SS9
storie della via Emilia

di Matteo Bacchini

© 2015. Testo depositato in SIAE. Tutti i diritti sono riservati

 

 

GLI AFFARI DEL SIGNOR GIULIO C.

 

Mentre il pubblico entra, un personaggio vestito di una tunica grezza è seduto per terra. Con un martello e uno scalpello mena stancamente dei colpi su un sanpietrino. Butta il martello e parla alle sue spalle.

Ma giove porco, papà! ma ti sembra giusto? Uno se ne sta nell’Apulia a coltivar le olive, c’ha un fazzoletto di terra e ci cava un po’ di olio e un po’ di vino, quel tanto che basta per campare; alla sera si guarda il tramonto e vive in pace col mondo, e Roma non ce l’ha manco nell’anticamera del cervello. E che succede? Arriva Caio Mario e ti pianta nelle reni la riforma dell’esercito: “Basta discriminazioni! Perché solo i ricchi possono fare il servizio militare? Se un civis romanus non c’ha i soldi per pagarsi l’elmo e lo scudo, l’elmo e lo scudo glieli dà la res publica! Forza, forza, dentro tutti all’esercito, pure i morti di fame! Da oggi tutti i civis romani hanno il privilegio di morire per Roma pure se non tengono un quattrino!” (Pausa. Riprende il martello) Mah, guardi signor Caio Mario, la ringrazio del pensiero ma io starei a posto così, tengo un iùgero di terreno in Salentinum e un padre che non sta mica tanto bene poveretto, magari invece di morire per Roma io andrei avanti a fare il contadino e a badare a mio padre… NOSSIGNORE. Il padre invalido te lo porti appresso. Nove anni di servizio nella Legio Decima Gèmina con quell’invasato di Cesare. E il papà nella tenda.
(Alle sue spalle) Ah? None papà, Cesare non è una brava persona! Cesare è ’nu fetente, te lo dico io. (---) Ma perché?!? Perché prima di tutto uno che in due anni scarsi fa la guerra ai Galli ai Parti ai Britanni agli Ossezi ai Nervi e ai Liguri qualche problema nella capa ce l’ha, tanto che a Roma gli han dovuto dire: “À Cesare mo però datti una calmata, torna nell’urbe a fare il console e lascia un po’ in pace il mondo, che se le guerre le combatti tutte tu, cinquecento anni di impero poi come li riempiamo?”. Eh. Ma Cesare è ’nu parachiappe papà, Cesare faceva la bella vita, la villa con l’acqua termale, il vino di Fàrsalo... c’aveva milioni di debiti con le banche, a un certo punto si è detto: “Qui io o divento imperatore, oppure mi chiudono nelle carceri mamertine e buttano via la chiave”. E per diventare imperatore si è messo a far la guerra a tutti i popoli che conosceva, dagli Assiri ai Zoroastri in ordine alfabetico. (Pausa. Abbassando la voce) E poi dicono che c’abbia pure il vizietto. (---) Che va cogli uomini e con le donne, papà. (---) No papà, non è un uomo di mondo, è ’nu RICCHIONE! (Riprende a scalpellare con rabbia)
Comunque a me che mi frega, Cesare può andare anche cogli elefanti di Annibale per quel che mi riguarda, però mondo cane dopo diciotto anni di servizio non c’avevamo il diritto di tornare in Apulia a coltivare le olive? (---) Diciotto anni papà, nove anni io e nove te che mi aspettavi nella tenda, fan diciotto anni tondi che abbiamo dato alla res publica. Mo basta. Signor Giulio Cesare, io se nulla osta allora prenderei congedo, tengo anche una certa età e c’ho un ginocchio sfasciato da una clava germanica, fra me e mio babbo non facciamo un soldato intero, tanti saluti e ce ne torniamo nel Salento, le auguriamo le migliori cose. NOSSIGNORE. Prima del congedo ci sarebbe ancora qualcosina da fare. “Un segno di riconoscimento per il console Paolo Emilio Lepido che ha fatto tanto per Roma”. (Pausa) A parte che pure io ho fatto tanto per Roma mi sembra ma segni di riconoscimento zero, comunque sentiamo. Che c’è da fare? Una lapide? Una statua equestre? No. UNA STRADA. (Pausa)
Ma giove porco papà, questi giocano a fare la guerra e poi come riconoscimento non gli va mica bene una statua ai giardini pubblici, questi vogliono una strada! ’Stu Paolo Emilio Lepido si sveglia una mattina e dice: “Ma lo sai che una bella via consolare da Rimini a Piacenza ci starebbe proprio bene?” Da Rimini a Piacenza, papà! Sai quanti minchia di mattoni stradali ci stanno da Rimini a Piacenza? E li devo squadrare io e quelli come me che c’avrebbero altro da fare che costruire la via Paola o la via Lepida o la via Emilia o come minchia si chiama ’sta minchia di strada per una minchia di console che invece della statua vuole una strada da Rimini a Piacenza! (Pausa) Che poi, papà, cosa ci va a fare uno di Rimini fino a Piacenza? A Rimini son pescatori, a Piacenza sono Galli Celti che non parlano neanche il latino, in mezzo c’è gente che fa il formaggio e alleva maiali, contadini come me e te, quest’idea della “grande strada per unire le genti italiche” a me mi sembra una solenne minchiata. (Si alza in piedi) Le genti italiche non vogliono mica essere unite, le genti italiche si vogliono coltivare le olive in santa pace.
(Zoppicando si dirige col mattone verso una persona del pubblico. Gli mostra il mattone) Ave capomastro. Opus est quadratum, opus bonum et bene factum, è ’nu bello mattone fatto a regola d’arte, posso andare in pausa? (---) Laevigatio? Ma più levigazio di così mondo cane! È ’nu mattone stradale che ci passano sopra i carri, non va mica nel tempio di Minerva! (---) Bonum, capomastro, bonumLaevigatio. Picciocca ’e sorora capomastro. (Imprecando a denti stretti in salentino, torna a scalpellare mentre entra la musica Il tempo che passa)

