzio ieri notte. Direi che questo ha cambiato un po’ le priorità sugli argomenti.
GUALCO ~ (non subito) Quindi ha chiesto aiuto a papà per sistemare le cose.
SILVESTRO ~ Non è stata lei a chiedermi aiuto.
GUALCO ~ E chi, allora?
Pausa. Una nota forte, seguita da una musica di tensione.
(Sconvolto) No… Fabio? (Pausa. Si alza e si avvicina all’appendiabiti) Credo sia ora che me ne vada.
SILVESTRO ~ (amicalmente) Ma cosa fai, vieni qui!
GUALCO ~ (agitato) Statemi lontano. Voi mi volete provocare. Io non ho fatto niente, capito? Non l’ho fatto apposta!
SILVESTRO ~ Ma di cosa stai parlando?
GUALCO ~ Sapete benissimo di cosa sto parlando. Io non volevo tutto questo! Non è stata colpa mia! Capito!? Io non ho mai voluto saperne niente!
SILVESTRO ~ Io lo so che tu non hai tradito Bianca. Io ti credo.
GUALCO ~ (dopo aver preso il cappotto) Non sto parlando di Bianca! Lasciate Bianca lontano da tutto questo. Lei non c’entra niente! È vergognoso. Voi non siete nessuno per dirmi cosa cazzo devo fare con Vostra figlia. (Grida) Nessuno!
Silenzio. Marco Gualco si mette il cappotto e apre la porta a sinistra per uscire.
SILVESTRO ~ Marco! Io lo so. Tu non sei uno che cede all’indignazione. Stai recitando, io lo so. Puoi ingannare anche mia figlia meglio di me. Ma io non sono uno stupido. Solo non capisco perché lo stai facendo.
La musica s’interrompe. Silenzio. Marco Gualco si avvicina al suocero.
Stasimo II. Sono stupido
GUALCO ~ E poi me ne andai, senza rispondergli.
Una musica triste. La luce torna tetra. Il boia estrae la scure dal ceppo.
BOIA ~ Quindi è così che ti sei condannato?
GUALCO ~ (guardando Silvestro) A dire il vero, immagino che fosse già tutto deciso.
BOIA ~ Che vuoi dire?
Silvestro prende la bottiglia e si avvia alla cassapanca.
GUALCO ~ Bianca non c’entra nulla. Per mio suocero, parlare del mio matrimonio era solo un pretesto per farmi confessare quello che sapevo. E sapeva che io non avrei confessato nulla. Per questo sono stato condannato.
Silvestro chiude la cassapanca ed esce dalla quinta a destra.
BOIA ~ Eppure sembra che ci sia una sorta di costanza in questi ricordi. È come se tutti quelli intorno a te fossero ossessionati da Bianca.
Entra Olivo sgattaiolando a quattro zampe dalla quinta a destra, Marco Gualco si gira a guardarlo.
Marco, resta con me. (Lo prende sottobraccio e lo porta in proscenio) Continuate a parlare di una determinata sera in cui tu ti ubriacasti.
Olivo prende i bicchierini e li porta via di scena sgattaiolando verso la quinta a sinistra.
GUALCO ~ Non è così semplice da spiegare.
BOIA ~ E allora perché sei stato condannato?
GUALCO ~ Perché sono stupido. Molto semplicemente.
BOIA ~ Pensavo ti considerassi migliore degli altri.
GUALCO ~ Migliore sì, ma – ora forse esagero – ma credo che se io fossi stato anche solo dell’un percento più intelligente, adesso non sarei qui a parlare col mio giustiziere. Perciò quanto meno non sono un genio.
BOIA ~ E cos’è accaduto quando ti sei ubriacato? Vorrei vedere quel ricordo.
GUALCO ~ Quello? (Breve pausa) Non è necessario.
BOIA ~ Perché?
GUALCO ~ Perché… non c’entra niente colla mia morte.
BOIA ~ Certo, ma mi aiuterebbe a capire chi sei.
GUALCO ~ Sì.
BOIA ~ Allora è necessario.
Entra Fabio con una valigia tra le braccia, che accarezza come se fosse un tesoro inestimabile. Si ferma davanti a Marco Gualco.
Non te la senti?
GUALCO ~ Sì—
Fabio gli sbatte la valigia sul petto.
No, va bene. Se questo è ciò che vuoi… Tanto non sono io a decidere.
BOIA ~ Posso farti un’altra delle mie domande?
GUALCO ~ Concesso.
S’iniziano a fissare sino a fine scena.
BOIA ~ (poggia la scure per terra) Trovi difficile presentarti alle persone?
GUALCO ~ Presentarmi alle persone? Ma che domanda è?
BOIA ~ Vuoi cambiarla?
GUALCO ~ (non subito) Sì.
BOIA ~ Tendi mai a fare qualcosa solo per curiosità?
GUALCO ~ Certo, spessissimo.
BOIA ~ (serio) Davvero? Non l’avrei detto.
GUALCO ~ Proseguiamo?
BOIA ~ Concesso.
Marco Gualco inizia a roteare su se stesso al centro del palco colla valigia in mano per una quindicina di volte.
EPISODIO TERZO. Incrinatura
Casa di Marco Gualco. Primo mattino. Il boia solleva la scure e la conficca nel ceppo. Un tonfo assordante. Le luci diventano calde e la musica si arresta all’improvviso. Marco Gualco si ferma, lascia cadere la valigia per terra e si getta sul tavolo stremato. Poi si tira su a fatica, si allenta la cravatta, trova le forze per dirigersi all’appendiabiti, ci si aggrappa e inizia a spogliarsi del cappotto, di spalle. Bianca, in camicia da notte, raggiunge il marito in sala, dalla porta a sinistra.
BIANCA ~ Marco!
Marco Gualco si ferma e la fissa con pena e terrore.
Oddio! Pensavo fosse successo qualcosa. Che fine avevi fatto? (Pausa) Perché mi guardi in quel modo?
GUALCO ~ (distoglie lo sguardo, spaventato) Bianca, ti prego, lasciami stare.
BIANCA ~ Amore, ma tu non ti reggi in piedi.
GUALCO ~ Ti ho detto di lasciarmi stare, vattene.
BIANCA ~ Come?
GUALCO ~ (sincero) Scusa. Hai ragione. Sono stato cattivo, scusa, e non ne sono capace.
BIANCA ~ Non capisco. Ma ti è successo qualcosa?
GUALCO ~ Non mi è successo niente.
BIANCA ~ (dopo una pausa) Ma… hai bevuto? Perché hai bevuto? (Breve pausa) Mi vuoi dire qualcosa? Dove sei stato?
GUALCO ~ (finisce di posare il cappotto sull’appendiabiti e si avvicina al tavolo) Non farmi le domande. Per favore.
BIANCA ~ Perché non posso? Marco!
Marco Gualco si ferma.
Ma che ti prende? Ti ho fatto qualcosa? Sei arrabbiato?
GUALCO ~ No, sono solo stanco.
BIANCA ~ E dimmi almeno perché sei stato via tutta la notte!
GUALCO ~ Ero in ufficio.
BIANCA ~ E che hai fatto tutta la notte?
GUALCO ~ Ero con Fabio.
BIANCA ~ E che facevate?
GUALCO ~ Senti, Bianca, tu mi ami?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ E allora non ti serve sapere altro. Se tu mi ami, non hai bisogno di giustificazioni da me.
BIANCA ~ Ma di cosa stai parlando? Oh, di cosa stai parlando? Che comportamento è?
GUALCO ~ Bianca, io non devo nessuna spiegazione a nessuno per essere arrivato in ritardo. Ci siamo capiti?
BIANCA ~ Cosa vuol dire che non devi spiegazioni a nessuno? Sei forse impazzito?
GUALCO ~ Significa che io sono un uomo libero, sono un free man, e se anche sono sposato con te, tu non hai nessun diritto di pretendere di sapere tutto sul mio conto. (Inciampa sul cappuccio del boia)
BIANCA ~ (lo soccorre) Attento! (Pausa) Tu sei ubriaco, amore mio. Non sai quello che stai dicendo.
GUALCO ~ No, invece; lo so benissimo io; e guarda: mi sta anche passando.
BIANCA ~ Bene, allora adesso dimmi perché sei tornato così tardi.
GUALCO ~ (recupera la valigia) Non voglio dirtelo.
BIANCA ~ Perché?
GUALCO ~ Bianca, io non devo… Tu non hai il diritto di sapere tutto di me.
BIANCA ~ Ma che discorso è!?
GUALCO ~ Non alzare la voce! (Pausa. Tra sé) Vaffanculo. (Breve pausa) Io faccio il cazzo che mi pare, hai capito? Tanto è tutta una menzogna! Io credevo di vivere sereno, ma sotto il letto ci sono i mostri.
BIANCA ~ Ma che cazzo stai dicendo!?
GUALCO ~ Tu non devi sapere niente! Tu non devi capirci niente! Io vivo in un manicomio! (Subito, si alza poggiandosi al tavolo, pentito) No, scusa, io… Perdonami, (si avvicina) non volevo essere—
Bianca arretra impaurita. Marco Gualco si arresta.
Ti faccio paura?
BIANCA ~ Ma cosa ti è successo…?
GUALCO ~ Niente, amore. Solo… (Pausa. Resta lì con lei) No, scusami, non pensare, dimentica tutto. Non sta succedendo proprio niente. Era solo l’alcol.
BIANCA ~ Che c’è adesso?
GUALCO ~ Niente. Va tutto bene. Ho sbagliato io, è solo colpa mia.
BIANCA ~ Che fai ora? Ti prendi gioco di me?
GUALCO ~ Io, amore? Prendermi gioco di te?
BIANCA ~ Come puoi essere così meschino?
GUALCO ~ Meschino io? (Pausa. Senza sorriso) Ma, amore, ma tu credi davvero che io voglia farti del male? Credi sia capace di una cosa simile? No, rispondimi. È una cosa che dici perché sei offesa o lo pensi davvero? (Breve pausa) Hai dimenticato chi sono? Io farti del male? (Ride) Io? I-o, Marco Gualco, farti del male? Ma amore! Ma se c’è qualcuno che in questo mondo è in grado di scrollarmi da questo disincanto… Se c’è qualcuno che sa farmi apprezzare la poesia delle cose, che sa aiutarmi in ogni forma… quella sei tu, tesoro mio. (In ginocchio) Incantevole, magnifico tesoro mio. Tu non puoi pensare male di me, perché io non vedo che te. (Le bacia le mani) Scusami. Scusa, se ti ho trattata male. Io ti amo, tantissimo. Come potrei volerti far soffrire?
BIANCA ~ Io sono stata in pena tutta la notte! (Si preme il petto) Oddio! Pensavo fosse successo qualcosa. Non avevi mai fatto così. Non capivo. (Si mette per terra con lui, gli afferra il viso) Tu non devi bere. Marco, dico sul serio: non farlo mai più. Lo sai che ti fa male.
GUALCO ~ Amore, ma te lo ricordi quando andammo in montagna ad aprile dell’anno scorso? E ci mettemmo a cercare i quadrifogli?
BIANCA ~ Certo, amore, al nostro anniversario.
GUALCO ~ Poi incontrammo quella coppia di anziani e parlammo con loro tutta la sera.
BIANCA ~ Sì, dicevi che quel vecchietto secondo te era un genio e aveva capito tutto dell’amore.
GUALCO ~ Guarda, non ricominciamo.
BIANCA ~ Io non ricomincio proprio niente.
GUALCO ~ Ed era lo stesso giorno in cui ti ho regalato quella vecchia lettera di San Valentino che non avevo mai avuto il coraggio di darti.
BIANCA ~ Quella sull’universo.
GUALCO ~ Sì. Ecco, io vorrei che fosse sempre quel giorno lì. (Pausa) Io ci potevo morire, capisci? Anzi, io avevo bisogno di morire in quel momento. E lo dico senza rimorsi. Una parte di me ha sempre voluto la morte, anche in quel bellissimo giorno. Mio Monte Bianco.
Le dà un bacio. Silenzio.
BIANCA ~ Mio papà ha avuto un altro infarto oggi, lo sapevi? (Pausa di assenso) Io non ti ho chiamato perché cosa potevi farci? Poi eri comunque lì in ufficio, lo sapevi, no?
GUALCO ~ Sì, certo. (Breve pausa) Scusa. Come stai?
BIANCA ~ Proprio oggi dovevi farmi questo?
GUALCO ~ Hai ragione, scusa. (Breve pausa) Come stai?
BIANCA ~ Ho paura.
GUALCO ~ Lo so. (Breve pausa) Scusa, è che non so mai cosa dire.
BIANCA ~ Ma come mai sei tornato così tardi?
GUALCO ~ Sono stato in ufficio, te l’ho detto.
BIANCA ~ Ma perché?
GUALCO ~ Non lo so, Bianca, sono stanco, adesso vorrei andare a dormire.
BIANCA ~ Ma dimmi almeno il motivo.
GUALCO ~ Amore, io ti chiedo un solo favore… Prima che tu me lo chieda o ti tormenti con sospetti velenosi: no, io non ti ho mai tradito neppure col solo pensiero. Non ho mai fatto niente, non ho mai pensato niente, non ho altra donna per la testa al di fuori di te. Va bene? Per quanto scontato, era doveroso perché l’ultima cosa che voglio è farti del male. Premesso questo, ti chiedo un solo favore: non farmi domande.
BIANCA ~ In che senso? Che domande?
GUALCO ~ Non chiedermi dove sono stato, non chiedermi cosa ho fatto in ufficio. A te importa solo che non ti faccia del male, ma ti prego di non indagare oltre, perché io non so mentire; non ti dirò il perché, ma devi fidarti di me.
BIANCA ~ Ma cosa dovrei…
GUALCO ~ Bianca.
Bussano alla porta a destra.
BIANCA ~ (si alza) A quest’ora? Chi è?
GUALCO ~ Non lo so.
Bianca va ad aprire la porta. C’è Olivo con la sua cartellina portadocumenti.
OLIVO ~ Disturbo? (A Bianca) Buongiorno, signora.
GUALCO ~ No, non disturba, Olivo. Ma cosa fa qui a casa mia?
OLIVO ~ Signor Gualco, noi dobbiamo parlare.
GUALCO ~ Di cosa?
OLIVO ~ Ho ricevuto una chiamata da Lei ieri notte.
GUALCO ~ (dopo una pausa, senza guardarla) Bianca, per favore, puoi lasciarci soli?
BIANCA ~ Perché?
GUALCO ~ Dobbiamo parlare di lavoro. Sono informazioni… sensibili.
BIANCA ~ Da quando in qua il tuo lavoro tratta informazioni sensibili?
GUALCO ~ Bianca, non insistere! Per favore!
Pausa. Bianca esce dalla porta a sinistra.
Dunque?
OLIVO ~ Perché quella faccia imbronciata, signor Gualco? È preoccupato di qualcosa?
GUALCO ~ (sorride beffardo) Io… ho ben capito. (Si alza) Io ho ben capito che ha ricevuto una mia chiamata ieri sera, ma perché si presenta a casa mia a quest’ora del mattino? Di domenica. Non è un po’ fuori luogo?
OLIVO ~ Ha bevuto, signor Gualco?
GUALCO ~ No, sto solo morendo di sonno, e quando ho molto sonno sembro ubriaco.
OLIVO ~ (apre la cartellina contenente fogli completamente bianchi) Avrei solo bisogno che Lei firmasse alcuni documenti redatti dal signor Pastorini.
GUALCO ~ Adesso?
OLIVO ~ Sì, guardi, si tratta di una delega.
GUALCO ~ A chi?
OLIVO ~ (posa la cartellina aperta sul tavolo) A me.
GUALCO ~ A Lei? Un mio subalterno?
OLIVO ~ Non esattamente. Io lavoro in privato per Suo suocero ormai.
