La Maria Zanella
di
Sergio Pierattini
Maria: Suonano. Per ricordare l’alluvione. Possiamo anche andare, dopo… quando Luciana rientra. Quando è un momento che siamo lì in silenzio, prima di alzarsi e cominciare a sparecchiare, mi volto verso la finestra e gli dico: ” Perché non andiamo a vedere?… laggiù… vedi dove son tutte quelle lucine bianche, lo senti che suonano?”. Gli è sempre piaciuta la musica… alla Luciana… quella di certe orchestrine, la fisarmonica. Son stata una volta, da sola, c’era buio, con tanta di quella gente davanti: “Scusi… chi è che suona?” “Silenzio!” “Mica è Franco e i Delfini?” “Chi?”. Un signore anziano, capelli grigi, lunghi, tutti davanti agli occhi, da solo, che suonava il violino. Poi da casa, sdraiata sul letto, la luce spenta, la finestra aperta, ho sentito, lontano, giù in fondo, che gli battevan le mani. La musica… possiamo anche andare dopo… io e la Luciana… una passeggiatina… “Maria… ho le gambe sgonfie!” Mi sembra di sentirla, mia sorella, tutto il giorno in giro, con tutto quello che c’era da fare. “L’hai detto tu…”. “ Cos’è che dici, Maria?”. “Si, l’hai detto tu… quando ci siam fermate a guardare i manifesti… che leggevo di quello che è morto… quello che aveva il negozio… l’hai detto tu che ti piaceva se stasera si andava a sentir la musica… per distrarci un po’ ’”. “Dov’è che suonano?”. “Dove son quelle luci… alle otto e mezzo comincia…”. “Ah… si… possiamo anche andare…” La musica… poi mentre si torna a casa passare sul ponte, sentire il Po’ che si muove là sotto e senza guardarlo allungare il passo. “Era ora che si decidessero a far qualcosa anche qui da noi la sera… vero signora Zanella? “Buonanotte!” “Buonanotte anche a voi.” Arrivare al portone, cercare le chiavi nella borsa, con gli occhi per aria. Accorgersi che ci sono le stelle, tante. “Guarda che meraviglia…” “E la luna dov’è? ”. “Eh, la luna, Maria… la luna…” “Luciana… per il tuo mal di gola vuoi che ti metto su un po’ di latte e miele?”. “No… che appena riparto mi passa . E’ l’umidità di qui, che non son più abituata.” “Che bravi però quel complesso!” . ”Dormi bene, Maria…”. E alla fine sdraiarsi sul letto e chiudere gli occhi. Chiuderli… così… come fanno tutti. Come la gente normale. Quelli che incontro per strada, al supermercato, che mi incontrano, mi riconoscono, mi salutano e poi con la coda dell’occhio vedo che si voltano a guardarmi. Chiudere gli occhi… basta. E addormentarsi, come si addormentano loro… che può succedere tutto… che può anche… venir giù il diluvio universale… ma arriva sempre il momento di mettersi a letto. Con fatica, il dispiacere, con magari il cuore spaccato in quattro, in sei, in venti, in cinquanta pezzi… ma Santa Madonna!… arriverà anche oggi il momento che si spegne stà benedetta lampadina, no? (pausa)
Una brutta giornata, ecco. Tutto qui… basta. E quando si è stanchi dopo una brutta giornata… (pausa) Ma si! Certe questioni andavano risolte! Senza star lì a pensare. E noi… le abbiamo risolte! Io e la Luciana, insieme. Come abbiam sempre fatto, da brave sorelle, che se la mamma ci vede dal paradiso è contenta, ecco, questo è quello che conta. (pausa) Oh! Le nove e ancora non ho messo su niente. Adesso mia sorella rientra, stanca, una brutta giornata, coi piedi che le fanno male… che ci ha la pianta larga, la Luciana, che ha preso da mio papà, così stretti dentro a quelle due scarpine di vernice nera che sembra che sian lì per scoppiare… nervosa, sudata, coi nervi e io non gli ho messo ancora su’ niente. Maria… Maria… (pausa) Metti su almeno l’acqua per una minestrina. Lo sai com’è la Luciana, no? Reagire, Maria, reagire. Reagire come hai sempre fatto. Già, reagire. (pausa) Cinque mesi, sei. Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, Luglio… Cinque mesi… dal giorno della telefonata… cinque mesi e non sei. Una settimana dopo che era morta la mamma, che lei è morta il Mercoledì, le quattro, ancora giorno, non era piovuto… reagire…certo che bisogna reagire… soprattutto in questi momenti… allora mi sono ricordata dei gerani. Che appena ho fatto in tempo a prender su la telefonata. “Ah… sei tu? Ciao. Bene. Si che ho mangiato. Così. Son stata giù al cimitero. Gli ho cambiato i fiori. Lilium. Settemilacinquecento. Lì dal fioraio. Due. Ho fatto bene? Come? Reagire? Si, si… La casa? Come? Ah! Lo so che bisogna decidersi. (pausa) Hai già parlato con l’agenzia immobiliare? Va bene… per me va tutto bene”. (pausa) Marzo, Aprile, Maggio… Che si attacca la polvere, i capelli, ai gerani. Me lo ha fatto vedere la mamma, una volta: “la sporcizia finisce tutta sulle foglie dei gerani “. Si era vicini a Natale, di sotto, cominciava a far buio e quella sera la mamma ha arrotolato una pallina di foglie secche, capelli… e soffioni, di quelli che cadono dagli alberi… una pallina… ed è diventata così. Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, Luglio…Agosto… cinque mesi, non sei. La settimana dopo è venuta a trovarmi con il Marco, il più grande, che si doveva sposare, a portare via il cassettone, quello che stava nella camera della Singer, con le manopole coi fiori di vetro e la vite nel centro. Mentre eran lì che lo infilavano dentro al furgone ha detto: “La mamma diceva sempre che questo qui… quando moriva lei… e si sposava doveva esser del Marco!” “Va bene… se lo ha detto la mamma…”. “Attenti alle zampe, che è delicato!” Se era grande quel cassettone nel cortile, da solo, di sguincio, davanti alla bocca del furgone. “Guarda Maria che se stà casa riusciamo a venderla… son tanti di quei soldini… anche per te… ”.
