No, non sono Molly Bloom

di 

Giuseppe Mazzone

monologo



La protagonista è una donna dell’età giusta, l’età media giusta di una donna che ha già amato, ama e può ancora amare; che ha un passato, un presente e un futuro. Tutto ciò si nota subito, nel suo modo e nella sua maniera di porgersi. Si presenta bene, ben messa, ben pettinata, in abito da sera lievemente scollato. Cammina sul palcoscenico ritoccando un po’ il trucco, infilandosi gli orecchini. 

E’ sera di luna piena. Mugolii di gatti e una grande finestra che attira particolarmente la sua attenzione. Blu notte e blu elettrico. E’ evidente che aspetta qualcuno; ogni tanto si affaccia e guarda aldilà della finestra. Si chiama Giulia.

Giulia – No, niente paura: Non sono Molly Bloom. Non ho tradito oggi mio marito, non ho trascorso la mia giornata a letto a farmi infilare per otto volte da quel tale sudaticcio. Non credo di avere un marito. Oppure sì. Ma ha proprio così importanza lo stato anagrafico ? Cioè voi vorreste sapere subito di nascita, figli, professione, matrimonio, eventuali relazioni extraconiugali e magari da quando non sono più vergine. Eh ? E aggiungiamoci il segno zodiacale, le lune, i pianeti e le linee della mano e tutto quello che fa ammattire la mia amica Cigna, che poi a sua volta fa ammattire me perché è su di me che sperimenta i suoi esperimenti.
Spettegola divertita. Ne avesse azzeccata una, ma una. Soprattutto sulla sua vita. Ha già due matrimoni falliti alle spalle, due, ed è giovane, giovanissima, ed è pure bellissima, che tutti gli uomini ci fanno un pensierino. Molto più bella di me, se mai io sia bella. Perché lei colleziona matrimoni e fidanzamenti, fin da quando eravamo al liceo. Lei….lei….è uno Scorpione ascendente Acquario, mi pare, o Capricorno, o Clavicembalo. Massì se li sceglie sulla base delle coincidenze astrali e poi però nelle combinazioni c’è sempre un errore di calcolo. Io le dico sempre: tu te li sei scelti, te li sei voluti e ora te li piangi.. Il bello è che me li piango pure io, perché vengono sempre poi da me, a piangere…..Cigna….

Va verso la finestra, la apre, si affaccia: i soliti gatti il cui mugolio viene amplificandosi. Chiude. Controlla un orologio, prende uno specchio, riordina, non è convinta, va a prendere un altro paio di orecchini che indossa, ma è convinta ancor meno e si rimette la coppia di partenza.

Giulia – Sì, l’ho invidiata sempre, la Cigna, come sempre ho rivaleggiato con le donne del maschio usa-e-getta, quelle che non si fanno corteggiare ma corteggiano, decidono tutto loro compreso il momento di mollare, e magari certo si ritrovano con un paio di figli da sfamare. E gli uomini mollacchioni giù a piagnucolare, a inseguire, a soffrire, a sperare. Scemi, non lo avevate capito che eravate usati ? Scemi, però sceme pure le donne che speravano di sostituirsi all’uomo in tutto e per tutto. Presuntuose protagoniste dell’età degli sgoccioli del…del… e diciamolo (grida sfottente): DEL FEMMINISMOOO. Chè quasi pronunziare ‘sta parola oggi è un po’ come dire (quasi abbaia) Marx, che dopo i milioni di copie del “Capitale” che si doveva comprare quasi per forza e metterlo lì e non leggerlo; (riabbaia) Marx che chi ne accenna oggidì viene considerato come un residuato bellico indegno persino di essere iscritto all’Associazione combattenti e reduci.


Va a prendere una sedia comoda, coi braccioli a dondolo. Si siede, accende una sigaretta, assume atteggiamento più provocante da diva dell’espressionismo, aspira forte e come presa da un pensiero improvviso.

Giulia – Non mi pare che ci siano donne, nell’associazione combattenti e reduci. No, non mi pare. E certo, se non abbiamo combattuto la guerra, il Piave mormorò, come potremmo essere combattenti e reduci ? 
Si alza sull’attenti.
Tenente maggiore Giulia ! E io: comandi. E lui: prenda una squadriglia delle migliori donne e penetri nelle trincee nemiche.
Io tenente maggiore, questo il grado che avrei voluto, perché di solito nei film sono i più brillanti e simpatici. Tipo quello coi baffetti di “Uomini contro”. Ricordate ? Il generale cattivo lo vuole fucilare e invece il plotone fucila il generale. Ah, che eroico. Certo, “Donne contro” suona male. Chi avrebbe avuto il coraggio di scriverlo ?
Leziosa danzicchia. Noi abbiamo avuto “Le piccole donne”, “Le piccole donne crescono”, e anche poi “Paura di volare”.
Militaresca epico-eroica. Il ventiquattro maggio calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio, perepè perepè.
Si avrà mai il conto di quanti uomini sono morti ad ogni guerra ? Le donne siamo rimaste sempre di più. Se scoppiasse la terza guerra mondiale si scontrerebbero nelle trincee tante soldate Giulia.
Si fa sguaiata. 
Il militar soldato
è andato a fare la guerra
partì dalla sua terra
ed in un’altra crepò

Rombi pestilenziali
botti e ribotti ad ognora
sangue sui davanzali
dove l’Armata passò

E se la sposa piange
lieto è lo Stato che vince
oh com’è bella Patria
dei monumenti ai cadù.

