Il sogno di Monèva
Atto unico

di Valentina Fantasia

© 2022. Tutti i diritti sono riservati

 

 

Il mare è a pochi passi dall’appartamento angusto nel quale vivono, ma Angelova, Ivana, Veleva e Monèva non hanno tempo di andare in spiaggia: dall’alba lavorano nei campi alla raccolta degli ortaggi, e quando tornano a casa recuperano le forze per il giorno dopo. Da maggio a settembre, si trasferiscono in Italia per mandare quanti più soldi è loro possibile ai familiari rimasti in Bulgaria.
Quando Monèva muore per un infarto raccogliendo fagiolini sotto un sole implacabile, Angelova, Veleva e la sua amica Ivana non sanno come dirlo alla madre, che ogni giorno chiama Monèva dalla Bulgaria. Il fatto è che a chi resta, quando chi se ne è andato è un invisibile, non spetta neanche il diritto di piangere su una tomba.
La drammaturgia intreccia le storie delle operaie alle intercettazioni telefoniche tra i caporali per i quali le donne lavorano, che uno sbobinatore nominato dal Tribunale sta trascrivendo nell’ambito del processo seguito al loro arresto.
Siamo in Campania, ma potremmo essere in molti altri posti.
Tra miseria e sentimenti di frustrazione per la ghettizzazione subita, fra storie di disperazione e desiderio di riscatto, fra disprezzo della legge dello Stato e della legge degli uomini, l’ultimo scampolo di umanità negata può essere salvato solo avendo cura di un rito estremo come la tumulazione.
Questo cercano di fare le tre donne, anche se toccherà loro ripiegare su modalità che non avrebbero mai immaginato.

 

 

PERSONAGGI

Angelova, Ivana e Veleva: operaie.
Paolo: imprenditore agricolo.
Vincenzo: caporale.
Pasquale: sbobinatore per conto del Tribunale.
Il compagno di Veleva: solo voce fuori campo.

 

 

SCENA 1


All’interno di un ambiente squallido, che è cucina e camera da letto insieme, tre giovani donne fanno piccole cose: ricucire lo strappo a una maglietta, limarsi le unghie, tentare di acconciarsi i capelli. Un telefono squilla. Le tre donne si guardano con aria angosciata.

IVANA ~ È il suo?
VELEVA ~ Mi sa…
IVANA ~ Dove lo avete messo?
ANGELOVA ~ Non lo avevi preso tu?
IVANA ~ No, io… anzi pensavo che stava ancora lì. Pensavo che lo prendevamo domani.
VELEVA ~ L’ho preso io, guarda nella mia borsa.
IVANA ~ È la madre.
VELEVA ~ Oh no…
IVANA ~ Eh.
ANGELOVA ~ Chiama tutti i giorni.
IVANA ~ Guarda che lo sappiamo. Che facciamo?
ANGELOVA ~ Non rispondere, non oggi.
IVANA ~ Così si preoccupa.
ANGELOVA ~ Invece se diciamo perché non risponde è felice?

Silenzio. Il telefono smette di squillare. Le tre donne riprendono le loro attività.

VELEVA ~ Prima o poi bisogna dirlo.
IVANA ~ Poveri piccoli. E l’unico pensiero di Vincenzo è stato: «E mo’ come faccio che non stava manco messa a posto?».
ANGELOVA ~ Che c’è di strano?
IVANA ~ Niente, hai ragione.

Il telefono ricomincia a squillare.

ANGELOVA ~ Che c’è di strano che uno come lui ha detto questo? Poi, stai sicura, un modo per nascondere tutto l’avrà trovato, non ti preoccupare. Pure da morta resterà invisibile.
IVANA ~ Sai una cosa? Non ti frega niente. Non te ne frega mai niente di niente. Pensi solo a te, questo fai, dalla mattina alla sera, solo a te.
ANGELOVA ~ Tu non sai niente di me.
IVANA ~ So abbastanza per dire che non ti frega niente. Quando si è sentita male tutte siamo andate verso di lei per aiutarla, tu hai continuato a lavorare.
ANGELOVA ~ Se arriva Vincenzo e mi trova fuori dal mio posto mi caccia. Io non sono regolare come te, non te lo scordare.
IVANA ~ Sempre con questa storia.
ANGELOVA ~ Ti sembra poco?
IVANA ~ Io sono regolare ma mi paga come te, questo lo sai?
ANGELOVA ~ E tu lo sai che essere regolari è un’altra cosa?
VELEVA ~ E smettetela!

Le due litiganti si guardano con astio.

ANGELOVA ~ Con questo telefono che facciamo?
IVANA ~ Io rispondo.
VELEVA ~ No, Ivana, non oggi. Aspettiamo che è sepolta.

