HO PROVATO A DIMENTICARE

monologo di 

MARCO MORICONI


BUIO. SPOT CENTRALE ILLUMINA IL SOGGETTO CON LUCE TENUE. PARTE LA PRIMA TRACCIA MUSICALE CHE SEGUE IL BRANO FINO AL TERMINE.

Ho provato a dimenticare. Ho provato a mettermi tutto alle spalle, ma il passato, spesso, ritorna. E ritorna quando meno te lo aspetti; quando, magari, sei lì a costruire o semplicemente a pensare di farlo. 
E costruire la propria vita, il proprio futuro, non dobbiamo affatto darlo per scontato. 
Da un giorno all’altro, da un minuto all’altro, la vita può metterti davanti ad un baratro fatto di sofferenza, tragedia, solitudine. E allora cerchi di dimenticare. Vuoi guardare avanti. Vuoi credere fortemente, che la vita possa riservarti un'oasi, come nella traversata di un deserto. Si! Perché se ci si pensa bene, la vita è simile ad un deserto, che ognuno di noi è chiamato a percorrere dal momento in cui nasce. Purtroppo non tutti hanno la possibilità di poter affrontare questo deserto con i mezzi giusti e la buona sorte si presenta a ben pochi. Non sono un fatalista, ma il destino cala sempre per ultimo la carta determinante per la fine del gioco. Ma tu, comunque, devi giocare ugualmente le tue carte, quelle che credi siano giuste; quelle, appunto, della buona sorte. Io l’ho chiamata così, ma potete chiamarla come volete! Caso. Fatalità. Fortuna.
E questa fortuna può divenire, paradossalmente, beffarda. Tu credi di essere stato fortunato, ma poi comincia ad insinuarsi dentro di te, nella mente, nell’anima, nel cuore, una domanda semplice: perché io? E allora cominci ad arrovellarti il cervello e a porti questa domanda centinaia di volte e centinaia di volte non sai cosa rispondere. E allora provi a dimenticare, ma non ci riesci!…E quello che ti è accaduto ti passa e ti ripassa nella mente come un film senza la parola fine.

PARTE LA SECONDA TRACCIA MUSICALE E LA SCENA SI ILLUMINA A GIORNO.