Cinque mesi e così è cominciata. (pausa) Per me era sempre la stessa vita. C’era la signorina dell’agenzia, che ognitanto veniva, bisognava farsi trovare, mettersi un po’ in ordine, per fargli veder la casa a sta gente che arrivava da tutte le parti. La voce si è sparsa subito. “Le sorelle Zanella… la cascina Guerra… si! Vendon la casa di famiglia… non so lei dove và a stare… che l’altra abita a Milano… la rimettono dentro, forse… cascina Guerra… si! Ci voglian tanti di quei soldi per rimeterla a posto! ” Uscivo solo per andare a trovare i miei al cimitero una volta al giorno e una volta alla settimana all’istituto, dal mio dottore. La spesa ognitanto. Mi lavavo, mi pettinavo, mi facevo trovare in ordine. Proprio come mi aveva detto la Luciana. Una sera è venuta una signora di Polesella e la signorina della agenzia, la Cinzia, gli ha detto: “Questa è la Maria… la sorella della signora Luciana,la proprietaria… che ci ha parlato per telefono… lei vive qui, sola, da quando è morta la mamma. Eh, Maria?… “ Poi si son guardate e ha detto bassa bassa che credeva che io non la sentivo : “Ma appena si firma va via… non si preoccupi…Sa già dove andare… “ Come come?… Dove sarebbe che devo andare? E poi… “la proprietaria”, “la proprietaria”. Credono che io sia scema. Ho sentito benissimo. Venga un po’ qua signorina Cinzia! (pausa) Mi sarebbe piaciuto dirgli… “Senti un po’ signorina…noi siam due sorelle. Zanella. Io e mia sorella Luciana. Mio fratello Lino è morto quattro anni fa di tumore, l’intestino, quanto ha sofferto, comunque, era scapolo quindi… siam solo noi due sorelle. Andiamo d’accordo e ci vogliamo bene… capito? E se le hanno raccontato qualcosa di me… (pausa)” Avrei voluto dirle… ma c’era quella signora, la moglie del farmacista di Polesella… e allora… ti vengono le solite cose… che mi veniva da dire a tutti… che la casa era in vendita… perché… avevam deciso… troppo grande… troppi soldi per rimetterla a posto… troppi ricordi… troppo tutto… troppo… Ma che bisognava sapere come erano andate le cose… ”Questa è la casa dove siamo cresciute. Nel 51 siamo stati alluvionati. Avevo un anno. Mia sorella Luciana è del 48. Alluvionati. Come tutti. Anche i suoi genitori lì a Polesella? Lo so. I miei, mia madre e mio padre, che adesso stanno al cimitero,mia madre se n’è andata in paradiso sei mesi e una settimana fa e ci hanno la loro cappellina, Zanella, vicino alla famiglia Gnocchi, quello che il padre faceva il dentista a Ferrara… insomma stà casa l’hanno comperata nel 1962. Undici anni dopo. Dopo tanti di quei sacrifici. Sacrifici! E questa è la storia, cara la mia signora! E poi cosa c’entra la proprietaria?” (pausa) Io… alla Luciana… gli voglio bene. Maria… Maria… E’ grazie a lei se dopo che se n’è andata la mamma non sono tornata in istituto. Questo è quello che conta. Stupida. Altrochè prendersela per una parola detta da chi poi… da quella Cinzia lì… che cosa vuoi che ne sappia lei… “la proprietaria”. L’avrà detto così per dire… Maria, Maria… reagire, si!, reagire… Ti mangiano le budella i pensieri certe volte. Come a mio fratello Lino, che a forza di prendersela con quelli dell’officina, che i lavori andavano fatti in un altro modo: “Un giorno mi faranno venire un brutto male…”. E hai visto Maria com’è andata a finire! Reagire… si… reagire.
Stasera andiamo a sentire la musica. Sicuro. Appena Luciana ritorna. Una minestrina e poi via. In piazza. (pausa) Lo sai com’è tua sorella. Avrà deciso di fare due passi in paese, a guardar le vetrine. Magari sarà andata a prendere un regalino per la sua Rossella… Madonna, che gioia che è quella bambina! Voglio farci fare una cornice alla foto che mi ha portato e la voglio mettere sul comodino appena mi danno la stanza e tenermela lì. Ci darei dentro tanti di quei baci! Si! Stasera andiamo a sentir la musica… e se non è stasera… ho letto che fanno un'altra cosa domani… altra musica… che stupida che sono… come se non la conoscessi mia sorella. Sempre di fretta. Domani sera a quest’ora sarà a casa sua, a raccontare al Gianfranco e a i suoi figli, le nuore, come sono andate le cose qui a Santa Maria. La giornata di oggi. E come sono andati i fatti per filo e per segno. Dirà che mi ha trovato bene... che è contenta che adesso andrò a stare dalla signora Marisa. “Una stanza… in affitto quattrocentomila lire… non potevo dir niente… contenta lei… ma si che gli ho detto di venire a stare con noi… sai com’è mia sorella, no? Si, continua a far la sua cura… reagisce, come ha detto il dottore. Certo è sempre la Maria… ognitanto si mette lì che ti fissa…” Così gli dirà. “Ma dicci com’è andata dal notaio” “E’ stata una giornata dura…”.