Mette via la sedia. Compare una sciarpa bianca maschile, era appesa non si sa dove. L’accarezza, l’abbraccia accenna a passi di danza. Volta decisamente le spalle alla finestra.

Giulia- Ah, come sarebbe bello che qualcuno si battesse a duello con me. Non lo posso confidare troppo in giro ma non mi dispiacerebbe affatto che due donne si contendessero a duello la mia mano, oppure la mia virtù….la virtù, la virtù, e chi ce l’ha più ? e chi ce l’ha più ?
Mima i cavalieri a duello con lancia e cavallo, si trasforma, si eccita.
Loro due, gli invincibili cavalieri, hanno superato tutte le prove che il destino ha loro imposto ed ora incedono cloppete cloppete verso la radura dove affronteranno l’ultima prova. 
Giulia adesso si trasforma in una sorta di telecronista. E descrive il campo d’azione in un crescendo di toni.
Folla assiepata sugli spalti per un colpo d’occhio da tutto esaurito, terreno in perfette condizioni, tempo che volge al sereno dopo la perturbazione della notte. Arrivano i due cavalieri, uno con l’elmo bruno e l’altro bianco col pennacchio rosso. C’è una tribunetta al centro della vasta radura teatro dell’epica contesa. Io sono la posta in palio, la Gran Dama che ha mantenuto intatte le proprie grazie per il Cavaliere più coraggioso, e soprattutto vincente. Perché ? Diciamo che non riuscivo ad innamorarmi di quanti mi ronzavano intorno. Interessati, o troppo pavidi, o scialbi, o rumorosi. Quindi ho inviato ai quattro angoli del mondo conosciuto i miei banditori i quali: “Parapà parapà udite udite !”. Avventurieri senza scrupoli e gentiluomini d’alto profilo hanno risposto e si sono scontrati, disarmati, dissanguati per me. Ora non si conosce l’identità dei due ehm finalisti. MA ECCOLI ! Eccoli che si fanno avanti, si rivolgono alla tribuna vociante, s’inchinano per il saluto. Oh che emozione…
Tornano ai punti di partenza; trombe solenni tipo parapà papparappà e via al galoppo, l’uno contro l’altro per me. PER MEEEE. Oddio, la contropartita non sarebbe secondaria visto che assieme a me prenderebbero in dote il castello, il bosco, il villaggio, un centinaio di quadrupeti, un altro paio di centinaia fra galline, oche e palmipedi, nonché un migliaio di anime variamente suddivise fra villani veri e propri, borghesucci, cortigiani di bassa lega. Ma quel che più conta, ne sono sicura mentre li vedo andare incontro alla Gloria o alla Morte, sono IO, celebrata per le sue bellezze fin oltre le colonne d’Ercole e lo Stretto di Magellano..
Deng deng. La lancia di Pennacchio rosso ha infilzato il cavallo di Elmo bruno; la bestia con un ràantolo – eh, ràntolo ?- caracolla e gli comincia a uscire il sangue dalla bocca, e pure dalle orecchie e massì anche dal ventre squarciato buah.
Stentorea. Il sangue irrora l’erbetta fine accuratamente predisposta in mattinata dai giardinieri reali. Un’erbetta di brevetto nibelungico che consente al sangue ed al sudore di rilucere perfino in controluce. Il cavallo si piega in ginocchio per consentire al cavaliere di scendere hop. Quindi stramazza al suolo fra gli applausi generali.
Cambia campo. Insiste Pennacchio rosso da bordo –bordo ?- della sua bestia, fende al galoppo il campo inseguendo Elmo bruno a piedi. Questi corre talmente che fa stancare perfino il cavallo, frutto di un’accurata preparazione atletica, e allorchè s’accorge che il quadrupete ha la lingua di fuori, con un salto oplà salta su pure lui. E’ il cavallo a quel punto che si ribella essendo stato assoldato per il trasporto di uno solo: li fa scendere entrambi e se ne va emettendo il tipico SNORT che distingue ronzini da esemplari di razza, salutato dagli applausi sempre più convinti della folla.
Intensa, attenta. A piedi i due cavalieri aprono la pugna con le prodigiose spade: deng, stonk, ding. Hanno pari valore e vanno avanti fino al tramonto fra gli ohhohhh degli spettatori, me compresa che pregusto già il momento dell’unione con uno di questi due valorosi. A mezzanotte i due sono ancora lì, accettano una pausa di un quarto d’ora per rifocillarsi con le focaccine da me preparate con le mie mani. La folla non è potuta sfollare perché colà comandata e gli armigeri controllano che nessuno lasci; viene montata ai bordi una latrina per le emergenze più evidenti e le cucine da campo cominciano a sfornare pasti caldi. Deng ding. Vengono accesi i riflettori, vabbè le grandi torce. Tink. Lo spettacolo avvincente, il duel no-stop che credo si avvii a battere il record della durata mi pare stabilito da Guglielmo il conquistatore durante la battaglia di Hasting. Ding, tonk e sorge il giorno, io sempre più entusiasta. Mezzogiorno, ding e pausa di sospensione con pasti caldi; per i due eroi faccio approntare un tavolinetto sull’erba. Oh, come vorrei già rilassarmi con uno dei due. Li vedo che parlano, brindano, fanno amicizia. Eppure…eppure forse fra neanche mezz’ora uno dei due ucciderà l’altro. Che eroi ! Che fortunata sarà la fortunata, cioè io ! Riprendono, ecco che si riprende. Ora muta la tattica: stanno lontani, in attesa dell’errore e del crollo alrtui. Nel frattempo si assiste al crollo di qualche spettatore immediatamente portato via dai lettighieri con garbo per non spaventare la folla e poi scaraventato in qualche fosso fuori dall’arena. La sera trova i due instancabili accovacciati a distanza e io faccio servire la cena. Che vedo, oh che vedo ? Oh. L’oscurità mìimpedisce di scorgere i loro volti. Si levano gli elmi e cenano. Che scorgo, oh che scorgo ? Il gran ciambellano si stacca dal tavolo e viene cerimoniosamente da me, sale, mi porge un biglietto. Oh emozione, qual messaggio d’amore ? Oh, rapimento d’estasi. Leggo frettolosamente ed affrettatamente, rileggo salivamente. Oh, numi del genio divino che sorgi a mezzanotte del mezzo del mattino !
Legge: <Signora, la disfida è patta ! Ci siam battuti con tutte le nostre forze, abbiamo scalato le montagne, guadato i guadi, ingoiato la sabbia del deserto, penetrato il centro della Terra, attraversato il Circolo polare artico a piedi nudi, inseguito i venti, raggiunto le bufere, distrutto l’antro del Male, purificato le coscienze con l’acqua sacra del ruscello incontaminato del pendio scosceso della Cordigliera delle Ande. Signora, la nostra forza e la nostra purezza d’animo ci portano a ritenere che nessuno mai al mondo sarà degno delle vostre grazie. Qualunque decisione aliena farebbe scatenare le belve più feroci, gli elementi più violenti. Siamo pronti alla rinunzia, ebbene sì, alla rinunzia (Giulia si commuove, si asciuga con la sciarpa autentiche lacrime). Signora, il nostro sacrificio è immane: ma siamo pronti a sposarvi entrambi, per rendervi doppiamente felice. O a sparire nel silenzio>.

