Mezzo Chilo
Monologo per un’attrice e un frigorifero

di Serena Guardone

© 2019. Tutti i diritti sono riservati

 

 

 

Ad Agnese,
che non ha niente a che fare con tutto questo.

 

 

PERSONAGGI

Fridge è un piccolo frigorifero bianco.
Viktor è uno scheletro umano.
Puke è un mostro, ma gli vogliamo bene.
Cestino è un cestino per la spazzatura.
Barbie è una barbie: un po’ sfortunata perché viene distrutta a ogni replica, poveretta.
Obama è Obama.
Hitler è Hitler.
Marx è Marx.
Esse, invece, sono io.

 

 

Intro


(Voce fuori campo:) «Primo avvertimento. Questo spettacolo nasce esclusivamente a scopo di lucro. Fa parte della mia personale lotta di sussistenza che combatto contro me stessa: visto che una parte di me continua a prosciugare le mie risorse economiche per acquistare quantità sempre più ingenti di cibo e seguire costose psicoterapie, l’altra deve recuperare le spese in qualche modo. Voglio tirare su dei soldi. Qualsiasi effetto artistico, emotivo o sociale è collaterale e indesiderato.
Secondo avvertimento. Quello che racconto è tutto vero. Non che questo aggiunga o tolga valore allo spettacolo. Il prezzo del biglietto non dipende dalla verità o dal livello artistico del prodotto. Al massimo dalle dimensioni della sala.
Terzo avvertimento. Quello che racconto è tutto vero ed è successo a me. Praticamente state pagando una sconosciuta perché vi racconti i cazzi suoi. Siete ancora in tempo ad andarvene. Tanto, il biglietto l’avete già pagato».

 

 

Traccia 1


Parte la canzone No Cars Go degli Arcade Fire.
Buio e luce: Esse si avvicina a Fridge. Sta dietro di lui. Sta al suo fianco. Lo abbraccia. Gli si sdraia vicino. Si siede sopra di lui.
Quando la canzone finisce, Esse è ancora seduta sopra Fridge e tiene Barbie in mano.

ESSE ~ Quando ero piccola facevo un gioco. (Indica la sua) Con le barbie.
Oltre a tagliargli i capelli, come credo abbiano fatto tutti i bambini e le bambine del mondo, io facevo un’altra cosa: (sforzandosi, stacca un braccio di Barbie che gli resta in una mano) io spogliavo le barbie dei loro vestiti aderenti, le rivestivo con quelli delle bambole più grosse e poi riempivo lo spazio vuoto che si formava con altri vestiti o pezzetti di stoffa. In questo modo le barbie (getta via il braccio) diventavano grasse.
Ricordo che, quando facevo questo gioco, provavo qualcosa di molto simile a quella che poi ho scoperto essere l’… (s’interrompe, guarda la bambola, le tappa la testa e la nasconde dietro di sé) … l’eccitazione sessuale. (La fa ricomparire lentamente e la passa nell’altra mano dicendo con sensualità) E infatti molto spesso io facevo abbracciare le barbie grasse e gli facevo (stacca l’altro braccio) fare l’amore (lo butta via). Allora avrò avuto sette, otto anni e che cosa volesse dire fare l’amore non lo sapevo mica. (Stacca una gamba di Barbie e la getta via)
Ne avevo avuto una prima generica e discutibile spiegazione qualche tempo addietro quando una mia baby-sitter mi aveva detto: «Pensa alle forme». (Stacca il bacino con l’altra gamba attaccata e fa per buttarli, ma si ferma: valuta il loro incastro più volte, solleva il volto estasiato dalla scoperta, poi li butta)
Io allora avevo capito che, secondo lei, per fare l’amore i piselli dei maschi dovevano entrare nelle passerine delle femmine (infila il dito nel buco del busto di Barbie). Ma per me no. Quando giocavo alle barbie, piselli e passerine non c’entravano niente. No. Che la coppia fosse donna-donna, uomo-uomo, donna-uomo non importava: per fargli fare l’amore (sposta la bambola al centro davanti al viso e, con una mano, inizia un gioco) io prendevo le barbie grasse e le avvicinavo, le strusciavo l’una con l’altra, le lasciavo sopraffarsi a vicenda come due cose che vogliono mescolarsi e sciogliersi (le stacca la testa) l’una nell’altra. Me lo immaginavo così, io, fare l’amore.
(Si volta di scatto, come se avesse sentito un rumore, e getta quel che resta di Barbie) Ovviamente, se sentivo un grande avvicinarsi alla porta di camera mia, interrompevo subito quel gioco, spogliavo le barbie dei loro vestiti e loro tornavano magre, sedute al tavolo a sorseggiare un tè.

 

 

Traccia 2


Altro brano degli Arcade Fire: Ready to Start. Esse apre Fridge senza mostrare il contenuto, cerca qualcosa, lo trova, lo tira fuori: è un pupazzo di Barack Obama.
Fridge diventa un pulpito e Obama si prepara per fare il suo discorso, l'
Obama Speech.