GUALCO ~ Io non ho ancora avuto modo di avere a che fare con Lei, (schiocca le dita) signor…
OLIVO ~ (non subito) Olivo.
GUALCO ~ (indignato) Eeh, parlo io. Casa mia: parlo io. Signor… Olivo, da quando sono stato promosso a dirigente, ossia (si guarda il polso senza orologio e lo avvicina alla faccia di lui) nemmeno ventiquattr’ore fa, già pretende di declassare le mie funzioni? Ma cos’è, uno scherzo?
OLIVO ~ Signor Gualco, io non so perché ora Lei è così irritato con me, ma passerò oltre perché so che è stanco e Le ripeto che non è con me che deve fare ricorso per questa decisione. Non è stata una mia scelta.
GUALCO ~ Mi irrita, caro Olivo, tutta questa urgenza. Mi irrita che un mio sottoposto si presenti a casa mia alle sette di mattina, senza alcun preavviso, per farmi firmare delle carte inutili. E non m’interessa di chi è la scelta: tutto ciò è intollerabile.
OLIVO ~ Le suddette carte riguardano delle urgenze che avrei da sbrigare entro questo finesettimana. Dunque se Lei mi facesse il favore di firmarle adesso…
GUALCO ~ Io non sono tenuto a firmare proprio niente fuori dal mio orario di ufficio.
OLIVO ~ È il signor Pastorini, il Suo superiore, ad aver disposto questa delega.
GUALCO ~ Questo non cambia nulla. Firmerò questi documenti – se sceglierò di firmarli – solo dopo averli esaminati attentamente, nell’esercizio delle mie funzioni; e certamente non perché Lei mi pressa. Siamo intesi? (Pausa) E poi tutto ciò cos’avrebbe a che fare colla chiamata di ieri?
Lunga pausa. Si fissano.
OLIVO ~ Credo che ci siamo capiti.
GUALCO ~ Se ne vada immediatamente da casa mia.
OLIVO ~ (prende la cartella sottobraccio) La ricontatterò presto. Le lascio il tempo per riflettere. (Esce a destra)
La scena ora è illuminata da una luce speciale e fredda. Silenzio. Marco Gualco passeggia, poi all’improvviso spinge violentemente una sedia per terra in un estemporaneo sfogo di rabbia. Bianca entra con un piattino di metallo, vuoto.
BIANCA ~ Amore…
GUALCO ~ Cosa vuoi ancora? Lasciami in pace.
BIANCA ~ Ti ho fatto un panino colla marmellata.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Grazie.
Bianca si avvicina al tavolo.
Ora però lasciami in pace.
BIANCA ~ Posso sapere cosa voleva Olivo?
GUALCO ~ No, non puoi saperlo! (Pausa. Le si avvicina) T’imploro!
Bianca posa il piattino sul tavolo ed esce dalla porta a sinistra. Marco Gualco si accascia disperato.
Non mi riesce! Non ce la faccio a trattarla male. Ma è un sacrificio che devo fare. Io lo so che posso farcela. Se mi ci metto d’impegno, so essere crudele, ne sono convinto. La faccia da stronzo già ce l’ho. Non mi ci vuole molto. Mi basta solo credere che lei non sia lei. È un oggetto. Qualcosa di insignificante. Non vale niente. Per raccontare bene una menzogna, bisogna credere con tutto il corpo a quella menzogna. E se voglio odiarla, devo odiarla, con tutto il corpo. Il suo volto deve farmi schifo. Le sue parole darmi il vomito. Dev’essere per me al pari di un cibo putrefatto. E a me dovrà piacere farle del male, così come ho piacere a buttare la merda nel cesso. Da oggi, Bianca Pastorini non esiste più. Bianca non è più la persona che ho imparato ad amare. E lo stesso vale per me. Mi ha chiamato meschino. E ha fatto bene. Non ha idea di chi ha di fronte. Io sono più che meschino. Io sono il demonio. Diventerò per lei un incubo. Deve realizzare di aver buttato la sua vita in un letamaio. Deve pentirsi di aver provato gioia, compassione per un uomo che per lei non ha niente. Perché da domani quell’uomo sarà la cagione di ogni suo tormento. Da domani, però. Stanotte voglio dormire bene. Devo solo trattarla male. Non ci vuole nulla. Se solo riuscissi a guardarla negli occhi… Ma devo farlo, perché questo è il meno. Non l’ho scelto io: lo vuole la causa. E la causa vuole prima di tutto la mia morte.
Una lunga nota d’inquietudine. Pausa.
Come se fosse così facile scegliere di farlo! E invece ci vuole pazienza, per morire. Pazienza. Bisogna aspettare di volerlo davvero. Perché altrimenti ci fa paura, altrimenti ci fa morire male. Non c’è fretta. Posso temporeggiare ancora qualche settimana. Non sono ancora pronto. Ma da domani ogni mio gesto sarà votato a questo fine; perché se la tratterò male, non mi sarà così difficile accettare di morire. (Pausa) Quant’è difficile comprendere l’uomo, eh? Eppure ci sembra così facile… (Pausa) Meschino…
Stasimo III. Questi ricordi mi stanno solo confondendo
Il boia, inizialmente in ombra, estrae la scure dal ceppo e si introduce piano nel soliloquio. Il palco, poco illuminato, riassume un aspetto onirico. Marco Gualco rimane seduto per terra.
BOIA ~ Fa male?
Una musica dolente.
GUALCO ~ Dov’eri finito? Certo che fa male.
BOIA ~ Volevo sentire cosa ti stavi dicendo.
GUALCO ~ E io no. Perché mi hai lasciato da solo?
BOIA ~ È come riviverlo per la prima volta?
GUALCO ~ Sì, un teatro.
BOIA ~ È per questo che non volevi mostrarmelo?
GUALCO ~ Già. Non farlo più.
BOIA ~ Senti, eri tu a dire che volevi farmi capire chi sei.
GUALCO ~ Ma questo ricordo non era necessario, te l’avevo detto che non era necessario.
BOIA ~ Invece a me ha aiutato a capire.
GUALCO ~ Bene, allora ti basta quello che hai visto?
BOIA ~ No, adesso io voglio andare in fondo.
GUALCO ~ Ti sei interessato al mio caso. Per essere un boia, sei un po’ troppo sensibile.
BOIA ~ (si avvicina) Vuoi ancora sapere se sei degno di morire?
GUALCO ~ Sì. Però aspetta. Non dobbiamo correre. Non vedi quant’è bello quest’oblio? Perché non restiamo qui?
BOIA ~ Perché il mondo gira da solo.
GUALCO ~ Il mondo non gira: si contorce. Questi ricordi mi stanno solo confondendo.
BOIA ~ Allora passiamo alla mia prossima domanda.
GUALCO ~ Sì. (Si alza e si appoggia al bordo del tavolo) Concesso.
BOIA ~ (si siede sulla cassapanca e poggia la scure per terra) Cos’è più importante per te? Vincere un dibattito o far sì che nessuno si arrabbi?
GUALCO ~ Eh… credo… vincere un dibattito. Perché non è che se io ho ragione e tu ti arrabbi, allora hai ragione tu. Io non sono responsabile dell’orgoglio di nessuno.
BOIA ~ E se è l’altro ad avere ragione?
GUALCO ~ Allora mi arrabbio io.
BOIA ~ (cogliendo l’ironia) Come immaginavo.
Entra Olivo sgattaiolando dalla quinta a sinistra, ma vede Marco Gualco e allora tira a sé una sedia per nascondersi. Poi alza la testa e punta al piattino. Marco Gualco lo prende e lo fa scorrere lungo il tavolo. Olivo lo prende di scatto e scappa.
GUALCO ~ Ma dico bene, no? Ha senso il mio discorso?
BOIA ~ Non c’è risposta giusta.
GUALCO ~ Ma se non c’è risposta giusta, allora perché mi fai queste domande?
BOIA ~ Non sono io a fartele, sei tu.
GUALCO ~ Mi chiedo cosa tu possa capirci.
BOIA ~ Cosa accadde dopo quel diverbio con tuo suocero?
GUALCO ~ Telefonai a Fabio e gli chiesi di raggiungermi in ufficio. Volevo dirgli la verità.
BOIA ~ Volevi dirgli che saresti morto.
GUALCO ~ No, volevo sapere perché mi ha tradito.
BOIA ~ Bene. (Si alza e si dirige al ceppo) Proseguiamo, allora.
GUALCO ~ Aspetta! Un secondo! Perché tanta fretta? Lasciami stare ancora un po’ senza pensare, solo un po’.
Silenzio.
Sai, boia. Io non voglio mai che nessuno si arrabbi. Se hanno torto, sono cazzi loro; ma io non per questo sono cattivo, no?
BOIA ~ Non credo di essere la persona adatta a cui fare questo genere di domande.
Silenzio.
GUALCO ~ Possiamo andare, adesso.
BOIA ~ Ottimo.
GUALCO ~ (prende la valigia da terra e la poggia sul tavolo) Comunque, riguardo a prima: no, non trovo difficile presentarmi alle persone.
BOIA ~ Ci stavi ancora pensando?
GUALCO ~ Sì.
EPISODIO OTTAVO. La sera seguente
Ufficio di Marco Gualco. Sera. Il boia solleva la scure e la conficca nel ceppo. Le luci cambiano e la musica si arresta all’improvviso. Entra violentemente Fabio. Marco Gualco è seduto sul bordo del tavolo, cupo.
FABIO ~ Che cosa succede? Perché mi hai chiamato?
GUALCO ~ (senza muoversi) Sono appena stato da mio suocero. Mi dici che cosa c’è sotto?
FABIO ~ Hai parlato con Pastorini?
GUALCO ~ (alza la voce) Sì. Mi dici che cosa c’è sotto?
FABIO ~ Ma di che stai parlando!?
GUALCO ~ Lo sai di cosa sto parlando; non mi mentire!
FABIO ~ Non so di cosa stai parlando!
GUALCO ~ Tu sapevi tutto fin dall’inizio. (Breve pausa) Dimmelo che lo sapevi. Dal momento che abbiamo trovato quei fascicoli, avevi già capito cosa stavamo per andare a leggere, è vero o no? È vero o no?
FABIO ~ Sì, è così.
GUALCO ~ (fissandolo) Lo sapevo.
FABIO ~ (si avvicina) Ma io cosa ci potevo fare?
GUALCO ~ (si stacca dal tavolo, rabbioso) Cosa ci potevi fare? Ma mi prendi in giro? Dovevi dirmelo! (Gli si avvicina) Anni fa! Che cosa sapevi di quell’uomo. Perché non me l’hai detto?
FABIO ~ Perché non te l’ho detto? Dico, ma guarda come ti sei ridotto!
GUALCO ~ (gli mette una mano in faccia e lo spinge) Lurido verme!
FABIO ~ Ma che cazzo ti prende!?
GUALCO ~ (sconvolto) Anzi, no… sei stato tu a farmelo scoprire. Sei stato tu a tirare fuori quei fascicoli dalla credenza. Ti ha chiesto lui di farlo.
FABIO ~ Senti…
GUALCO ~ Tu lavori per lui.
FABIO ~ Non è come credi.
GUALCO ~ Ma cosa ti ho fatto io? Ti ho… Ti ho mai forse tradito io? (Rialza la voce) Eh!? Cosa ho fatto per meritarmelo!?
FABIO ~ Marco, datti una calmata. Non ti ho mai visto così.
GUALCO ~ Se c’era una persona di cui mi fidavo, quella eri tu!
FABIO ~ Ma io sono ancora qui!
GUALCO ~ (gli parla sopra) Se c’era una persona—
FABIO ~ (grida) Marco, smettila! Datti una calmata, per l’amor di Dio, e usa il cervello! (Pausa) E a che sarebbe servito dirti tutto? Cosa dovrebbe cambiare adesso? Adesso che sai.
GUALCO ~ (si contiene) Tu dovevi dirmelo, perché così… Ora non ti so dire cosa avrei fatto esattamente, ma tu dovevi dirmelo, perché… così avrei avuto le idee chiare… Ora invece non ci capisco più niente e c’è una sola cosa che mi ossessiona. Io adesso… Oddio, devo sedermi. (Si siede sulla sedia a sinistra) Tu eri mio amico!
FABIO ~ (s’inginocchia, gli prende le mani e lo rassicura) Io sono tuo amico. Tutto questo non c’entra niente colla nostra amicizia.
GUALCO ~ (isterico) Ah, no?
FABIO ~ Perché, credi che non ci abbia pensato a dirtelo? Io tutt’i giorni dovevo fare uno sforzo terribile per fare finta di niente. Tu meglio di tutti sai cosa si prova. Credi che sia stato facile per me?
GUALCO ~ Tu proprio non ti rendi conto, eh? Noi, Fabio, tu ed io, non c’entriamo niente con tutto questo ambiente, niente. Tu forse non te ne rendi conto, e (si trattiene dal saltargli addosso) la tua calma di fronte a tutto questo, Dio mio… Tu non ti rendi conto di cosa è successo.
FABIO ~ (in piedi) Non parlarmi così.
GUALCO ~ Per te è tutto così normale! A te non te ne frega niente. Tu dovevi dirmelo!
FABIO ~ E a cosa sarebbe servito!?
GUALCO ~ A niente! Ma si tratta del padre di mia moglie!
FABIO ~ È proprio per questo che io non l’ho fatto! (Pausa) Cristo! Ma non lo vuoi proprio capire? Io rischiavo la vita! Ho convissuto per anni nel timore che tu potessi scoprire tutto, e impazzire e… Io non sapevo cosa fare. E ora guarda: adesso lo sai e siamo punto e a capo; e sono settimane che tu ti angusti senza motivo, e disprezzi Bianca senza motivo. E io mi sento anche complice di quello che sta succedendo tra voi due. (Crescendo) Lo so: quello che ha fatto suo padre è disgustoso e tutto quel cazzo che vuoi. Ma forse sarebbe stato meglio non dirtelo. Perché ora siamo inermi come lo siamo sempre stati, ma colla differenza che adesso siamo un tantino più nervosi. E cosa pretendi che faccia? Che mi angusti anch’io? Ma non capisci? A parte che non serve a niente. E poi ho avuto tutto il mio tempo per farlo quando l’ho saputo; ora basta. Tu ti credi incompreso, ma io invece ti capisco benissimo. (Agitato) Sei tu che non capisci me. Che non capisci la mia calma! (Pausa) Cosa vorresti fare? Denunciarlo, ammazzarlo? Cosa? (Breve pausa) Vedi che non lo sai manco tu?
GUALCO ~ No, io invece so benissimo cosa voglio fare.
FABIO ~ E cosa? Rovinargli la figlia?
GUALCO ~ Puoi smetterla solo per un secondo di tirare fuori Bianca?
FABIO ~ E perché? Sei tu che hai deciso di trattarla come se fossi una iena nell’attesa che si risolvesse tutto.
GUALCO ~ (si alza) Come, scusa?
FABIO ~ Io non so cos’hai in testa, Marco, ma stai spaventando tutti.
GUALCO ~ Ma tutti chi? (Indica la porta a destra) Stai dalla parte loro adesso?
FABIO ~ (lo imita) Dalla parte loro? Marco, ma ti sei visto? Guardati. Tu non ragioni più per davvero; ti sei solo fatto ingannare dalla tua buon’anima. E sei sempre stato così: sempre convinto di fare la cosa giusta, quando invece sei solo un codardo.
GUALCO ~ E perché adesso sarei un codardo?
FABIO ~ Io queste cose te le dico da amico, perché ci tengo a te.
GUALCO ~ Perché sarei un codardo? Rispondi.
FABIO ~ (non subito) So cos’è successo ieri con Bianca.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Non avevo dubbi.