 

 

SCENA 2


Lo sbobinatore è in proscenio a sinistra, cuffie in testa e PC. Ascolta e trascrive intercettazioni per conto del Tribunale. Fa le voci degli intercettati, che a un certo punto entrano in scena. Per questo, e per i dialoghi successivi, si inventeranno per loro delle occupazioni mentre parlano al telefono.

PAOLO ~ Vince’.
VINCENZO ~ Ué, Paolo.
PAOLO ~ Ma comm’ha fatto?
VINCENZO ~ Il caldo.
PAOLO ~ Ma se non stavano nemmeno sotto le serre!
VINCENZO ~ Eh, ma stamattina al campo dei fagiolini non tirava un filo d’aria.
PAOLO ~ Ah. E mo’? Dove l’hai messa? Sta nascosta? Le amiche sue che dicono?
VINCENZO ~ Statti tranquillo, ci ha pensato un amico mio. Ha fatto cumpari’ che è morta per la via.
PAOLO ~ Mmh. Ma dove l’avete messa?
VINCENZO ~ E non lo so, ma sicuro un posto buono l’ha trovato.
PAOLO ~ Le amiche, che dicono le amiche? Qualcuno l’ha cercata dalla Bulgaria a chesta?
VINCENZO ~ Ancora non ci ho parlato.
PAOLO ~ E a chi aspetti? Che ci denunciano? Vince’, vedi di svegliarti sennò mi devo trovare qualcun altro. Qua il giro è grosso, e può portare problemi grossi. Tu sî gruosso, Vince’?
VINCENZO ~ Sì, Paolo, stai tranquillo, ti ho detto.
PAOLO ~ Voglio avere notizie che mi fanno stare tranquillo, Vince’, nun m’abbasta che me lo dici tu.
VINCENZO ~ Ma…
PAOLO ~ Non ti credo, sî troppo fesso. Dobbiamo stare a posto con la Bulgaria, hai capito?
VINCENZO ~ Va bene, va bene. Risolvo tutto io, non serve un’altra persona.
PAOLO ~ E speriamo, Vince’. Speriamo.

 

 

SCENA 3


Di nuovo in casa delle operaie.

IVANA ~ Un’altra giornata così calda e facciamo tutti la fine di Monèva.
ANGELOVA ~ Proprio tu ti lamenti?
IVANA ~ Perché, non posso?
VELEVA ~ Oh, non ricominciate! Ma non siete stanche? Stiamo in giro dalle quattro di stamattina e invece di riposarvi litigate.
ANGELOVA ~ Che poi, come hai fatto?
IVANA ~ Io non ho fatto niente.
ANGELOVA ~ Sì, certo, lei non ha fatto niente.
IVANA ~ Te lo dico di nuovo: io non ho fatto niente.
VELEVA ~ Perché non devi crederci? A lui servono un po’ di nomi messi a posto, perché così se viene qualcuno a controllare non passa un guaio. Ma solo qualche persona, non tutte.
ANGELOVA ~ Perché proprio lei? Perché proprio te?
IVANA ~ Ma che ne so!
ANGELOVA ~ Ah ecco, non lo sa…
IVANA ~ Senti la devi finire…
ANGELOVA ~ Sì? Sennò che fai? Corri da papino? Ah beh certo, lui ti protegge…
IVANA ~ Sei veramente… (Si avventa contro di lei)
VELEVA ~ (le separa) Brave! Litighiamo tra di noi, certo, proprio brave!
IVANA ~ È lei che comincia.

Si sente battere fortissimo alla porta. Una voce maschile urla frasi violente.

ANGELOVA ~ Ma che aspetti a denunciarlo? Che ti uccide?

Veleva scoppia a piangere. Angelova le si siede accanto.

VELEVA ~ Ha detto che mi sposa.
IVANA ~ Non ho capito niente. Chi è questo pazzo? Che cosa vuole?
VELEVA ~ Devo solo resistere, lo capisci? Devo riprendermi i miei figli!
ANGELOVA ~ È il suo compagno.
IVANA ~ Cosa?
ANGELOVA ~ Puoi stare un po’ zitta adesso? (A Veleva) Non va bene così, non puoi farti menare… e oggi poi, ma che gli ha preso? Che cosa hai fatto?
VELEVA ~ È geloso, dice che lo tradisco con Vincenzo.
IVANA ~ Questo sfonda la porta. Chiamo la polizia.
VELEVA ~ No no no… che polizia! Lui mi vuole bene, adesso si calma.
IVANA ~ Ma che si calma! Se sfonda la porta ti fa fuori. A te e pure a noi.
VELEVA ~ Non li vedo da due anni. Due anni! (Piange a dirotto)
IVANA ~ Non sapevo…
ANGELOVA ~ Vattene o chiamiamo la polizia! Hai capito? Te ne devi andare!