Ha ragione. Una giornata dura… di quelle come… din! Che ti batte sui denti, come il manico di un coltello. Da quando ho aperto gli occhi stamattina. e ho cominciato a sentir scorrere l’acqua del lavandino. “Tra qualche giorno non mi sveglierò più in questa casa. Non ci avevo ancora pensato. Perché pensi che alla Luciana lei faccia piacere essersi svegliata e ricordarsi che tra poco dovrete andare a firmare? Firmare? Già… firmare, firmare… oggi dobbiam firmare, altrochè!”. Mi son voltata dall’altra parte. Un rumore. “E’ già sveglia.” Ho sentito lo spazzolino da denti che sbatteva sul vetro della mensola… il tappo del dentrificio che cadeva per terra… allora me la sono immaginata, la Luciana, che si piegava nel bagno come un fagotto, con uno di quei sospironi. “Reagire Maria, reagire! Hai paura di mettere una firma?” Io sono come la mamma. “Allora tu pensa che stasera per l’ora di cena sarà tutto finito. Sicuro… sicuro… stasera per l’ora di cena sarà tutto finito”. Ho chiuso gli occhi e ho sentito una macchina passare per strada. Un'altra. Poi un'altra ancora. Giù in fondo il camion degli spazzini a far manovra per tirar su i cassonetti. Un soffio. C’è odore di lacca. Allora mi sono ricordata che le mie calze hanno un buco sul ditone. Ho pensato alle mie scarpe sotto la scrivania dal notaio con un buco sul ditone. E io che firmavo mentre avevo questo buco… (pausa) Si vende, si vende, lo so. “Ho avuto sei mesi per pensarci. Ci penserò… prima o poi… capiterà che una sera prima di chiudere gli occhi ci penso. Poi prima di trovare le persone giuste! Perché come dice la signorina dell’agenzia, la Cinzia: “Qui per stò rudere bisogna trovar l’amatore”. Per te bisogna trovar l’amatore, sfrundada! Menomale. Per me… C’è gente che ci ha messo cinque sei anni per vender la casa e alla fine non ne ha fatto di niente. Ci penserò… prima o poi”.
Il camion degli spazzini ha continuato la manovra. “Sentirò gli stessi rumori laggiù, nella mia stanza in casa della signora Marisa? Quando passerà un auto e sentirò un cane abbaiare mi basterà chiudere gli occhi per immaginarmi di essere ancora qui? Sei stupida. Reagire. Giusto.” Ho chiuso gli occhi. Il camion sgassava. Per la prima volta ho capito… fino in fondo… quello che stavamo per fare. Io e mia sorella. “Vendiamo”. Il mio dottore una volta mi ha detto: “Tu, Maria devi cercare di sforzarti… di… renderti conto delle cose che ti succedono intorno… a cominciare dalle più semplici, dalle più banali.” “E che vuol dire?” “Le cose che accadono… se stai bevendo un bicchier d’acqua non devi pensare di essere… in cima alla torre di Pisa… capisci cosa voglio dire?” “Chi è quel deficiente che mentre beve un bicchier d’acqua pensa di stare sulla torre di Pisa? Non sono mica io.” Poi mi ha sorriso, che c’aveva tanti di quei denti quel dottore lì… ho sorriso anch’io e poi mi ha detto “Era una cretinata… procediamo per gradi.” Procediamo per gradi. Era questo quello che voleva dirmi? “Rendersi conto.” Era questo? “Come quando una mattina ti guardi allo specchio e ti accorgi che ti è venuta una macchia qui, sul petto, davanti…. Mica è venuta così dalla mattina alla sera. Lo so che non te ne sei mai accorta… ma lei era lì… c’era… piccola, piccola, come la punta di quei compassi… c’era… ieri,quando sei andata in chiesa, l’altro ieri a far la spesa, e il giorno prima la lavatrice, due settimane fa, lei c’era… forse era lì da chissà quanti anni…. forse da quando sei nata.. c’era… sei tu che non te ne sei mai accorta!.” Valli a capire i dottori. Uscivo con una fitta alla testa. Il dottore diceva che arriva sempre il momento che uno si accorge. E stamattina, mentre quello dell’immondizia diceva a quello l’altro sul camion “Vai… Franco!…”… è arrivato il momento… e ho capito. Il momento. Il dispiacere. Si, perché mi ero già accorta di tutto. Sapevo, fin dall’inizio. Altrimenti non sarei andata dalla signora Marisa “E’ lei che affitta una stanza signora?” Perché ci ho pensato al futuro. Al mio. Dovrò pur trovarmi un posticino anche io, no? Luciana se ne torna a Milano, la sua vita, il Gianfranco, Marco, la Rossella, la nipotina. Ma io? “Quattrocentomila, e usofrutto cucina? Va bene…. certo che ce li ho i soldi… vendiamo, sà, signora Marisa… ha saputo?” Ma si che me n’ero accorta che vendevamo la casa. La nostra casa. E ci ho pianto a pensarci, tutte le sere, di questi sei mesi. E pregavo la Madonna che non ci facesse trovar nessun compratore. Ho sentito le campane della chiesa poi il rumore delle sue mani strappare i capelli dalla spazzola… la cerniera lampo che si chiudeva, l’interruttore della luce del bagno. “Bisognerà che oggi, dopo il notaio, le vada a dire alla Marisa che la stanza mi occorre dal primo del mese. Che quelli, gli amatori, vogliono cominciare i lavori subito, han fretta di sistemare, rifare il tetto. Impianto idraulico. Che appena avremo firmato un paio di giorni per portar via tutto e poi… entra la ditta… a buttar giù tutto. Muri, impiantiti, scale… e che quindi la stanza mi occorre dal primo del mese.”
“Alzati Maria… guarda che tra dieci minuti dobbiamo uscire.”
“E dirgli anche che appena la banca mi versa i soldi della vendita sul libretto di risparmio vado, tiro giù i soldi e gli do l’anticipo dei tre mesi.” “Muoversi, dai. Maria… Rischiamo di far tardi dal notaio. ”. Ho aperto gli occhi e ho visto una crepa sul muro che non mi ero accorta, che scendeva dal centro della parete, verso l’armadio e si fermava dietro la cornicina d’argento con dentro la fotografia della mamma quel giorno al mare ai Lidi Ferraresi.