Giulia si ferma un attimo. Il divertimento della narrazione, durante la quale ha dato fondo alle sue formidabili risorse di fantasia, di mimica più divertita, adesso la turba. S’accorge della sciarpa che stringe e se ne libera con fastidio. Gesticola, riflette, Va a racchiudersi protettivamente in un angolo estremo.
Giulia. - Due uomini, eh ? Ogni volta che vado a ruota libera mi si ripresentano due uomini. Mah, eppure non è mai successo. Ma non mi è mai successo perché non ho voluto oppure perché non è capitato ? E qui si tratta di due uomini assieme, non uno ufficiale e l’altro di nascosto, di due che sono d’accordo. Sai che turbinii che scrivessi racconti. Se già ora…I due cavalieri senza macchia e senza paura pronti a con-dividermi. Ahhhhh….
Lunghissimo stavolta il sospiro, e ora prende a muoversi leggera, come sospesa, incantata, un filo di voce.
Mi solgono i veli, mi accarezzano, sono tutti per me, le loro attenzioni tutte per me, per amarmi totalmente, assolutamente, appassionatamente. Sì, sì (si affanna, si fa sempre più ansimante, sta desiderando realmente un amplesso). Meraviglioso, meraviglioso, oh sì. Ma perché vai via ? Perché mi lasci ? E tu, perché vai via anche tu, perché, perché ? Che avete da guardarmi, oh giusto ora, che avete ? Avanti, parla, ti imploro, meraviglioso cavaliere. NO, NOOOOO ! (grida, ha ricevuto la riusposta, si getta per terra, striscia, le mani al cielo invocative). Non sono più vergine, non sono più vergine sì è vero. Fu Goffredo il gaglioffo a trarmi in inganno, ma ho sempre desiderato uomini come voi. NON ANDATE, NOOOOO ! Perdonatemi, farò tutto quello che vorrete. I patti ? Come, i patti ? Il contratto del bando ? Quale contratto ?
Si accascia sconsolata, amara. Smozzica sibili di parole.
I patti…i patti. Gli uomini te li rinfacciano sempre i patti. Loro riescono a non rispettarli e a dimostrarti che però li hanno sempre rispettati. Noi siamo le stronze e puttane e tradimentose. Mai fidarsi delle domme, si dicono passandosi la consegna come fosse il grande segreto, il patto sotterraneo. In realtà poi si fidano, si fidano : fin troppo ! Ti credono alla lettera, pendono dalle tue labbra, tesoruccio mio e amoruccio mio. Ci rimproverano che non siamo sognatrici, idealiste. Io…io…sapete quante volte mi son sentita rinfacciare di essere troppo concreta, di badare al sodo ? Di…di…non lasciare spazio ai miei voli, cioè ai suoi, arrivò ad accusarmi quel mammone di …E sapete perché ? Perché fare solo quello che gli pareva, e con la mia approvazione punto. E io: sì tesoro, va bene tesoro. E che ero, sua madre ? Pure i complessi di colpa per quel povero genio dalle ali tarpate, quall’altra là, Cigna. Per lui volare significava stare con due donne, contemporaneamente e pubblicamente e col permesso di entrambe. “Sai a te voglio bene, non potrei vivere senza di te”, e poi se ne andava da quall’altra a cui diceva la stessa cosa, o viceversa. Finì che lo mandammo a quel paese di brutto, io e quell’altra che manco conoscevo, nel corso del medesimo week end: una di sabato e l’altra di domenica. Ora è un uomo posato e sposato. Ovviamente con l’amante che lo coccola.