Esiste un dilemma antico quanto l’uomo, no we can’t.
Nessuno può capire il dolore di un altro, semplicemente perché appunto non lo prova, no we can’t.
Il dolore ci rende soli, no we can’t.
No we can’t, perché siamo circoscritti dalla nostra pelle.
No we can’t, perché ogni cervello è collegato alle sue proprie terminazioni nervose e quelle di nessun altro.
No we can’t perché per ciascuno di noi il suo dolore è privato, unico, esclusivo. (Pausa)
Ma quando capiremo che il dolore che proviamo è lo stesso, identico che provano migliaia, milioni di persone, allora il dolore non sarà più qualcosa che ci rende soli, no. Sarà qualcosa che oltre a renderci soli, ci renderà pure banali.
No we can’t perché il dolore è frequente.
No we can’t perché il dolore è banale.
No we can’t perché il male è banale.
E quando capiremo con chiarezza questo concetto, tre parole echeggeranno di casa in casa di nazione in nazione di oceano in oceano: no we can’t.

 

 

Traccia 3


L’attacco di Toxicity dei System of a Down risuona ed Esse allestisce un tavolo da pranzo dove si siede in compagnia di Cestino.
Estrae dalla bocca tre palline e due racchette da ping-pong, un pennarello nero, un paio di manette. Si lega alla maniglia di Fridge mentre
Toxicity si dissolve.

ESSE ~ Io nel giro di un’ora e mezzo posso mangiare: mezzo chilo di pasta, mezzo chilo di focaccia, un litro di latte, una confezione di cereali, a casa; tre brioche e un cappuccino in un bar; quattro brioche e un latte macchiato in un altro bar; due confezioni di wafer a casa; un pacco di biscotti ancora a casa; frutta e frutta secca in quantità non calcolabili sempre ovviamente a casa. Io posso mangiare tutte queste cose di fila, senza rendermi conto di quello che sto facendo, senza accorgermi del tempo che passa: mangio e basta e, quando non ce la faccio più, vado in bagno e vomito. Tutto. Questa cosa può succedere anche più volte al giorno, per molti giorni di fila. Poi magari per una settimana non succede e poi succede di nuovo, succede per anni. Sette nel mio caso. (Segna una tacca su Fridge)
Quando succede, mentre mangio, tutto sparisce: io, gli altri, gli odori, i sapori. Restano solo le consistenze e la capienza, è un esercizio volumetrico. Come in quel gioco in cui i bambini devono infilare la forma giusta nella sagoma corrispondente, io infilo forme dentro di me: ma senza regole, senza rispetto dei bordi. Gli ultimi bocconi sono impossibili da mandare giù, la mandibola mi fa male, è come se avessi già iniziato a vomitare e allora basta andare in bagno: spingo, tutto esce. Un fiume. (Segna una seconda tacca su Fridge)
All’inizio non ero così abile. Per vomitare un solo biscotto mi poteva occorrere anche mezz’ora. Poi ho imparato: cinque minuti, vuota. Basta bere molto mentre mangio, basta premere con forza le dita delle mani contro la bocca dello stomaco, basta eruttare senza freni. A volte mi si rompono i capillari del viso o del collo, ma nessuno ci fa troppo caso e comunque io sono brava a mentire. (Fa la terza tacca)
Negli anni ho vomitato un po’ ovunque: nei cessi dei bar, dei ristoranti, dei musei, dei teatri, delle stazioni, dei treni, a casa di parenti, a casa di amici. Davvero non faccio complimenti: vomito anche a casa vostra se mi invitate a cena. Nessun problema per me, è un piacere. A volte ho persino vomitato per strada, fermando la macchina lungo una provinciale qualsiasi: «Potrebbero essere nausee di gravidanza» – penso – «e dopotutto, è biodegradabile!». (Quarta tacca)
A molti vomitare fa schifo. Sinceramente non riesco a capirli. Forse perché la maggioranza delle persone vomita dopo molto tempo che ha mangiato, quando sta male; oppure perché ha bevuto troppo e il vomito ha quel sapore acre, acido o amaro. Ma se uno vomita appena ha finito di ingoiare l’ultimo boccone, non sente niente di amaro, acre o acido, no: uno risente il sapore dei cibi che ha mangiato, è come mangiarli di nuovo, solo che è al contrario. Davvero non fa schifo, per niente, anzi. È comodo, igienico, liberatorio. (Quinta e ultima tacca)

 

 

Traccia 4


Sulle note di Skinny Love dei Bon Iver, si libera dalle manette e sparecchia la scena.
Apre Fridge che contiene Viktor. Si procura un secchio d’acqua, prende in braccio Viktor e inizia a pulirlo finché la canzone scompare.

ESSE ~ La prima volta che ho smesso di mangiare avevo nove anni. Mia madre si rivolse a uno psicologo, la risposta fu: «Non si preoccupi, è isterica». (Sguardi annichiliti con Viktor)
In medicina esiste un termine che deve sempre mettere in guardia e questo termine è (Viktor muove braccia e mani come un professore per tutta la spiegazione): I-DIO-PA-TI-CO. Idiopatico. Una malattia è definita idiopatica se non se ne capisce o conosce la causa, è una definizione circolare, come a dire che la causa della malattia è la malattia stessa. In poche parole, se il vostro medico vi dice che la vostra malattia è idiopatica, significa che non c’ha capito un cazzo e che dovete morire.
Ora, dire che una bambina di nove anni che non mangia da un anno è isterica equivale a dire che la sua anoressia è idiopatica: non serve, non spiega, non aiuta. È un’alzata di spalle clinica, è una pacca sulla schiena da parte di chi sa a chi non sa, ma lo lascia nella merda lo stesso perché ha casi più importanti a cui rivolgersi.
Già. Ma forse il punto è che le isteriche non si meritano di stare bene. (Viktor la guarda e poi cerca di calmarla) Le isteriche devono tutte crepare dei loro sintomi idiopatici, della loro idiopatica isteria. Le isteriche si meritano di passare una vita con la testa nel cesso, si meritano di morire all’improvviso e di essere trovate tre giorni dopo nel bagno di una stazione. Le isteriche si meritano di non avere un corpo per fare l’amore, di non avere le forze per giocare coi loro figli, si meritano di non averne nessuno, di figli. La loro è una malattia idiopatica. La loro vita sarà idiopatica. La loro morte sarà idiopatica. La morte idiopatica di un’isterica che non interessa a nessuno. Una morta di niente per niente, che lascia vuoto uno spazio che in fondo non ha mai voluto occupare. (Viktor si tappa gli occhi)