“Io non volevo. Di chi è stata l’idea? Per Dio. Ci vivo qui dentro. Saranno stati loro, a Milano, lei, Il Gianfranco, il Marco, una sera… tua sorella si prende una casa in affitto, piccola, è sola… mica possiamo tener su sta baracca… son spese…“. Mi è venuta la voglia di urlare. Ho sentito chiudere la porta del bagno, piano piano. “Adesso anche la Maria pretende di dire la sua! Certo, Cristo! Una buona volta! Reagire. Lo avete sempre detto. Reagire. E allora… Mi alzo e gli dico che non sono d’accordo. Una persona può cambiare idea fino all’ultimo minuto, no? Stà scritto da qualche parte che non si può? Ci rimettiamo i soldi del compromesso. Pazienza! Non mollo! Sono come la mamma. Non mollo! Chiami il notaio e gli diciamo che… che… ci parli tu… Caro signor notaio ci scusi anche con i compratori… ma mia sorella Maria… lei ne avrà sentito parlare… quella che… la matta, si…. digli pure come ti pare… non vuole più vendere!… e quindi… la nostra casa … la casa dei miei genitori… abbiam deciso di comune accordo…. che non si vende! Questo devo dirgli, una volta per tutte. Che non sono d’accordo. Cos’è che sta facendo in bagno?” Mentre mi alzavo e continuavo a fissare la crepa sul muro e veder dove andava mi sono ricordata le parole del dottore, un altro, non quello con i tutti quei denti che l’ha trasferito, un altro, napoletano… Capone… “Bisogna che lei capisca… signorina Zanella che ogni nostra decisione anche la più insignificante comporta delle responsabilità… e che ogni nostro gesto ne determina un altro…” Era bravo quel dottore lì… Riuscivo a capirlo, meglio dell’altro. Insomma. Basta aspettare che poi si capisce tutto. Rimane tutto impresso qui dentro. Passano gli anni e un giorno le cose diventano chiare. “Responsabilità.” Va bene…. è vero, ho detto di si, quando mi hanno invitato a Milano, a cena, prima di aprir lo spumante, il compleanno della bambina, ho detto di sì, che andava bene… che io certe cose non me ne intendo e che se facendo i conti Luciana aveva deciso di vendere… allora… voleva dire che… bisognava venderla quella casa. E basta.
Il rumore della pipì che scendeva nel water. Non ho più pensato al dottore perché mi sono messa a contare i secondi, come quando la faccio io. “Uno, due, tre, sette, otto nove dieci… se arriva a dodici mi mangio un cane… tredici quattordici e quindici, sedici, diciassette, diciotto… venti… ventuno… ventidue…eh, la Luciana…” A un certo punto ho sentito… qui dentro… una scossa… forte… di quelle che mi vengono ognitanto a stare ferma nel letto, zzzz, avevo gli occhi chiusi e dentro… dietro, sotto le ciglia… nella pallina verde degli occhi, zzzz, ho avuto come… un… invisione. Ero io… che attraversavo la strada, Luciana camminava vicina e parlava… parlava… ma… la sua voce era… era diventata più bassa… e io che volevo capire… dicevo… “Che cosa?”. Ma lei andava a vanti a parlare… con questa voce che diventava sempre più bassa… “Parla forte, Luciana!” Allora lei si avvicinava, qui… all’orecchio e piano piano ma con uno sforzo… come se qualcuno in quel momento andava giù a tirargli i budelli, diceva: “ E’ stata tutta colpa mia…” “Cos’è che è stata colpa tua? Della casa? Non ti sento… Luciana… ” Allora ho sentito una tromba. Fortissima. Un urlo, della Luciana. “Allora vedi che ti è tornata la voce… Luciana?”. E intanto mi accorgevo che invece di attraversare la strada ero andata… storta e avevo seguito la linea bianca nel centro della strada … non mi ero accorta… il suono sempre più forte… alzavo la testa… e c’era un camion, grande, che mi veniva addosso. Ahhh! (pausa)
“ Alzati Maria… guarda che tra dieci minuti dobbiamo uscire.”
“Che ore sono?”
“Ti ho portato questo da metterti. Provalo un po…’”
“Cos’è?”.
“E’ un vestito… fammi un regalo personale, Maria… ci tengo. Almeno oggi.”
Ha preso un sacchetto dalla valigia. L’ho subito riconosciuto. Quello bleu con i pallini azzurri con i risvolti delle maniche bianche. Il vestito che Luciana aveva su il giorno del funerale della mamma. “Guarda che quella è capace di presentarsi in pieno Agosto… dal notaio… con il cappotto… la conosci… e farti fare una di quelle figure…“.
Notaio Veronesi. Via… dei Martiri della Resisitenza… 27.
“Ti sta benissimo questo vestito, Maria…”
“Grazie…”
“Sembri un'altra persona…”
Terzo piano interno sette. Bisogna prendere l’ascensore. E mi sentivo il vestito addosso. La stoffa. Mi guardavo con la coda dell’occhio. E mi sembrava di essere lei, Luciana…. al funerale della mamma, con la mia calza bucata dentro le scarpe, mentre due muratori tiravan su il muro del loculo.