FABIO ~ Tu forse ti credi uno stratega, credi di sapere esattamente quello che stai facendo, ma in realtà non è così: tu non sai proprio nulla e so che non te ne renderai conto finché non ti troverai la morte davanti. (Quasi in lacrime) Tu non sei nessuno, cazzo! Non sei niente! (Breve pausa) Tu sei solo un ragazzino viziato che non ha mai perdonato a suo padre di essere morto giovane!
GUALCO ~ (dopo una pausa, colpito) È questo che pensi di me?
Silenzio.
FABIO ~ È finita, Marco. Ti prego, comprendi che tutto questo non serve a niente.
Marco Gualco va lentamente a prendere la valigia, la apre ed estrae un taccuino. Fabio intanto si siede sulla sedia a destra.
Non c’è scritto da nessuna parte che tu debba vendicarti. Abbi il fegato di dire che hai perso. Abbi il fegato di soffrire. Hai perso, Marco. Basta… Tanto lui sta morendo. Lascialo in pace. Questo è l’unico vero atto di coraggio in cui puoi credere. Lascialo in pace. Credimi, o sarà peggio per te.
GUALCO ~ (lentamente) Io non credo più a niente, Fabio. Non lo hai ancora capito?
Posa il taccuino sul tavolo accanto a Fabio. Subentra una musica stridula e inquietante.
FABIO ~ (dopo una pausa) Cos’è questo?
GUALCO ~ (si slaccia la cravatta) È di mio suocero.
Fabio prende il taccuino e lo apre.
L’ho trovato quella sera insieme agli altri fascicoli. Tu ne sai qualcosa?
FABIO ~ No. (Pausa) Cosa sono questi nomi?
Marco Gualco, con un movimento rallentato, strozza Fabio colla cravatta, mentre questi rimane immobile col taccuino in mano. Le luci sfumano presto in controluce. Quando ha finito di strozzarlo, Marco Gualco cade all’indietro, Fabio rimane per tre secondi immobile, poi gli cade il taccuino dalle mani, e dopo altri tre secondi cade lui dalla sedia. Marco Gualco, tremante, recupera il taccuino, lo mette nella valigia e si rimette il cappotto. Sul punto di fuggire, si arresta, guarda il cadavere, posa momentaneamente la valigia, raccoglie il cappuccio del boia da terra e lo posa delicatamente sopra il volto di Fabio. Poi fugge dalla quinta a sinistra.
Sipario.
Intervallo.
Se il teatro è sprovvisto di sipario, il boia nel silenzio si alzerà e farà cenno a Olivo, che sbucherà da fuori le quinte sgattaiolando e trascinerà il cadavere di Fabio fuori dal palcoscenico col volto velato dal cappuccio del boia.
SECONDO TEMPO
Delirium mentis
Stasimo IV. Perché sei un codardo
Il sipario si apre lentamente. Luci basse e fredde. Marco Gualco è seduto sulla sedia a destra, poggiato al tavolo, stanco; non ha più la cravatta. Il boia è seduto sul ceppo. Non si guardano. Silenzio.
BOIA ~ Perché? Il tuo migliore amico, perché…?
GUALCO ~ Non lo so.
BOIA ~ Sì che lo sai.
GUALCO ~ (dopo una pausa, scuote la testa) Non ne voglio parlare.
BOIA ~ Ah, ma questo non è un mio problema.
GUALCO ~ A me era stata posta una scelta, va bene? O accettavo il mondo che mi avevano svelato… o la morte. E se mio suocero è arrivato a chiedere a Fabio di controllarmi, vuol dire che Fabio aveva accettato questo mondo da un bel pezzo.
BOIA ~ (non subito) Tutto qui? A me sembra che ci sia di più.
GUALCO ~ Sei libero di giudicarmi, ora.
BOIA ~ (si alza) È ancora troppo presto.
GUALCO ~ Stai scherzando? Non ti basta neanche questo? Neanche l’aver ucciso un uomo?
BOIA ~ Perché hai scelto di voler morire?
GUALCO ~ (non subito) Per proteggere Bianca dalla verità.
BOIA ~ Questo è quello che racconti a te stesso per sentirti un eroe. Dimmi il vero motivo.
GUALCO ~ (non subito) Perché mio suocero…
BOIA ~ No… Perché sei un codardo. (Breve pausa) Tu credi che tuo suocero sia la cagione della tua infelicità, ma non è così. E sai bene che morendo sarai tutt’altro che libero; perché morire altro non è che cancellarsi, privarsi di ogni senso, non “liberarsi”. La libertà è un’altra cosa, e la si ottiene emancipandosi dalle proprie idee e dai propri principi. (Posa la scure sul tavolo e la fa scivolare offrendola a Marco Gualco) Tu sei sicuro di voler morire solo per questo principio? Perché a me sembra solo un pretesto per morire per tutt’altro, per ogni ragione che ti alberga nel cuore.
Un fischio precede una musica sognante. Le luci si aprono anche sul resto della scena. Il boia riprende la scure. Entra Bianca in abiti da ufficio, con un secchio di metallo che poggia sul tavolo.
Cosa succede adesso?
GUALCO ~ Io non lo so.
Bianca si dirige alla cassapanca e s’inginocchia per rovistarci dentro.
BOIA ~ Cosa stiamo guardando?
GUALCO ~ Eppure mi sembra così familiare.
BOIA ~ Ci mancherebbe altro; è un tuo ricordo!
Bianca tira fuori due bottiglie d’alcol vuote. Poi, mentre Marco Gualco parla, si dirige al tavolo, ne poggia una e inizia a svuotare dentro al secchio l’altra.
GUALCO ~ Ma sì, sì, certo, questo è il pomeriggio dopo che mi ubriacai. Mi ricordo: io dormii tutto il giorno, e Bianca venne in ufficio a svuotarmi tutti gli alcolici che suo padre mi aveva cortesemente lasciato.
BOIA ~ E cosa accadde qua?
GUALCO ~ Adesso vediamo.
Il boia si siede sulla sedia a sinistra. La musica termina.
EPISODIO QUARTO. Nulla
Ufficio di Marco Gualco. Pomeriggio. Entra Fabio che veste la cravatta di Marco Gualco intorno al collo, che pende però dalla schiena. Ha addosso anche il cappuccio del boia che gli copre il volto.
FABIO ~ Bianca!
Le luci diventano tiepide. Bianca si volta verso Fabio, che svela il volto. Bianca distoglie lo sguardo, immersa nei suoi pensieri, e Fabio si toglie il cappuccio per riporlo sull’appendiabiti.
Pensavo ci fosse Marco. Che ci fai qui?
BIANCA ~ Sono venuta a prendere delle cose dal suo ufficio.
FABIO ~ (aggiusta la cravatta) E Marco? (Mette una mano sulla spalla di Marco Gualco) Non c’è oggi?
BIANCA ~ Non lo so. No. Non credo che verrà.
FABIO ~ Perché?
BIANCA ~ (posa la bottiglia) Ieri notte ha fatto tardi; stamattina, per la precisione. (Prende la seconda bottiglia e inizia a versare) Tu sai perché?
FABIO ~ «Perché»? No…
BIANCA ~ Non era con te ieri sera?
FABIO ~ Te l’ha detto lui? Sì, sì, era con me.
BIANCA ~ E quando vi siete congedati?
FABIO ~ Non so, ma cosa stai facendo?
Bianca poggia di colpo la bottiglia sul tavolo, incurante del rumore. Tira un sospiro.
BIANCA ~ (dopo una pausa) Stanotte Marco è tornato a casa ubriaco da fare schifo.
Silenzio. Poi riprende la bottiglia e continua a versare nel secchio. Bianca è quasi indifferente alla presenza di Fabio, gli parla senza guardarlo, poiché intorpidita dal suo stato d’animo.
Sai, ieri per la prima volta ho avuto paura, con lui. Ecco perché oggi sono venuta e sto facendo questa sciocchezza.
FABIO ~ Hai fatto bene, non ti preoccupare.
BIANCA ~ Io ieri ho provato a chiamare qui in ufficio, tu eri presente?
GUALCO ~ No.
FABIO ~ No.
BIANCA ~ (posa la bottiglia) Non avete sentito il telefono squillare?
GUALCO ~ No.
FABIO ~ No.
BIANCA ~ Eppure suonava. Il punto è ch’è successo tutto così… No, ma forse sono io che ci vedo male… (Si dirige alla cassapanca e s’inginocchia) Però se lui mi avesse detto qualche cosa di rassicurante stamattina, io non ci avrei pensato, ora non sarei qui. (Si ferma, tira fuori dalla cassapanca una busta da cui sporge un quadrifoglio, si porta una mano alla bocca) Oddio…
FABIO ~ (si avvicina) Ehi, cosa succede? (Breve pausa) Cos’è quello?
BIANCA ~ (tira su col naso ed emette un gemito) Un quadrifoglio. È un regalo che gli ho fatto io tempo fa. L’ha conservato.
FABIO ~ E questa cosa ti commuove?
BIANCA ~ Non pensavo l’avesse tenuto. «Ma è solo un quadrifoglio, amore.» Secondo lui i quadrifogli sono dei trifogli down.
FABIO ~ E non è così?
BIANCA ~ Ma che ne so. (Si alza e va al tavolo) Ne dice di cazzate quello lì.
FABIO ~ Ti sorprende che l’abbia conservato?
BIANCA ~ (posa la lettera e il quadrifoglio, e rimane di schiena colle mani sul tavolo) Ma no, in realtà credo che lo sapessi. No, è che è anche un periodo difficile questo per me…
FABIO ~ Lo so.
BIANCA ~ Con mio padre che sta morendo…
FABIO ~ Lo so.
BIANCA ~ Abbracciami.
Fabio l’abbraccia. Silenzio. Il boia esamina la busta.
FABIO ~ Credo che abbia avuto un’allucinazione.
BIANCA ~ Chi?
FABIO ~ Marco. (Scioglie l’abbraccio) Non so quanto questo possa servirti. (Imita blandamente i movimenti) Ieri eravamo in ufficio, e a un certo punto è scattato indietro fissando la porta. Lui negava, però era palesemente terrorizzato da una visione, qualcosa. (Si riavvicina a lei) Magari quando l’hai visto era ancora scosso dalla cosa. Magari è per questo che ti è sembrato strano.
BIANCA ~ (dopo una pausa) Non lo so.
FABIO ~ Cosa c’è nella busta?
BIANCA ~ Una copia a mano di una sua lettera d’amore per me.
FABIO ~ Perché fare una copia di una sua stessa lettera?
BIANCA ~ (scuote poco la testa) Ho tanta paura.
FABIO ~ (la riabbraccia) Sssh…
Silenzio.
C’è ancora un po’ di cognac?
BIANCA ~ No, ho buttato tutto.
FABIO ~ (la guarda) Tutto!?
BIANCA ~ Sì.
FABIO ~ Bianca! Ma che esagerazione…
Bianca ridacchia. Un soffio di vento, seguito da un pianoforte triste. Controluce. Fabio le afferra delicatamente le mani, le dà un bacio, poi un lungo bacio sulle labbra. Entrambi si pietrificano.
Stasimo V. Io non lo so cos’è un sogno
GUALCO ~ Aspetta un attimo, ma cosa sta succedendo? (Si alza) No, non ha senso. (Va da lei) Bianca?
Marco Gualco tocca Bianca, che cade come una bambola di pezza per terra. Lui s’inginocchia per soccorrerla.
Bianca! Amore! Svegliati!
BOIA ~ Calmati.
GUALCO ~ Perché noi stiamo assistendo a questo ricordo, se io neanche c’ero?
BOIA ~ Ragazzo! Guardati intorno. Dove pensi che siamo?
Marco Gualco si gira. La musica s’intensifica. La luce riassume un aspetto onirico. Fabio prende le due bottiglie e si dirige alla cassapanca per riporle dentro.
Quello che hai visto è a tutti gli effetti… un falso ricordo.
GUALCO ~ Un «falso ricordo»? E cos’è?
BOIA ~ Una fabulazione della mente.
Fabio chiude la cassapanca ed esce. Bianca si anima. Marco Gualco scatta indietro per terra.
Qualcosa che tu hai inconsciamente creato sulla base di informazioni che credi vere e suggestioni infuse da chi ha un forte ascendente su di te.
Il boia porge la mano a Bianca e l’aiuta ad alzarsi. Lei poi prende il quadrifoglio e la lettera.
GUALCO ~ (si alza) Quindi quello che abbiamo visto non è reale, giusto? Bianca non mi ha tradito.
BOIA ~ Questo non lo può dire nessuno, ma è comunque una ricostruzione molto plausibile.
GUALCO ~ Molto plausibile per me?
BOIA ~ Sì. Tutto questo è figlio delle tue più profonde convinzioni, delle tue paranoie.
GUALCO ~ Io inconsciamente credo che Fabio mi tradisca?
BOIA ~ Tu ti fidi di lui? (Pausa) Ti fidi di tua moglie?
GUALCO ~ (subito, voltandosi verso Bianca) Sì.
Bianca esce dalla quinta a destra.
BOIA ~ E tu ti fidi di questo tuo ricordo? (Pausa) Sta a te costruirti la tua realtà, Marco Gualco. Ma se la tua convinzione è così forte da averti già plasmato i ricordi, significa che è ormai troppo tardi. Tu non credi che Fabio ti tradisca, tu lo sai.
GUALCO ~ L’ho ucciso per questo?
BOIA ~ Dipende.
GUALCO ~ Da cosa?
BOIA ~ Se tutto questo è vero. (Si siede sul ceppo e poggia la scure per terra) I tuoi sogni s’incentrano di più su avvenimenti del mondo reale o sul fantastico?
GUALCO ~ I miei sogni…? (Pausa) Non lo so, io non sogno mai.
Silenzio. Marco Gualco guarda il teatro.
Boia?
BOIA ~ Sì?
GUALCO ~ (si avvicina) Tutto questo è reale?
BOIA ~ Se è «reale»? Cosa intendi?
GUALCO ~ Dico… (allarga le braccia per indicare la platea) questo. È reale? O è un sogno?
BOIA ~ Secondo te?
GUALCO ~ Non lo so. Io non lo so cos’è un sogno. Non credo di averne mai fatto uno, capisci? Credo di non aver mai sognato una sola volta in tutta la mia vita. È possibile?
BOIA ~ (lo rassicura) I sogni sono solo un altro piano d’esistenza in cui entriamo quando usciamo da quello della veglia.
GUALCO ~ (impaurito, si va a sedere sulla cassapanca) Allora credo di volermi svegliare.
BOIA ~ Vuoi svegliarti?
GUALCO ~ Sì, ti prego. Voglio concludere questa storia, andiamo via.
BOIA ~ È per questo che hai deciso di morire?
GUALCO ~ (non subito) Non lo so.
BOIA ~ Ci sarà qualcosa che sai.
GUALCO ~ So solo di essere molto stanco. Non riesco nemmeno a ricord— Da quanto tempo siamo qui?
BOIA ~ Da un battito di ciglia.
GUALCO ~ E io voglio risvegliarmi.
Entra Fabio con una valigia in mano.
BOIA ~ Non prima di aver concluso la tua storia.
GUALCO ~ Perché?
BOIA ~ Perché non ti ho ancora giudicato.
Fabio porge la valigia a Marco Gualco.
E perché sono sempre io a decidere.
Fabio gli sbatte la valigia sul petto.
GUALCO ~ E allora andiamo avanti, ti prego.
Il boia si mette in disparte. Marco Gualco esce. Mentre Bianca e Fabio sono già scomparsi nell’ombra.
EPISODIO NONO. L’ultimo mattino
Ufficio di Marco Gualco. Mattino. Olivo entra puntandogli il dito contro.