 

 

Traccia 5


Sul punk rock di Blitzkrieg Bop dei Ramones, Esse fa sedere Viktor in un angolo e sale dietro al frigo pulpito.
Dopo alcuni flash in cui alterna una posa dedicata al vomito e altre a restituire un’immagine accettabile di sé, si mette i baffi di Hitler preparandosi per un discorso alla Nazione Tedesca che spegne la musica.
È il momento dell’
Hitler Speech.

Non si dovrebbe mai dimenticare che, a questo mondo, nessun risultato davvero grande è mai stato ottenuto da alcuna coalizione, ma è sempre stato dovuto allo sforzo di singoli uomini. I grandi cambiamenti di pensiero, che hanno davvero rivoluzionato il mondo, sono inconcepibili e irrealizzabili se non sottoforma di lotte individuali.
Esistono taglie elette e superiori, destinate a comandare; e taglie spregevoli e inferiori, destinate a obbedire. È ingiusto parlare di uguaglianza e fratellanza tra gli individui perché questi concetti sono erronei e contro natura. È giusto invece che certi individui – e certe taglie! – si impongano sugli altri e li costringano a obbedire.
Taglie M, taglie S, taglie XS, heil!

 

 

Traccia 6


Inizia Starry Eyes dei Cigarettes After Sex.
Esse scende dal pulpito e inizia a indicare nel vuoto degli inesistenti fantasmi assalitori che sembra vedere solo lei. Si mette una mascherina per tapparsi gli occhi, ma continua ad avvistare presenze minacciose. Allora si nasconde dentro Fridge, raggomitolandosi in posizione fetale.
La canzone sfuma.

ESSE ~ Non avevo mai dato problemi riguardo al sonno. Poi un giorno sono arrivati i puntini. Succedeva così. Io ero coricata nel mio letto, pronta per dormire. Chiudevo gli occhi e, dopo alcuni istanti di buio, d’improvviso, sulla parete interna delle mie palpebre apparivano dei puntini fosforescenti. Tanti, piccoli, come uno stormo di uccelli. Uno stormo di punti fosforescenti. Dapprima restavano fermi, sospesi sopra di me. Poi, lentamente iniziavano a roteare e, dopo alcuni ampi giri, cadevano in picchiata nella mia direzione; ma prima di riuscire a colpirmi, sparivano nel nulla. A quel punto c’era un attimo di buio, ma dopo alcuni secondi un nuovo stormo faceva la sua comparsa: sostava, roteava, cadeva, spariva. Allora aprivo gli occhi per guardare il soffitto in cerca di protezione, ma anche lì un nuovo stormo compariva, sostava, roteava, cadeva, spariva. Chiudevo gli occhi: puntini. Li riaprivo: puntini.
Non riuscivo a prendere sonno. Allora mi alzavo dal letto e mi dirigevo verso il salotto dai miei genitori: «Sei ancora sveglia?»…
«Ci sono i puntini».

 

 

Traccia 7


Sullo swing di Cool Cat Walk di Angelo Badalamenti, Esse si toglie la maschera e si nasconde dentro a Fridge, sbucando fuori solo con la testa, diventando un essere mitologico, corpo di frigo e muso di donna. Intanto il brano va in dissolvenza.

ESSE ~ Talvolta, di Sabato sera, io e mia sorella venivamo lasciate da sole a casa.
«Tutto sotto controllo?» chiedeva mia mamma al telefono quando chiamava per sapere se andava tutto bene.
«Tutto sotto controllo» rispondevo io. E lo era.
Le serate filavano lisce, tutto sotto controllo, ma quando arrivava il momento di andare a dormire, io venivo assalita da un terrore: che in casa ci fosse nascosto qualcuno pronto a saltarci addosso e sfracellarci di botte.
Tutto cotto controllo? No, non è tutto sotto controllo… devo controllare. Così mi mettevo a setacciare tutta la casa per stanare il famigerato fracassatore di bambini. (Apre la porta di Fridge dall’interno e allunga una mano per perlustrarlo con una torcia)
Il problema era questo: il nostro appartamento si sviluppava – e anche tanto – in lunghezza e tra la zona giorno e la zona notte c’era un doppio collegamento, si poteva passare dal salotto oppure attraverso un corridoio parallelo al salotto. Quindi c’era sempre la possibilità che, mentre io perlustravo la casa in un verso, qualcuno la stesse percorrendo nell’altro. Avevo trovato un sistema (chiude la porta di Fridge): partivo da un capo dell’appartamento, perlustravo la prima stanza e chiudevo la porta; perlustravo la seconda stanza e chiudevo la porta; terza stanza e chiudevo la porta; e così via.
Pensavo che, se davvero ci fosse stato qualcuno, (riapre la porta e la indica) avrebbe dovuto aprire almeno una porta prima di saltarmi addosso, non mi avrebbe colto di sorpresa (la richiude). La cosa procedeva piuttosto bene, anche se, mano a mano che le stanze finivano, il terrore di trovarmi faccia a faccia col mio assassino diventava una certezza… Oh!… Ah! lo specchio…
Non ricordo cosa facesse mia sorella mentre io chiudevo le porte di tutta la casa e mi prendevo scossoni imbattendomi negli specchi: so che alla fine, quando chiudevo l’ultima porta – quella della nostra cameretta – e ci infilavamo sotto le coperte, io avevo la prova scientifica che in casa nostra non ci fosse nessuno. Tutto sotto controllo.
No! Non è tutto sotto controllo. (La porta si schiude appena. Lei la guarda, c’è tensione; e, continuando a parlare, la spalanca lentamente) Io sapevo che c’era un posto che non potevo controllare. Potevo scandagliare l’intera casa, chiudere tutte le porte, ma sarebbe sempre rimasto un luogo che non avrei potuto mettere sotto controllo: dentro di me. (Chiude Fridge sparendoci dentro)