Una scia nel cielo scatena i miagolii gatti, un’intensa striatura nel blu fondo di una serata perfettamente sospesa, assoluta. 
Entusiasta, infantile, allegro, sregolato eppure preciso nei suoi bisogni e bisognini. Sempre pronto a sfornar progetti, nato con la camicia. Sorridente, affascinante, accattivante, amico di tutti e di tutte. Sempre pronto a confidarsi con le donne, a raccontare tutto “tanto siamo amici e di te mi posso fidare”. E poi le donne gli si affezionano e se lo…e pure io me lo sono…e ancora mi piace quando lo incontro inappuntabile, profumato, rasato sbarbato, sorridente. Mi piace e lo detesto. Sono scivolata via dalla sua vita come le altre. 
Si blocca improvisamente come presa da folgorazione. Adesso accompagna un soffio, danza con un fantasma.
Sì lo so che tu mi amavi, ma io non potevo amarti perché forse ti amavo troppo. Non volevo un coinvolgimento viscerale con uno come te: intrattabile, trascinante, collerico, presuntuoso, irascibile, ostinato, ipocondriaco. Formidabile. Non avevo voglia di affondare. E vestivi male, ed eri vero. Lo ammetto: noi donne preferiamo il finto-che-piace all’autentico-che- puzza. I veri artisti che soffrono per le donne fino a morirne, bah è roba superata.

All’ultima parola strascicata, Giulia si à accasciata a braccia larghe sopra un divano o poltrona su cui si apre una luce diretta. Adesso rimane come straniata. E’ in preda a facili rimpianti, i tipici che sorgono in una donna sull’onda di un’emozione epidermica. Quelli veri infatti sono riposti in forzieri di metallo acuminato a cui nemmeno le depositarie riescono più a metter mano. O non vogliono. Giulia pure ha i suoi scheletri nell’armadio, i suoi rimorsi. Ne è tuttavia consapevole, specie per gli effetti, le conseguenze. Adesso sta rivivendo vicende, atti, momenti. 
Si alza, va alla finestra, l’apre. Il mugolio dei gatti si fa armonioso. Giulia si siede a cavalcioni, esita un po’, quindi si cala giù, scomparendo dalla scena. Il concerto dei gatti si attenua, quindi diventa più sonoro, sorta di sottofondo musicale aggraziato. Giulia è andata a finire in un giardino pensile di cui non conosceva l’esistenza. La sua voce arriva adesso da fuori, di lat.

Giulia. Ho sempre desiderato calarmi dalle finestre e finire in luoghi misteriosi circondati però da alte mura. Sì. O anche volare e precipitare coi brrividi brrividi e non si sa se si apre il paracadute perché ti sei svegliata prima. Ovunque delle mura, o pareti al lilite; pareti interamente composte da alberi non necessariamente infiniti; mura propriamente dette, ottagonali, triangolari, a mattoni meglio, o meglio ancora un misto mura-alberi-rampicanti. Io ci casco dentro, impauritissima, mi faccio pure un po’ di male, non molto: sbucciature, strappini, graffietti. Mi è sempre piaciuto avere le ginocchia graffiate. Mi trovo in un luogo sconosciuto, pauroso buio; aggiungiamoci tempesta e bufera. Ma è pur sempre un luogo chiuso. Ora, che ho voluto provare – ci pensavo già da piccola – mi sto ritrovando in una situazione che ho sempre sognato. Visto che c’è voluto ? E’ bastato davvero scendere dalla finestra, oplà. Non sono nemmeno precipitata, ho solo seguito un cornicione che mi sembrava più interessante degli altri. Bah, strano però ‘sto giardino, messo qui in un punto della città dove nessuno se lo potrebbe mai immaginare. In ‘sto palazzo poi, dove appassiscono perfino le piantine dei balconi…Beh, e che strane piante…e come hanno fatto ad attecchire ? Mai vista roba del genere, manco al giardino botanico, e dice che è uno dei migliori d’Italia. Sì, ma qui che ci faccio ? Che si fa ? Vado via ? Ahhh, si sta così bene: potrei venirci ogni volta che avrò bisogno di un momento per me. Già, e se mi scopre il padrone ? Perché un padrone questo giardino dovrà pur averlo, no ? “Non c’è giardino senza padrone”, recitava quello studioso americano, “sessuologo della sfera”, mezzo tedesco e mezzo russo nato a Long Island da madre portoricana. “Dei giardini conflittuali”, debbo leggerlo, così mi confondo ancor più le idee. Oppure fa “Dei labirinti e dei loro guinzagli” ?
Credo, credo di non aver memoria, è come se la mia vita non debba lasciar tracce. Una stella cadente, una stella cadente, presto, presto un desiderio…Ma che fa quella stella cadente, prosegue ? Lampeggia ? Oh, è un aereo. Ora confondo le stelle cadenti con gli aerei, brutto segno. Massì, non è che ci tenessi molto a quel desiderio, l’ho espresso oramai, ma non vale. Non vale perché non vale più oppure perché è stato bruciato nell’attimo stesso che l’ho pensato ? Tornerà ? La serenità, ecco: cerco più la serenità che la felicità. La felicità non esiste, è uno sprazzo, un’ondata, un’esplosione. Come il tipo d’amore in cui credevo un tempo, per la verità fino a non molto tempo fa, per la verità fino a ieri o un’ora fa.

Giulia adesso appare e scompare dall’aldilà della finestra. S’aggrappa, finge di scivolare, saltella sul cornicione divertita, sfuma, riappare.