“Hai portato la carta di identità?” Lo studio del notaio, con le poltrone nere, imbottite, con i braccioli che avevan fatto le pellicine. “Se non penso io a tutto… “ . E’ suonato il campanello e la stessa signorina con il cucugnino, come le ballerine, che ci aveva aperto la porta a noi due ha fatto passare nella stessa stanza i compratori, signori Ravasi, marito e moglie, due sposini, di Occhiobello. “Persone per bene. Che il papà di lui ha tanti di qui soldi… “ Mi aveva detto la sera del compleanno di Marco, a Milano, finito il dolce e finito lo spumante: “Vedrai come la metteranno a posto la nostra casetta. A me la cosa che più fa dispiacere è vederla andare in malora la roba.”. Melandri Franco. Un macchia, su una mano. Lui. Il compratore. Di quei nèi grossi. Coi peli. Non so se è una malattia. E ho smesso di pensare ai muratori che tiravan su il muro . “Maria… Il signor Ravasi… è avvocato…” Mi è venuta voglia di chiedergli se è una di quelle robe che van via col laser. Nero, grosso come una moneta da cinquecento lire. Proprio qui, in mezzo. Che di nèi.. mi capita ognitanto di vederli in giro. Capita a tutti. Io mai vista una roba del genere. Come se qualcuno un giorno, tanto tempo fa, prima ancora di nascere, l’avesse preso in disparte a quel Ravasi lì e gli avesse detto: “Lo sa che un giorno diventerà avvocato? Si… dico a lei… lei, un giorno sarà avvocato… un giorno… una bella vita… piena di belle cose… sposerà anche una gran brava ragazza… bionda e con gli occhi azzurri. Ci avrà una mercedes senza il tetto, d’argento…” “Ah! Son contento!” “ Ora però vorrei farle un segnetto qui, sulla mano… perché quando verrà un certo giorno qualcuno la dovrà riconoscere… “ . “Quale giorno? Ma chi mi dovrà riconoscere?” “La Maria Zanella… il giorno che andrà a comperargli la casa…” “Chi? Che cosa vado a comperare io?”
“Mi serve un segno… per lei… per la Maria… quella un po’ strana… la conoscerà… quella che va sempre in giro con il cappotto…anche se quel giorno qualcuno…gli avrà messo addosso un vestitino blue con i risvolti bianchi…” E lui… “No, no…mi lasci, non lo voglio un neo sulla mano….” “E’ inutile signor Ravasi… glielo faccio lo stesso….” E zac!
Chissà se il notaio stà pensando alla stessa cosa mentre controlla l’atto di vendita. Certe cose le pensano solo i matti. Le persone normali ascoltano quello che dice il notaio. I fatti. E basta. “I qui presenti signori Zanella Maria… nata a Santa Maria Maddalena il giorno 12 Maggio1951… la signora Zanella Luciana…” Mi sono accorta di un quadro che spuntava dalla testa del signor notaio, che c’era sopra un fiume… un quadro antico… un uomo con la canna da pesca e il cappello sulla riva… un altro più indietro… con le mani così… e sullo sfondo dietro una casa, bianca. Tagliata a metà dalle canne. Allora mi sono ricordata della riga nera.
La riga nera… che passa filo filo sotto le finestre della camera della mamma e che circonda la casa. Si che si vede bene. Han rimbiancato tante di quelle volte…ma quella riga scura si vede sempre benissimo. E una sera, vicino a Pasqua, lei era venuta con il figlio più grande, l’altro, l’Alberto, l’Albertino, per via che basso, come il Gianfranco… che si sposava anche lui… a portar via i due comodini della camera i fondo… “Sai, Maria, un giorno la mamma, sarà stato tre giorni prima di morire mi ha preso in disparte e mi ha detto… questi comodini voglio che quando sarò morta e si sposa l’Albertino… ”. “Lo so, lo so…” E mentre che avevano già caricato… che aveva messo il furgone lì davanti, mi è venuto di dirle: “ Un giorno o l’altro bisognerà mettersi d’accordo per far venir l’imbianchino a dare una pulita a sto’ muro… e toglier via quella riga nera.” “Quale riga nera?” “La sotto le finestre del piano di sopra… che corre lungo tutto il muro… non vedi? La riga dell’alluvione…”. “Io non vedo nessuna riga nera… “. “ La riga nera dell’alluvione…” Ma se han rifatto l’intonaco tante di quelle volte dal 1951… ” La riga nera dell’alluvione. Stava proprio sopra la testa del notaio. Un quadro antico. Chissà che valore. Un uomo con la canna da pesca. Il cappello, sulla riva del fiume. E un altro più in là, le mani così…. incrociate… che guardavano, noi…
“Maria… qui… devi metter la firma… “
“Come?
“Deve metter la firma signora… sull’atto di vendita”.
La firma. Già. La sera del compleanno, sempre il solito, prima di andare a letto Luciana… mi ha detto che avrei firmato anche io. Che giustamente siccome la casa era di tutt’e due, che noi due eravamo le eredi… era giusto che firmassi anche io. Io ho pianto la notte, in salotto. Mi avevano messo la brandina in salotto, c’era ancora l’odore dei dolci, del vino e delle sigarette, l’odore che ha sempre addosso il Gianfranco. Non ci credevo. “Mi fan firmare… a me?” Che mi è venuta voglia di alzarmi, di andare in camera da lei… e abbracciarla… e dirgli… “Sei… sei… l’unica persona al mondo che ho… e che mi vuole bene… e io…”
“Devi metter la firma… Maria”. Il dito del notaio ha fatto “Qui!”
Mi tremava la mano. Madonna santa…. Oh, Santa Maria Benedetta…
“Maaariaa. Zanellllla…”
“A posto”. Ha detto il notaio. Tutti ad alzarsi in piedi e tirar dei gran sospironi. Han cominciato a dire, mia sorella, che si ricordava di mia madre, quando sono andati a firmare per la casa, che lei era piccola ma si ricordava, che la mamma tremava come una foglia a firmare, tanto che gli han dovuto dare anche un bicchiere di cognac.
“Quello era lo spirito… Il pudore dei nostri vecchi… “ o qualcosa del genere, ha detto il notaio Veronesi. Il pudore dei nostri vecchi. Il Ravasi ha detto di sì, io ho rivisto quel neo, poi mia sorella mi ha accarezzato la testa. “Che prima la casa era di proprietà Marioni, quello che aveva l’allevamento dei maiali a Canaro…” “E’ la vita, signora…” il notaio. Ho guardato un'altra volta il quadro. E ho visto… mi sono accorta che l’omino con la canna… si era spostato più a destra a pescare, proprio sopra la punta del cocugnino della segretaria… Devono aver detto qualcosa di speciale, perché la Luciana mi ha guardato, ha preso il fazzoletto dalla borsa e si è soffiata il naso. E lei non ha preso dalla parte di mia madre. Dall’altra parte. Di mio padre. Che non piangevano tanto. I saluti. Poi il Ravasi ha pigiato il bottone con sopra la T e l’ascensore ha cominciato a scendere.