 

 

Traccia 8


Suono di sirena.

ESSE ~ Vergognatevi dei vostri nasi, delle vostre fronti, delle vostre sopracciglia.
Vergognatevi dei vostri peli che crescono, delle vostre unghie che crescono.
Vergognatevi delle vostre mani e dei vostri piedi.
Vergognatevi dei vostri nei, sparsi in qua e in là.
Vergognatevi dei brufoli, delle macchie, di tutti gli inestetismi della vostra pelle.
Le rimostranze del vostro corpo sono sovversive.
Il vostro è un corpo estraneo e come tale va eliminato oppure regolarizzato.
Il vostro è un corpo estraneo e come tale va eliminato oppure regolarizzato.
Il vostro è un corpo estraneo e come tale va eliminato oppure regolarizzato.

Buio. La sirena prosegue e si trasforma in Let it Snow! Let it Snow! Let it Snow! nella versione di Frank Sinatra.
Luce. Esse esce dal frigo e va a sedersi a un banchino che appare sulla sinistra. Prepara le cose per scrivere una lettera e accende una lampada.
Sta per scrivere su un foglio. Ma ha in mano una forchetta con cui, invece di scrivere, si truccherà e si pettinerà fino a farsi male. Durante queste azioni, una voce fuori campo legge la sua
Lettera per Babbo Natale come se stesse prendendo forma dai suoi pensieri.

«Caro Babbo Natale, Come stai?
Come stanno le tue renne? E la Befana? Spero bene.
Quest’anno puoi essere davvero orgoglioso di me. Ho compiuto sette anni e sono in seconda elementare. Stavo facendo un bilancio di tutte le cose che ho imparato e ne vado talmente fiera che vorrei elencartele.
Innanzitutto ho imparato a colorare dentro i bordi. Non esco mai mai mai dai confini e scelgo sempre il colore giusto per la forma in questione. Il sole giallo. L’erba verde. Il cielo azzurro e le pareti delle case si possono lasciare di bianco.
Ho imparato a stare seduta composta per quattro ore di fila: mi basta una ricreazione di soli trenta minuti e riesco a stare ferma al mio banchino dalle otto fino a mezzogiorno e mezzo. Ho imparato che il mio corpo, quando sono a scuola, non serve assolutamen… assoluta… assotula… assolu… assotulamente a niente.
O meglio, del mio corpo servono giusto la testa e le mani. Tutto il resto è completamente inutile e d’intralcio: le gambe che vorrebbero correre, la pancia che vorrebbe mangiare, la vescica che vorrebbe fare pipì, tutte cose ingombranti che io ho imparato subito a trascurare.
Ho imparato a leggere, scrivere e fare le operazioni e sono abbastanza certa che tutte queste cose difficiliss… difficili… difficillis… difficillissime non hanno niente a che vedere con le emozioni. Leggere e piangere sono due cose diverse. Ridere e scrivere sono due cose diverse. Giocare a nascondino e ripetere la tabellina del nove sono due cose… diversissime.
Ho imparato che noi bambini siamo come dei vasi vuoti dentro cui vengono tutte le cose che sanno i grandi. Infatti, caro Babbo Natale, ti voglio rivelare un segreto: io ho scoperto che a scuola tutte le domande che ci vengono – tutte, dalla prima all’ultima – sono… domande finte! Perché chi ce le fa sa già la risposta!
Infine ho imparato che esistono due tipi di bambini: i bimbi bravi e i bimbi cattivi e ho buone notizie, Babbo Natale, io sono tra i bimbi buoni. Prendo sempre “Bene” e “Bravissima”. Quindi mi merito di vivere e tu puoi portarmi tutti i regali che ti chiederò.
Prima di procedere con l’elenco dei giochi che vorrei chiederti però, ti devo raccontare un fatto.
C’è un bambino nella classe accanto alla mia che ogni tanto urla forte. Soprattutto dopo un po’ di tempo che sta seduto, oppure se un grande gli dice che la ricreazione è finita o che una certa cosa non la può fare: lui urla. I bimbi della sua classe hanno paura di lui e lo chiamano il mostro. Io non so cosa pensare perché per me non è un mostro. Lui sbaglia, lo so. Però un po’ ha anche ragione. E quando urla io vorrei che urlasse ancora di più, che urlasse anche per me, che spaccasse le orecchie a tutti, che distruggesse tutti i banchini e le penne e i “Brava” e i bordi dei disegni e gli astucci e le cartelle e i grembiuli e le maestre e la scuola intera. Sono anch’io un mostro?
Ora che sai tutto di me, passo a chiederti i giochi che vorrei e sono…»

