PERCHE’ SIAMO UNA PERSONA SOLA

ATTO UNICO
Monologo di

Francesco Chianese

UNO

SARA: (una sedia al centro. E’ seduta, deve avere dei lividi in viso. Si immagina un     commissariato) (quasi ironica) Si, è tutto vero signor commissario. Lo ammetto.
Vuol sapere se sono pentita? Mi dispiace ma non lo sono. 
Le cose non capitano mai per caso ne’ da sole. Doveva capitare e basta. Tutto è scritto.
Significa ch’era scritto che ci saremmo dovute incontrare. Tutto il resto è semplicemente     una diretta conseguenza. (si alza)
Faceva caldo quel giorno, signor commissario, nonostante fossimo ancora a maggio        sembrava di essere nel pieno dell’estate.
La temperatura nel cruscotto della mia nuova fiammante 500 bianca segnava 32 gradi.     Climatizzatore posto sui 21, vestita soltanto di prendisole azzurro a coprire un costume     due     pezzi dello stesso colore, il mio inseparabile cappello di paglia, rispolverato dopo un inverno     di tutto riposo, occhiali rigorosamente scuri e subito alla ricerca di un posto tranquillo dove     farmi baciare dal primo sole    veramente caldo.
Fermo l’auto e la parcheggio il più vicino possibile al pezzo di spiaggia dove, da lì a qualche     minuto, avrei rilassato il mio corpo.
Chiudo lo sportello, ma non prima di mettere davanti al vetro anteriore, all’interno dell’auto,     un parasole grande quanto tutto il vetro. Signor commissario, ci tengo alla mia macchinetta.
Do un’ultima occhiata alla mia quattroruote, borsa in spalla e mi incammino verso la     desiderata spiaggia.
Nemmeno il tempo di fare una trentina di passi che le mie orecchie diventano testimoni di     un sospettoso botto. Giro velocemente, preoccupata, lo sguardo verso la mia amata vettura     e… cosa tremenda… vedo una panda vecchio tipo di colore blu col muso, quasi del tutto,     dentro la mia giovane auto. E’ andata direttamente contro lo sportello lato guida, secondo     me, senza azionare assolutamente il freno.
Caro commissario, posso capire essere investita da un mercedes o al limite da un’audi ma     da una panda e per giunta del vecchio tipo non lo posso accettare.
Si lo so… mi sto perdendo nei dettagli signor commissario, ma me lo ha detto lei di     descrivere ogni cosa minuziosamente.
Non ricordo quale fu la prima parola che mi uscì dalla bocca ma non credo sia stata molto     gentile.
Dalla panda uscì… lei… Renata… mi disse in seguito di chiamarsi.
Era molto terrorizzata e la prima cosa che chiese ai presenti fu: l’avete visto? Che si è fatto?     Non mi dite che l’ho investito…
Chi… chi hai investito razza di imbecille. Mi hai ridotto l’auto un cumulo di macerie e     chiedi se lo hai investito? Chi avresti dovuto investire… rincoglionita…
Be… so di non essere stato una campionessa in fatto di cortesie ma ancora ho i crampi alla     mano dei fogli e dichiarazioni che ho dovuto firmare per il finanziamento per l’acquisto     della 500.
Il gatto… rispose lei.
Il gatto?...scusa hai detto il gatto?
E tu per evitare di investire un gatto hai ridotto la mia 500 al massimo in una 300?

DUE

Signor commissario, l’automobile mi è venuta come nuova. Ha pagato la sua assicurazione.
Ho detto come nuova ma sempre di una cosa riparata si tratta.
La mia auto nuova lo era veramente, neanche un mese di vita, e all’improvviso, un incidente     ed è diventata vecchia.
Menomale che ero già scesa dall’auto, se fossi rimasta un paio di minuti in più non sarei qui     a raccontare l’accaduto e probabilmente sarebbe cambiato il corso della storia.
O forse no. Tutto è scritto. Sarebbe successo in ogni caso.

TRE

Dopo l’incidente non la vidi più. La rincontrai sette mesi dopo. Era il periodo di natale.
La incontrai in un centro commerciale. Io ci ero andata per comprare gli addobbi per     l’albero. Lei… per il presepe.
Ero in coda alla cassa distratta come sempre.
Non mi accorsi che proprio al mio fianco c’era Renata: ancora seccata con me per     quell’incidente?
Assolutamente no. Ormai è cosa vecchia e l’auto è riparata, le risposi.
Per farsi perdonare ulteriormente mi invitò a prenderci un gelato.
Nacque una bella amicizia. Non c’era giorno che non ci sentivamo o vedevamo almeno una     volta.
Stavo bene con Renata e Renata stava bene con me.


QUATTRO

Signor commissario, com’è che si dice di noi? Ci si chiama in tanti modi perché la parola “lesbica” fa paura. Ma credetemi una lesbica non morde. Io amo. Amo allo stesso modo degli etero. Forse ho avuto il torto di amare una persona sbagliata… ma anche questo era scritto.
Un amore non nasce per caso. Esiste da sempre. E’ nascosto chissà in quale angolo del mondo che aspetta soltanto il momento di venire allo scoperto per essere colto come un fiore dalla persona amata.
Renata è sempre vissuta dentro di me, nascosta in un angolo del mio cuore, finchè il destino ci ha fatto incontrare, uscire allo scoperto e fatto innamorare così com’era scritto.
Ed è scritto che lei vive e vivrà sempre dentro di me.