Il compagno di Veleva smette di battere alla porta. Proferisce una minaccia e se ne va.

IVANA ~ Non sapevo dei figli.
ANGELOVA ~ Due, un maschio e una femmina. Belli, sai? Lei tiene dieci anni, lui sei. Ho visto delle foto.
VELEVA ~ Quelle foto sono di due anni fa. Adesso saranno cresciuti. Chissà come sono, adesso. Io non so come sono i miei figli.
IVANA ~ Perché te li hanno tolti?
VELEVA ~ Chissà se a Maria sono cresciuti i capelli.
ANGELOVA ~ Beveva, ed era sola.
IVANA ~ Ma io non la vedo mai bere.
ANGELOVA ~ Beh, certo, ha smesso.
VELEVA ~ Chissà se Petar si ricorda di me.
ANGELOVA ~ Ma se non si sistema, il Tribunale non glieli fa nemmeno vedere.
IVANA ~ Ah. Se si sposa, pure a un pazzo che la uccide di mazzate, va bene.
ANGELOVA ~ Chi lo sa, lei dice così…
VELEVA ~ Quando facevo le torte, Maria si metteva a guardare. Mi passava le cose, stava in piedi sulla sedia vicino al tavolo per guardare tutto quello che facevo. Alla fine era sempre tutta piena di farina, e correva dal fratello per farlo spaventare.
IVANA ~ Deve essere per forza italiano?
ANGELOVA ~ Perché tu conosci qualcuno dei nostri che sta abbastanza bene? Quello è pazzo, ma c’ha i soldi ed è pure vecchio.
IVANA ~ Ma quello che combina, come la tratta…
VELEVA ~ Non li vedo da due anni… Non so che cosa mangiano, che vestiti tengono addosso. Non so se guardano qualcuno che fa una torta. Non so se qualcuno gli fa una torta. (Si blocca con il pennellino dello smalto in mano, fissando il vuoto)
ANGELOVA ~ Aspetta, ti aiuto. (Le prende il pennellino dalle mani e le stende lo smalto sulle unghie)

 

 

SCENA 4


Lo sbobinatore.

PAOLO ~ Vince’.
VINCENZO ~ Ué, Paolo. Dici.
PAOLO ~ Domani porta venti femmine, ci dovrebbero bastare.
VINCENZO ~ Eh, ma se poi non ci bastano.
PAOLO ~ E domani poi vediamo quanta roba si deve cogliere.
VINCENZO ~ No, perché poi a me mi servono nell’altro campo, sono pronte le pesche, te lo sei dimenticato? Prendo qualche femmina di più, invece di venti ne piglio trenta che dobbiamo pure finire coi fagiolini, dieci serre dobbiamo fare, sono tanti.
PAOLO ~ Vabbuò, Vince’, ciao.
VINCENZO ~ No, aspetta, riguardo alla morta…
PAOLO ~ Che è successo?
VINCENZO ~ No, niente, ti ho detto che devi stare tranquillo. Soltanto, le amiche mi hanno chiesto di salutarla…
PAOLO ~ Salutarla? Vince’ ma sî scemo? Ma che t’ vuo’ saluta’ a ’na morta? Con questo calore, mo’ stavamo aspettando a loro che la volevano salutare! Sai che cosa gli devi dire alle amiche? Che s’hanno sbriga’ a fatica’ più di prima perché mo’ so’ rimaste con una di meno. Ah! Ah! La volevano salutare… Siente sie’...

 

 

SCENA 5


In casa delle operaie.

ANGELOVA ~ Questo è carino, lo vuoi tu?
VELEVA ~ È tutto consumato.
ANGELOVA ~ Qua è tutta roba consumata.
VELEVA ~ La maglietta di prima era ancora buona, e te la sei presa tu, a me mi vuoi dare solo la roba consumata.
ANGELOVA ~ Non è vero. Allora gli occhiali? Quelli non sono buoni?
VELEVA ~ Buoni? Ci manca poco che si spaccano, e dici che sono buoni?
ANGELOVA ~ Eh, ma qua mica stiamo ai grandi magazzini. La roba questa è. Se non ti piace niente, mi prendo tutto io…
VELEVA ~ Io sto dicendo un’altra cosa, non fare finta di non capire: qua le cose un po’ meglio te le stai prendendo tutte tu!
ANGELOVA ~ Ma quando mai? Vuoi fare a cambio? Va bene, vediamo che cose di lusso mi sono presa io…
IVANA ~ (entra) Ma che state facendo? La mamma ancora non lo sa e voi vi state dividendo già le sue cose! E state pure litigando?!
ANGELOVA ~ Non stiamo litigando…
VELEVA ~ Ormai è morta, che ci può fare più.
ANGELOVA ~ A noi ci possono servire queste cosette. Mettevamo qualcosa da parte anche per te, che ti credi.