OLIVO ~ Non so con chi crede di avere a che fare, signor Gualco, anzi, lo so con chi crede di avere a che… no, cane. Dev’essere più… Non so con chi crede di avere a che fare, signor Gualco, ma… Anzi! Anzi! Io lo so con chi crede di avere a che fare, e non è come… e Le garantisco che non è come Lei pensa… come Lei… come pensa Lei. Le-i! Non so con chi crede di avere a che fare, signor Gualco, ma anzi…
Olivo vede il secchio sul tavolo, se lo mette e inizia a dire la battuta a quattro zampe, mostrificandosi la voce e dandosi pugni in testa.
Anzi… io lo so con chi crede di avere a che fare, e Le garantisco che non è come pensa Lei! Lei!
Intanto la musica, sfumando, svanisce. Silenzio. Olivo è in ribalta, rivolto al pubblico, poi si gira e scatta in piedi togliendosi il secchio appena nota Marco Gualco impietrito dal terrore, colla valigia tra le mani, vicino alla porta a destra.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Che cosa ci fa nel mio ufficio?
OLIVO ~ Signor Gualco, noi dobbiamo parlare.
GUALCO ~ Che cosa ci fa Lei nel mio ufficio?
OLIVO ~ Il signor Pastorini mi ha dato le chiavi.
Le luci diventano tiepide. Marco Gualco si avvia verso la scrivania e vi poggia la valigia sopra.
(Posa il secchio al centro della ribalta) Ho da conferire con Lei.
GUALCO ~ (apre la valigia) Noi non abbiamo niente da dirci, ora non ho tempo.
OLIVO ~ No, signor Gualco—
GUALCO ~ Non ho tempo.
OLIVO ~ Non inventiamoci scuse, questa volta. Io so chi è Lei, l’ho capito. E per questo noi dobbiamo parlare. E ora La prego di non usare mezze misure. Non voglio farmi prendere in giro un’altra volta.
GUALCO ~ Ascolti, io non ho voglia di altercare con Lei, non ho voglia di aver a che fare con nessuno in questo momento. (Estrae i fascicoli dalla valigia) Io adesso, come vede, ho delle cose da fare. Quindi La prego, (indicando la porta a mano aperta) se ne vada.
OLIVO ~ Il signor Pastorini mi ha riferito di ieri pomeriggio.
GUALCO ~ No, no, no, io non ho tempo per questo. (Lo prende per un braccio) Ora Lei mi fa la cortesia di allontanarsi—
OLIVO ~ (fa resistenza) No, signor Gualco! La riguarda.
GUALCO ~ (lo tira) Ma non m’interessa.
OLIVO ~ (si scavezza) Ma, Cristo, perché non vuole ascoltarmi!? Io cerco di fare da tramite tra Lei e il direttore, e Lei cerca in tutt’i modi di sabotarmi il lavoro. Come se io ci guadagnassi qualcosa in tutto questo. Io lo faccio per Lei. Qual è il motivo di questa ostilità? Mostri se stesso per una buona volta.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Va bene, Olivo; vuole che confessi? Bene.
Si siede e anche Olivo di conseguenza.
Da dove cominciare? Da dove posso cominciare per descriverti i perché della mia indisposizione senza insultarti? Ti do del tu. Io mille volte ho rimandato la tua udienza, lo sai, per mille ragioni differenti. Ovviamente erano tutte palle. E tu giustamente dubitavi delle mie dilazioni e, poverino, ti sentivi in colpa nel dubitare di me. Olivo, io con te sono stato cattivo; intenzionalmente cattivo.
OLIVO ~ E a cosa dovrei questo trattamento?
GUALCO ~ (si scalda) Lo sai il perché. Olivo, io ti odio, come odio tutto ciò che siede intorno a te. Da quando ci siamo presentati la prima volta, che sei venuto a casa mia, a farmi firmare delle deleghe… per cosa? Per tenermi sott’occhio? Per ricordarmi che c’è qualcuno sopra di me che decide, di cui devo avere paura? Ma voi credete davvero che questi trucchetti funzionino con me? Secondo voi io certe cose non le capisco?
OLIVO ~ Ha finito adesso?
GUALCO ~ (si alza sporgendosi sulla scrivania) Tu mi disgusti, Olivo. Tu, Fabio e chiunque lavori in quest’azienda, colla vostra omertà, il vostro saper accondiscendere alla vita, o ad un crimine per aver salva la pelle!
OLIVO ~ Ha finito? (Breve pausa) Bene. (Si alza) Ora, se mi permette, mi sento costretto a rinnovare il mio invito a tornare dal signor Pastorini.
GUALCO ~ Mi prendi per il culo?
OLIVO ~ (afferra di scatto la scrivania come Marco Gualco) Ma Lei si rende conto di cosa ha fatto?
GUALCO ~ Non mi interessa che cosa ho fatto!
OLIVO ~ Di cosa ha osato dire in faccia al direttore ieri pomeriggio? Io ero nella stanza accanto, ho sentito tutto. Lei ora viene con me dal signor Pastorini e vi chiarite.
GUALCO ~ E al signor Pastorini cosa gliene importa di farsi chiedere scusa?
OLIVO ~ Non importa al signor Pastorini, importa a me! (Breve pausa) Le ho mentito, signor Gualco: le chiavi dell’ufficio non me le ha consegnate nessuno; le ho rubate. Non mi ha detto nessuno di venire qui; lo sto facendo di mia sponte. (Pausa. Si gira verso la platea, mette una mano in tasca e incede fino alla ribalta) Non so con chi crede di avere a che fare, signor Gualco, anzi, (alza un dito) lo so con chi crede di avere a che fare, e Le garantisco che non è come pensa Lei. No. Io, per carità, non sono nessuno, ma non sono nemmeno uno stupido. (Lo addita) E che si sappia, questo; se si pretende di parlarmi con un certo tono. Cosa crede, che io non sappia cosa contiene quella valigia?
GUALCO ~ Non mi sorprende affatto che tu sappia già tutto. Mi avrebbe stupito il contrario, ti dico la verità.
OLIVO ~ Potrebbe accadere qualcosa di esecrabile, se Lei si rifiutasse di tornare da Suo suocero. Lei rischia la vita!
GUALCO ~ E se fosse proprio quello che volevo?
OLIVO ~ Come?
GUALCO ~ Ha aspettato che io fossi al vertice per lasciarmi le prove sotto il naso, perché così non potevo deresponsabilizzarmi da tutto questo. (Va a prendere il secchio per portarlo alla scrivania e metterci dentro i fascicoli) È stata una congiura, Olivo. Lui lo sa che io Bianca non la tradisco. Lo sa bene. Sperava solo che confessassi. E io non ho confessato. Perciò so cosa mi attende; ho accettato il mio destino. (Pausa. Si siede) Tu ora puoi anche andartene, Olivo bello. Aspetterò qui il tuo direttore per farmi tagliare la testa.
OLIVO ~ (dopo una pausa) Ma che… Eh? Ma è… ridicolo. E mandare all’aria – così – tutta la vita così? Io non capisco. Non può essere serio.
GUALCO ~ Io non pretendo di essere capito.
OLIVO ~ Cioè io vengo qui, nell’interesse… di nessuno, a quanto pare… solo mio, per salvarLe la vita, e ora Lei mi sta dicendo che era tutto nei piani e che vuole farsi uccidere? No, non può essere serio.
GUALCO ~ Sì, invece. Ora puoi andartene?
OLIVO ~ Ma perché? (Pausa) E i fascicoli? Pensavo stesse andando a denunciarlo.
GUALCO ~ Li brucio.
OLIVO ~ E Bianca, non sa niente?
GUALCO ~ Ma io è proprio per Bianca che lo sto facendo. Io non posso più nasconderle nulla, quindi devo sparire. Il mio cuore… ogni volta che vede il suo volto pesa per il male di cui è incosciente, e questo segreto deve morire con me.
Tira a sé il secchio, ma Olivo fa la stessa cosa.
OLIVO ~ No.
GUALCO ~ Cosa «no»?
OLIVO ~ Lei non può. Non può fare di testa Sua. (Breve pausa) Ha capito cos’ho detto!?
Dà uno strattone al secchio e Marco Gualco molla la presa.
Non può fare di testa Sua! (Breve pausa) Guardi. (Si toglie i guanti, li mette in tasca, si toglie il cappotto, lo posa sulla sedia a sinistra e inizia a frugare nelle tasche) Conosco un racconto perfetto per Lei: la storia di re Pagobardo. Me l’ero appuntato qui da qualche parte…
GUALCO ~ Pagobardo? La favola di mio suocero?
OLIVO ~ Ma perché, l’ha detta anche a Lei?
GUALCO ~ Certo. E quando te l’ha raccontata?
OLIVO ~ Ieri. E a Lei perché l’ha raccontata?
GUALCO ~ (si siede) Ma la racconta a tutti, quello lì.
OLIVO ~ Ah. Pensavo avesse un significato personale…
GUALCO ~ Sarà che quelli che fanno il nostro mestiere sono un po’ tutti diffidenti.
OLIVO ~ E allora, se è vero che la conosce – meglio così, mi risparmia tempo – mi dimostri di aver capito la morale di quella storia, e si fidi un po’ di più di chi La vuole aiutare. (Pausa) Perché si vuole far ammazzare, signor Gualco? Sembra che non esista altra via che far morire con Lei questo segreto. Voglio dire… perché non glielo dice?
BOIA ~ Esatto, perché non glielo dici?
Una nota acuta, poi una musica di tensione. Marco Gualco si volta di scatto da un lato.
GUALCO ~ (dopo una pausa, a Olivo) Che cosa?
BOIA ~ Perché non dai retta ai consigli degli amici?
GUALCO ~ Lui non è mio amico.
OLIVO ~ Ma con chi parla?
BOIA ~ Sì che lo è. Fabio ti è stato meno leale di lui, eppure lo reputavi tale.
GUALCO ~ (con disgusto) Stai zitto!
OLIVO ~ Signor Gualco, cosa Le prende? Si calmi.
BOIA ~ Hai fatto la cosa sbagliata, Marco Gualco.
GUALCO ~ (si alza) Non è affatto vero.
OLIVO ~ (si avvicina) Marco!
GUALCO ~ (aggressivo) Io sono buono!
BOIA ~ E cosa ti rende buono? Tu non hai fatto niente.
OLIVO ~ Marco!
GUALCO ~ Io devo farlo, Olivo.
OLIVO ~ Cosa?
GUALCO ~ E ora se ne vada.
OLIVO ~ Ha le allucinazioni, Marco?
GUALCO ~ No. Mi lasci in pace.
BOIA ~ Vedi che pure lui non capisce? Non sa quello che provi tu, lui non può capire.
OLIVO ~ Ma chi c’era lì? Con chi se la prendeva?
GUALCO ~ (si agita) Stai zitto! Io sono buono, non capisci!? Io sono buono! Io sto provando a dirlo in ogni maniera, ma nessuno qui dentro sembra capirmi! (Ripone la valigia e il secchio coi fascicoli sotto la scrivania) Io non posso perdere tempo con te.
OLIVO ~ (cerca un contatto fisico) Lei sta male, Marco. Ha bisogno di sedersi un secondo.
GUALCO ~ (si scavezza) Non mi toccare!
OLIVO ~ Ma cosa cazzo Le prende!?
BOIA ~ Caccialo!
GUALCO ~ (grida) Non trattarmi come se fossi pazzo! Io devo morire; è così che deve andare! E se c’è qualcuno che deve decidere per la mia sorte, quello è il mio carnefice. Io, Olivo, so una cosa che Fabio non sapeva, che forse neanche tu sai. Ed è meglio così, meglio non saperlo, perdio, perché a me sta scoppiando la testa! Silvestro ha piacere di uccidermi? E che lo faccia, allora; ma non venitemi a dire che è stata una decisione mia!
OLIVO ~ Ma Sua moglie, signor Gualco—
GUALCO ~ (grida) Io non posso dirlo a mia moglie! Perché se lei lo venisse a sapere, farebbe la stessa fine di sua madre!
Il boia tace. La musica s’interrompe. Silenzio.
Ti prego, non guardarmi così. Non devi aver paura.
OLIVO ~ Io credo di dover andare. (Va a mettersi il cappotto)
GUALCO ~ Perché mi vuoi salvare?
OLIVO ~ Lei è così giovane, signor Gualco… Non so cosa si aspetta che io Le dica.
Silenzio.
Vado. Io ormai non posso negare di essere stato qui stamattina, perciò mi tocca avvertirLa che entro mezzogiorno Pastorini verrà qui ad… (Pausa. Si avvia verso l’uscita, ma viene distratto dalla presenza del cappuccio del boia sull’appendiabiti, lo prende in mano) Non lo faccia. Vada in commissariato piuttosto. Gli porti queste prove, se proprio vuole fare qualcosa di eroico.
GUALCO ~ Vuoi che lo denunci?
OLIVO ~ Io L’ho avvertita. Devo andare assolutamente. (Non si muove. Pausa. Si avvicina a lui) Un padre è un essere umano, niente di più. E se commette un crimine, deve risponderne in quanto uomo, non in quanto padre. (Breve pausa) Vado. (Si avvicina alla porta. Pausa) Se la notte sognassi, avrei gl’incubi, signor Gualco.
Olivo apre la porta, trovandosi innanzi Bianca con in mano una busta da lettera.
EPISODIO NONO E ½. Voragine
Medesimo quadro. Marco Gualco fa un passo indietro agghiacciato: Bianca era l’ultima cosa che si aspettava in questo momento.
OLIVO ~ (sorpreso) Signora.
BIANCA ~ Buongiorno, Olivo.
GUALCO ~ (in imbarazzo, dopo una pausa, a Olivo) Se ne vada via, subito! Vattene!
OLIVO ~ (lo guarda con pena) Addio, signor Gualco. Io vado.
BIANCA ~ Sì.
Olivo dà il cappuccio in mano a Bianca, coprendo di conseguenza la lettera, poi sguscia via. Bianca entra nell’ufficio. Marco Gualco la guarda con rimorso. Silenzio.
Non mi dici niente?
GUALCO ~ Ti giuro, non so cosa dire. (Pausa) Tu cos’hai sentito?
BIANCA ~ Quando?
GUALCO ~ (dopo una pausa) Niente.
BIANCA ~ No, quando?
GUALCO ~ Non hai origliato nulla prima?
BIANCA ~ Perché?
GUALCO ~ Niente.
BIANCA ~ Marco?
GUALCO ~ Niente. Cosa tieni in mano?
BIANCA ~ Parlavate di qualcosa che non vuoi che sappia?
GUALCO ~ No.
BIANCA ~ Marco! (Breve pausa) Rispondimi.
GUALCO ~ Ti dico di no.
BIANCA ~ C’è Olivo dietro tutta questa faccenda? Devi dirmelo. Marco!
GUALCO ~ Sì! Sì! Va bene: parlavamo di qualcosa di segreto. (Si scalda) È ovvio che parlavamo di qualcosa di segreto. E che cazzo! (Breve pausa) Anche tu con queste domande! E no, non te lo voglio dire. Ovviamente.
Silenzio.
Dunque… perché sei qui? (Pausa) Cos’hai in mano?
BIANCA ~ (fa cadere il cappuccio del boia) Te la ricordi? È tua.
GUALCO ~ Cosa ci fai con quella lettera adesso? Dove l’hai presa? È la lettera di San Valentino dell’anno scorso?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ E certo che è la lettera di San Valentino, non è che ne scrivo tante di lettere. L’hai presa dal mio ufficio?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ Bene. Che cosa volevi farci? Calpestarla?
BIANCA ~ No.
GUALCO ~ Sbattermela in faccia? Dirmi che sono un falso?
BIANCA ~ No. Possiamo… possiamo parlare seriamente, per un momento?
GUALCO ~ (si passa una mano sulla faccia) Sì.
Pausa. Bianca apre la busta, da cui estrae una lettera, e inizia a leggerla. In Bianca non c’è neanche il vago sentore di alterigia, rancore o scherno.