 

 

INTERMEZZO. IL TEMPO CHE PASSA

 

Nella penombra, il personaggio indossa una camicia lacera, si incatena i polsi e prende fuori quinta un tino per la pigiatura dell’uva. Il cambio di scena è accompagnato da una musica e suoni e voci registrati che entrano e si perdono nel tempo.

— Pecore al pascolo

Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo ecclesiam meam

— Cavalli al galoppo

— Rumori e grida di battaglia

— Per misure 26 di grano detto “Saraceno”, 5 fiorini; per 12 pezze di panni franceschi, 4 fiorini e 8 soldi; per braccia 20 di serico panno di Cina, 15 fiorini…

— Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / che la diritta via…

— Dinanzi a Cosimo Rucellai notaio, addì 5 marzo anno Domini mille e trecento cinquanta sette

— Non havvi dipintore maggior di Michelàgnolo, che in San Pietro le storie de li profeti mirabilmente a fresco pitturò ne le stanze di papa Sisto

— … e quindi uscimmo a riveder le stelle

— Et avvisiamo che il signor Galileo faccia prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione, ché lo ritenere il Sole nel centro del mondo è cosa molto pericolosa di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture

— Battaglia

— … e il naufragar m’è dolce in questo mare

— … La traviata ha fatto un fiascone e peggio, hanno riso. Per me credo che l’ultima parola sulla Traviata non sia quella d’ieri sera. Vostro affezionatissimo Giuseppe Verdi.

— Noi, Vittorio Emanuele II, Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione…

Musica e voci vanno in fade out.

 

 

OH! FIGLI DELLA TERRA

 

Il personaggio, con le mani incatenate, pigia l’uva nel tino.

(Parlando agitato rivolto alla quinta di destra) E gliel’ho detto papà! Come, non gliel’ho detto? Guardate che ci sta un equivoco, io sono ’nu contadino, la roncola mi serve per la gramigna, io non c’entro niente con ’sta gente! (Pausa) Ma niente. Si tengono convinti. Mannaggia la miseria papà! (Si butta a sedere sconsolato per terra) Che ho fatto? Eh, che ho fatto. Stavo nel podere a bagnare le cipolle e passa Chiavone correndo che mi dice: “Compare, vieni alla villa de lu barone che oggi è domenica e mangiamo lu pollo!” Mah. Poi passano Sacchitiello e Cotugno col forcone e dicono: “Compare, vieni alla villa de lu barone che oggi è domenica e beviamo lu vino!”. (Pausa) Poi passa Vincenzino Caruso e non dice niente, e in mano c’ha il coltellaccio del maiale. A me sta faccenda de lu pollo e de lu vino devo dire che mi incuriosiva assai, perché in vent’anni che sono al mondo dalla villa del barone Casamonica solo mazzate e pedate nel culo sono uscite, altro che pollo. Allora piglio la roncola e corro dietro a Vincenzino Caruso, e alla villa del barone papà ci sta lu finimondo, i famigli che scappano di qua e di là, le donne che strillano, e tutti i cafoni da Lagopèsole a Ruvo di Puglia che ridono e bevono lu vino del barone e corrono dietro alle galline. ’Nu finimondo, papà.
Caruso per la contentezza tira un gesù cristo dopo l’altro, poi afferra ’nu pollo e ci taglia il collo. Poi prende ’nu capretto e ci taglia il collo. Poi vede il maiale che scappa e ci taglia il collo. (Pausa) Mentre arrostiamo lu pollo, lu capretto e lu porcu arriva il sorvegliante del barone facendo un’iradiddio e Caruso ci taglia il collo pure a isso. (Pausa) A me ’sto tagliamento di colli a destra e sinistra mi diceva male papà, e ci faccio a Caruso: “Vince’, ma che sei scemo? Isso è ’nu cristiano!” “None. Isso è lu campiere del barone Casamonica. Isso è ’nu maiale tale e quale”. E mi passa l’osso del prosciutto. Morale: arriva la cavalleria piemontese, ci sprìcula di mazzate e ci porta tutti qui. Brigantaggio e devastazione, papà. Roba da corte marziale.