 

 

Traccia 9


Let it Snow! riprende e la Lettera viene infilata nel banchino, trasformato in cassetta postale.
Esse volta la cassetta e mostra l’immagine di Marx con la scritta «
This is not Santa Claus».
Il canto di Sinatra si chiude con un gong e comincia il
Marx Speech.

La storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe.
Uomo libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, in breve oppressore e oppresso si sono reciprocamente contrapposti in lotte, aperte o nascoste, nelle quali una classe ha sconfitto l’altra oppure entrambe si sono estinte.
Ma esiste una lotta che ha sempre sotteso tutte le altre. Una lotta della quale è urgente diventare consapevoli. Una lotta nella quale la vittoria è sempre andata appannaggio della stessa classe. La lotta di cui sto parlando è quella tra adulti e bambini.
Qualsiasi forma di educazione è un processo di assoggettamento di una generazione sulla successiva. Come tale è una forma di abuso finalizzata a mantenere intatti i nostri edifici sociali, politici ed economici.
Verrà un giorno in cui l’homo sapiens sapiens si confronterà col collasso del sistema che chiama progresso. Sarà allora che si creerà un momento di vuoto.
Bambini di tutto il mondo, unitevi!

 

 

Traccia 10


Risuonano i rintocchi al piano di Gymnopédie No. 1 di Erik Satie.
Esse fa la cacca in un vasino per bambini da cui, poi, estrae una mela.
Sullo spegnersi del pianoforte, inizia a mangiarla.


ESSE ~ Una volta, avrò avuto dieci anni, ho fatto un sogno. Il sogno è questo. Io sono da sola, seduta al tavolo da pranzo e ho davanti a me una scodella piena di pastina in brodo. Sto mangiando: prelevo con tranquillità delle cucchiaiate cariche di liquido e di pasta. La pasta però ha uno strano formato: sono dei chicchi ma non piccoli come al solito. Sono un po’ più grandi, quanto una falange. Come degli gnocchi. Sono dei chicchi-gnocchi di pasta.
Ecco, nel sogno io ho una certezza. C’è una cosa che so. Questi chicchi-gnocchi di pasta non sono il nuovo formato della Barilla: no, io so che questi chicchi-gnocchi sono le mie ovaie. Io sto mangiando le mie ovaie. Ovaie in brodo: la nuova ricetta per il pranzo della domenica!
Questo sogno deve avere una sua rilevanza visto che: uno, sto mangiando; e due, ciò che ingerisco sono le mie ovaie. Cioè, mangio la parte di me in grado di procreare; mangio la me donna; mi mangio in quanto donna.
Ora: è cosa nota, infatti, che la stragrande maggioranza delle persone di sesso femminile che soffre di disturbi del comportamento alimentare va incontro alla perdita del ciclo mestruale. Si chiama amenorrea. All’interno del quadro patologico, l’amenorrea è definita un sintomo secondario, tipo effetto collaterale non desiderato; tipo che vuoi essere magra, ma nel pacchetto completo c’è anche che diventi sterile.
In greco “sintomo” vuol dire “indizio, traccia, segno”. Ogni segno ha un significato e significati secondi non esistono.

 

 

Traccia 11


L’Inno dei Marines da Jacques Offenbach.
Esse tira fuori dei soldatini, indossa un elmetto da guerra e diventa un generale.
Stop all’
Inno e via al War Speech.

ESSE ~ Il soggetto ha quattordici anni, altezza un metro e sessanta, peso quaranta chilogrammi. Possiamo fare di meglio. E occorre un impegno quotidiano. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Sono le ore tredici e trenta minuti. Il momento del pranzo si avvicina. Gli Ormoni Oressici si stanno liberando, l’Ipotalamo non fa che mandare segnali di fame: dobbiamo resistere. Squadre di Ormoni PYY, via per combattere gli stimoli della Grelina!
SOLDATO ~ Sì, signor capitano.
ESSE ~ Squadre di Colecistochinine pronte a partire con intervalli regolari. Il vostro effetto è di breve durata e a noi serve un fronte continuo e affidabile.
SOLDATO ~ Sì, signor capitano.
ESSE ~ Endocannabinoidi, il vostro apporto è fondamentale, siete in grado di raggiungere direttamente l’Ipotalamo e sventare alla radice il senso di fame. Via, alla massima velocità.
SOLDATO ~ Sì, signor capitano!
ESSE ~ Neurotrasmettitori, all’erta anche voi. Tenete il soggetto lontano dalla cucina e attivate il meccanismo di eliminazione del cibo per vie traverse: date tutto al cane, come sempre.
SOLDATO ~ Sì, signor capitano!
ESSE ~ Tutto procede secondo i piani.
SOLDATO ~ Capo, abbiamo un problema!
ESSE ~ Di’, soldato palla di lardo!
SOLDATO ~ Depositi di tessuto adiposo da cui attingere per fornire energie alle truppe non ce ne sono più. È necessario incamerare qualcosa.
ESSE ~ Cuciti quel lurido orifizio che hai al posto della bocca, soldato palla di lardo. Non abbiamo bisogno di incamerare un bel niente. Attaccate i muscoli, gli altri tessuti, i polmoni se necessario. Mangiatevi tra di voi, non ha importanza. Non cederemo mai ai morsi della fame.
SOLDATO ~ Capo, il cervello non riesce a mantenerci in piedi. L’Ipoglicemia è talmente alta che rischiamo di svenire.
ESSE ~ Cadere in terra non ha mai fatto male a nessuno. Una sdraiatina e il sangue si farà il suo giretto nel cervello. E poi ripartiremo. Questa battaglia ce l’abbiamo in pugno. (Sviene)