BIANCA ~ «Principio questa lettera con una premessa, come ogni romanziere che si rispetti…»
GUALCO ~ (le parla sopra) No, aspetta, aspetta. Aspetta! Non vorrai leggermela.
BIANCA ~ Sì che voglio.
GUALCO ~ E perché?
BIANCA ~ L’hai scritta tu. Perché ti fa vergogna leggerla?
GUALCO ~ (scuote la testa, con alterigia) No. No, no, no. Non se ne parla proprio.
BIANCA ~ Perché?
GUALCO ~ No.
BIANCA ~ Hai paura?
GUALCO ~ Paura?
BIANCA ~ Ti fa male scoprire cosa sei diventato?
GUALCO ~ Non è una novità cosa sono diventato. So cosa sono diventato.
BIANCA ~ Be’, allora non ti farà male, se la leggo.
GUALCO ~ La so a memoria quella lettera, non hai bisogno di leggermela.
BIANCA ~ Ottimo. Quindi non farà alcuna differenza, dico bene? (Legge) «Ossia pregandoti di risparmiare a questa carta innocente qualsiasi…»
GUALCO ~ (va verso di lei) Basta. Basta così.
BIANCA ~ (arretra, alza la voce) «A questa carta innocente qualsiasi occhiata di pena che questo gesto così patetico possa suscitarti…»
GUALCO ~ (cerca di sottrarle la lettera, nervoso) Dammela qui.
BIANCA ~ (si scavezza) No!
GUALCO ~ Dammela!
BIANCA ~ (grida, in lacrime) Smettila! (Pausa) Perché neghi l’evidenza? Tu non puoi comportarti con me e rispondermi come se non mi avessi fatto niente; siamo in due qui; sappiamo entrambi benissimo cosa stai facendo. E qui c’è tutto. Sarò pure melodrammatica per te, ma questa lettera è un chiaro segno. Mi dispiace, ma tu non sei più lo stesso. E questa cosa non può andare avanti, se tu non torni come prima. Devi prendere una decisione.
GUALCO ~ Ti ho già detto che è finita; cos’altro cerchi da me?
BIANCA ~ Io non ti credo. Non ti credo se mi dici queste parole, non ha senso. Non è Marco a dirle. Voglio che sia Marco a dirle queste parole. E tu non lo riesci a vedere, e non riesco a capire… Voglio credere che tu mi stia facendo uno scherzo sadico, ma l’unica spiegazione che ancora mi rimane è che tu… Tu mi odi, Marco; e io non capisco perché. Tu non lo vedi il male che mi fai. E non è il tradimento, non sono i segreti. Ti comporti… non lo so… come se io ti avessi tradito. Capisci come mi sento? A me solo tu e mio padre mi siete rimasti. È successo qualcosa, ti è successo qualcosa. Cosa hai visto? Parlami. Io lo so che non mi hai tradito. Lo so perché ti conosco, so chi sei, so chi è il Marco dolce e poeta che mi ha scritto questa lettera. Non mi torceresti mai un capello. Tu sei buono, non sei cattivo. Sei buono… Sei il mio Monte Bianco.
Marco Gualco crolla a terra e piange. Bianca si accovaccia e lo accarezza come una madre.
Va tutto bene. Non è successo niente. Non è successo niente. Si può risolvere tutto, non c’è bisogno di fare la guerra.
GUALCO ~ (singhiozza) Non si può risolvere niente, amore. È troppo tardi.
BIANCA ~ Sssh… Non ci pensare. È tutto finito. È tutto finito.
GUALCO ~ (a testa bassa) Perché sei gentile con me?
BIANCA ~ Cosa?
GUALCO ~ (compitando, a denti stretti) Perché sei gentile con me?
BIANCA ~ Perché ti amo.
GUALCO ~ (cacciandola via con impeto) Smettila! Smettila subito.
BIANCA ~ Marco, ma che ti prende?
GUALCO ~ (si allontana) È finita! Non dire mai più che mi ami. Non ti permettere.
BIANCA ~ Ma, Marco…
GUALCO ~ Non mi toccare. Puttana. Non ammetto che tu faccia errori di questo tipo! Tu vuoi l’amore di una persona che ti odia. Io in tua presenza non riesco a provare che rabbia. Nient’altro. Bisognerebbe vergognarsi di me, e invece tu vieni qui a sperare che io mi redima? (Grida) Ma guardami! Un verme! Tu questo vuoi amare!? Guardami in faccia! E dimmi che non sembro un verme! Un miserabile nemico! Io sono un nemico! E mi odio! E dovresti odiarmi anche tu! Non c’è nessun merito nell’amare una persona così. Perché io… oh, io non ti tradisco, Bianca, ma ti giuro su mio padre che mi pento di non averne mai avuto occasione. (Si tira su poggiandosi al tavolo e incombendo su Bianca in ginocchio) Perché io ora darei la vita pur di tradirti anche una sola volta, perché io voglio vederti soffrire, io voglio vederti frignare, perché io… ti disprezzo! Tu mi fai orrore! Preferirei vederti morta piuttosto che farmi soffocare dalle tue lagne! (Pausa) Che c’è? Non dici niente!? Perché non piangi? Hai capito quel che ho detto?
Bianca si rialza, riapre la lettera e ripercorre cogli occhi le prime righe.
Cosa stai facendo? No.
BIANCA ~ «Ma non voglio star qui a parlarti del mio amore. Oggi voglio parlarti dell’universo…»
GUALCO ~ (le parla sopra) La so a memo— La so a memoria quella lettera. Lo so che cosa dice. Perché non la smetti?
BIANCA ~ (fredda) Perché ho bisogno di sbattertelo in faccia. Perché io non mi sono innamorata di un uomo meschino. Voglio che tu ammetta le tue colpe.
GUALCO ~ Va bene, lo ammetto. Ora puoi smetterla, tesoro?
BIANCA ~ No, io la finisco di leggere.
GUALCO ~ (si alza) Non ti permettere. Te lo proibisco.
BIANCA ~ (gli si avvicina) Altrimenti che fai? Mi metti le mani addosso?
GUALCO ~ (le invola la lettera) Basta.
BIANCA ~ No, Marco!
GUALCO ~ Smettila. Smettila!
BIANCA ~ È mia!
Tenta di sottrargli la lettera colla forza; c’è una breve colluttazione e, nel tentativo di scavezzarsi, lui la colpisce al volto incidentalmente. Bianca finisce a terra in ribalta. Controluce. Una musica di terrore. Marco Gualco si muove furiosamente, quasi spaventato dal suo gesto.
GUALCO ~ (timorato) Io ti ammazzo. Io ti ammazzo, hai capito? Ti ammazzo! Allontanati da me. Su, presto. Vattene, mi fai schifo. Lo rifaccio, sai? Credi che abbia paura!?
BIANCA ~ Stai fingendo.
GUALCO ~ (grida) Zitta, troia! (Pausa. Grida) Devi tacere! (Pausa) Io lo sto facendo per te e tu non capisci. Non capisci… Non vedi come sto? Perché non mi lasci in pace? Io non ti voglio più.
BIANCA ~ Non è vero.
GUALCO ~ E cosa devo fare per farti capire (urla) che ti odio!? (Pausa. Con tono canzonatorio) Vattene, Bianca; te lo sto dicendo, sei in pericolo. Non hai paura!? Non vedi cosa sono diventato? Perché mi ami ancora?
BIANCA ~ (in ginocchio) Non riesci ad andare fino in fondo nemmeno ad una delle cose che fai.
Un fischio di 800 Hz incede. Marco Gualco si riporta su di lei, le accarezza i capelli e le prende il volto, poi la tira su e le dà un lungo bacio. Al fischio intanto hanno iniziato a mischiarsi sussurrii e lamenti, poi il lamento di una donna. I lamenti diventano grida e i sussurrii svaniscono. Marco Gualco abbandona la presa e Bianca cade a terra come una bambola di pezza, mentre lui arretra d’un passo e s’immobilizza. Le ultime grida si straziano fino all’atrocità, per poi svanire. Rimane solo il fischio ancora una manciata di secondi, poi sfuma. Silenzio.
Stasimo VI. A me sembrava tutto così vero
Il boia è seduto sul ceppo colla scure in mano.
GUALCO ~ Perché siamo tornati qui? Ti ho detto che volevo mostrarti solo il necessario.
BOIA ~ Perché volevi rivederla.
GUALCO ~ (aggressivo) Io non volevo rivedere proprio niente.
BOIA ~ Posso assicurarti che volevi.
GUALCO ~ Non sto scherzando. Perché siamo tornati qui?
BOIA ~ Perché non sei tu a decidere, regista.
Marco Gualco scatta verso il boia e lo prende per il bavero.
GUALCO ~ (grida) Smettila! Io voglio una spiegazione per cui ho dovuto rivivere questo mio schifo!
BOIA ~ (senza reagire) Marco Gualco? Cosa stai cercando di fare?
Una musica epica e cupa irrompe. La luce riassume un aspetto onirico. Marco Gualco lascia violentemente la presa, si guarda le mani, poi guarda Bianca e si allontana dal boia. Bianca frattanto si alza e recupera la lettera, per poi uscire lentamente dalla quinta a destra.
GUALCO ~ (agitato, cade in ginocchio presso Bianca) Quindi se tutto questo non è reale, io non capisco: Bianca soffriva davvero, o no, poco fa?
BOIA ~ A te cos’è sembrato?
GUALCO ~ Io… non lo so. Voglio sapere se tutto questo è reale, perché a me sembrava tutto così vero. Ma se dici che tutto è… finto?
BOIA ~ Dipende cos’è per te la realtà.
GUALCO ~ Ma non m’interessa; io voglio solo sapere se Bianca soffriva davvero o no.
BOIA ~ (poggia la scure per terra) Sei mai stato a teatro?
Olivo entra sgattaiolando da sinistra e Fabio entra da destra con un telefono fisso in mano. Entrambi si fermano un attimo a guardare Marco Gualco. Poi, durante le prossime tre battute, Olivo trascinerà via il secchio e la valigia dalla quinta a destra, mentre Fabio poserà il telefono, e uscirà dalla quinta a sinistra. Infine Olivo rientrerà da destra per portare via l’appendiabiti dalla quinta a sinistra.
Chi può dire che gli attori non soffrano davvero ogni volta? O che replichino semplicemente la propria parte? (Scende dal palcoscenico e percorre da sinistra a destra tutta la platea) Perché te la prendi così a cuore per una falsità? Tanto è tutto già successo; tutto finisce.
GUALCO ~ Sì, ma se è comunque vero il mio soffrire? Che importanza ha che tutto è finto?
BOIA ~ Sì, ma un conto è la finzione, un’altra è la mendacia. Ma non l’hai ancora capito che sei frutto di un inganno? Guarda che ciò che abbiamo visto, vedremo e rivedremo non sarà mai uguale a com’è stato. Non solo i tuoi falsi ricordi sono inaffidabili: tutt’i ricordi che abbiamo visto non sono al cento percento autentici, e forse neanche al cinquanta percento. È impossibile.
GUALCO ~ E perché questo? Sai qualcosa che io non so?
BOIA ~ (sale sul palcoscenico) Sei fin troppo consapevole del tuo trauma, Marco Gualco. Io non dico niente che tu non abbia già ponderato nell’angolo più remoto della tua coscienza; e per quanto ne sappiamo, persino questo episodio con Bianca potrebbe non essere mai avvenuto.
GUALCO ~ No, come? Sì che è avvenuto.
BOIA ~ Lo dici perché ne sei convinto? O perché ti piace credere di essere davvero come in questo ricordo?
GUALCO ~ Io!? Ma se ho appena picchiato mia moglie, l’ho stuprata! Che cazzo di piacere avrei a vedermi così?
Il boia punta la scure alla gola di Marco Gualco, che arretra strisciando fino al ceppo.
BOIA ~ Ne vai proprio fiero, eh? Sei così orgoglioso dello schifo che fai! Ma purtroppo la realtà è che quello con cui sto parlando adesso io non è nemmeno il vero Marco Gualco. In tutt’i tuoi ricordi tu ti sei sempre mostrato per come ti volevi mostrare a te stesso; a me. Tu non hai ancora incontrato te stesso. Guardati.
Il boia allontana la scure dalla gola e gira in modo che Marco Gualco possa specchiarsi sulla parte piatta della lama. Marco Gualco si guarda le mani, si tocca il viso, il busto.
Quello che sei tu, adesso, è il tuo corpo nei tuoi ricordi, dentro i tuoi vestiti nei tuoi ricordi: parte del tuo Io nei tuoi ricordi. La persona che tu sembri essere qui, nella tua memoria, non può essere quella che sei nella realtà: è soltanto un’immagine, un modello mentale.
GUALCO ~ Quindi… io non sono io?
Il boia pianta la scure nel ceppo. Marco Gualco è terrorizzato.
E adesso? Che cosa sono adesso? Non sono me stesso neanche quando parlo con te? In quest— Cos’è questo? Non si può neanche definire «ricordo» questo; dove siamo? Cos’è, un’allucinazione? Un sogno? Mi rispondi?
BOIA ~ Questo io non lo so.
GUALCO ~ Vorrei che tu fossi sincero con me.
BOIA ~ Lo sono stato almeno quanto te.
GUALCO ~ E allora rispondi. Dove siamo?
BOIA ~ Queste sono cose che già sai, ma che ti saranno ovvie solo una volta usciti di qui.
GUALCO ~ (si scalda) Smettila di pontificare! Io voglio la verità!
BOIA ~ (a tono) Tu non vuoi la verità! Perché se tu avessi la certezza che questo non è null’altro che un sogno, tutto cadrebbe di valore per te. E a quel punto, se muori o non muori, non cambia più niente, se sai che non c’è paradiso. E tu lo vuoi il paradiso. Tu vuoi aver paura di morire.
GUALCO ~ (incredulo) Quindi tu puoi ancora giudicarmi?
BOIA ~ Siamo qui solo per questo.
GUALCO ~ E su quale base speri di farlo, (indicando il palcoscenico) se tutto questo è falso? (Si alza e si avvicina al tavolo) Guarda qua…
BOIA ~ Io ti giudico sulla base di come tu speri di mostrarti a te stesso. È tutto ciò che conta.
GUALCO ~ (tocca la sedia a sinistra) Questa sedia, cos’è, è falsa pure questa? (Tocca il tavolo) E questo tavolo? (Si getta a terra e raccoglie il cappuccio del boia) E questo!? Ma come si esce da qui?
BOIA ~ Se volevi veramente uscire, lo avresti già fatto da un pezzo. Ma tu non te ne vuoi andare, perché stai aspettando di essere giudicato.
GUALCO ~ (gattona verso il boia, poi striscia fino ad aggrapparsi ai suoi piedi) E allora cosa aspetti a farlo? Giudicami, ti prego! Mi sembra di stare fermo in un deserto.
BOIA ~ Non abbiamo ancora finito qui. Ci manca ancora un ricordo da affrontare: la sera in cui è cambiato tutto. (Pausa) Marco. Cos’è successo quella sera?
GUALCO ~ (ridacchia) Ma quindi… Bianca non soffriva!
BOIA ~ Cosa?
GUALCO ~ (sfiata) Bianca… non soffriva!
BOIA ~ Io non lo so.
GUALCO ~ (ride sofferente) No, no, no. No che non soffriva.
BOIA ~ Questa cosa ti fa ridere? (Pausa. S’inginocchia) Marco…? Marco?
Marco Gualco fa spallucce, e scuote la testa. Le luci intanto sfumano in calde. Il boia raccoglie delicatamente il suo cappuccio dalle mani di lui, la cui risata si fa sempre più rumorosa e sofferta.