Tutti mi dicevano, compresi i miei genitori: vedrai che passati i primi momenti d’entusiasmo sarà diverso, tu li continuerai a cercare, ma non riappariranno mai più, e allora si dovrai arrangiare con l’amicizia oppure, se sarai fortunata, con le affinità. Esperienza. Uffa con ‘sta stramaledetta esperienza. Cigna si riempie la bocca: esperieaaaaaanza.
Guarda guarda, un altro aereo, quanti ce ne sono stasera, bah. Ehi ehi precipita, sì sta precipitando, è precipitato. Ma non è esploso, niente fiammata booom…Che scema, era questa la stella cadente. L’aspettavo da tempo. E per forza, vuoi che con tutte quelle stelle lassù, stasera non se ne staccasse qualcuna per precipitare quaggiù ? Ecco, te la sei persa, cara Giulia. Uh, le lucciole, però ci sono le lucciole, quelle che si prendono in mano e ti regalano l’ultimo attimo di luce prima di svanire. Lucciole, ferme.
Ne afferra una, la rimira, l’ammira raggiante.
Lucciole, non fate come le stelle cadenti e gli aerei. Brava, brava (si rivolge alla sua lucciola), bella fluorescente lucciola, dimmi dimmi: vuoi restare con me per sempre ? Io non ti disturberò, sarai il mio segreto, non ti mostrerò al mondo se tu non mi vorrai. Ti terrò con me per guardarti e carezzarti ogni tanto. Sarai il mio soffio di luce, la mia ispiratrice, il mio portafortuna. Dài, non scomparire.
Soffia, allarga il palmo: la lucciola non c’è più, dissolta.
Addio, grazie lo stesso: mi hai dato molto più di tantissima gente. Ammenochè, ammenochè non se ne sia andata perché non è stata pagata, pagata e contraccambiata. Dice che di questi tempi nessuno fa niente per niente. Di questi tempi. E in altri ? Lo so che si paga tutto nella vita.
Si slancia e si scatena, presa da lucida ispirazione, gli occhi e la bocca saettanti verità che provengono dal fondo del fondo.
Si paga tutto, ma non è poi così scontato, automatico. 
Incrostazioni di delucidazioni di alambicchi di forcelle
Svariate volte potè accadere che le apparve in sogno una notte buia e tempestosa
e priva di lapilli 
Quella notte buia e tempestosa era tuttavia priva di tormenti nonché di estasi
Era stata annunziata da sinistri manubri apparsi nei crocevia più disparati
da rimbrotti rancori ràncoli cordoni ombelicali trombe celestiali
Era stata annunziata da annunciazioni
Io ero piccola per quel periodo
Ovverossia che anche ieri ero piccola e l’altro ieri
Sprukk rumore di sementi che frùsciano allargate nello spargimento
Sprukk, e spruscc a seconda del tipo di terreno
La banda dei manigoldi ha perduto parecchie posizioni
Poiché non si è accorta delle zolle infiorate
Inarrestabili respiri reticenti attendono l’ora giusta per dimostrare sintonia coi boschi
Chi glielo dirà che verranno radunati in un serraglio ?
Addossati alla parete verticale che li proteggerà da tutte le intemperie
Senza averne niente in cambio
Pazienza se i corpuscoli si agghindano per scivolare negli àmbiti
Scialacquatori, scommettitori, imbonitori, domatori:
non tralasciate di onorare le feste comandate

Io non muoverei un dito per quegli astronauti abbandonati nello spazio: ridono già troppo di me e ne ho le prove. L’altro ieri uno di loro è sceso giù a fare la spesa e l’ho incontrato qui sotto in salumeria. Tipaccio. S’è lamentato dell’aumento del costo della mortadella e ha minacciato il titolare che non sarebbe più tornato. E quello gli ha fatto lo sconto. L’astronauta-tipaccio uscendo m’ha guardato di sbieco e s’è messo a ridere stridulo sguè sguè.

Laggiù c’è un sentiero che ci metterà al riparo da ogni respiro
Raggiungendolo ci renderemo finalmente conto di
Ogni amore andato assomiglia ad un’intercapedine d’introspezioni

Mi vergognai quel giorno che dissi a lui: “del resto fra noi due cosa c’è stato ?” Credo che non si mise nemmeno a piangere tanto era esausto. “Vero – quando se ne andò impietrito -, non avrei dovuto trattarti come una Regina”. Umiliazione, amaro goccio. Girai l’angolo senza fiatare. Scatto secco per ritrovarmi in un’altra strada. Mi telefonava, mi aspettava, mi mandava rose e poesie, anche belle. Belle di sentimento. Ora ogni tanto le riprendo e le annuso: belle. Ma che futuro mi avrebbe dato ? Mi sussurrò che voleva un figlio. Io…io non potevo…stretta fra due cuori…la precedenza a quello collaudato e speranzoso che s’era fatto pure il mutuo della casa. Che gli andavo a dire: ho incontrato un poeta ? E il mutuo ? E le pubblicazioni ? Addio mio petalo di rose. Ffffff…


Giulia si alza dal nascondiglio, si scuote, si muove, ritorna dentro la stanza arrampicandosi dalla finestra. Fischietta basso, sempre come un soffio. Compie un giro nbella stanza come se dovesse rimettersela in mente nuovamente. Si riaffaccia. Attacca musica da un box, un lento da cui si lascia cullare.