 

 

Traccia 12


(Momento visionario in cui forse non dico proprio la verità)

Le voci di Simon & Garfunkel che cantano The Sound of Silence.
Il frigorifero diventa una tomba: Esse porta fiori e la pulisce.
Si siede e racconta sullo sfumare della canzone.

ESSE ~ La Terza Guerra Mondiale è scoppiata quando avevo quattordici anni. Io non me ne sono neanche accorta: le bombe mi scoppiavano accanto senza che io battessi ciglio.
In quegli anni, durante il conflitto, ho perso quasi tutti i miei cari.
Mio padre è morto nel crollo di una palazzina durante il bombardamento di Firenze. Mia sorella mi chiese di piangere, ma io mi ero mangiata gli occhi.
Mia madre è morta assieme ai miei due zii, per inquinamento da gas tossici. Mia sorella mi chiese di sostenerla, ma mi ero mangiata le braccia.
È morto il mio primo fidanzato, perché era partito per il fronte, e sono morte due delle mie più care amiche nella terribile esplosione della mensa scolastica di Pisa. Mia sorella mi consigliò di soffrire, ma mi ero mangiata il cuore.
Poi lei precipitò con un aereo colpito dall’esercito nemico e non ci fu più nessuno a chiedermi niente.
Sono rimasta sola. Sono l’unica superstite di tutti i miei cari al terzo conflitto mondiale. Lo trovo profondamente ingiusto: in fondo ero anche la sola impegnata a morire per conto suo. Forse il mio corpo era così magro che è riuscito a passare tra un proiettile e l’altro. Forse ero così impegnata nella mia guerra che nessuna guerra poteva raggiungermi. Forse ero chiusa dentro a un mio personalissimo bunker. È buio lì e fa freddo, c’è un grande silenzio e nessuno respira e tutto si muove al rallentatore, all’interno di un’atmosfera ovattata dove non si formano onde, increspature, vibrazioni.

 

 

Traccia 13


Sottofondo sonoro. Esse vomita una maschera e poi la indossa. Diventa Puke di cui fa lo Speech.

È crollato il muro di Berlino.
È scoppiata la guerra in Jugoslavia.
Tu dov’eri?
Il tuo culo è osservabile.
Non hai diritto di occupare uno spazio.
Hai mangiato.
Continui a ruttare quei peperoni.
Perché insegniamo ai bambini ad avere vergogna del piacere?
Sono una donna-prosciutto.
È esplosa la centrale nucleare di Chernobyl.
È scoppiata la terza guerra mondiale?
Tu dov’eri?
Ho un corpo.
Quali sono le conseguenze delle mie azioni?
E delle mie omissioni?
È come avere tante mani addosso, sulla pelle.
È come avere un polpo dentro.
Io lo chiamo il mostro.
Voglio diventare invisibile.
Non voglio essere classificata.
Non voglio produrre conseguenze impreviste.
Voglio distrarmi dal piatto di pasta che è dentro di me.
Sono cadute le Torri Gemelle.
Hanno sganciato la bomba nucleare e non è rimasto più niente.
Hanno sterminato l’intera popolazione della tua città.
Tu dov’eri?
Morbido, pingue, badiale, adiposo, tondo, sovrappeso, grasso, grosso, botolotto, obeso, deforme, difforme, sovversivo, rivoluzionario.
Non c’è più niente da mangiare.
Mi sta crescendo la pancia.
Non c’è più niente da vomitare.
Non ho diritto di occupare uno spazio.
Magra, finita, secca, esile, allampanata, manico di scopa, snella, smilza, asciutta, ossuta, deperita, emaciata, segaligna, scavata, denutrita, debole, ininfluente.
Il mio corpo è pieno di cose che non conosco.
Il mio corpo è pieno di cose che non conosco.
Non avvertite il peso del nostro cercare la felicità?
Ho dimenticato di farti gli auguri.
Quando sono crollate le Torri Gemelle non ho sofferto abbastanza.
Quando mio padre ha perso suo padre io non ho pianto.
Devo occupare meno spazio.
Devo produrre meno conseguenze.
Ci sono cose più serie della circonferenza vita, lo sai?
Mi devo vergognare di ciò che esce dal mio corpo?
Se fossi un uomo sarebbe tutto diverso.
Se fossi un uomo sarebbe tutto diverso.
Perché ci aspettiamo cose diverse dai maschi e dalle femmine?
Hanno bombardato Roma, sono morte diecimila persone.
Devi essere meno ingombrante.
Ci sono lati di te che vanno eliminati.
Dentro di te ci sono cose che non possono essere amate.
Purificati.
Renditi accettabile.
Elimina ogni forma di imprevisto.
Pulisci la copertina della tua vita.
Sono venuti a rastrellare le case e hanno portato via la tua famiglia.
Tu dov’eri?
Io ero un gerarca nazista.
Io ho ucciso la mia sorellina gemella che era in pancia con me.
Le ho rubato tutto lo spazio.
Le ho rubato tutto il cibo.
Ho respirato l’ossigeno che era per lei.
Ho ustionato la bambina che sono stata.
Non posso rimediare ai miei errori futuri.
Non posso evitare i miei errori passati.
Quando sarò morta tutto questo continuerà a perseguitarmi.
Le colpe non muoiono.
Ricadono.
Io sono la mia ricaduta.
Avrò una figlia.
La saprò difendere da tutto questo?
La saprete difendere da tutto questo?
Chiedo il diritto d’asilo per lei.
Tu non hai diritto di occupare questo spazio.
Di quanto spazio hai bisogno?
È troppo spazio.
Occupa meno spazio.
Ancora meno.
Ancora meno.
Sparisci.
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Sarah Kane diceva: «Ho gassato gli Ebrei, ho ucciso i Curdi, ho bombardato gli Arabi, mi sono scopata dei bambini piccoli che imploravano pietà, i campi minati sono miei, tutti hanno abbandonato il party per colpa mia».
Lo dico anch’io: «Ho gassato gli Ebrei, ho ucciso i Curdi, ho bombardato gli Arabi, mi sono scopata dei bambini piccoli che imploravano pietà, i campi minati sono miei, tutti hanno abbandonato il party per colpa mia».
Non so distinguere il bene.
Io sono il male.
Tu dov’eri?
Io sono nascosto dentro di te e sono pronto a uccidere.
Esco senza aprire le porte, entro senza chiudermele dietro.
Sono io che ti ucciderò.
Non farti trovare.
Tu nascondimi.
Non farmi trovare.
Non dire a nessuno che esisto.
Se dirai a qualcuno di me, ti ucciderò.
Farò sentire a tutti che puzzo ha il tuo corpo.
Tutti vedranno i cadaveri che hai dentro.
Stai zitta.
Nascondimi.
Sorridi.
Perché vi illudete di poter buttare via la vostra spazzatura?
Sono io la vostra spazzatura.
Io sono voi.
Io sono voi.
Io sono voi.