EPISODIO SECONDO. Rivelazione
Ufficio di Marco Gualco. Notte. Luci calde. Marco Gualco continua a ridere, ubriaco. Fabio entra barcollando dalla porta a destra con due bicchierini in mano, la cravatta di Marco Gualco legata in fronte, la camicia sbottonata e la patta aperta, ridendo incontrollatamente. Marco Gualco lo guarda divertito. Fabio si ravvede e fa «sssh» all’amico, per poi accingersi a chiudere la porta con goffa cautela. Poi riprendono entrambi a ridere.
FABIO ~ (brinda) All’eroe!
GUALCO ~ (urla) All’eroe!
FABIO ~ Sei tu l’eroe!
GUALCO ~ Sì! Io sono l’eroe!
FABIO ~ (beve) L’avresti mai pensato?
GUALCO ~ Che cosa? Di ricevere una promozione o che mio suocero avesse un altro infarto?
FABIO ~ Di ricevere una promozione.
GUALCO ~ Non così presto.
FABIO ~ E che tuo suocero avesse un altro infarto?
GUALCO ~ Non così presto.
Ridono.
FABIO ~ (sputa quello che stava bevendo) Cazzo…
GUALCO ~ Cosa «cazzo»?
FABIO ~ Cazzo: credo di essermi pisciato addosso.
GUALCO ~ Cazzo…
FABIO ~ Va be’, va be’, ma non fa niente. (Ha un conato di vomito; poi si avvicina ingobbito alla scrivania con un braccio davanti alla bocca, e vi posa i bicchierini) Ahia… Aspetta. (Scende a gattoni per terra, poi si siede e si sfila i pantaloni fino alle ginocchia)
GUALCO ~ (si avvicina per molestarlo) Ah, siamo già a quel momento della serata?
FABIO ~ (lo allontana) Che cazzo fai, pedofilo? (Annusa i pantaloni) Ah, ecco, non mi ero pisciato, era l’alcol.
GUALCO ~ (poggiato colla schiena contro la gamba del tavolo) Menomale.
FABIO ~ (si sdraia) Ah! Sono devastato.
GUALCO ~ Hai visto nessuno nei corridoi?
FABIO ~ Eh!?
GUALCO ~ Hai visto nessuno nei corridoi!?
FABIO ~ No, no, non c’era nessuno. Ah! Ma che ore si son fatte?
Entrambi si tirano su una manica e si guardano il polso. Nessuno dei due ha l’orologio. Questa volta Marco Gualco appare stonato da ciò, e tira un’occhiata al boia, che nel frattempo si sta rimettendo il cappuccio. Fabio invece prosegue come se non fosse niente.
Ah, ma è ancora l’una! Perché se ne sono già andati tutti?
GUALCO ~ Perché la gente lavora domani. Ed eravamo comunque in due a festeggiare. Anche noi dovremmo andarcene. Non è festa per tutti.
FABIO ~ Ma che succede, perché ti sei rabbuiato tutto d’un colpo?
GUALCO ~ A te non sembra strano tutto questo? Ti sembra tutto così normale? Rispondi. (Allunga la mano per toccarlo) Tu ti senti vero in questo momento, Fabietto?
FABIO ~ (si alza, con tono giocoso) Ho capito, ho capito. Qui qualcuno si sente in colpa con sua moglie!
GUALCO ~ Ma no…
FABIO ~ (si avvicina) Qui qualcuno sta brindando alle disgrazie altrui!
GUALCO ~ Fabio, smettila.
FABIO ~ E quel qualcuno è Marco Gualco. (Lo tocca, gli prende il naso, con voce bambinesca) Marcolino! Marcogualchino! E sì! E sì! E chi è il bambolino più depressino dell’universo? Chi è?
GUALCO ~ Io…
FABIO ~ Be’, allora c’è bisogno che qui qualcuno ti dia un bel bacino colla lingua…
GUALCO ~ (ha uno scatto) Fabio!
FABIO ~ (in segno di resa) Va bene! Va bene! Scusa! E non si può nemmeno essere froci per un minuto in questo Paese? (Si allontana gattonando, poi si rigira) Ah! Marco! Ho un’idea. Che ne dici invece di un bell’abbraccio virile? Eh? Da uomo a uomo?
GUALCO ~ Certo.
Si abbracciano in modo apparentemente strano.
FABIO ~ Va meglio adesso?
GUALCO ~ Sei ubriaco, Fabio.
FABIO ~ Anche tu. Come sta Bianca?
GUALCO ~ (ha uno scatto e si stacca dall’abbraccio) No! Non m’interessa adesso!
FABIO ~ No, giusto, scusa, non dovevo, scusa, non ci pensare… (Lo prende sottobraccio per dirigersi gattonando alla cassapanca) Vieni che ti offro altro scotch! Tanto paga il Pastorini…
GUALCO ~ Non dovremmo approfittarne così tanto.
FABIO ~ (lo lascia) Ma non mi rompere i coglioni! Ora l’ufficio è tuo, e poi tu non bevi mai!
GUALCO ~ A maggior ragione, non dovrei mettermi a bere solo perché non pago. E poi non posso tornare a casa ubriaco che ho bevuto.
FABIO ~ (a gattoni davanti alla cassapanca) Marco! Quanta roba! Vediamo. Lo scotch è finito. Qui c’è del bourbon, del rum, del cognac, altro cognac…
GUALCO ~ Ma quanto alcol teneva nel suo ufficio!?
FABIO ~ Eh, gente ricca, Marco Gualco! Gente ricca!
GUALCO ~ Non è che se uno è abbiente, allora deve per forza rispecchiare lo stereotipo del borghese capitalista che sorseggia scotch alle due del pomeriggio.
FABIO ~ (si gira verso di lui) Sì, per carità, hai ragione… ma si dà il caso che Silvestro Pastorini… sia proprio un borghese capitalista che sorseggia scotch alle due del pomeriggio…
GUALCO ~ Vedi se c’è dell’altro scotch.
FABIO ~ (grida) Non c’è lo scotch! (Riprende la ricerca) Vedo se c’è… ma cos’è ’sta roba?
GUALCO ~ Cosa?
FABIO ~ No! Un doppiofondo!
GUALCO ~ Ma che dici! (Pausa) Cosa vedi?
FABIO ~ Aspetta. (Esce dalla cassapanca con dei fascicoli) Oplà!
GUALCO ~ Cosa sono?
FABIO ~ Non lo so. “1, 9, 9, 2.”
GUALCO ~ 1992!
FABIO ~ (li poggia sulla scrivania e rimane fermo a guardarli) Ah, è una data…
GUALCO ~ Boh… è un numero… (Pausa) Non lo apri?
FABIO ~ Non lo so, Marco. Non è roba nostra.
GUALCO ~ Sì, ma è comunque nel mio ufficio.
FABIO ~ Saranno stati nascosti per un motivo.
Silenzio.
GUALCO ~ Mi sta venendo una certa ansia.
FABIO ~ Perché…?
GUALCO ~ (si alza e mette le mani sui fascicoli) Io lo apro.
FABIO ~ (lo blocca) Aspetta!
GUALCO ~ Cosa?
FABIO ~ Non lo so. Aspetta un secondo.
GUALCO ~ Che c’è? Di cos’hai paura?
FABIO ~ E se scopriamo che Pastorini… (spaventato) è un evasore?
GUALCO ~ Ma che dici…
FABIO ~ Perché, non è plausibile?
GUALCO ~ Ma potrebbe mai tenere le prove nel suo ufficio?
FABIO ~ Sarebbe così stupido che nessuno verrebbe neppure a controllare. Io non sono stupido. Tu dici sempre che sono stupido!
GUALCO ~ Non ho mai detto che sei stupido.
Marco Gualco apre uno dei fascicoli, con dei fogli bianchi. Una musica cupa.
BOIA ~ Cosa trovaste?
GUALCO ~ Una lista interminabile di nomi, di sigle, di date, alcune censurate, di numeri, espunzioni e cancellature varie. Era pieno di riferimenti a cose che io non avrei mai potuto decifrare in quel momento. Ero troppo concentrato su quello che mi stava accadendo per poter capire.
BOIA ~ Tutto qui?
GUALCO ~ (sfoglia un fascicolo) Non c’erano tante frasi intere, sembrava solo una semplice rubrica un po’ arricchita. Eppure qualcosa non quadrava. Questi nomi… io li avevo sentiti.
FABIO ~ Forse è solo un registro delle sue scommesse ai cavalli.
GUALCO ~ No, Fabio, non essere stupido.
FABIO ~ Stupido…?
BOIA ~ E poi?
GUALCO ~ Un nome… che riemerse con un alito stantio conservato sin dalla mia prima adolescenza. Si trattava di un uomo che ricordavo essere stato sindaco della mia città quand’ero ragazzo. Era un nome che non udivo da anni, ma che a suo tempo era divenuto tanto popolare a causa dei numerosi processi per frode e associazione a delinquere per cui perse la carica, anche se io ai tempi non ci capivo niente. Lo indicai a Fabio (si volta verso di lui; contatto visivo), e subito ci guardammo. Pensai che anche Fabio capì in quel momento cosa tenevamo per le mani; ma in realtà sapeva già tutto.
FABIO ~ Ma tu dici che…
GUALCO ~ Non lo so. (Abbandona il contatto visivo con Fabio. Al boia) Non ci volevo credere.
FABIO ~ Non mi sento nelle giuste condizioni per capire cosa stiamo leggendo.
GUALCO ~ (lascia i fascicoli in mano a Fabio) Tu resta qui.
FABIO ~ Cosa fai?
Marco Gualco prende la cornetta e digita un numero.
Chi chiami?
GUALCO ~ Il segretario di Silvestro. Forse lui ne sa qualcosa.
FABIO ~ Senti, Marco, non credo che sia il caso.
GUALCO ~ Fa’ silenzio.
Pausa. Marco Gualco aspetta colla cornetta all’orecchio, poi riattacca.
FABIO ~ Che ha detto?
GUALCO ~ Non risponde.
FABIO ~ Come non risponde?
GUALCO ~ Che significa questa roba? Eh? Che cazzo significa questa merda!?
FABIO ~ Calmati, Marco.
GUALCO ~ (furioso) Tu cosa sai?
FABIO ~ Niente, non so niente.
GUALCO ~ (cammina nervosamente. Trema) Puoi prendere questo cazzo di scotch?
FABIO ~ Prima ti calmi.
GUALCO ~ Cosa vorrebbe dire questa cosa? Che mio suocero… che mio suocero è un colluso? Eh? Che è, un cazzo di mafioso?
FABIO ~ Io… che cazzo ne so! Scusa!
Squilla il telefono. Marco Gualco si precipita a vedere il numero sul display.
GUALCO ~ È Bianca. (Tra i denti) Che tempismo del cazzo!
FABIO ~ Si è pure fatta una certa. Rispondile.
GUALCO ~ E che le dico? Che suo padre è un criminale?
FABIO ~ No, non dico questo.
GUALCO ~ Vuoi prendere questo scotch?
Fabio va alla cassapanca a prendere una bottiglia. Frattanto, Marco Gualco tira fuori da una busta un taccuino, lo apre e gli dà un’occhiata. E reagisce come se avesse letto qualcosa di angosciante. Appena Fabio si rialza colla bottiglia, Marco Gualco chiude il taccuino e lo tiene in mano.
FABIO ~ Ha solo bisogno di sapere se stai bene, immagino. (Pausa) Marco?
GUALCO ~ Eh? Sono agitato, non posso parlarle sinceramente.
Il telefono smette di squillare.
FABIO ~ Va bene, tu… torna a casa. Ne riparliamo domani. (Breve pausa) Ci sei?
GUALCO ~ No.
FABIO ~ No, allora… Ah! Senti qua: la conosci la storia di re Pagobardo?
GUALCO ~ Pagobardo?
FABIO ~ Sì.
GUALCO ~ Ma che cazzo avete tutti oggi con questo Pagobardo!?
FABIO ~ Ah… scusa… non sapevo di dare fastidio.
Squilla il telefono.
BOIA ~ Rispondile.
GUALCO ~ No.
FABIO ~ Cosa «no»?
La musica s’interrompe. Bianca entra dalla porta a destra con dei tacchi neri, un vestito bianco macchiato di sangue dall’inguine in giù, e armata di scure. Un fascio di luce si fa strada attraverso la porta. Marco Gualco cade a terra terrorizzato, fissandola. Bianca incede trascinandosi la scure per terra, per poi fermarsi in ribalta, mentre il telefono continua a squillare.
Marco, che cosa succede? Che cosa ti prende?
GUALCO ~ Vattene via subito, vattene.
FABIO ~ (va a controllare fuori dalla porta) Non c’è nessuno qui. Stai tranquillo, Marco. È… l’alcol a parlare.
GUALCO ~ L’alcol? Ma la vuoi finire? Ma lo capisci che tu non sei niente!?
BOIA ~ Non meno di quanto lo sia tu.
GUALCO ~ Zitto.
BOIA ~ Avevi già deciso tutto.
GUALCO ~ Non avevo deciso proprio niente. Ora vattene.
FABIO ~ Cosa?
BOIA ~ Avevi già deciso di morire. Qui, in questo momento.
GUALCO ~ (grida) Non è affatto vero. Vattene!
Il telefono smette di squillare. Pausa. Il boia si alza dal ceppo, estrae la scure, scende dal palcoscenico e si siede in platea.
FABIO ~ Marco? Marco! Cos’hai detto?
GUALCO ~ Eh?
FABIO ~ Cos’hai detto?
GUALCO ~ Cos’ho detto?
Bianca lentamente si genuflette per sdraiare la scure al centro della ribalta.
FABIO ~ Sì.
GUALCO ~ Io non ho detto nulla.
FABIO ~ Stavi parlando da solo.
GUALCO ~ Senti, Fabio. Ti avverto: se pensi che io sia un allucinato…
FABIO ~ Non ho detto questo.
GUALCO ~ Non osare andare a dire a mia moglie che ho le allucinazioni.
FABIO ~ Cosa c’entra tua moglie?
GUALCO ~ Io so che glielo dirai. L’ho visto coi miei occhi.
FABIO ~ Ma cosa stai dicendo…?
Bianca completa l’azione. Un tonfo assordante. La scena si scurisce di luci fredde e basse. Bianca va a sedersi sulla sedia a destra del tavolo. L’unica altra fonte di luce ora proviene dalla porta da cui è entrata lei.
GUALCO ~ Meglio se te ne vai a casa adesso, che ne dici?
FABIO ~ Eh?
GUALCO ~ Ho detto «vattene». Io non sto parlando con nessuno, va bene?
FABIO ~ Va bene.
GUALCO ~ Vattene a casa, per favore.
FABIO ~ Me ne vado appena ti calmi. Cos’hai lì in mano?
GUALCO ~ Niente, non l’ho ancora letto. (Pausa) Mi sono calmato.
Silenzio.
FABIO ~ Va bene.
GUALCO ~ Ci vediamo domani.
FABIO ~ Sì. Tu torna a casa. E poi domani… Va bene? Ciao.
GUALCO ~ Ciao.
Fabio prende i bicchierini, i fascicoli e il telefono, liberando completamente il tavolo, ed esce dalla porta a destra.
Bianca è seduta colle gambe accavallate e un braccio adagiato sul tavolo, l’altro sullo schienale, e la testa alta, che fissa Marco Gualco.
Marco Gualco si siede su una sedia come se si sedesse sulle spine.
Esodo. La moglie del boia
La scena è illuminata di sbieco dalla porta, come nel quadro precedente. Bianca e Marco Gualco seduti come nel quadro precedente. Marco Gualco stringe ancora tra le mani il taccuino. Silenzio.
BIANCA ~ Perché non lo apri?
GUALCO ~ Perché sei qui?
BIANCA ~ Lo sai. Io sono qui perché sei tu a volerlo.
GUALCO ~ La smettete di dirmi in continuazione che sono io a volere tutto questo? Io non voglio proprio niente.
BIANCA ~ E allora rinnegati.