In fondo, non è così importante, l’aoountamento di questa sera. E’ un appuntamento, sì, ma non L’APPUNTAMENTO. Tararì tararà (volteggia). E’ che non si riesce mai a distinguere, l’appuntamento quello giusto decisivo determinante. Dici che sta qui il gusto di pizzico di mistero della Vita ? Sarà, ma io preferirei evitare le sorprese, specie se spiacevoli. Odio l’incognito e le avventure; preferisco le certezze, e anche le sicurezze. “M’introduco in ogni direzione ma non so dove vado…”, puah, chi l’ha scritta era infantile. Ogni direzione, ma scherziamo ? E quant’è ogni direzione ? E dov’è ? Io m’introdurrei in una sola direzione e definitiva, altrochè. Vigliacca ? No, realista. Infantili quelli delle mille direzioni, del domani non sappiamo, della Vita-come-avventura-infinita, anche perché la Vita infinita non è. Infantili, gente che non si accontenta dell’oggi e di ciò che ha e lascia parte va vola talvolta. Sì, non nego che qualcuno ce la farà ad inventare il vaccino anticancro e l’elisir di lunga vita partendo dall’osservazione dello sciaff delle onde di un pomeriggio di media intensità. Ma uno, UNO di quattro miliardi di abitanti attuali viventi. Sì, un altro inventerà il volo senza ali partendo dallo studio dei movimenti di una foglia che negligè sull’impermeabile appena uscito di smacchiatoria. 
Irritata- Questi sono avventurieri della Vita, però sono anche i più alla moda, invidiati, invitati, vincono i Nobel. L’altra sera sulla scalinata della sfilata di moda ce n’erano un paio, corteggiatissimi con quella loro aria di chi è lì per caso e deve andare.
Riprende a dondolarsi con malizia. Uhm, uhm. Dice che sono tutti froci; a me non sembrava: eleganti, raffinati, profumati, non necessariamente froci. Un bell’uomo, bello da manuale, per forza deve appartenere alla categoria dei diversi ? Oh, io non ho nulla contro di loro, lo giuro. La verità…la verità è che gli uomini ci hanno fregate sempre, con la teoria dei belli e dei brutti creata a propria immagine e somiglianza. Una donna dev’essere obbligatoriamente bella, e bbbona. ah bboooona (sculetta); per un uomo vigono altri criteri: possono essere anche brutti, ma brutti davvero, o con la pancia, o pelati, o secchi secchi, e andar bene lo stesso. Noi dobbiamo farci belle per loro, e più tempo e più dobbiamo mantenere la linea e la pelle morbida e pofumata. Un uomo brizzolato è affascinante, una donna brizzolata…avete mai sentito di donne brizzolate ? Stronzi !

Sputa dalla finestra come in faccia a tutti gli uomini stronzi. Quindi cambia musica. Si affaccia, guarda il punto più alto del tetto, decide di raggiungerlo. Utilizza una scala che compare, illuminata e magica. Sale, Giulia, sale fino a sbucare sul tetto con le tegole. S’è sfilata le scarpe, nel tragitto. Ed ora volteggia in qualche modo mimando una ballerina classica, una sonnambula, facendo il verso ad un uccellaccio. E’ spettrale quando, le mani atteggiate a grandi ali, freneticamente aumenta la velocità dei movimenti.

Giulia- Mi butto ? Oh sì mi butto. Mi butto hop di qua, di là. Giù giù a capofitto verso il fondo verso il mar verso il centro della Terra. Uhhhh, uhhh. Mi butto e se non mi piace quello che trovo e se il volo in basso non m’è riuscito bene risalgo e mi ributto. Tutte le volte che mi va, anche tutta la notte e domani notte. Dopodomani no. Signore e signori, popolazione delle popolazioni, assisterete adesso al fantasmagorico numero della Giulia che si catapulta verso il basso alla stessa velocità di un passero che plana verso l’altopiano degli Urali dopo averla scampata bella.

I movimenti di Giulia adesso si fanno più lenti, quasi un ralenty in cui lei, a testa in giù, percorre spazi, colori, ambienti, spezzoni di spezzoni. Si vede solo Giulia a testa in giù: il tetto è diventato un caleidoscopio. Dura a lungo, caduta e discesa e planata accompagnata da musica scompaginata plink plunk uahhh stong, archi pianoforti beatles plink cuorematto Sahamoto. Alla fine si adagia coricata su un lato, stanca. Un caleidoscopio alle sue spalle trasmette figure sufficientemente distinguibili. Sono i suoi fantasmi.

Giulia – I miei fantasmi, eccoli che sfilano ad uno ad uno come se si fossero dati convegno tutti qui, stasera. E’ strano come ogni gesto ci riconduca sempre al passato anche se è al futuro che tu stai pensando. Pensando, semplicemente pensando, neanche dico: progettando. I tuoi fantasmi. Ciascuno ha i propri, almeno credo. Non sono mica certa che tutto quel che succede a me debba accadere anche agli altri. Niente affatto per nulla. Chennesò di quello che passa in testa alla gente. Non siamo mica fatti con lo stampo, o no ? Ora sto qui a vedere scorrere i miei fantasmi e m’aspetto che pure la Cigna stia nella stessa condizione medesima. Quella, tsk chissà in quale guaio si è cacciata in questa mezza giornata che non ci siamo sentite. Manco ti giri e zac: la Cigna è nei guai. Ha bene a blaterare, lei, che sono sempre io a cacciarmi nei guai. Io…ah io (dispettosa) che sono la prudenza personificata, la razionalità razionalizzata, il passo mai più lungo della gamba, il centimetro più corto di un millimetro, moglie e buoi dei paesi tuoi; la comoda scorciatoia per raggiungere la strada più larga e dritta; l’anamnesi della catarsi; la Giustizia nella bilancia.

Azzarda un movimento a spaccata. Il panorama dei tetti appare sommerso in una nebbiolina riverberante, l’incontro con la Luna viene rischiarato da fari consacratori puntati verso Giulia che s’atteggia via via ad eroina, o grande atleta, e tira fuori drappi di bandiere (italiana, statunitense), cappelli, medaglie.