Il sottofondo sonoro diventa Voglio vivere così cantato da Claudio Villa. Puke balla.
Si sente lo sciacquone di un WC ed Esse si libera di Puke.
La canzone, intanto, si trasforma in un pezzo elettronico da sfilata di moda. Esse estrae una valigetta di sicurezza e, come se sfilasse su una passerella, porta in proscenio mazzette di soldi raccontando dei suoi sei incontri psichiatrici.

ESSE ~ Psichiatra numero uno. Scovato da mia madre quando avevo quattordici anni, specializzato in terapia familiare del disturbo del comportamento alimentare. Secondo questa strategia terapeutica, per guarire il malato occorre guarire tutta la famiglia, poiché il malato altro non è che il portavoce di un disagio relazionale diffuso. Fa stare mio padre, mia madre, me e mia sorella chiusi tutti insieme in una stanza, con un vetro attraverso il quale noi non vediamo lui, ma lui e tutta la sua equipe possono studiare i nostri comportamenti. Durata complessiva della terapia: una seduta. Rifiutai tutto questo affollamento di gente.
Psichiatra numero due. Stanzina angusta e asettica di uno studio medico impersonale. Lui un uomo alto, enorme, una specie di gigante. Camice bianco e sul petto il badge con titolo, nome puntato e cognome. Highlight del nostro incontro: mentre cerco di spiegare come mi sento, mi interrompe e appoggia sul tavolino una confezione di ansiolitici. Sottolinea che sono in omaggio. Durata complessiva della terapia: una seduta. Mi rifiutai di ingerire farmaci, anche se gratuiti.
Psichiatra numero tre. Allampanato, testa riccioluta, bocca all’ingiù. Camice bianco, occhiali colorati, studio medicalizzato ma con qualche arredo in legno marrone scuro. Tecnica mista, umano e disumano insieme. Un tipo classico-scientifico. Stile terapeutico: chiacchierate, test della personalità per tutti i gusti e un abbraccio non richiesto. Forse il tipo è un po’ romantico oppure ha saltato qualche lezione al corso di deontologia professionale. Durata complessiva della terapia: tre sedute. Mi rifiutai di essere toccata.
Psichiatra numero quattro. È lo psichiatra numero uno. Ci torno quando ho diciotto anni. Mi riceve a casa sua, in uno studio con tappeti, poltrone, libreria e quadri alle pareti. Lui è vestito normale, pantaloni, camicia, golf. Ci manca solo che indossi le ciabatte. Stile terapeutico: lunghe, avvincenti, intelligenti chiacchierate con annessi spunti artistici, ad esempio mi fa fare dei collage sul mio futuro. Durata complessiva della terapia: un anno. Negli ultimi tempi mi sembrava di perdere tempo.
Psichiatra numero cinque. Centro Specializzato nella Cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Una specie di hotel medicalizzato-carcere. Un posto dove ai pasti ti danno un vassoio con dentro la quantità esatta di cibo che devi ingerire e, dopo i pasti, mettono i lucchetti ai bagni e sei coinvolto in attività di gruppo ludico-ricreative con lo scopo di distrarti dalla concentrazione ossessiva sulla presenza di cibo nel tuo corpo. Ogni settimana la razione dei pasti aumenta in modo tale che in tre, sei, dodici mesi torni al tuo peso forma. Durata complessiva della terapia: mai iniziata.
Psichiatra numero sei. Finalmente una donna. Alta un metro e mezzo, capelli biondi. Faccia con una sola espressione. Studio medicalizzato, ma con un certo estro: sulle pareti ci sono disegnate delle meduse azzurre. Tecnica terapeutica: «Puoi scegliere». (Stop sfilata di soldi)

Silenzio.