Le due smettono di guardare le cose di Monèva.

IVANA ~ Ha richiamato?
VELEVA ~ Non è l’ora sua, chiama sempre verso le sette.
IVANA ~ Sì, ma dobbiamo pensare a che cosa facciamo. Non possiamo più aspettare, dobbiamo dirglielo.
VELEVA ~ Io non ho il coraggio.
ANGELOVA ~ Io nemmeno.
IVANA ~ E se non ce l’ho nemmeno io?

 

 

SCENA 6


Lo sbobinatore.

PAOLO ~ Vince’.
VINCENZO ~ Paolo, ch’hai fatto?
PAOLO ~ Ieri sera ho controllato i meloni, si devono raccogliere.
VINCENZO ~ Ah, ma sotto la serra?
PAOLO ~ Eh, sì. Mi servono venti femmine, ce le hai?
VINCENZO ~ Devo vedere. Sotto le serre ci dobbiamo andare presto…
PAOLO ~ E portacele presto, andate per le quattro.
VINCENZO ~ Ma domani è domenica, non tutte vogliono venire di domenica.
PAOLO ~ Vince’, ma che stai dicendo? Ma che me ne fotte a me che è domenica? Trova venti femmine per domani mattina alle quattro. Che se fate tardi, schiattano sotto alle serre fino a che non hanno finito, hai capito? A me mi servono i meloni.
VINCENZO ~ Va bene, va bene, le trovo.
PAOLO ~ Ah, mo’ sì. Ti saluto, Vince’.

 

 

SCENA 7


In casa delle operaie.

VELEVA ~ Secondo voi viene?
IVANA ~ Spero di no.
ANGELOVA ~ Viene. E non trova nemmeno una tomba per piangere. Nemmeno un mucchio di terra.
IVANA ~ Se lo diciamo a Vincenzo forse lui capisce che ci deve dire dove l’ha messa.
ANGELOVA ~ Lascia perdere.
IVANA ~ Come…? Perché?
ANGELOVA ~ Se ce lo dice non è meglio.
VELEVA ~ Pure per me. Ho paura di sapere che ha fatto.
IVANA ~ Ma che volete dire?

Sguardi.

Bastardo! Ci tratta come bestie! Come bestie… (Piange)

Veleva la stringe.

Dobbiamo farla noi.
ANGELOVA ~ Cosa?
IVANA ~ Una tomba per Monèva. Abbiamo una sua foto?
VELEVA ~ La prendiamo dal telefonino. Ma in un cimitero cattolico?
ANGELOVA ~ È una buona idea. Qua non ci stanno cimiteri per ortodossi come noi. Glielo spieghiamo alla madre quando viene, meglio un cimitero cattolico che niente, no? Conosco uno che lavora al cimitero del paese qua vicino. Alla madre possiamo raccontare che è una tomba così, per cominciare, che poi la mettono a posto. Facciamo fare un mucchio di terra, ci mettiamo una croce. Giusto il tempo di farla vedere a lei, per piangere, portare un fiore.
VELEVA ~ E se poi la vuole portare a Sliven?
ANGELOVA ~ Non ha i soldi per farlo.
VELEVA ~ Hai ragione. Resta l’altro problema.
IVANA ~ Quello è molto peggio. Non so davvero che cosa possiamo fare.
VELEVA ~ Come ti ha detto?: «La signora dov’è?».
IVANA ~ Sì, «la signora». Diceva: «Passami la signora, subito! Voglio parlare con la signora!».

Intanto Angelova ha preso il cellulare di Monèva e sta guardando qualcosa.

E io ho risposto quello che avete sentito.
ANGELOVA ~ (legge) «… Una grande villa con un grande giardino. Aiuto la signora a vestirsi e a lavarsi, perché non ce la fa da sola».
IVANA ~ Ecco perché su WhatsApp scriveva soltanto, non faceva mai videochiamate…
VELEVA ~ Ma quante ne inventava?
ANGELOVA ~ Ma quanto si vergognava.
IVANA ~ Non c’entra la vergogna.
ANGELOVA ~ La madre scrive: «Sei proprio vicino al mare?». (Legge) «Sì, la casa è proprio davanti al mare.» C’è una faccina che ride della madre, che scrive: «Proprio come a Sliven». «Quando mi sveglio sento subito l’odore, e la mia camera è piena di luce, non come l’anno scorso in quel posto umido e buio».