Io al bar prendo sempre l’acqua brillante. Quando mi è capitato di andarci. Il cameriere ha preso il bicchiere dal vassoio e me lo ha messo davanti. Il Ravasi intanto spiegava della ristrutturazione, che aveva fatto vedere la casa a un architetto di Rovigo e di una certa verniciatura veneziana che danno sulle pareti. “Chi ha ordinato per me?” Mia sorella faceva si si con la testa. Antico veneziano… ma che vuol dire? Ho visto il cameriere che prendeva gli ordini ma stavo ancora pensando al pescatore sul quadro dietro la testa del notaio… con il fiume scuro la sotto… vuol dire che Luciana ha ordinato per me. Come per la casa. Aveva deciso per me. “Ma dai , Maria…” ho pensato. “Lo sanno tutti che ti piace l’acqua brillante.” E’ vero. La casa… prima di tutto ne abbiamo parlato. E io ho detto di si. Dovrei ringraziarla che mi ha trattato come… una persona normale!… Luciana mi ha trattato come si tratta con una persona normale! Devo ricordarmi della firma… le sarebbe bastato andar dal dottore e farsi fare un certificato… Come la storia della delega per il libretto libretto di banca della mamma: “Io dottor Mario Fontana dichiaro che la signorina Maria Zanella, da me in cura dal 1987, soffre di gravi disturbi psichici e spesso si trova un uno stato di incapacità di intendere e di volere…” Ringrazio Dio che ho una sorella così. Che se mi guardano dal paradiso la mamma e il papà non sono certo contenti di quello che mi viene in testa ognitanto. Ho preso la buccia del limone col dito. Si era schiacciata in fondo al bicchiere.
“Dai… Maria… l’hai presa, mangiala…” I Ravasi se ne sono andati. Mercedes tutta d’argento senza tetto. Luciana ha controllato lo scontrino “15400… son diventati cari anche qui… “ che aveva fatto di tutto per pagare il conto. Poi si è girata verso il bar. “Vado un momento in bagno”. Ho aspettato fuori. “Ora quando torna devo dirglielo. Che ho parlato con la signora Marisa, mentre torniamo a casa , magari facciamo il giro più lungo e gli dico tutto. Che ha detto che vuole parlare con lei per darmi la stanza.” “Senza offesa per lei signorina Maria… ma siccome vi conosco da tento tempo… e conosceva la mamma e il papà… che insomma… prima di darmi la stanza in affitto vorrei prima parlare un po’ con sua sorella…” E’ tornata dal bagno di cattivo umore. Conosco bene mia sorella, anche se ha detto: “Visto che non era poi sta gran tragedia. Facciamo due passi, dai…” “Devo dirglielo.” E invece di andare verso casa siamo andate di là. “Intanto abbiamo l’acconto. Quindici milioni per uno. Contenta? E il mese prossimo arriveranno anche gli altri.” C’era il sole. Che quando siamo entrati dal notaio c’era una nuvola grossa nel cielo. “Adesso prima di arrivare alla gelateria glielo dico”.
“Io, con tutti i soldi che hanno, mi sarei fatto costruire una villetta moderna. Altro che queste case di contadini. Noi siamo affezionate… ma fan su certe di quelle villette… ”.
“Luciana… devo dirti una cosa…”
“ Che il geometra Franciosi a me me lo ha detto… “ in confidenza signora io non dovrei dirlo… ma per me buttan via i soldi! “
“Luciana”
“Che c’è?”
“Grazie”
“E di che?”
“Di tutto”.
“Te sempre con la testa tra le nuvole? Vero? “ e ha fatto così con la testa.
Ci siamo fermate all’angolo di via Mazzini. “Bolognesi Michelangelo… ne danno la triste notizia il figlio Mauro… la moglie Cesira… i funerali si terranno nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena martedi 4 Settembre…”
“Suonano, in piazza… stasera… per l’alluvione…guarda”… ha detto la Luciana… “mi piacerebbe andarci… per distrarmi un po’”
Quel Bolognesi Michelangelo lì… lo conoscevo… aveva la ferramenta in via Turati… e tutte le volte che passavo e stava sulla porta mi salutava “vuoi che andiamo a prenderci un acqua brillante insieme?” Una volta era insieme a un signore di fuori gli ha detto “ La conosci la nostra Maria? “ Chi è?” e lui “la Maria… la figlia dell’ Anna … quella che quando c’è stata la alluvione si era barricata in casa e non voleva scendere…che il marito è andato con il barchino dei vigili del fuoco… e tutt’e due le bambine per convincerla a lasciare la casa e lei non voleva scendere… ”
“Mi piacerebbe andarci… mi piace la musica… se non fanno quella forte… quel rock lì… se magari suonan quei valzerini…”
Io mi sono accorta che stavamo sbagliando strada. Che non era quella la strada per tornare a casa. Neanche per andare verso i giardini e che era la strada che portava al fiume. Lei mi ha preso a braccetto e spingeva per attraversar la strada “Voglio andare a salutare il Pò…“. Mi ha stretto forte il braccio. Abbiamo attraversato e ho visto la linea bianca della strada. Dall’altra parte si sentiva il rumore della segheria.
Si nasce segnati. Un giorno gliel’ho detto al dottore. Sempre al napoletano. Mi fidavo di lui. Una croce qui sulla fronte. Che me la sentivo quella croce qui sulla fronte. Il segno. E che un giorno lontano sarebbe successo qualcosa. Ha detto che erano tutte fantasie. Come la mia pura del fiume. Erano tutte fantasie.
Abbiamo camminato in silenzio per un centinaio di metri. Sull’argine. C’era il rumore della sirena che dava la pausa pranzo agli operai della fabbrica.