La Statua della libertà, la Grande Mamma, la Marianna, Giovanna d’Arco ! Io sono tutte loro, sono LA DONNA CHE TUTTI DOVREBBERO AMARE ! Pepperepè perepè. Grido ? Grido, tanto stasera solo i gatti mi stanno a senti’. Io sono convinta di essere la migliore persona che abbia mai incontrato. Ohhh, che c’è di male ? Mica lo vado in giro a spargere ai quattro venti. Nessun altro sarebbe d’accordo con me. Manco colui che si innamori follemente e velocemente e ciecamente. Io ho avuto meno dalla Vita di quel che ho dato ed ho meritato. Dice: ma hai rifiutato questo e quello, hai sperperato. Sì, ma non lo sapevo. Capriole e salti mortali non ne so fare, oppure oppure…..stasera ho una voglia…una voglia….AHHHH

Si scatena in una forsennata corsa sul tetto che ridiventa caleidoscopio, corre con l’urlo in gola che via via si trasforma in melodia od ululato o coro greco. Il caleidoscopio gira, ruota. Giulia ha un ghigno formidabile, corre in braccia alzate incontro a qualcuno o qualcosa. E’ come se attraversasse un percorso desiderato e temuto. Mai osato. Quando si ferma, l’urlo stacca di botto. Luci di normalità.

Giulia – Eppure sto in piedi, sono ancora viva e vegeta. Vedete ? MA MI VEDETE ? VI SIETE ACCORTI DI ME ? Ho sempre il timore di passare inosservata, che tutti i mei gesti, i miei acuti silenzi, le mie paranoie, non siano degni dell’attenzione altrui. Che altre, né più belle, né più interessanti, riescano dove io non sono riuscita. Solo che non lo so, non lo so davvero dove ce l’ho fatta e dove no. La Cigna dice che sono troppo sicura di me e che gli uomini preferiscono esserini fragili. Lui, che è tutto fuorchè fragile e comanda sempre lei e decide tutto lei. Io pure, ma meno di lei. Ma sono loro, gli uomini, che ti si presentano come fragili e bisognosi di affetto, nonché di cure e di assistenza. La pazienza materna ci scorre nelle vene e ci costringe a genuflettersi davanti all’altare. No, Cigna cara, non mi puoi accusare di incoerenza. Guarda, guarda anche tu.

Scorrono delle immagini di Giulia bambina, adolescelte, ventenne, fino ad oggi. Sempre la stessa espressione, dai primi piani, e uguali le pose per i fotografi. Giulia rimane a guardare assorta, e assume l’atteggiamento suo medio, l’espressione costante dell’intera sua esistenza.

Giulia - Fa impressione scoprirsi uguale come a cinque anni, quando ordinavo le bambole ordinatamente in uno spaccato di casa che somigliava alla mia ordinatissima e tranquillissima e rassicurantissima. Non si può pretendere altro da ciò che si è. Inutile camuffarsi, giusto truccarsi. Sbagliato fingere, sacrosanto fingersi. Finiranno in una bolla di sapone tutti i tuoi sogni ridondanti, le bolle di sapone che ora le bambine non fanno più e io invece non vedevo l’ora di affacciarmi al balconcino interno quello che dava sul cortiletto interno dove c’erano i bambini che giocavano a pallone e ogni tanto tiravano pallonate che arrivavano sui tetti e sui balconi e io ero felice se il pallone finiva da me e loro dicevano “palla” e gliela tiravo giù con un sorriso staccando un momento dall’aria trasognata mentre con una canna e una latta producevo bollicine in gran quantità che prendevano il colore azzurrino e rosa a seconda del cielo che faceva quel giorno di solito verso le tre o le quattro del pomeriggio chè dopo scurava e i ragazzini li chiamavano le mamme già tutti sudati e impolverati e io dovevo andare a far merenda anche se sarei rimasta ore ed ore a vederli giocare e fare bollicine e rilanciare il pallone. Uno di loro, che sembrava il Capo per come si muoveva ed agiva, sempre per conto suo, sempre che decideva lui a che gioco giocare quel pomeriggio e pure le formazioni, un giorno portò un giochino che dal mio balconcino non riuscivo a vedere bene anche perché si sedevano per terra a cerchio, silenziosi, e poi : “huà huà, hai perso tu, no si è mosso, huà huà “! Era molto fiero del suo giochino che portava nella tasca della giacchettina rossastra col collettino e le maniche e le tasche di pelle scura. Il cappellino ce l’aveva con… le toppe per coprire le orecchie e lui arrivava col suo cappottino pulitino pulitino golgolante, si sedeva giusto il mio balconcino chè io dovevo sporgermi quasi tutta per vederli huà lassotto. Finchè mi decisi e scesi in cortile, unica fanciulla che avesse osato delle tante del condominio. Mi guardarono, smisero persino di giocare a pallone –poco-: quelli del cerchio erano cinque o sei, lui intento al gioco e quasi non s’accorse di me. Che gioco ! Cento mettiamo batsoncini fini fini colorati che si buttavano a terra e bisognava rimuovere senza che gli altri si muovessero. Roba cinese o giapponese capitata in quel cortile chissà come. Chiesi se potevo giocare anch’io. “Mi fate giocare con quei cosi ?”, dissi. Silenzio. Diventai rossa ma mi sedetti vicina a lui, che s’innervosì e perdette la partita. E ne ero felice. Finito il turno mi guardò poco a poco e sempre a metà sguardo; prese i bastoncini: “tieni, gioca tu al mio posto”. Diventai campionessa, praticamente imbattibile in qualche giorno, ammessa al circolo. Ma con lui non ho mai giocato, nemmeno dopo.