Tutte e tre si guardano intorno desolate.

«Ieri era brutto tempo, e le onde alte spruzzavano la schiuma fino alla finestra. La signora mi lascia quasi sempre libera il pomeriggio, e posso andare a fare il bagno. Domani ti mando altri soldi, non sono molti ma io sono ancora in prova, perciò… Dài un bacio grande grande a Irina e Stepan». Poi ci sono delle fotografie della villa e della spiaggia, chissà dove le ha prese.
IVANA ~ Le avrà prese da internet. Il fatto è che la madre non voleva più farla venire qua, perciò ha inventato.
VELEVA ~ Come “non voleva”?
IVANA ~ Non voleva, perché quando torniamo a Sliven alla fine dell’estate – quando tornavamo… la madre la vedeva così magra e stanca… Monèva me lo aveva raccontato. Non voleva più farla tornare in Italia; ecco perché lei si è inventata tutta questa storia.
VELEVA ~ Io però domani a Vincenzo voglio chiedere un’altra volta dove l’hanno messa. Gli dico che se non ce lo dice andiamo dalla polizia.
ANGELOVA ~ Ah! Ah! La polizia!
IVANA ~ Che ridi?
ANGELOVA ~ Noi non possiamo denunciare nessuno. Fate finta che non ve lo ricordate?
VELEVA ~ Ma Monèva è morta!
ANGELOVA ~ Ma noi non esistiamo! Siamo fantasmi, e voi lo sapete. Fantasmi. Solo che veniamo da un posto che ci fa tanto schifo che preferiamo essere fantasmi qua. Che succede se andiamo alla polizia? Ma vi scordate come ci guardano tutti? Sono dieci anni che veniamo qua da maggio a settembre, e a parte Vincenzo, a parte quelli del nostro paese, a parte qualcuno che lavora dentro a un cimitero, chi conosciamo? Chi ci rivolge la parola? Nessuno. Andiamo sempre negli stessi negozi, sempre nelle stesse vie. Fantasmi. I fantasmi non possono andare alla polizia a dire che è sparito un altro fantasma. È sparito un fantasma? Sai come si mettono a ridere?
IVANA ~ Io non…
ANGELOVA ~ E guarda che ci abbiamo provato. Dopo dieci anni, uno pensa: questo posto può diventare pure casa mia.
IVANA ~ Però noi veniamo a maggio e a settembre ce ne andiamo.
ANGELOVA ~ E ti pare poco? Ti pare normale che non riusciamo a rimanere?
IVANA ~ Io non voglio rimanere.
ANGELOVA ~ Io invece sì, io volevo rimanere. Il primo anno che sono venuta qua pensavo: e chi ci torna a Sliven. Ma qua è un muro. «Ah, vieni dai Palazzi Cirio?». Fine. Sempre così.
IVANA ~ E tu perché lo dicevi…
ANGELOVA ~ Ma mica lo dicevo. Io dicevo: «Vengo da Sliven, in Bulgaria». E subito: «Ah, vieni dai Palazzi Cirio». Non potevo venire da un’altra parte. Mi ero innamorata di uno…
VELEVA ~ Ma dài.
ANGELOVA ~ Eh. E pure lui sembrava che si stava innamorando. La domenica pomeriggio, se non ero troppo stanca, ce ne andavamo sulla spiaggia. Ci appoggiavamo a quelle barche abbandonate che stanno in fondo, dove nessuno ci fa il bagno. Una volta mi ha detto: «Queste barche le smonto pezzo pezzo e ci costruisco una casetta di legno proprio qua, per te e per me». E poteva essere una bella casetta, le barche erano di tutti i colori, e non fa niente che intorno ci stava pieno di immondizia. A me non mi importava, lui questo lo sapeva. Volevo solo stare con lui, in una casetta di tutti i colori.
VELEVA ~ Perché è sparito?
ANGELOVA ~ La famiglia ha scoperto che stava appresso a una bulgara. Ma voi capite che questa parola è un’offesa? Una bulgara dei Palazzi Cirio.
IVANA ~ Però un uomo può andare contro la famiglia.
ANGELOVA ~ Lui non lo ha fatto.
VELEVA ~ Non è facile.
ANGELOVA ~ Ogni tanto vado alla spiaggia a guardare le barche abbandonate.
VELEVA ~ Mi dispiace.
ANGELOVA ~ I colori, quasi non ci sono più.

 

 

SCENA 8


Lo sbobinatore.