“Quanto tempo è che non venivo a farmi una passeggiata da queste parti” ha detto. Allora ha messo il braccio sulla mia spalla e ha stretto forte.
“Maria… hai sempre paura del fiume?”
“No…”
“Devo dirti una cosa…”
E’ rimasta in silenzio. Poi ha tolto il braccio, ha abbassato la testa. Un rumore.
“Guarda!” C’era una barca sul fiume che veniva verso di noi. Ci siamo messe a guardare. Sai quante ne passano di barche così, qui sul fiume. In silenzio. Come se stesse passando chissà che cosa. Due uomini. Pescatori. Uno con una tuta da meccanico seduto su in cima, rivolto verso il fiume. L’altro che era al timone si è voltato verso di noi e ha continuato a guardarci. “Chissà cosa pensano a vederci qui, sull’argine. Ferme. Due donne. Sul Po’. In pieno sole che son quasi le una.” Ci fatto segno con la mano. Luciana non gli ha risposto. “Brava persona il Ravasi, vero? “ Ho visto una chiocciola, per terra mi sono fermata a raccoglierla.
“Butta via quella roba….”. Bianca con la riga nera.
“Ti ricordi Maria… quando eravamo ragazze e per farti paura ti raccontavo la storia di quella ragazza che era sparita nel fiume? Laggiù… vicino a quell’albero. Una bella gioranata di sole erano venuti a fare il bagno… ”
Guscio vuoto. Ho soffiato e la polvere mi è entrata in gola.
Rumori dalla segheria. “L’altro giorno ho parlato con il professore…” Una volta ho visto una zingara che con due gusci di chiocciola ci aveva fatto due orecchini. “Ma mi stai a sentire?” Non potevo continuare a far finta di niente. “Lunedi passato. Per telefono. Da casa mia.”. Una volta abbiamo fatto un patto. Io e lui. Il dottore di Napoli. Erano i primi tempi. Tutti i pomeriggi alle quattro veniva un infermiera. Lui continuava a farmi domande ma io continuavo a stare zitta. Come sempre con tutti. La stanza era al terzo piano. Vicino all’infermeria. Mi mettevo seduta, abbassavo la testa. Lui cominciava con le domande. E io zitta. Voleva sapere sulla mia famiglia. Avevo chiesto alla ragazza che dormiva nel letto vicino e mi aveva detto che anche a lei domandava le stesse cose ma che a lei piaceva rispondere. Poi mi chiedeva di quello che mi ricordavo di quando ero piccola. Non mi fidavo.Una volta mi ha fatto vedere un foglio con delle figure sopra. Mi ha chiestro a cosa mi facevano pensare. Io zitta. Stavo quasi per cascarci perché ce n’era una che mi ricordava il fiume ma ho fatto appena in tempo e sono rimasta zitta.
Un giorno mi fece sedere e rimase in silenzio. Tutti e due zitti. E andava avanti. Allora alzai la faccia. Gli ho visto gli occhi. Per me aveva pianto. Vidi due rughe profonde qui sulla fronte. Pensavo che era impossibile che potessero venire dei fossi così profondi sulla fronte. “Non ci casco… questo è un altro dei suoi trucchi per farmi parlare… non ci casco…” E quel giorno son rimasta zitta. Muta. E anche la volta dopo. E quella dopo ancora. “Non ci casco… Maria Zanella non è cretina come vuol far sembrare… “. Muta.
Una sera alla fine parlai. Raccontai tutto. Quello che sapevo.
Che era tutta colpa dell’acqua se ero diventata così. Si, l’acqua. Quella dell’alluvione, che era intorno alla casa. Io non mi ricordavo niente. Solo il buio. E una tenda verde. Perché quando è successo avevo meno di un anno. Che lo raccontavano in casa. Di quello spavento. A mio papà venivano le lacrime agli occhi ognivolta. Che era stata colpa sua, che non si era accorto. Lui era lì per la mamma. “Scendi Anna… scendi… per la Madonna Santa… “ Era stata sua l’idea di metter dentro il barchino anche noi due. E che la mamma ci vedesse dagli scurini chiusi della finestra. “Scendi… Anna… scendi! Bisogna andar via… fallo per queste due creature….”
Che il vigile del fuoco tremava e voleva tornare indietro. “Guardi che l’acqua sale…” La Luciana che aveva sei anni piangeva. E lui mi teneva in braccio. Tutto intorno era acqua, nera. Ognitanto si vedeva la carcassa di un maiale che scorreva. E mia mamma non voleva lasciarla… la casa. A mio padre a raccontarlo ci tremavano i polsi. E lo faceva vedere a tutti che gli tremavano. Acqua fino alla cima degli alberi. Che la mamma alla fine si è decisa a scendere. Che tanta era la contentezza che non si è accorto… che la barca prendeva gli scossoni… si era alzato in piedi nel barchino… il vigile del fuoco che gridava… ha perso l’equilibrio. Ed è caduto in acqua. Con me stretta qui.
“Da quando è morta la mamma non c’è più nessuno che si occupa di te… sarebbe meglio tornare in istituto… non ti fa bene vivere da sola…”. Ha detto la Luciana. Io avevo ancora il mio guscio tra le dita. Orecchini… come quelli che portava quella zingara… ci ho provato tante volte da bambina… ci vorrebbe un orafo… bisogna stare attenti a fare un buco piccolo piccolo con la punta di uno spillo….
Poi ha detto: “Hai bisogno di essere curata, Maria…”. Devo aver stretto troppo. Il guscio si è rotto. Ho sentito, ho sentito benissimo quello che ha detto mia sorella. “Lo dico per il tuo bene , Maria”.