Era agosto. Era una giornata afosa. Roma si stava lentamente spopolando di romani che lasciavano i vicoli e le fontane ai pellegrini in arrivo. 
Era l'estate del 1980 ed io mi ero appena diplomato. Mi sentivo un leone ormai libero, fuori dalla gabbia e con il famoso pezzo di carta tra le mani, avrei potuto affrontare qualsiasi ostacolo! Con tre miei compagni di classe, Tofani, Carrocci e Salvini, avevamo deciso di concederci la libertà totale dalle nostre famiglie. Volevamo dimostrare ai nostri genitori che potevamo fare da soli. Volevamo fare un viaggio. Andare lontano da Roma, così, tanto per sentirci grandi e goderci i nostri beati diciott'anni. 
Nessuno di noi aveva la macchina. Decidemmo allora di prendere il treno e la scelta della nostra meta cadde su Bologna per il semplice fatto che era ad una distanza giusta, né troppo lontano, né troppo vicino.
Personalmente ero molto eccitato. Non riuscii a chiudere occhio per tutta la notte. Era il primo viaggio senza i miei genitori. Sentivo addosso il peso della responsabilità. Sentivo addosso il peso di chi è consapevole che dentro sta cambiando qualcosa.
L'appuntamento con i miei amici era alla “lampada OSRAM”. 
La mitica “lampada OSRAM”. Era un enorme lampione che troneggiava proprio davanti la stazione Termini e chi non l’ha mai visto, non può sapere che è stato il luogo dell’appuntamento per antonomasia, per diversi lustri. Puntualmente sotto questo totem degli incontri ci si dava appuntamento mezza Roma!…Era il caos più totale! C’erano altre decine di posti li intorno, dove darsi appuntamento in tutta tranquillità!…E invece no! Alla “lampada OSRAM”! 
E allora prima che ci si ritrovasse passava un quarto d’ora!…
Ricordo fissammo l’appuntamento alle sei del mattino.
Erano le sei del mattino del 2 agosto 1980.
Mia madre si era premurata di preparami la colazione! La tipica colazione delle apprensive mamme italiane!
Ma per l'eccitazione e l'entusiasmo, mi dimenticai di avere fame!
Il viaggio fu divertente, anche se il treno, strada facendo, si era riempito all'inverosimile. Partivano tutti…partivamo tutti! C’erano tanti ragazzi e…tante ragazze! Italiane, tedesche, olandesi, francesi!
A Firenze, ricordo, ne salì una americana! Era un sogno. Rimasi allibito. Aveva una cascata di capelli biondi e i suoi grandi occhi azzurri mi ipnotizzarono. Da quel momento in poi rimasi in piedi accanto a lei…a dire la verità le stavo quasi addosso tanto era pieno il treno! Cindy. Si chiamava Cindy. Era texana. Stava andando a Rimini a raggiungere una sua amica e dall’enormità del suo zaino si capiva che il soggiorno non sarebbe stato breve. Cercammo di farle cambiare programma e di farle passare la giornata con noi. O meglio!…Fui io a tentare di convincerla! Me ne ero innamorato! Con il mio inglese stentato, ma molto più comprensibile di quello dei mie amici, le feci una corte spietata. Non ci fu verso. Le promisi che l’avrei raggiunta presto a Rimini, anche se già sapevo che non ci sarei mai andato a…Rimini. 
Ci scambiammo allora gli indirizzi e la nostra relazione epistolare durò per qualche tempo. Poi, più nulla, soprattutto a causa mia. 
Arrivati a Bologna, le nostre strade si divisero.
A malincuore ci scambiammo un bacio e la vidi correre a prendere la coincidenza. Si fermò per un attimo e si voltò a salutarmi. La tentazione di cambiare il mio programma fu enorme, ma la famosa buona sorte aveva in serbo altro, per me.

AL TERMINE DEL BRANO LE LUCI SI ATTENUANO E UNO SPOT DA DX ILLUMINA IL SOGGETTO.

ILLUMINATO DA UNO SPOT DALL’ALTO PARTE LA TERZA TRACCIA MUSICALE.

La stazione di Bologna era un brulicare di gente. Famiglie piene di bagagli e bambini felici che guardavano affascinati i treni che si muovevano sui binari già infuocati da quel caldissimo sole di agosto. 
Ricordo ancora oggi quella giornata con immagini che sembrano appartenere ad un vecchio album. E come un’istantanea mi appare un ragazzo che abbraccia felice un uomo, forse il padre e quest’uomo che piange stringendolo forte a se. O ancora due anziani coniugi che discutono animatamente chissà poi per cosa!…Alzai lo sguardo verso l’orologio della stazione: le 10 e 23.
Carrocci e Salvini avevano deciso di prendersi un caffè. In un primo momento, insieme a Tofani, avevamo pensato di non seguirli, ma poi il sonno della notte passata in bianco, ci aveva fatto cambiare idea.
Cercai di chiamarli, ma li vidi eclissarsi nel bar del primo binario sorridendo a due ragazze. Mi voltai a chiamare Tofani che era dietro di me di qualche metro, quando un boato, improvvisamente, mi tappò le orecchie. 
Mi sentii sollevare da un’onda invisibile, calda e tutt’intorno come un uragano. Vidi, davanti a me, il bar diventare fumo e polvere. Gente che volava via, tavolini; e poi schegge di muro, vetri, ferro. Fui investito da tutto ciò che quell’esplosione sollevò in una frazione di secondo. Mi sentivo mancare l’aria e non riuscivo a capire cosa stesse accadendo. Chiusi d’istinto gli occhi. Quell’inferno sembrava non terminare, ma poi tutto tacque. Non riuscivo più a sentire nulla. 
Poi voci, voci e ancora voci. Furono quelle voci a farmi riaprire gli occhi, quelle dei soccorritori. Non so quanto tempo era passato, ma ero frastornato e respiravo a malapena. Nella bocca il sapore del sangue. Nel naso odore di morte.
Mi trovavo sotto il treno fermo sul primo binario, proprio davanti al bar, sommerso da pezzi di muro…di carne! Oh mio Dio!…Che succede? Non riuscivo a muovermi. Cercai di alzarmi, ma sentivo dolore dappertutto. Mi dissero di non preoccuparmi. Sarebbe arrivata presto una barella anche per me. Non riuscivo ad orientarmi, poi un lampo! I miei amici! Dove sono i miei amici?… Gridai il loro nome, mentre nelle orecchie sentivo un sibilo continuo…
Tofani, che fino a poco prima era ad un metro da me, non riuscivo a vederlo. Mi bruciava tutto. Urla, pianti e, davanti a me, il muro della stazione che non c'era più. 
I miei amici, non c’erano più. I loro diciotto anni spazzati via in pochi secondi.
Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, vivo con quel sibilo nelle orecchie, con quel sangue negli occhi, e sento ancora le voci dei soccorritori che mi salvarono la vita. Perché la mia vita? Perché io? Cosa avevo più dei miei amici per meritare di continuare a vivere?