Un canto in lontananza.

Ogni giorno ne fucilano due o tre per dare l’esempio, e noialtri ci portano a coltivare l’uva de lu generale Cialdini, che c’ha tutta questa tenuta qui a Castelvetro e ha bisogno di manodopera.
Ah? Ci devo spiegare bene a li piemontesi? Ci devo fare ’nu “ragionamento”?
Ma scusa papà, questi vengono da Torino, c’hanno le Alpi fuori dal balcone e Palazzo Madama con i gelati da passeggio, io coltivo le cipolle a Sferracavallo, ma che discorsi possiamo fare? Questi son calati dal Piemonte come gli unni e per prima cosa c’han mandato in esilio i Borbone “perché non vogliono l’annessione al Regno e sono ignoranti come le capre”. E c’hanno pure ragione, c’hanno, ma a noi i Borbone ci stavano bene proprio perché erano ignoranti come le capre: ci si capiva al volo. ’Sti Savoia c’hanno la fissa delle lingue straniere, ti parlano francese e se non capisci allora ti parlano in italiano, sai che differenza… manco sulle cose semplici ci si intende, ’na caciotta per loro è una toma, lu porcu è il verro, altro che unità d’Italia papà, qui mancano proprio i fondamentali! Manco su lu porcu ci si intende.
Ah? No papà, Garibaldi però non è una brava persona! Garibaldi è ’nu capo e’ cazzo pure isso, se era ’na brava persona Garibaldi faceva la guerra al papa e noialtri cafoni ci lasciava in pace, che non è che prima le cose andassero benissimo ma almeno si mangiava, almeno! Ma no. Arriva ’sto grandissimo fetuso col cavallo bianco e il tappeto sulle spalle… (Pomposo) “Fratelli del Meridione, siete liberi. Tornate alle vostre case, tornate ai vostri campi”.
A Gariba’, ma quali campi?!? I campi sono del barone Casamonica, io ci fatico a mezzadria e a novembre mi tengo una cipolla su quattro e un fiasco d’olio, il resto se lo piglia o’ barone, insieme alle ragazze da marito. Tornate ai vostri campi? Ma che stai a di’?!? Ma niente. Novantamila cafoni che c’avevano il rancio assicurato, arriva Giuseppe Garibaldi e scioglie l’esercito borbonico! Tutti a casa. Ma tutti a casa ’sta minchia, scusa! Tutti a casa cosa?!? E domani a casa che mi mangio, Gariba’? Lo statuto albertino?!?

Il canto in lontananza, un po’ più forte. Il personaggio guarda verso sinistra con angoscia.

Eh. Li fanno cantare papà. (Pausa) Il sergente tutte le mattine ci raduna davanti a lu generale, fa l’appello e poi ne prende dieci o dodici e li fa cantare. “Cantate le vostre canzoni, cafoni”. E issi cantano. Noi lavoriamo nella vigna e issi cantano. E intanto i soldati portano dentro il magazzino Caruso, o Sacchitiello, o Domenico Cotugno, e gli fanno le domande. Vogliono sapere quanti sono. Dove nascondono le armi. E quando issi poveri cristi urlano, il sergente fuori dice: “Più forte, cafoni”. E quelli cantano più forte. (Lunga pausa) A Caruso ci hanno storpiato i diti della mano, non può più tenere la vanga, dice che quando lo lasciano andare si impicca nella masseria ma prima ne sgozza quanti ne può sgozzare, di piemontesi.

Il canto in lontananza, più forte. Il personaggio guarda ancora verso sinistra.