VINCENZO ~ Paolo.
PAOLO ~ Vince’, tutto a posto?
VINCENZO ~ Queste vogliono sapere dove sta.
PAOLO ~ Che?
VINCENZO ~ Le amiche, vogliono sapere dove sta la morta. Vogliono sapere se abbiamo fatto il funerale.
PAOLO ~ Aé, il funerale. Fai così, gli dici che l’abbiamo cremata. Accatta ’nu chil’e farina, o quanta ce ne vo’. Vince’, quanta ce ne vo’?
VINCENZO ~ Ma io che ne so.
PAOLO ~ E ti informi. Vai da quello che fa le cremazioni, e ti fai dire più o meno quanta ne devi comprare. La metti dentro a ’nu vasetto che costa poco e glielo consegni. Gli dici qua dentro sta… aspie’, comme se chiamma?
VINCENZO ~ Comme se chiammava…

 

 

SCENA 9


Lo sbobinatore esce dalla sua postazione, e dal suo presente, ed entra nel passato: nella parte di scena che è casa delle tre operaie, dove al momento c’è solo Ivana. La bacia, ma Ivana è triste.

PASQUALE ~ Che è successo?
IVANA ~ Monèva. Un colpo mentre stavamo al campo grande.
PASQUALE ~ È in ospedale?
IVANA ~ Magari.
PASQUALE ~ Ma che dici?

Ivana scoppia a piangere. La stringe.

IVANA ~ Potevo essere io. E può ancora succedere. Dalle quattro di mattina a mezzogiorno. Un panino di corsa sotto al sole, e poi di nuovo, certe volte fino alle sei di pomeriggio. Tutti i giorni della settimana. Nemmeno in bagno possiamo andare, stiamo in mezzo a niente, non abbiamo niente. La verità è che siamo, niente.
PASQUALE ~ Sto cercando un lavoro. Poi te ne vieni con me. E a quel Vincenzo lo mandi definitivamente a quel paese. Sto cercando qualcosa che faccia campare tutti e due.
IVANA ~ Che vuoi trovare qua? Me lo dici da anni.
PASQUALE ~ Mi sto prendendo il diploma. Lo trovo, dammi tempo.
IVANA ~ Se prima non faccio la fine di Monèva.

 

 

SCENA 10


Ivana percorre tutto il palco nervosamente, le altre due staranno accanto al tavolo, sul quale, al centro, c’è un piccolo vaso dozzinale. Lo fissano.

VELEVA ~ Stai calma.
IVANA ~ Ma come faccio a stare calma? Eh? Come faccio?
ANGELOVA ~ Non lo sapeva, è un… come si dice? Ignorante.
IVANA ~ Poteva chiedere, prima. Ma vi rendete conto? Che cosa diciamo alla madre, cosa?
VELEVA ~ Hai ragione, ma non possiamo fare più niente.
ANGELOVA ~ A questo punto meglio una tomba, anche se in un cimitero che non è ortodosso.
IVANA ~ Sì, questo è certo. Una tomba è una tomba. Se la madre sa che… È tanto attaccata a certe cose. Monèva lo raccontava sempre: la madre e la religione. E poi ha ragione, ma come si fa… «Così potete tenerla sempre vicino a voi».
ANGELOVA ~ Ma che ne sa lui.
IVANA ~ E adesso lei è… La madre non deve sapere.
VELEVA ~ Non lo saprà.
ANGELOVA ~ Questa cosa qua la dobbiamo nascondere.
IVANA ~ Ma chi gli ha dato il coraggio…
ANGELOVA ~ Con quello che fanno ai vivi, ti sembra che gli manca il coraggio di fare questo e pure altre cose ai morti?
VELEVA ~ Dove possiamo metterla?
IVANA ~ Dammi qua. Compriamo dei fiori, anche finti, e ce li mettiamo vicini. Poi ci pensiamo. Più importante, adesso, è preparare la tomba, prima che arriva la madre.
VELEVA ~ Ma allora viene?

 

 

SCENA 11


Lo sbobinatore.

PAOLO ~ Vince’.
VINCENZO ~ Ma perché non rispondevi?
PAOLO ~ E sono le cinque, stavo dormendo, che vuoi?
VINCENZO ~ Ci sta una macchina, dobbiamo cambiare strada.
PAOLO ~ Ma comme cazz’… Allora, sentimi bene: se dalla Statale arrivi al benzinaio, ci riesci?
VINCENZO ~ E penso di sì.
PAOLO ~ Dopo il benzinaio ci sta una strada stretta a sinistra, buttati là dentro. Dopo cento metri ci sta un amico nostro, ti puoi nascondere là e aspetti.
VINCENZO ~ Così ci salta la giornata, teniamo i meloni maturi.
PAOLO ~ E c’amma fa’. Ti vuoi far arrestare? Vuol dire che li fanno più tardi.
VINCENZO ~ Ma dopo scrocca ’nu sole…
PAOLO ~ Vince’, tu e ’stu sole!