GUALCO ~ Cioè?
BIANCA ~ Rinnegati.
Pausa. Una musica tenue e triste.
GUALCO ~ E come dovrei fare?
BIANCA ~ Lasciami andare, Marco.
GUALCO ~ Non ci riesco.
BIANCA ~ Lasciami andare.
GUALCO ~ Basta, Bianca. Fallo tu per me. Abbandonami. Io non ci riesco, amore mio.
BIANCA ~ Io non posso fare nulla. Devi essere tu a volerlo.
GUALCO ~ No, è vero. Tu non sei nemmeno qui in questo momento.
BIANCA ~ E dove sono?
GUALCO ~ Non ci sei. Tu non esisti.
BIANCA ~ E allora rinnegati. (Cambia postura e si sporge sul tavolo) Guardati, Marco: ti basterebbe aprire quel taccuino per lasciare i tuoi ricordi alle spalle, eppure non ci riesci. Cosa c’è scritto dentro? Lo sai cosa c’è scritto. È la lista dei decapitati. Perché non lo apri? Sai già cosa starai per leggere: che ti costa farlo ancora?
GUALCO ~ Non voglio.
BIANCA ~ Credi che rimandare ancora questo momento possa cambiare qualcosa? Se non apri quel taccuino… non cambierai il fatto che lì dentro c’è scritto in penna il nome di mia madre.
La musica si arresta qualche secondo.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Perché l’ha fatto?
BIANCA ~ Per lo stesso motivo per cui ha decapitato te. Per lo stesso motivo per cui ha decapitato tutti gli altri in quella lista.
GUALCO ~ Ma stiamo parlando di sua moglie!
BIANCA ~ E con questo? Tu non puoi farci niente, Marco. Puoi solo decidere per te stesso.
GUALCO ~ Io ho deciso per me stesso.
BIANCA ~ Che cosa, la morte? Ed era l’unico scenario possibile, per te?
GUALCO ~ L’ho fatto solo per proteggerti.
BIANCA ~ Proteggermi? (Breve pausa) Marco, tu mi hai fatto solo del male. Tu non ti rendi conto.
GUALCO ~ Io ti ho ferita solo per allontanarti da me. So cos’ho fatto, era tutto calcolato.
BIANCA ~ No, Marco. Credevi di avere tutto sotto controllo, ma non controlli proprio niente tu. Persino la tua memoria ti è sfuggita di mano. Tu non sai più chi sei per davvero. Ti sei creato dei ricordi fittizi in cui ti tradivo, ma tutto ciò che hai ottenuto è che hai iniziato ad odiare Fabio solo perché non riuscivi ad odiare me.
GUALCO ~ Questo non è vero.
BIANCA ~ E la cosa orribile è che tu non l’hai fatto nemmeno per gelosia: tu hai ucciso Fabio solo per autoconvincerti di meritare la morte.
GUALCO ~ Smettila.
BIANCA ~ Tu mi hai picchiata. Tu mi hai stuprata. E non perché mi odiavi, né perché volevi ch’io scappassi, ma solo perché volevi sentirti libero.
GUALCO ~ No, smettila! Questo non è vero!
BIANCA ~ E quando ti sei accorto che tutto questo non è servito a niente, mi hai chiesto di giudicarti… e perché? Perché hai avuto paura di morire.
La musica s’interrompe. Pausa.
Vedi, Marco Gualco, tu in realtà vuoi solo perdonare a te stesso di esserti sacrificato. Perché non c’è paradiso e l’unico a perdonarti qui devi essere tu. Sei tu il tuo boia.
GUALCO ~ (dopo una pausa) Io sono già morto. Vero, Bianca?
Entrano Olivo e Fabio dai lati opposti della ribalta. Olivo butta giù il ceppo, producendo un naturale tonfo. Controluce. Dopo un breve silenzio si sente una canzone celestiale cantata a cappella da una voce femminile (Lilium di Kayo Konishi e Yukio KondÅ). Bianca si alza dalla sedia ed esorta Marco Gualco a ballare con lei qualcosa di simile a un girotondo. Olivo frattanto trascina il ceppo lentamente, spingendolo, fino al centro della ribalta, davanti alla scure di Bianca; Fabio trascina la cassapanca fuori dalla quinta a destra; poi entrambi portano fuori il tavolo e le due sedie. Alla fine del ballo, Bianca sottrae il taccuino a Marco Gualco ed esce di scena. Marco Gualco si lascia dunque cadere, privo di sensi, in mezzo al palcoscenico. La canzone finisce.
EPISODIO DECIMO. Decapitazione
Ufficio di Marco Gualco, ma la scena è quasi vuota. Rimangono solo le due porte, e la scure e il ceppo al centro della ribalta. Dalla quinta in ribalta, entra Silvestro, senza bastone, con un cappotto elegante, un orologio da polso e un cappello a falde larghe. Dal portamento sembra un’altra persona: la sua malattia è più ascosa, e non appare più nell’atteggiamento ingenuo del quinto quadro. Lo stato emotivo di Marco Gualco nella prima parte della scena è difficile da definire, ma in lui non traluce una palese paura, più forse maturo distacco. La scure sdraiata sulla ribalta è illuminata. Silvestro si siede sul ceppo, poi Marco Gualco si alza lentamente.
GUALCO ~ Ho bruciato tutto: tutt’i fogli, tutt’i dossier, li ho strappati e gli ho dato fuoco.
SILVESTRO ~ E il taccuino?
GUALCO ~ Quello non ce l’ho fatta. È ancora nella mia valigia. (Pausa) Io credo che Voi mi sottovalutiate.
SILVESTRO ~ Sottovalutarti? No, anzi. Io ti ho sempre sopravvalutato. E mi dispiace. Me ne vergogno un po’. Credevo di saperci fare in queste cose.
GUALCO ~ In cosa mi avreste sopravvalutato?
SILVESTRO ~ Be’, credevo che fossi in grado di tenerti in vita almeno per un giorno. Ma ho solo capito che sei un perdente.
GUALCO ~ Un perdente?
SILVESTRO ~ Hai da eccepire? Guarda dove stiamo. Ti sembra di aver vinto?
GUALCO ~ Se il Vostro intento è farmi paura, sappiate che ho scelto io che le cose andassero così.
SILVESTRO ~ Questo non lo metto in dubbio. Ma io non ho nessun interesse a farti paura. Siediti. Mi va di sederci.
Marco Gualco si siede accanto al ceppo, lì vicino a lui.
Poi comunque la paura viene da sé, non devo essere io a mettertela. Sei proprio sicuro di non star giocando col tuo tempo?
GUALCO ~ Non ho alcuna paura.
SILVESTRO ~ Va bene.
GUALCO ~ Anzi, perché Voi mi volete ammazzare? Ve ne rendete conto?
SILVESTRO ~ Marco Gualco… io non ti ammazzo poiché ti temo. Mi resteranno sì e no tre mesetti di vita. Cosa me ne frega a me di farti fuori? Io ti ammazzo poiché hai rovinato un clima. Come dire… hai spezzato la catena. Hai fatto crollare un sistema fatto di silenzi e di pretensioni. Un sistema abile nel nascondere le ragioni di un crimine. Le regole si seguono e basta. È la legge. Neanche io posso farci niente. Non sono io che scelgo di ammazzarti, capisci? Vivi nel terrore e nella pace che questo sistema non ti crollerà addosso. Ti faccio un esempio. Sai perché le donne si velavano il volto con un ventaglio o con un foulard quando pubblicamente qualche uomo un po’ più irriverente degli altri iniziava a fare discorsi un po’ “matti”? E si azzardava ad usare parole come “pisello”, o addirittura “cazzo”? Perché si velavano il volto le donne, secondo te?
GUALCO ~ Per l’imbarazzo?
SILVESTRO ~ Per nascondere il rossore. Sì. È giusto. Ma la risposta più corretta è un’altra. Lo facevano per nascondere la mancanza di un rossore. Capisci il ragionamento?
GUALCO ~ Sì.
SILVESTRO ~ Il loro sistema prevedeva, imponeva alle donne l’arrossimento. Una donna, per com’era concepita, non poteva non arrossire per determinate cose. E le donne stesse ci credevano più degli uomini. Addirittura si imbarazzavano di non essersi imbarazzate a sentir parlare di sesso. Un po’ faceva loro un favore, perché alla fine per un motivo o per l’altro arrossivano comunque. Anche se non c’era nulla di cui imbarazzarsi: tanto… (si toglie il cappello e mima il gesto di un ventaglio davanti al volto) nessuno lo vedeva. È come un attore che piange per la frustrazione di non riuscire a piangere mentre sta recitando. Alla fine non lo sai di cosa è fatta quella lacrima, solo lui lo sa; e tu vedi solo un personaggio che piange, e una donna che arrossisce. Eppure loro ci credevano in quel sistema, per loro era una vergogna non essere sensibili a quei discorsi: era una sconfitta personale. (Breve pausa) Tu non hai alzato il ventaglio, Marco Gualco. E il ventaglio lo si alza anche se non si arrossisce per davvero. Capisci? Sei stato ignavo coi tuoi sentimenti, e il sistema ti è crollato addosso. E per riedificarlo, ora c’è bisogno di una lapide che lo sostenga. Dai fastidio, sotto le macerie. Capisci?
GUALCO ~ Io non ho paura.
SILVESTRO ~ Tu hai molta paura, invece.
GUALCO ~ L’ho scelto io di morire. Io non voglio combattere niente di niente.
SILVESTRO ~ Guarda che la tua scelta di morire è un atto politico, non puoi prenderlo così alla leggera.
GUALCO ~ No, io voglio morire perché voglio morire. Punto e basta. So perfettamente cosa vuol dire il mio gesto.
SILVESTRO ~ E allora perché non ti sei ammazzato da solo? (Pausa) Vedi, forse lo fai inconsciamente, ma tu da questa morte speri di ottenere qualcosa. Io lo so: tu, come me, come Bianca, come chiunque, ti chiedi cos’è giusto e cos’è sbagliato. Ma non c’è “giusto o sbagliato”, c’è “vivere”. E se tu non vivi, abbandoni ogni senso di giustizia. Capisci? (Pausa) Tu cosa stai lasciando, Marco Gualco? Sei proprio così sicuro di non essere un perdente? Chi è che vuoi far vincere: la verità, o la vita? Della tua verità non frega niente a nessuno. E neanche della tua vita. Ma almeno con quella ci combini qualcosa.
GUALCO ~ Ma perché non mi ammazzate e basta?
SILVESTRO ~ (dopo una pausa) Mi sembravi interessato… Boia!
Una musica d’inquietudine. Il boia, senza scure, si alza in piedi e si avvicina dalla platea. Marco Gualco scatta in piedi.
(A Marco Gualco) Tutto bene? Scusa se ti ho annoiato prima coi miei discorsi. Ora possiamo andare al punto. (Pausa) Cosa ti prende?
GUALCO ~ Il boia. Ma questa è la realtà? O sto ancora sognando?
SILVESTRO ~ Pensavo che fossi uno che non sogna mai.
GUALCO ~ No, no, io sogno…
Olivo e Fabio entrano chiudendosi le porte dietro di loro. Marco Gualco si gira spaventato.
SILVESTRO ~ (si alza) Ehi, ma cosa ti prende? Non mi dirai che hai già cambiato idea.
GUALCO ~ Voglio solo sapere dove mi trovo.
SILVESTRO ~ Vuoi sap— Stai avendo delle allucinazioni anche adesso, Marco Gualco?
GUALCO ~ Io non ho mai avuto allucinazioni.
SILVESTRO ~ Non credo che abbia importanza dove ti trovi ora. O no? Devi morire, ricordi?
GUALCO ~ Ditemi solo se è un sogno, questo.
SILVESTRO ~ Un sogno? Vuoi capire se questo è un sogno?
GUALCO ~ Sì, Vi prego.
SILVESTRO ~ E non riesci a capirlo da solo? (Pausa) Gesù! È peggio di quello che pensavo.
GUALCO ~ Voi credete che io sia pazzo, non è così? Ma io sono lucidissimo. So cosa sto dicendo, e so che le mie parole possono suonarVi strane, ma c’è un motivo per tutto questo.
SILVESTRO ~ (si guarda il polso, dove per la prima volta si vede un orologio) È tardi ormai. (Si avvia verso la platea) Io non ho tempo per queste cose.
GUALCO ~ No, Vi prego, don Silvestro…
SILVESTRO ~ Lo so. È difficile venire a patti colla morte. Ma il mondo non sta ad aspettare te: a un certo punto, il modo per rimettersi in sesto lo trova comunque. Portatelo qui.
Silvestro scende dal palcoscenico. Olivo e Fabio afferrano Marco Gualco da dietro e lo fanno inginocchiare davanti al ceppo. Il boia raccoglie la scure dalla ribalta. La musica si fa più intensa.
GUALCO ~ No, Vi prego! Io devo saperlo! Vi scongiuro!
SILVESTRO ~ Stai iniziando a stancarmi, ragazzo.
GUALCO ~ Ditemi se questa è la realtà!
SILVESTRO ~ (si scalda) Sì, Marco Gualco. Questa è la realtà. Ti basta come risposta?
GUALCO ~ No! Io voglio sapere se ho fatto la cosa giusta.
SILVESTRO ~ (grida) Non esiste! La cosa giusta! Tu hai fatto delle scelte. E adesso morirai. Non c’è nient’altro. Non c’è ragione, non c’è morale: niente. E non ci sarà spazio per il rimorso dopo che avrai la tua testa staccata dal corpo! Quindi mettiti l’animo in pace per i prossimi trenta secondi, e poi non te ne fregherà più un cazzo di tutto questo.
Silvestro si siede in platea. Olivo e Fabio spingono la testa di Marco Gualco sul ceppo.
GUALCO ~ Boia, boia! Dimmi che ho fatto la cosa giusta.
SILVESTRO ~ Ma cosa stai facendo?
GUALCO ~ Lui lo sa. Dimmi che questa è la cosa giusta da fare. Perché io non lo so. Tu sei buono, te lo leggo nelle mani con cui reggi l’ascia. Ascoltami, mi vuoi ascoltare? Ti prego, ascoltami, almeno un secondo. Lasciami raccontare. Ti supplico, lasciami tornare indietro, solo per un attimo. Ho bisogno di raccontarti chi sono!
Il boia solleva la scure. Un tonfo assordante. Controluce. Tutti si bloccano.
MARCO GUALCO ~ (in voice over) Amore, ma te lo ricordi quando andammo in montagna ad aprile dell’anno scorso? E ci mettemmo a cercare i quadrifogli?
Olivo, Fabio e infine il boia si rianimano e vanno a sedersi in platea accanto a Silvestro.
BIANCA ~ (in voice over) Certo, amore, al nostro anniversario.
MARCO GUALCO ~ (come sopra) Poi incontrammo quella coppia di anziani e parlammo con loro tutta la sera.
BIANCA ~ (come sopra) Sì, dicevi che quel vecchietto secondo te era un genio e aveva capito tutto dell’amore.
MARCO GUALCO ~ (c.s.) Guarda, non ricominciamo.
BIANCA ~ (c.s.) Io non ricomincio proprio niente.
MARCO GUALCO ~ (c.s.) Ed era lo stesso giorno in cui ti ho regalato quella vecchia lettera di San Valentino che non avevo mai avuto il coraggio di darti.
BIANCA ~ (c.s.) Quella sull’universo.
MARCO GUALCO ~ (c.s.) Sì. Ecco, io vorrei che fosse sempre quel giorno lì. Io ci potevo morire, capisci? Anzi, io avevo bisogno di morire in quel momento. E lo dico senza rimorsi. Una parte di me ha sempre voluto la morte, anche in quel bellissimo giorno. Mio Monte Bianco.