(In preda all’agitazione) Io non tengo niente da spartire con Caruso e Sacchitiello, papà! Issi son violenti, dovevi vedere a Caruso come ci brillavano gli occhi quando sgozzava lu capretto. E quando si portava le ragazze nel bosco… Ma cosa “beato lui!” papà, ma che discorsi mi vieni a fare?!? Io la Michela di Trebisacce cinque settimane l’ho accompagnata a messa la domenica, prima di rivolgerci la parola! E Caruso si è preso sua sorella Assunta che non ci aveva quindici anni e l’ha portata direttamente nel pagliaio! E allora! Issi son briganti veramente, sono mala gente, li piemontesi fanno bene a fucilarli tutti nella schiena! Ma io papà tenevo fame, manco lu pollo sono riuscito a mangiare che i soldati ci han portato tutti qui in catene!
(Guarda sempre verso sinistra) Il generale Cialdini ha detto che processo o non processo ci fucila tutti, che Ricasoli gli ha dato lu pieno potere e lui se ne catafotte del processo, ma quelli che non hanno fatto niente di male se giuriamo fedeltà al Regno ci tiene qui a coltivare l’uva grasparossa, e io ci resto papà. Si capisce che ci resto! E cosa torno a casa a fare? A coltivare le cipolle per il barone Casamonica? A guardare Caruso che si porta nel bosco le ragazze?!? Non è che se uno nasce al sud poi ci deve pure crepare, al sud. Si può crepare pure al nord, papà.
(Guarda verso sinistra) ’Sta grasparossa non so che vino ci si potrà mai tirare fuori ma se va bene al generale Cialdini va bene pure a me, me ne resto in Emilia a crepare di freddo ma io al muro non ci voglio finire papà! Ma che ho fatto io per finire al muro?!? Manco lu pollo ho magnato! Manco la Michela di Trebisacce, managgia la miseria! Ce lo dico al sergente domani all’appello. Eccome se ce lo dico. “Io non canto signor sergente. Io non sono ’nu ribelle come issi! Sono ’nu contadino. Io non ho fatto niente di male signor sergente, ce lo dica al generale. Io non canto.” (Pausa. Si avvia incerto verso sinistra)

Mentre le luci si abbassano, si leva un canto: prima sommessamente, poi sempre più forte.
Il personaggio canta e piange. Le luci sfumano nel buio e il canto sfuma nella musica Il tempo che passa.

 

 

INTERMEZZO. IL TEMPO CHE PASSA

 

Nella penombra, il personaggio si leva i pantaloni e prende fuori quinta un tavolo di legno, una camicia bianca, una camicia nera e un vecchio ferro da stiro. In sottofondo, musica, suoni e voci registrati che entrano e si perdono nel tempo.

— Al signor Guglielmo Marconi, Bologna. Codesto Ministero non ritiene di interesse il telegrafo senza fili che Ella propone.

— Rumori di guerra, cannoni e mitraglie

— Di che reggimento siete, fratelli?

— è iscritto a parlare l’onorevole Giacomo Matteotti: ne ha facoltà.
“Onorevoli colleghi…”

— SCIOPERO GENERALE!

— Canto La lega: “Sebben che siamo donne / paura non abbiamo…”

— Urla, gente che scappa

— Combattenti di terra, di mare e dell’aria, ascoltate…

— Ettore Majorana, fisico, scomparso in Roma in data 27 marzo 1938. Sospendere le ricerche.

— La parola d’ordine è una sola: VINCERE!

Musica e voci vanno in fade out.

 

 

CON L’ACCENTO SULLA “E”

 

Il personaggio in mutande stira la camicia nera.