Respira dolce, ha raccontato fra il divertito e il trasognato, concentrata, liberata, scaricando il peso del ricordo di quei pomeriggi in un andante definitivo.

L’ho rivisto. L’ho rivisto: era lui sicuramente. Ingrassato sì, una barba rossa ramato e girava per i negozi del centro distratto, assente, sorridente. Sorridente, non sfottente attenzione: sorridente contemplativo, ecco. Entrava e usciva guardando chiedendo ma come se non guardasse e non chiedesse. Copricchiava qualcosa qua e là, tornava indietro in cerca di una idea che aveva smarrito metri prima, per riprendersela e portarsela con sé. Più volte mi ci sono messa davanti, accanto, a sfiorarlo, a lambirlo. Al caffè dove è entrato, che scemo, sentite che ha fatto: è entrato nel caffè coi tavolini sul retro della piazza; al bancone ha ordinato un caffè, poi preso da folgorazione ha detto “torno subito” e in effetti due minuti dopo è rientrato con un giornale in mano. Ha bevuto il suo caffè, ha pagato ed è riuscito per rientrare subito dopo ed andarsi a sedere ad un tavolino con vista in piazza. Ha aperto il giornale con la pagina dei cinema e dei teatri, lo ha richiuso subito, s’è alzato lasciandolo sul tavolo, è andato alla cassa a pagare un altro caffè, che non ha consumato e neanche chiesto, ed è uscito infilandosi in quella gigantesca cartoleria a due piani che fa angolo. E…e lì l’ho perso. Laddentro è riuscito a scomparire, o forse chissà s’è smarrito definitivamente inseguendo i suoi tentativi. E…e…ma certo ! Era vestito esattamente come da bambino, ma uguale uguale ! Gli mancava solo il berrettino con la fascia copriorecchio ! E m’è sfuggito ancora !

Giulia è più pensierosa che triste. La memoria l’ha rafforzata, le ha riconsegnato un senso, un sapore della vita troppo dimenticati e trascurati. Decide di tornare giù in casa, e si muove lentamente per la scala. Nello scendere, scompare dalla scena. Nitida la sua voce scandisce da fuori :
Poesia della strana notte
Che non conosce rimpianti
Che non prevede accidenti
Che rimanda a tutte le notti precedenti
per evitare scoramenti 
e spiccare il volo verso luoghi incerti sconosciuti
incontaminati
dove è pure possibile accarezzare uno sberleffo uno sputo
un bagliore mica male condensato
in attraversamenti d’ogni genere
mentre il mondo qualche giro a vuoto fa
senza accorgersene
senza crederci
Paludato mondo oramai esasperato
appesantito da fardelli di circostanze incertezze
misteri a perdifiato

Giulia riappare, scarpe in mano, turbata; compie un paio di giri nel silenzio più assoluto. Riapre la finestra e non c’è più il canto di gatti. Di sotto, il rumore del camion dell’immondizia con voci di uomini: tira, alza, forza dài, aspetta”, sbam.

Giulia - Ehi di laggiù, avete bisogno di aiuto ? Sono qua, io, sì (gesticola). Vi serve una mano ? Che c’è da ridere (sghignazzi, da sotto) ? Non chiedo nulla in cambio. Intanto…intanto aspettatemi, che stasera non l’ho ancora buttata, l’immondizia. Eh, vi tocca portar via anche la mia. La vado a prendere. Come ? Mi sbrigo ? Certo che mi sbrigo, un attimo di pazienza, per dio, siete pagati per questo. Fumatevi una sigaretta, vi scendo giù una bottiglia di whisky invecchiato dodici anni…
Da sotto lazzi e fischi: “ma che vuoi, spicciati, lasciaci lavorare, vai a letto, ma non ce l’hai un letto ?” Uah uah spfiffiù spatacciù.

Giulia grida talmente che li zittisce: DOVETE, dovete aspettarmi ! 
Si procura un sacchetto che riempie di cianfrusaglie afferrate alla rinfusa. Lega il fardello. 

Giulia decisa – Eh, no. Attraversano tutta la città e poi fanno i preziosi a ritirare proprio i miei rifiuti meravigliosi. E’ come se rifiutassero me, quei netturbini di merda che si sentono chissachè. Presuntuosi superbi bulli che raccolgono gli escrementi della giornata di migliaia di persone di popolazione di genti. Solidi quintali che loro passano al setaccio risistemano ricompattano con indifferenza, fischiando e sbuffando e sputacchiando. E fischiettano con quel loro zufolare tipico sghembo (continuano da giù canti e lazzi e fischiettii), come se si trattasse di una pratica da evadere in fretta perché tanto c’è altro di più importante appena avranno finito. Invece no, non sanno che il loro valore si esaurisce lì, ora lassotto. 

Il camion sta per ripartire. Da sotto i netturbini la reclamano, la chiamano: “dài, forza, scendi, ti aspettiamo fffui”. Stumb stumb.

Scendo, scendo. C’è poco da scherzare. I rifiuti vanno presi sul serio, come il bang supersonico e i fulmini e saette e i tuoni e il precipitare nel gorgo del viluppo risucchiati da un soffio ai quattro venti. Eccomi, arrivo, E fatemi spazio, in quel trabiccolo. Verrò con voi.

Si rimette le scarpe mentre lo scandire del mezzo si fa ritmo universale totale. Si ritrucca con cura, frenetica. Pone una mantella sulle spalle, spegne le luci, le riaccende per una panoramica finale. Chiude la finestra. Afferra il fardello. Esce sbattendo la porta. Buio totale e motore del camion che riparte.

Sipario.

Fine.