LA TRACCIA MUSICALE SI ATTENUA CONTEMPORANEAMENTE ALLO SPOT CHE DISSOLVE, LASCIANDO POSTO ALLO SPOT TENUE CHE ILLUMINA FRONTALMENTE IL SOGGETTO.

PARTE LA QUARTA TRACCIA MUSICALE FINO AL TERMINE.

Ho passato questi lunghi anni da un ospedale all’altro. Da nord a sud, lungo l’Italia. Nelle mie carni porto ancora i segni di quel dannato due agosto, ma nella mia mente, ancor più laceranti, sono i ricordi di quel giorno. La riabilitazione fisica, ma soprattutto psicologica, mi ha portato da un istituto all’altro per tentare di tornare a vivere una vita più serena, cercando di lasciarmi tutto alle spalle. 
Le mie notti, fino a qualche anno fa, erano piene di solitudine e adesso che tentavo di pensare ad altro, il mio passato si è riaffacciato.
E questo passato ritorna forse per farti capire e darti una risposta, se poi è proprio una risposta che ti serve.
Pochi giorni fa ero al parco. C’era un tiepido sole e, seduto su una panchina, sfogliavo un giornale. 
Mi passa accanto uno dei tanti barboni che popolano il nostro mondo e lo vedo trascinarsi dei cartoni. 
Il mio sguardo, dapprima distratto come solitamente si è abituati a fare con questi poveri invisibili, è andato via via a focalizzare l’aspetto di quell’uomo. 
E quell’aspetto, seppur deturpato dalla sua misera vita, mi ha riportato alla mente il mio compagno Tofani. Sono rimasto come impietrito. No, non può essere lui! Lui è stato ucciso dalla bomba!…No, aspetta! Lui era tra i dispersi! Si…si!
Era uno dei dispersi! Ma allora…allora è lui! Il mio cuore ha cominciato a battere forte. Non riuscivo a credere che anche lui, come me, avesse avuto la fortuna di salvarsi. Non sapevo se ridere o piangere o disperarmi!
Mi sono fatto coraggio e ho provato a chiamarlo. Niente. Provo a chiamarlo col suo nome di battesimo. Solo allora si ferma. Poi, titubante, si volta e mi fissa. Mi fissa con lo sguardo di chi ha perduto la propria anima e non cerca nessun passato.
Quell'uomo non mi ha risposto. Ha voltato nuovamente le spalle e ha continuato a trascinare i suoi cartoni. Io in quel momento ho pianto. Lui era riuscito a dimenticare. 
Io, invece, ho provato a dimenticare.

LA MUSICA AUMENTA DI VOLUME E IL BUIO AVVOLGE IL SOGGETTO.