(Parlando in quinta) Eh, lo so papà. Ce l’ho detto: “Podestà, guardate che il nero non si intona con la cerimonia, una camicia bianca magari, una cravatta…”
“La cravatta è da effemminati! Venite con la camicia d’ordinanza e vedete di farmi sentire le maiuscole”.
(Leva di tasca un foglietto. Assume una posa oratoria e prova il discorso) “Maestà…” no, così nun va. È scialbo.Maestà!” Uhm. Un poco più virile, magari.MAESTÀ!!!” Eh, così si piglia paura…: ‘E che vuo’?!? Mi hai fatto prendere ’n accidente, mi hai fatto!’ (Pausa)
“MAESTÀ. La popolazione di San Lazzaro Parmense” – mo, popolazione… 400 persone, popolazione… – “la popolazione di San Lazzaro Parmense, fiera dei suoi sentimenti di devozione e totale dedizione alla Patria” – ah no, il podestà vuole che si sentono le maiuscole… –fiera dei suoi sentimenti di devozione e totale dedizione alla PATRIA!, va gloriosa degli oltre duecento suoi caduti nel campo dell’onore”. (---) Nel campo dell’onore papà. (---) Ecchenneso, l’ha scritto il podestà, non l’ho mica scritto io. (Pausa) Vuol dire morti in guerra. (---) E lo so, papà, ma se scriveva “morti in guerra” nun suonava bene. Il fascista non muore in guerra: cade nel campo dell’onore. Sono solo i poveracci che muoiono in guerra. (---) No papà, Mussolini in fondo non è una brava persona: Mussolini è ’nu fetente! Se era una brava persona Mussolini ti lasciava a Otranto a coltivar gli olivi invece di mandarti “volontario” in Libia! Che sei tornato con la febbre reumatica e mo agli olivi chi ci pensa? (Pausa) Fammi andare avanti papà, che ’sta inaugurazione c’è oggi pomeriggio e me devo imparare lu discorso a memoria.
(Tirando via) “MAESTÀ. La popolazione di San Lazzaro eccetera, fiera dei suoi sentimenti di devozione e totale dedizione alla Patria” – ’a maiuscola… – “PATRIA!, va gloriosa degli oltre duecento suoi caduti nel campo dell’onore” punto. Vabbuono.
“La celebrazione dei caduti non poteva andare disgiunta dalla preparazione dei futuri soldati d’Italia… d’ITALIA!, e pertanto ecco che si volle l’Asilo-Monumento ai Caduti… CADUTI!” (Scuote la testa) Papà, questi ai caduti invece che la lapide al camposanto ci fanno un asilo per li cìtili. Sai come ti cresce bene lu cìtile in mezzo ai morti… per forza che poi appena tiene l’età diventa pure lui “futuro soldato d’ITALIA!” (---) Papà, a me ’ste cose mi danno fastidio come a te, ma nun è che un attore può fare solo Pirandello di ’sti tempi! Se vuole lavorare deve fare pure (legge il foglietto) la celebrazione dell’Asilo-Monumento ai Caduti. (Pausa. Si siede)
Te lo ricordi papà il Teatro Argentina, con le poltrone di velluto rosso? Quanto ti stimavi che c’era il mio nome sul programma di sala, che andavi in giro per il foyer a farlo vedere alle maschere! (Con affetto) Mi hai fatto vergognare, mi hai fatto… (Ricordando) “Così è se vi pare, tre atti di Luigi Pirandello, regia di Angelo Musco, con eccetera eccetera… Il Signor Ponza… La signora Frola… Il Consigliere… Il Commissario… ma ’ndo sta? Ah, ecco, IL CAMERIERE: Antonio Greco! È figlio mio ’stu Antonio Greco, ma non fa il cameriere: fa l’attore” (Si alza) Papà, fammi andare avanti che ’sta minchia di orazione devo impararla a memoria.
(Tirando molto via) “MAESTÀ! La popolazione eccetera, fiera dei suoi sentimenti eccetera di totale dedizione eccetera, va gloriosa eccetera caduti nel campo dell’onore. La celebrazione dei caduti eccetera eccetera e pertanto eccetera l’Asilo-Monumento ai Caduti” punto. (Rallenta) “Il Consiglio d’Amministrazione chiede quindi umilmente alla Vostra Sovrana Benevolenza” madonna, queste son tutte maiuscole… “il CONSIGLIO! D’AMMINISTRAZIONE! chiede umilmente alla VOSTRA! SOVRANA! BENEVOLENZA! che l’ASILO! di SAN! LAZZARO! PARMENSE! venga elevato alla dignità di ENTE! MORALE!!!” Punto, due punti e punto a capo. “MAESTÀ! L’asilo-monumento di San Lazzaro continuerà nella più salda devozione per la PATRIA! IMMORTALE! e per la SACRA! MAESTÀ! del suo… RE!!!” (Pausa)
Papà, questo ha scritto Re con l’accento. Secondo te vale come ’na maiuscola o lo devo enfatizzare a parte? (Ripiegando il foglietto e mettendolo nel taschino della camicia) Vabbè. Mettiti lu vestito buono papà, che dopo l’inaugurazione ci sta ’nu “rinfresco sontuoso offerto alla popolazione”, ti mangi una pastarella pure te che è da ieri sera che non prendi nulla. (---) Lo so papà che a te ti bastano due olive e mezzo bicchiere di vino. Ma a me no. (Pausa. Si guarda la camicia. Pensoso) Papà, ’sta camicia però tiene ’na macchiolina, non vorrei che il podestà si sente mancato di rispetto. (Si toglie la camicia nera e indossa quella bianca) No no, se guardi bene tiene ’na macchiolina. Eh. Fidati. Se ti dico che ci sta una macchiolina… Meglio ’sta camicia bianca. (Pausa. Avviandosi verso il fondo) Ti ricordi papà dopo il teatro, ti portavo a mangiare a Trastevere… altro che olive, lu abbacchio al forno ti magnavi prima di prenderti le febbri in Libia! Eh! E certe caraffe di vino… (---) Ma no papà, è vino pure questo d’Emilia anche se c’ha le bolle dentro, a loro ci piace così, che ti devo dire… (Parlando sottovoce col papà, va sul fondo mentre le luci si abbassano ed entra Il tempo che passa)

 

 

INTERMEZZO. IL TEMPO CHE PASSA

 

Musica e voci registrate che entrano e si perdono nel tempo.