 

 

SCENA 12


Vincenzo va dallo sbobinatore.

PASQUALE ~ Che ci fai tu qua?
VINCENZO ~ Così si saluta dopo tanto tempo? Lo sai da quanto non ci vediamo?
PASQUALE ~ E un motivo ci sarà. Che vuoi?
VINCENZO ~ “Ué Vince’, come stai? Tutto bene?”. “Bene, Pasqua’, e tu?”. O con me non ti è consentito parlare?
PASQUALE ~ C’ho da fare, come vedi. Che ti serve?
VINCENZO ~ E che brutto carattere! Uno deve per forza avere bisogno di qualcosa per venirti a trovare dopo mesi?
PASQUALE ~ Mesi? Anni, per fortuna.
VINCENZO ~ Ci sto pure io tra i personaggi di questo romanzo che stai leggendo, no?
PASQUALE ~ Il romanzo che sto leggendo non è cosa che ti riguarda.
VINCENZO ~ E non penso proprio. Mi riguarda eccome. Questi mi lasciano in galera, chissà per quanto tempo.
PASQUALE ~ Ah sì?
VINCENZO ~ Vuoi che mi condannano?
PASQUALE ~ Vince’, io non voglio proprio niente. Lasciami in pace e fammi lavorare.
VINCENZO ~ Se non vuoi niente che ti costa aggiustare un po’ il romanzo? Togliere qualche personaggio, nel nome del sangue…
PASQUALE ~ Mo’ basta! Ma quale sangue? Solo quando pare a te ti ricordi del sangue?
VINCENZO ~ Tu nun m’hai mai suppurtato.
PASQUALE ~ Sì, sì.
VINCENZO ~ Vorresti dire che non è così?
PASQUALE ~ Vince’, ma chi ti pensa?
VINCENZO ~ Mai suppurtato. Tu stavi tanto felice, eh, solo solo con mamma e papà, poi bell’e buono è arrivato Vincenzo. È arrivato che tu già tenevi dieci anni e io ti capisco, non dico di no. Il piccolo, così mi chiamavano, no? E ti dicevano sempre: «Lascia stare al piccolo».
PASQUALE ~ Ma di che stai parlando? Tu farnetichi.
VINCENZO ~ Ah, mo’ vuo’ fa vere’ che ti è servito a qualcosa prendere il diploma alla scuola serale, e ti metti a dire ’sti pparole difficili, eh. Pasca’, io non farnetico, io lo so. Tu mi odi. E la sai una cosa? Io mi ricordo proprio il momento preciso che tu hai cominciato a odiarmi.
PASQUALE ~ Addirittura. (Continuando a scrivere al PC)
VINCENZO ~ Era Natale, Pasca’, io potevo avere cinque anni, e sì, c’avevo cinque anni perché era l’ultimo Natale con la buonanima di papà. Te la ricordi la processione? Dice mamma: «Mettiamoci in fila a mezzanotte per mettere il bambinello nella mangiatoia». Che presepio faceva papà! E me lo ricordo comme fosse ’stu momento, quando mammà disse: «Il bambinello lo porta Vincenzo, quello è il più piccolo». La tengo stampata qua la faccia tua, Pasca’. Mentre stavamo in fila, tu dietro a me, io mi sentivo che gli occhi tuoi mi passavano attraverso la schiena come un pugnale. So’ passati tanti anni e io ancora mi sento il pugnale dei tuoi occhi dietro la schiena. Tu nun m’he mai suppurtato, ma da quel giorno hai cominciato a odiarmi. Dici che non è vero.
PASQUALE ~ Può pure essere, Vince’. Embè?
VINCENZO ~ E mo’ ti vendichi.
PASQUALE ~ Faccio il mio lavoro, senza sfruttare nessuno.

Vincenzo fa per aggredirlo, Pasquale lo schiva.