«Come “posso scegliere”?»
«Farmaci tradizionali oppure percorso alternativo».
«Andiamo con la B. Di che si tratta?»
«Energia vibrazionale».
Non so che roba sia, ma visualizzo Sailor Moon: «Che roba è?»
«Se vuoi, puoi fare una seduta d’esempio».
«Va bene…»
Eccola.
Prima di procedere la dottoressa deve lavorare sulla colonna.
«Lavoriamo sulla colonna» dice.
Mi fa mettere in piedi davanti a una porta e lei si posiziona alle mie spalle. Mi sembra di percepire che appoggia il suo dito indice alla sua tempia destra, si concentra, non so se mi osserva.
«C’è un blocco alla zona lombare» dice e mi spiega la manovra che dobbiamo fare per sciogliere la tensione a quel livello. Ci mettiamo schiena contro schiena, io devo tenere le mani ai fianchi, intrecciando le mie braccia alle sue e anche lei posiziona le sue mani sui fianchi.
Poi si piega in avanti, di conseguenza io mi inarco indietro, la colonna si allunga, non emette suono, non fa nessun croc, non so se si è effettivamente sbloccata, ma la dottoressa dice che è sufficiente.
«È sufficiente, ti puoi accomodare sul lettino» dice.
Una volta sdraiata, mi appoggia sul petto una specie di grembiule pieno di taschine, dentro le quali inizia a mettere delle diapositive: «Cosa sono?»
«Sono dei filtri».
Ogni tanto mi dice di aprire la bocca e dall’alto mi ci fa piovere dentro alcune gocce di acqua, prendendo ogni goccia da una boccetta diversa. Nonostante abbia il terrore che mi stia drogando, cerco di mantenere la calma. Proseguo. Improvvisamente la nuova ma rassicurante routine di goccine e filtri s’interrompe.
«Lavoriamo sull’orecchio» dice. Tira fuori una specie di penna, mi chiede di inclinare la testa e con la penna inizia a solleticarmi lobo, padiglione, imbocco del canale uditivo del mio orecchio destro. Mi scappa da ridere. Resisto. Smette. Ripone la penna. «Abbiamo finito» dice.
Torniamo alla scrivania, io da una parte e lei dall’altra, come dal commercialista: «Questa è la tua acqua, l’ho caricata durante la seduta, ne devi bere un piccolo sorso sette volte al giorno». Me la passa, io la afferro e con la coda dell’occhio verifico che il tappo sia sigillato.
La dottoressa mi spiega che la bottiglia deve stare lontana da prese elettriche, elettrodomestici e cellulari, altrimenti l’acqua si depolarizza. «OK» dico io, ma dentro di me penso che non troverò mai un cazzo di posto dove metterla.
Me ne esco con l’acqua santa in mano e le idee confuse in testa: a quanto pare, nelle nostre cellule, è registrata la memoria di tutto quello che abbiamo vissuto; e poiché sono fatte per molta parte di acqua, usando l’acqua è possibile dialogare con le informazioni accumulate e stimolare processi di autoguarigione. Un cumulo di cazzate, ma ci torno.

 

 

Traccia 14


Il riff iniziale di Today degli Smashing Pumpkins accompagna Esse ripetutamente mentre discorre, sbaracca e prepara Fridge per il gran finale.

ESSE ~ Negli anni, questa dottoressa mi ha proposto l’elenco completo dei ritrovati della medicina alternativa: tutte cose che la mia razionalità rifiuta categoricamente, ma a cui mi ha fatto bene trovare un senso. A volte, ho interrotto la terapia, ma poi ci sono sempre tornata. Nelle pause, mi sono rivolta a uno psicologo specializzato in strategia breve e a tre diverse nutrizioniste, ognuna con la sua intelligente teoria. Infine sono approdata in un centro di assistenza provinciale. A volte ho pensato che sarei diventata cronica, cioè malata per tutta la vita. A volte ho pensato che uccidermi sarebbe stato un grande risparmio di soldi e di derrate alimentari. (Esce di scena)
FRIDGE ~ È successo un giorno come un altro, senza alcun preavviso.
Le cose sono cambiate.
La chiamavo ma non rispondeva.
Niente più intimità o tenerezza.
Ero tornato un ammasso di ferraglie al pari della lavastoviglie.
In tutta onestà, senza nulla togliere alla gloriosa sciarada di medici che ha incontrato, non so dire chi, come e quando abbia provocato in lei la guarigione definitiva.
Per quel poco che può aver capito un frigorifero, guarire è varcare un confine invisibile.
È un passo non marcabile.
Non trasformabile in un kit per le generazioni future.
Indecifrabile come il linguaggio della malattia.
Rivoluzionario, come il linguaggio della malattia.

Il volume del riff si alza e finalmente parte Today.