— Sirena di allarme aereo

Roma città aperta, Anna Magnani: “Francesco! Francesco!!!”

— Proclamazione Giovanni XXIII: “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam

— Alberto Sordi: “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo”

— Cinegiornale Luce: le novità del 43° Salone dell’auto di Torino

— Mike Bongiorno: quiz da Lascia o raddoppia

— Cinegiornale: inaugurazione primo supermercato all’EUR

— Audio comizio ed esplosione della bomba in Piazza della Loggia a Brescia

— TG edizione straordinaria: rapimento di Aldo Moro

— Telecronaca di Italia – Brasile: i tre gol di Paolo Rossi

Musica e voci sfumano in rombo di motori e rumore di auto da corsa che sfrecciano.

 

 

ALFA GIULIA GTA SOVRALIMENTATA COLOR GIALLO POSITANO

 

Il personaggio rientra con due sedie pieghevoli da campeggio e va a sedersi fra il pubblico.

(Alle sue spalle) Va bene qui papà? (---) Eh no, più avanti non si può, non c’è più posto. (---) C’è altra gente papà. Statte buono e guardati la corsa. (Al pubblico) Eh, abbiate pazienza, quando passa la Mille Miglia va in agitazione, vuole vedersi le macchine da corsa (---) Sì papà. Rettifico: vuole vedersi l’Alfa Romeo. Lo so papà, mo ce lo spiego ai signori. (Al pubblico) è che lui ha lavorato trent’anni all’Alfa di Arese, reparto verniciatura, ha respirato tanto alluminio da costruirci una lavatrice con l’alluminio che c’ha nei bronchi. Grazie tante signor Agnelli. (---) Eh no, papà! Per te son tutte brave persone ma se Agnelli invece di comprare Sivori metteva i filtri al reparto vernici faceva meglio secondo me. Comunque. Trentacinque anni e sei mesi alla catena di montaggio, e ogni 28 del mese tornava a casa e metteva la busta sul tavolo del tinello, che ai soldi ci pensava mamma. Lui si teneva le 500 lire per le nazionali senza filtro. Quando l’hanno messo in pensione è tornato a casa e ha messo la busta della liquidazione sul tavolo del tinello. “Con questi ci compriamo la casa” ha detto mia madre. Mio padre si è schiarito la voce e ha detto: “Teresa, per trentacinque anni e sei mesi sono andato a lavorare in bicicletta, tutte le mattine con la nebbia con la pioggia col freddo e col caldo mi so’ fatto Cusano Milanino – Arese in bicicletta, 14 chilometri ad andare e 14 a tornare. Mo che sono in pensione io, va in pensione pure la bicicletta”.
“E che ti vuoi accattare Francè? Una lambretta?”
“No. Mi voglio accattare l’Alfa Giulia”.
Eh, ma mica una Giulia qualsiasi. Dopo trentacinque anni alla catena di montaggio, uno su certe cose diventa esigente. (Pausa) Un’Alfa Giulia GTA carrozzata supersport e sovralimentata, scocca ultraleggera in Paraluman, meccanica in magnesio, motore da 1.570 centimetri cubici a doppia accensione. (Pausa) Color senape. (---) Sì papà, giallo positano. Coi suoi amici del reparto officina si era rettificato tutto il rettificabile, non c’aveva più un pezzo omologato questa Giulia… sospensioni ribassate, iniezione compressa, pistoni alesati… Teneva ’nu carburatore grosso come ’na pentola a pressione, quando la metteva in moto sembrava il ruggito di un leone, tremavano tutti i vetri del condominio… Mio padre al mattino andava in garage e si metteva in moto la Giulia pure se non doveva andare da nessuna parte, stava seduto con il cambio in folle e si ascoltava ’sto ruggito tremendo e bellissimo. (Con tenerezza) In trentacinque anni e sei mesi era la prima volta che vedevo mio babbo sorridere. (Pausa) San Donato Milanese – Quarto Oggiaro in 11 minuti da casello a casello, se non pigliava fuoco in autostrada per l’olio che ai 230 schizzava fuori dal motore. Una volta l’ha fermato la Stradale, gli han detto: “La ringraziamo della cortesia di essersi fermato, se dovevamo correrle dietro non so come facevamo. Adesso favorisca patente e libretto e l’Alfa gliela sequestriamo, l’autodromo è a Monza, qui siamo a Melegnano e i 230 all’ora non li può mica fare”.