VINCENZO ~ Ma tu che ne sai? Eh? Che ne sai di quello che faccio io?
PASQUALE ~ Sta scritto tutto nel romanzo, Vince’, mi sto facendo una cultura. Mo’ te n’hai a i’. Il Tribunale non aspetta i comodi miei.
VINCENZO ~ Non sono io che comando, questo si capisce dal romanzo?
PASQUALE ~ E nemmeno io comando, faccio solo lo scrittore di un romanzo che non ho inventato. Il fatto lo sai qual è? Che chist’ nun è ’nu romanzo, Vince’, è la realtà, e fa schifo assai. Ma come avete fatto a trattare quelle povere donne come delle bestie? Come hai fatto tu? Parli di sangue: da quale sangue ti viene ’sta robba?
VINCENZO ~ Tengo tre ccriature, e questo era un lavoro tranquillo: si guadagnava, giusto per campare, ti dovessi credere, e le femmine l’avimme semp’ trattate come andavano trattate. Che pensi, che al paese loro stavano meglio? E poi io non decidevo niente, ’o vvuo’ capi’? Io coordinavo.
PASQUALE ~ Stai perdendo il tuo tempo. Stai nelle intercettazioni, starai pure nella trascrizione per il Tribunale. Dovrei commettere un reato per aiutarti? Che poi, non servirebbe a niente. Il Giudice si sente pure le registrazioni.
VINCENZO ~ Ma almeno ci proviamo!
PASQUALE ~ No!
VINCENZO ~ Embè, Pasca’, davvero tante grazie. Anche da parte delle tre ccriature che tengo alla casa. Mo’ sto a spasso, guardato a vista come un criminale, e ogni giorno devo andare in caserma, in attesa del processo.
PASQUALE ~ Tu sei un criminale…
VINCENZO ~ Saprò come ricompensarti, tu e la tua vigliaccheria. Ma tu sî semp’ stato ’nu vigliacco. Tu solo ’stu lavor’e mmerda putive fa’, lo spione legalizzato, e pure assassino di fratelli. Pecché tu stai firmann’a morta mia, Pasca’. Quant’ denar’ te dann’ p’accidere a tuo fratello, eh? La verità è che fai la fame peggio delle femmine che lavorano cu’ mme. Ah! Ah! Ah! Vuo’ veni’ a fatica’ cu’ mme, Pasca’? Te tratt’ bbuone.
PASQUALE ~ Perché, vuoi farmi credere che tu pigli tanto più di me? Ma guardati, ma pensi che non lo so che ti danno quattro spicci? E per quattro spicci stai in mezzo a ’sta merda, Vince’?
VINCENZO ~ Quella che tu chiami merda a me mi fa campa’ ’na famiglia sana sana.
PASQUALE ~ Tu campi la famiglia tua, e altre famiglie non tengono una tomba dove piangere una povera ragazza morta per raccogliere fagiolini.
VINCENZO ~ E tu che ne sai? Pure questo hanno registrato?
PASQUALE ~ Meno male che le amiche sue se la sono inventata, una tomba. Vince’, una tomba, adesso bisogna sperare di poter piangere su una tomba! Adesso bisogna inventarsela! Ma che siamo diventati?
VINCENZO ~ Così non ci esco più di galera. E tu non mi vuoi aiutare.
PASQUALE ~ Non posso. E pure se potessi…

Vincenzo lo aggredisce di nuovo. Questa volta lo fa cadere.

Vattene prima che recupero gli occhi di quel giorno di Natale.
VINCENZO ~ Alla fine, un po’ di verità.

 

 

SCENA 13


La scena adesso è completamente sgombra e piena di luce. È mattina presto. Si capisce che le tre operaie sono in riva al mare. Portano il vasetto con le ceneri.

VELEVA ~ Se dovesse succedere la stessa cosa a me…
ANGELOVA ~ Ma che dici?
VELEVA ~ Portatemi qua, pure a me.
IVANA ~ Ma non succede. Non succede sempre. Non dire così.
ANGELOVA ~ Allora vi dico che anche io…
IVANA ~ Ah, stamattina vi siete svegliate proprio bene! La finite?
ANGELOVA ~ Voglio stare vicino alle barche, pure se non hanno più colore.
IVANA ~ State dicendo che vi va bene se vi fanno la cremazione? E le vostre famiglie?
ANGELOVA ~ Chi resta, fa come abbiamo fatto per Monèva.
VELEVA ~ Alla fine la madre non l’ha presa tanto male.
IVANA ~ Ci credo. Il dolore grande è stato la morte della figlia, dove è stata sepolta non era tanto importante, alla fine.
ANGELOVA ~ Già.
IVANA ~ Lo faccio io?
VELEVA ~ Facciamolo insieme.
IVANA ~ Fatti questo lungo bagno, amica.

Disperdono le ceneri. Pregano, mute.

ANGELOVA ~ Ce lo facciamo anche noi?
IVANA ~ Che cosa?
ANGELOVA ~ Un bagno!
VELEVA ~ Ma non abbiamo il costume…
ANGELOVA ~ Non c’è nessuno a quest’ora! Ed è la nostra prima domenica libera dopo tanto tempo!
IVANA ~ Solo perché li hanno arrestati…
ANGELOVA ~ Ma per una volta non lavoriamo di domenica! Forza, dài!
VELEVA ~ Tu sei pazza… ma hai ragione!
IVANA ~ Aspettatemi!