CINQUE

(arrabbiata) Renata, perché… che c’entra Luciano. Io ti amo più di quanto ti possa amare Luciano. Io ti do cose che Luciano ti fa solo sognare.
Renata… non riesci più a ragionare. E’ me che ami. Non puoi amare Luciano. Lui non ti ama.
Renata… non puoi farmi questo. Non puoi chiedermi questo.

SEI

Signor commissario, fino a che punto si può amare una persona? Io ho amato fino al punto estremo: quello di spersonalizzarmi, di non riconoscermi più.
Ero diventata la schiava di Renata e Renata… la schiava di Luciano.
Luciano mi toccava ed io lo lasciavo fare perché era questo che Renata voleva perché… lo voleva Luciano in cambio delle sue carezze.
Ero l’oggetto dei desideri di Luciano alla presenza di Renata e… più lo     soddisfacevo e più     mi sentivo sterile e sporca.
Sporca, signor commissario… sporca dentro e sporca fuori. Odiavo Luciano… che mi faceva sua… Odiavo Renata e le sue silenziose lacrime mentre Luciano mi faceva sua. Odiavo questa mia forma di schiavitù, ma non riuscivo a venirne fuori.

SETTE

Non cerco giustificazioni, signor commissario. Amare non è mai un errore. Ed io ho amato Renata con tutto il mio cuore.
L’amore non può fare vittime ed io non sono, né mi sento vittima né carnefice perché sono innamorata dell’amore.
Non mi pento di avere amato così tanto, mi pento di non avere posto un limite.
Mi vergogno della mia debolezza, di non avere saputo dire di no e di fuggire alla prima occasione.
E adesso sono qui.
Innocente? Colpevole? Questo sarà lei a stabilirlo.
Non lo so… non so nemmeno perché sono qui.
Ho tanta confusione. (pausa lunga)
Signor commissario, vuole sapere se Luciano mi picchiava e se picchiava Renata?
Renata si… la picchiava ed io non ero in grado di difenderla. Se mi rifiutavo alle sue voglie la picchiava più forte… ma a me… a me… non ha mai messo una mano addosso… fino… a quella sera.
Eravamo soli io e Renata, nel suo appartamento dove ormai da tempo ci vivevamo in tre. Luciano non era ancora rientrato dai suoi soliti giri nei bar a sbronzarsi.
La vidi stranamente calma e determinata.
Vai via Sara, mi disse prendendomi entrambi le mani con le sue mani. Vai via, fuggi tu che lo puoi fare e perdonami del male che ti ho fatto. Non lo meriti.
Così dicendo mi abbracciò stretta, stretta.
La porta si aprì all’improvviso e apparve lui, più ubriaco del solito. Ci vide abbracciati e la sua reazione fu immediata.
Cominciò a colpire con schiaffi Renata e calci quando finì per terra. Io stavolta intervenni e lo colpì con quello che trovai vicino: un candelabro d’argento. Il colpo non gli fece assolutamente niente, anzi lo fece innervosire maggiormente. Lasciò Renata e colpì me, prima con un pugno in faccia e uno in pancia poi con ripetuti calci.
Renata, lanciò un urlo: “basta”. Gridò così forte da far vibrare i vetri.
Non so come, nemmeno da dove la prese, ma nelle sue mani spuntò una pistola. La puntò verso Luciano e senza pensarci sparò tre colpi. Cadde e morì all’istante.
Signor commissario, come vede non fui io a uccidere quell’essere. E’ stato il destino a farlo. Era scritto che doveva morire per mano di Renata e così è successo.
Adesso siamo liberi. Io e Renata. Liberi.

OTTO

Renata rimase con la pistola in mano ferma, puntata verso quel corpo a terra, come se avesse paura che si rialzasse. Mi avvicinai e l’abbracciai dicendole ch’era tutto finito ma lei… allontanandosi con dolcezza dal mio abbraccio mi disse: “Perdonami”.
Si puntò la pistola alla tempia e sparò.
(pausa lunga)
Innocente, colpevole? Non lo so signor commissario so solo che era tutto scritto.

NOVE

Non mi crede commissario?
Certo, in quella casa voi della polizia avete trovato solo un cadavere… quello di Luciano.
Per fortuna non ho toccato la pistola e quindi sapete che non sono stata io a sparare.
Di Renata però nessuna traccia. E’ svanita.
E adesso a distanza di giorni mi chiedete ancora di raccontare la stessa storia e che fine ha fatto Renata perché voi pensate che io so dove sia e che se è ancora viva.
Certo che è viva.
E’ viva dentro di me. Lo avevo anche detto: Renata vivrà sempre dentro di me.
Volete sapere dov’è Renata? (si tocca lo stomaco) Renata è qui. Nel mio stomaco nel mio sangue nelle mie ossa.
L’ho mangiata. L’ho tagliata in tanti pezzettini e l’ho mangiata.
Un pezzo alla volta la sua carne nella mia carne perché noi siamo una persona sola.
E lo saremo in eterno.
(ride da folle mentre il sipario si chiude)

F I N E