Per il mio bene, si. Devo dirle… devo dirle… che cosa? Reagire, Maria… reagire, e butta via stà roba, che non sei più una bambina. Devo dirle che non ho bisogno di nulla. Ecco. Della signora Marisa… e che non c’è bisogno di preoccuparsi per me… che ormai stò bene, ho svolto il mio programma, tutte le boccettine, che non ho mai mancato a un incontro con il dottore… che insomma… le cose stanno andando proprio bene e che posso vivere benissimo da sola… anche senza la mamma… che con il dottore siamo stati chiari… che abbiamo fatto un patto noi due…
Aspettavo che la finisse di parlare. Un momento. Intanto gli facevo segno di si con la testa, ma lei andava avanti… senza guardarmi… con gli occhi fissi verso il fiume, a mezz’asta,
“Io se potessi tenerti con me a Milano… ma ho i figli… mio marito… i nipoti… non posso proprio e tu lo sai…”. Che c’entra? Giusto, io non voglio venire a vivere a Milano… allora ho abbassato gli occhi e ho visto quel guscio spaccato, per terra. “La signora Marisa…”. Proprio così. Ho sentito la mia voce che diceva: così. “La signora Marisa…”. Lei ha smesso di parlare e si è voltata verso di me. Che faccia aveva la Luciana in quel momento. Tremava e la pelle bianca che ci passava la luce del sole in mezzo. “ So quello che pensi Maria. Mi dispiace ma…è una decisone che abbiamo già preso.“
Io andavo avanti. “La signora Marisa…” e mi mancava il fiato guù in fondo alla frase. Volevo dirle che se anche…
Lei deve averlo capito perché ha risposto. “La signora Marisa… è venura a dirmi qualcosa…ma…”
“Ma…?”. Allora mi ha sorriso. Guardandomi qui in mezzo agli occhi.
“Pensavi davverò che ti desse la camera… a te?”. E quella frase mi è rimbalzata qui dentro. E ancora più dentro. Poi è risalita su e si è fermata qui… sulle mie labbra… ero io ora che la pronunciavo… ma piano pianino… “pensavi davvero Maria… che ti desse la camera… a te?”.
Io… io… volevo dirle che se anche non voleva prendermi lei c’è tanta di quella brava gente in paese… non doveva essere difficile trovare una stanza, quattrocentomila uso cucina… qui… a Polesella… o da qualche altra parte… ma c’era quella frase… qui…
“Gli affitti costano. E i soldi della casa devono servire per il tuo future, per quando magari io non ci sarò più… la vita è lunga Maria… ho fatto le cose per bene… e te ne accorgerai…
Poi ha detto che i soldi della casa la banca li versava direttamente sul suo conto e che però il conto era anche intestato a me… o qualcosa del genere… non ho capito… non mi interessava…
Reagire… reagire… ora che sono sempre in tempo. Reagire, Maria. Devi dirle quello che pensi… è il tuo futuro… “il mio futuro…” Allora mi sono accorta che piangeva. “Iiiiiiiiii”. Così. Era la prima volta che la vedevo piangere, mia sorella Luciana.
“Sapessi quanto… sono stata male in questi giorni. Che sapevo che ti dovevo dire stà cosa… ma lì starai bene… Si capisce che potrai uscire e entrate tutte le volte che vuoi. Il Sabato sera anche la sera dopocena… sapessi quanto son stata male…”Si è messa a sedere, per terra.
Reagire… reagire… era troppo tardi per reagire. L’ho guardata chinarsi. Gli ho visto la riga nel mezzo ai capelli, bianca… in fondo a quella di capelli neri… e mi ha fatto pena. Avrei voluto dirle… “Non ti preoccupare Luciana… io… va bene lo stesso… mi conosci… starò benissimo anche lì… l’importante tra sorelle è andare d’accordo “. Ma non mi è venuto.
“Io non posso pensare di starmene a Milano, a casa mia… e saperti qui… in giro…come una barbona… da sola…” Ha detto.
Mi sono accorta di una pietra. Per terra. Come la lancetta di un orologio. Con la punta rivolta verso la punta delle mia scarpa.
E poi: “Io voglio vivere in pace… Maria…” “Io voglio vivere in pace…” Così mi ha detto. Come suonano strane le parole qui dentro, certe volte. “voglio vivere in pace…”. Non lo sai mai come ti suoneranno qui dentro, certe parole. Mi sono chinata e ho raccolto quella pietra. Non so perché l’ho fatto. Così… senza pensarci. Come un attimo prima avevo raccolto quel guscio di chiocciola vuoto. “Ancora a prender su roba da terra… Maria…ma ti stò parlando…” L’ho colpita una volta sola. Un colpo… si dice… “sordo”? So solo che ha fatto “Tum!”. Così. Poi la pietra mi è rotolata via dalle mani, prima sulla sua spalla e poi per terra. Il sangue è uscito. Silenzioso. Si sentiva solo il rumore di un clacson di un camion che suonava forte sull’autostrada. Mentre quel sangue continuava a uscire. Silenzioso. E veloce. Come facevano le rondini quando da piccole si entrava nella stalla. Che scappavano via tutte insieme. E’ rimasta ferma. Come se non l’avessi colpita. “Se fosse tutto un’ invisione… uno di quei pensieri che mi passano per la testa?….” Poi si è girata. Appena appena. Allora ci siam guardate negli occhi, per la prima volta. Capovolte. Ha aperto la bocca e ho pensato alle carpe che mio padre pescava e poi metteva nella vasca da bagno. Che facevano così… con la bocca. (pausa)
Lo senti? Suonano. Per l’alluvione. Lo vedi dove son tutte quelle lucine bianche…? Sarebbe bello, vero? A te è sempre piaciuta la musica, vero? Dopo cena andare a svagarsi… io e te… “chi è che suona stasera?” Poi accorgersi delle stelle. “Guarda… che meraviglia il cielo… ma non doveva essere luna piena?” E andare a letto. Come tutti. Già. Come la gente normale. Come due brave sorelle che se la mamma ci vede dal paradiso è contenta. “Buonanotte…Luciana”. Chissà cosa avranno pensato quei due sulla barca quando son ripassati la sera, a vederti ancora lì, da sola, distesa vicino alle canne.