Mia mamma… “Francè tu sei ’nu cuntadino, dovevi startene a Torre Saracena a coltivar l’olivo, cosa mi rappresenta un contadino di Torre Saracena sulla tangenziale di Milano ai duecentotrenta all’ora? Ma che è, ’na barzelletta?”
“Teresa, mondo cane, io a Torre Saracena ci restavo volentieri ma Antonio voleva studiare al Politecnico e a Torre Saracena il Politecnico nun ci sta, bisognava venire a Milano”.
Antonio sono io.
“Francè, bisognava venire a Milano ma non bisognava mica venirci ai duecentotrenta all’ora però!”
“Teresa, mondo cane, se volevo andare ai 50 mi pigliavo una Simca. Averci un’Alfa e andare ai 50 è una mancanza di rispetto”.
Insomma, ’sta Alfa Giulia era ’na continua causa di litigi peggio che se invece dell’Alfa mio padre si era pigliato l’amante. (---) Sì, papà, porto rispetto. Io studiavo, mia mamma gridava e mio padre alesava i pistoni dell’Alfa. (Pausa) Fino a che l’Alfa gliel’hanno rubata. Era un quartiere mica facile, i ragazzi della mia età stavano tutti nell’eroina e cose del genere, una notte ci hanno aperto il garage e si sono portati via la macchina. (Pausa) Avranno venduto i pezzi a un carrozziere dell’hinterland per ventimila lire. (Pausa) Mio padre quando al mattino ha trovato il garage vuoto si è seduto su una latta di lubrificante ed è stato in silenzio un quarto d’ora. Poi si è alzato e mi ha detto: “Antò, è stata una cosa bella ed è finita. Io nella vita ci ho avuto tre cose: gli olivi di Torre Saracena, la Giulia e un figlio diplomato al Politecnico. (Pausa) Va bene così Antò. C’ho un po’ di dispiacere per gli olivi e la Giulia, ma a me con ’sto alluminio nei polmoni non è che mi rimane poi molto da campare. (Pausa) Però Antò prima di morire voglio fare una cosa”.
“Che cosa papà?”
“Voglio andare alla Mille Miglia”.
Madonna chisto è uscito pazzo ho pensato, questo si vuole pigliare ’na macchina da corsa e fare la Mille Miglia, mamma l’accìde… (Pausa) E invece per fortuna la Mille Miglia gli basta di venirsela a guardare. A maggio me lo carico sulla Y10 (---) lo so papà che come macchina è proprio ’na schifezza, scusami tanto… (Al pubblico) lo carico sulla Y10 e lo porto a veder passare la corsa. Mamma non vuole venire: “Antò, io coi motori ho già dato”. Ci prendiamo su io e lui e veniamo a Parma che si mangia bene. (---) Papà, il riso e cozze a Parma non si trova ma vorrei anche vedere, dove le prendono le cozze, nel Baganza? Insomma, passiamo la domenica e poi torniamo a Milano. (Si alza e comincia a chiudere le sedie da campeggio) Che poi adesso l’Alfa la fanno in Minnesota, che con tutto il rispetto per il Minnesota non è la stessa cosa mi sembra. È come fare il Negramaro nel Canton Ticino, sarà anche buono ma non è mica Negramaro. (Incamminandosi) Vieni papà, si è fatto tardi, mamma ci aspetta. (---) E non lo so papà quando passa l’Alfa. Mo passerà. Ce la vediamo l’anno prossimo, l’Alfa. (Parlando sottovoce col papà va sul fondo, mentre le luci si abbassano ed entra Il tempo che passa)

 

 

INTERMEZZO. IL TEMPO CHE PASSA

 

Musica e voci registrate che entrano e si perdono nel tempo.

— Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nella reclame del bilama Bic

— (Voce inespressiva) … Frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, corruzione semplice, corruzione aggravata, concussione, corruzione giudiziaria…

— Pubblicità: “Dove c’è Barilla c’è casa”

— (Voce inespressiva) … Finanziamento illecito, evasione fiscale, tangenti, reati tributari, falsa testimonianza, corruzione di pubblico ufficiale…

— Televendita di materassi

— (Voce inespressiva) … Concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, diffamazione, abuso d’ufficio, prostituzione minorile, corruzione in atti giudiziari…

— Vittorio Sgarbi litiga con qualcuno e lo insulta

— (Voce inespressiva) … corruzione di minori, abigeato, guida in stato di ebbrezza, furto di bestiame, rapina a mano armata, circonvenzione di incapace, bigamia …

— Spot pubblicitario: “Passa a Wind, porta i tuoi amici!”