EPISODIO PRIMO. Amarcòrd
Prato di montagna, un anno prima. Aprile. Tardo pomeriggio. Marco Gualco è in ginocchio, nella stessa posizione del quadro precedente. La scena si rischiara. Ora la luce è sfumata in una frontale e tiepida. Cinguettii di uccelli, e frinii di cicale. Silenzio. Poi, la voce di Bianca.
BIANCA ~ (da fuori) Marco! (Pausa) Marco!
Bianca entra dal fondale, vestita bene per la stagione, con una borsa in mano. Marco Gualco si passa una mano intorno al collo.
Marco, su, vieni ché si fa buio! Marco!
Marco Gualco, che pareva assorto dai propri pensieri, si ridesta dall’ultimo richiamo.
GUALCO ~ (senza alzarsi) Sì, eccomi, arrivo.
BIANCA ~ Non hai trovato niente? (Si avvicina a lui) Non fa niente, se non ce ne sono; non sono mica così facili da trovare. Sei triste per questo?
GUALCO ~ (dopo una pausa) Eh? Ah, no, figurati.
BIANCA ~ Allora che c’è?
GUALCO ~ È che mi ero fermato a pensare ad una cosa. Lo sapevi che i quadrifogli sono, sostanzialmente, dei trifogli down? Cioè non sono un tipo di pianta diverso: sono dei trifogli con un’anomalia genetica.
BIANCA ~ È per questo che sei triste? Per i trifogli down?
GUALCO ~ No…
BIANCA ~ Guarda che se qua siamo tristi entrambi non ne usciamo più. Dovremmo fare a turno.
GUALCO ~ Non sono triste, stavo solo pensando a quella questione di prima…
BIANCA ~ Quale?
GUALCO ~ (si siede sul ceppo) Siediti qui con me.
BIANCA ~ Ma dobbiamo andare, amore.
GUALCO ~ Dai, non ci corre dietro nessuno! (Guarda il pubblico) Ancora dieci minuti.
Bianca gli si siede accanto.
Allora, s’intende che se io fossi una betoniera, e avessi il carico pieno—
BIANCA ~ (seria) Ma ancora con questa idiozia della betoniera!
GUALCO ~ Guarda che non è un’idiozia! È una cosa molto saggia che ha detto.
BIANCA ~ Eh, sì, e quel vecchio immagino abbia studiato filosofia prima di ritirarsi in campagna a mungere galline.
GUALCO ~ Fatto sta che quel «vecchio» può vantare di molta più esperienza in amore di te, e questo è insindacabile.
BIANCA ~ No, caro. Perché, per quanto mi riguarda, un uomo può vivere anche un milione di anni e un miliardo di esperienze diverse; ma se li passa tutti quanti racchiuso, incarcerato nelle sue convinzioni, è come se vivesse un mese e poco più. Per non parlare di quella puttanella che gli dava continuamente corda.
GUALCO ~ Ma chi, la moglie?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ Ma perché detesti tanto quella coppia di nonnini? Li hai visti, erano così carini e innamorati, sembrava che si fossero sposati due giorni fa.
BIANCA ~ Il punto è ch’è proprio stupido il paragone con una betoniera.
GUALCO ~ Ma perché?
BIANCA ~ Ma perché se dici «una betoniera» solo per simbolizzare un contenitore molto grosso, allora tanto vale dire una cosa qualsiasi… (Scimmiottandolo) «La conoscete la filosofia della betoniera?» Come se non l’avesse inventata lui.
GUALCO ~ Come vuoi tu; a me ha fatto tanto pensare.
Breve silenzio.
E se io un giorno morissi, e tu non avessi altro cuore su cui riversare il tuo amore? Saresti una di quelle del primo tipo. O sbaglio?
BIANCA ~ Ma, amore, ma non è che esistono solo uomini generosi e uomini che non hanno bisogno di esserlo.
GUALCO ~ Sì, ma se io un giorno morissi, Bianca, e tu non riuscissi a trovare nessuno con cui sfogare il tuo romanticismo—
BIANCA ~ Marco, tu mi ami?
GUALCO ~ Ma certo che ti amo!
BIANCA ~ E allora non ti serve sapere altro. Sappi però che se un giorno ti renderai conto di avermi amata senza aver preteso nulla, allora non ci sarà pietà per te.
Silenzio.
Mi racconti qualcosa?
GUALCO ~ Ma che cosa, amore?
BIANCA ~ Qualcosa che non so già.
GUALCO ~ Ma io non ho niente da raccontarti.
BIANCA ~ Fai uno sforzo. (Pausa) Ho paura.
GUALCO ~ Di cosa?
BIANCA ~ (sul punto di piangere) Di qualcosa che non so già.
GUALCO ~ Ehi, no, non ci pensare neanche. Riprenditi. Tuo padre sta bene. È stato solo un episodio, non si ripeterà.
BIANCA ~ I medici non sanno perché l’ha avuto.
GUALCO ~ Perché i medici sono scemi. Un infarto può venire per mille ragioni di poco conto, non è che se non sappiamo la causa subito, allora dobbiamo preoccuparci del peggio. E poi lo dice anche lui: cos’è che dice tuo padre, che mi ripeti sempre?
BIANCA ~ La storia di re Pagobardo?
GUALCO ~ No, che cazzo c’entra… Dico, l’aforisma.
BIANCA ~ «Se c’è una soluzione, perché ti preoccupi? Se non c’è una soluzione, perché ti preoccupi?»
GUALCO ~ Esatto. Quindi perché stare male, se serve solo a farsi del male? Anzi, sai cosa? Ora ti faccio contenta: mi è appena venuta in mente la storia da raccontarti.
Una musica dolce e soave.
BIANCA ~ Che cosa?
GUALCO ~ Mio padre.
BIANCA ~ Tuo padre?
GUALCO ~ Sì, non parlo mai di lui; non perché me ne vergogni, ma non voglio che si pensi che lo stimo solo per un fatto di sangue e poi un po’ m’imbarazza mettermi al centro dell’attenzione.
Le luci si stringono all’improvviso a occhio di bue.
Ebbene, mia madre ha sempre avuto una grande passione per l’alpinismo, mio padre no. Perciò andava in montagna da sola, quando poteva, nei giorni festivi. Le faceva bene; il medico le diceva che per la sua malattia questo tipo di attività aiutava non solo l’umore, ma anche il corpo. Tuttavia ricordo un giorno, tanti anni fa: mia madre ci teneva davvero tanto a fare un’escursione tutti quanti in famiglia, d’estate, ma mio padre a nessun costo, mio padre al solo pensiero di farsi tutta quella strada per andare lì… Poi vestirsi adeguatamente, faticare per arrivare in cima, diceva che al solo pensiero gli veniva la nausea. Ma mia madre insistette così tanto per convincerlo, chissà con quali false promesse, che alla fine mio padre cedette. E quel finesettimana mia madre ci portò sulla vetta del Gran Paradiso, che è una montagna in Val d’Aosta che supera i quattromila metri. Ci mettemmo due giorni: iniziammo a scalare in tarda mattinata e quando arrivò la tarda sera ci accampammo al rifugio Vittorio Emanuele, sui tremila metri, per poi riprendere la scalata il mattino seguente. Io ero piccolo, avrò avuto dodici anni, non avevo una preparazione fisica invidiabile, ma mio padre era comunque messo peggio. Cionondimeno, quando ci risvegliammo nel secondo giorno – non me lo scorderò mai – da che era totalmente diffidente e ricalcitrante all’alpinismo, quel mattino, non so perché, fu come investito da una tale gioia, una concentrazione che solo un fanciullo può vantare di avere! Mi svegliai e lo vidi che armeggiava cogli scarponi bevendo qualche grappa, e poi usciva dal rifugio dove avevamo fatto tappa, colla pila frontale e disse: (aggressivo) «Che emozione!»; e poi ci avviammo su per il ghiacciaio. Mia madre, che quella mattina era ripartita sempre collo stesso spirito indomito, arrivati a circa tremilacinquecento metri, le venne il mal di montagna, accusava dolori alla pancia, era stanca, piangeva: non voleva andare avanti. Mio padre, che comunque anche lui era molto affaticato, testuali parole, le disse: «Valeria, siamo nel posto più bello del mondo. Concentrati più su questo che sulla tua fatica». E il bello è che lo disse mentre era estremamente affaticato, ma con quella forza di nervi… Era un duro. Io gliel’ho sempre detto: «Tu sei un duro». E proseguimmo verso la vetta. Pian piano, poi mia madre si riprese, le passò il malore, apparì un sorriso sul suo volto e disse: (colla vocina) «Che bello!». Infine arrivammo in vetta. Sopra di noi non c’era più nulla, solo il cielo; e come succede in teatro, quando si arriva in cima a una montagna, si apre come un sipario, e si vede immediatamente dall’altra parte; ed eravamo come in paradiso, con le nubi sotto, tutt’i ghiacciai… E mi piace ricordare l’espressione che ebbe mio padre, è come una fotografia, qua, nella mia testa, perché rimase come ipnotizzato, coi suoi occhi celesti e disse: «Che bellezza…», e rimase intontito, a guardare. Poi ci avviammo in discesa, la lunga discesa. Da lì in poi posso affermare che l’alpinista in famiglia non era più mia mamma, ma mio papà. Divenne un appassionato, non un professionista, ma si diede comunque uno scopo. E nei mesi e negli anni successivi si allenò sempre di più e mirò sempre più in alto, senza mai spostarsi troppo dall’Italia, finché un giorno non arrivò a scalare persino il culmine delle Alpi, il Monte Bianco. Glielo lessi negli occhi: quella fu la più grande gloria della sua vita. Poco meno di un anno dopo, morì per uno stupido incidente; io avevo diciassette anni. Ecco, ti volevo raccontare questo episodio per farti capire quanto vali per me. Ora ti spiego. Sarà stata la voglia di vivere, sarà stata l’aria di montagna, non lo so; ma da quel giorno mio padre cambiò radicalmente: smise di vivere solo per la sua famiglia e iniziò a vivere un po’ anche per se stesso. Si creò degli obiettivi, adesso aveva delle aspirazioni, delle mete ben chiare e fu un po’ più egoista. E non pretese molto! Si fermò al Monte Bianco, non pensò all’Everest. Ma ciò che gli fa onore, appunto, è che si diede uno scopo; e quando lo scalò, nessuno pensò: (sminuendo) «Ha scalato il Monte Bianco…». No. Tutti pensarono: (con orgoglio) «Ha scalato il Monte Bianco…!». E io come lo stimavo per questo! Avrei voluto essere come lui. E ci ho provato! Ma il mio cuore batte per cose così maiestatiche che non ho il coraggio di guadagnarmele. Ed è stato sempre così, finché tu non mi hai fatto sapere cos’è l’amore. E quando me l’hai fatto sapere, il giorno in cui me l’hai svelato, io ho compreso fino in fondo lo scopo di mio padre. E per questo io sento di dovere all’universo un’occasione! Io sono debitore alla mia vita per aver conosciuto te. Io so che tu sei la sola cosa che mi sono mai voluto meritare. (Commosso) E, come mio padre, io abbandonerei tutto per scalare il Monte Bianco, se solo questo bastasse a guarirti dal dolore. Chiamami scemo, ipocrita, se vuoi, ma io non sopporterei una vita senza i tuoi baci e senza le tue lacrime; ché se sono un uomo scostante o troppo orgoglioso, perdonami, ma accanto a te divento un gattino.
BIANCA ~ (ridendo di commozione) Tesoro…
Un bacio.
GUALCO ~ Ti ho distratta a sufficienza?
BIANCA ~ (annuisce e ride) Grazie.
GUALCO ~ Ora possiamo andare. Si sta facendo buio.
BIANCA ~ Mentre parlavi di tuo padre, ho trovato un quadrifoglio.
GUALCO ~ Ma non mi stavi ascoltando?
BIANCA ~ Ho ascoltato tutto.
GUALCO ~ E hai espresso un desiderio?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ Quando?
BIANCA ~ Sempre mentre parlavi di tuo padre.
GUALCO ~ Ma allora non mi hai ascoltato.
BIANCA ~ Sì che ti ho ascoltato! Ti ho anche risposto.
GUALCO ~ Hai detto: «Tesoro…», non è che devi per forza aver ascoltato per dire «tesoro».
BIANCA ~ Perché devi essere così polemico? (Gli porge il quadrifoglio) Comunque tienilo, te lo regalo.
GUALCO ~ (mentre si alzano, lui mette la mano in una tasca) Anche io ti ho fatto una cosa.
BIANCA ~ Immaginavo.
GUALCO ~ Puoi almeno fingere di amarmi per il prossimo minuto?
BIANCA ~ Sì.
GUALCO ~ (estrae una lettera e gliela porge) Tieni.
BIANCA ~ Una lettera! Che bello!
GUALCO ~ Sì.
BIANCA ~ Una lettera d’amore…!
GUALCO ~ Sì.
BIANCA ~ (si alza) La leggo a casa, ché si sta facendo buio. Anzi, voglio che me la legga tu.
GUALCO ~ Va bene.
BIANCA ~ E a te il mio quadrifoglio t’è piaciuto?
GUALCO ~ Che desiderio hai espresso?
BIANCA ~ Non si dice! Ma t’è piaciuto o no?
GUALCO ~ Amore… è un quadrifoglio.
Lei scende dal palcoscenico e gli tende la mano.
Sipario.
La lettera
Principio questa lettera con una premessa, come ogni romanziere che si rispetti. Ossia pregandoti di risparmiare a questa carta innocente qualsiasi occhiata di pena che questo gesto così patetico possa suscitarti; lascia che questo patetismo faccia la sua parte e gioisci della mia spontaneità. Giacché questa è la festa degl’innamorati, e benché tu non mi creda, io sono innamorato.
E siccome mi sarebbe parso un insulto al mio sentimento non consacrare anche solo un po’ del mio tempo al pensarti in questo giorno e al cercare di sublimare questa mia tenera ossessione; è col sorriso nel cuore che ti vergo questa lettera cercando di combattere la mia vergogna perpetua, e di stuzzicare la tua, anche se mi hai più volte giurato che vergogna il mio amore non ti fa.
Ma non voglio star qui a parlar del mio amore, ché non c’è nulla da dire che non siano sempre le solite cose che ti canterei all’infinito, utili solo ad ispirare i poeti e a sollazzare gl’indolenti.
Oggi voglio parlarti dell’universo.
Tu dici: «Cosa cazzo c’entra San Valentino coll’universo? E poi perché venire a dirlo a me? Non vorrà forse dirmi che per lui sono l’universo?». No, Bianca, sono innamorato, non sono ricchione. Parlo di te e dell’universo perché in fondo parlo della medesima cosa. Tu ed io siamo già legati da questo immenso organismo che fa e disfà la materia a suo piacimento senza estinguerne o crearne di nuova. E io dico: non trovi magnifico tutto questo? Che un tempo gli atomi di qualche vulcano estinto furono già toccati dagli stessi atomi che ora risiedono nei nostri cuori? Che tutta questa polvere e molecole ora siano in qualche modo state riassemblate per dare forma a quel viso tondo tondo che prenderei a legnate da quanto mi piace? Non trovi magnifico che quando tu, Bianca, guardi il firmamento, senza volerlo il tuo sguardo stia toccando un puntino lontanissimo, che riposa ai margini dell’universo in espansione? E non trovi magnifico che oltre il cielo e l’atmosfera, se ogni briciola di spazio che ricopre questa distanza contiene un infinito di atomi in catena, allora in qualche modo quel puntino tu già lo stia sfiorando?
Io no. Eppure non riesco a spiegarmi come mai quando guardo il cielo o le tue mani, io pianga allo stesso modo.
Non vedo l’ora arrivi un’altra ricorrenza per avere una scusa per mettermi qui a scrivere di te.
Quanto ti voglio bene!
Mille volte cento baci,
tuo Marco
FINE