— (Voce inespressiva) … Corruzione arbitrale, mendacio, atti osceni in luogo pubblico, vilipendio della bandiera, omicidio colposo, dirottamento aereo, strage, guida senza patente…

— (Voce inespressiva) … il fatto non costituisce reato.

Musica e voci vanno in fade out.

 

 

UNO E CINQUANTA AL LITRO

 

Il personaggio entra e si siede su una seggiola al centro della scena. Ha una latta con sé. Silenzio.

Ti ho portato l’olio, papà. (Posa delicatamente la latta sul palco) quarantacinque litri in tutto abbiamo fatto. Eh, mica tanto, lo so. Le piante sono stanche, quest’anno bisognava farle riposare ma ci tenevo a fare la raccolta. (Pausa) Ho parlato con quelli del comune, papà. Dicono che un uliveto in copp’ a lu paese è “anacronistico”, che l’olio mo con la grande distribuzione si trova pure all’Eurospin e lu terreno agricolo ci si cambia destinazione d’uso e diventa edificabile, la comunità si espande e siamo tutti contenti. (Pausa) Lo so papà che tu non sei contento, ma è lu progresso. Se al posto dell’uliveto ci fanno ’nu centro direzionale tu devi esser contento perché la comunità si espande. Se invece della comunità si espandono gli ulivi, quello è “anacronistico” papà. Eh. (Cerca di scherzare) Tu sei rimasto al latifondo papà, tu sei ’nu borbone dentro anche mo che stai al nord! (Pausa) Dicono che secondo il piano regolatore non ci viene manco un euro. (Tira fuori dalla tasca un foglio e legge) “Con esproprio tecnico ai sensi della legge 392 l’indennizzo non è contemplato”, però se non gli creiamo problemi di avvocati e ricorsi fanno in modo di darci una stanza come custodi. Ne lu centro direzionale. Io ho detto che ne dovevo parlare con te. (Pausa) Io il custode non lo faccio papà, ormai mi sono sistemato qui, c’ho un lavoro, ci sei tu, che ci torno a fare a Sannicola a fare lu custode? E poi papà che minchia è un centro direzionale? A Sannicola papà ci stanno già due centri commerciali e un outlet, direi che per un paese di cinquemila persone siamo a posto. Comunque papà te lo volevo dire, non è che ci possiamo fare molto. Il figlio di zia Antonietta che studia giurisprudenza a Bari dice che si può occupare il podere e fare la “resistenza passiva”, ma quello papà sta tre anni fuori corso a Bari, mica a Oxford – non è che mi fido più di tanto. Soldi per un avvocato nun ce li ho, e poi chi lo occupa il podere? Io qui c’ho da lavorare. (Pausa) Che facciamo papà? La casa l’abbiamo venduta, a Natale io e Lucia col bambino stiamo da zia Antonietta, ’sto podere ormai vuol dire prendersi una settimana di ferie ogni settembre per fare la raccolta. Io a settembre le ferie non ce le ho papà. Manco gli altri mesi ce le ho, lavoro in un’impresa “modernamente organizzata” e le ferie hanno scoperto che rallentano la produzione. (Guarda pensoso la latta) Papà, io a quelli del comune ci ho detto: “Prendetevi ’stu podere e andate sulla forca”.

Da lontano, in sottofondo, una musica.

Lo sai quanto viene l’olio di oliva all’Eurospin, papà? Un euro e cinquanta al litro. Come la Coca-Cola. Per fare un litro d’olio ci vuole un quintale di olive. Per fare un quintale di olive ci vuole un albero di due metri e mezzo, e qualcuno che lo pota, gli dà l’acqua, lo copre quando gela, gli muove la terra a primavera e a settembre raccoglie le olive. Poi ci vogliono due euro al quintale per il frantoio. Quaranta centesimi per la latta. Dodici centesimi per lu tappo di plastica inodore. E tre centesimi di accise Igea Imu e tasse governative sulla produzione agricola.
(Si alza) Noi non abbiamo capito una minchia papà. Ci ostiniamo a nascere al sud. Nascere al sud è “anacronistico”. Il sud non serve più a niente papà. Tu hai raccolto l’ulive per una vita, quando potevi andare all’Eurospin e accattarti l’olio a un euro e cinquanta al litro. (Si abbottona la giacca)
Ciao papà. Torno a trovarti presto. (Pausa) Sei una brava persona, papà.
(Esce lentamente sul fondo, mentre la musica cresce e le luci si abbassano sulla latta d’olio)