IL TIRANNO E IL TYCOON

Dramma documento di 

Enzo Ferrara


Legnano, 15 - novembre - 2022
Presentazione

Dal 2001 al 2017 con cadenza annuale Silvio Berlusconi e Vladimir Putin si incontrano. 
Il loro è un rapporto di amicizia con visite nei reciproci paesi.
Nello stesso periodo in Russia, per ordine di Vladimir Putin vengono commessi i più orrendi crimini contro l’umanità. In Cecenia si consuma un genocidio, in Russia vengono uccisi, solo nell’anno 2002 (anno in cui Putin è stato ospite in Sardegna nella villa di Silvio Berlusconi) ventitré giornalisti, 
I crimini continuano in tutto il ventennio della dittatura di Putin, vengono uccisi più di duecento giornalisti Colpevoli solo di non essere d’accordo con la politica del Cremlino.
Vladimir Putin viene dichiarato colpevole di genocidio per i massacri in Cecenia e in Siria. Incurante di questa ignominiosa accusa il Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, intrattiene una affettuosa amicizia con il genocida.
Ho voluto scrivere questo dramma documento servendomi di dati estratti da documenti ufficiali e delle testimonianze di due scrittrici. La prima è Anna Politkovskaja fatta uccidere nel 2006, autrice di libri, articoli e inchieste sulle condizioni di terrore e violenza che lacerano la Russia di Putin. L’altra è Olena Stiazhkina, storica e scrittrice, insegna all’Università di Donec’k.
Per ovvi motivi di attualità la chiusura del testo non è contemplata.

Enzo Ferrara

IL TIRANNO E IL TYCOON

Ambiente da definire scenograficamente.
Nella scena devono convivere due modalità di rappresentazione. 
Una in cui i personaggi vivono la loro storia, l’altra in cui gli eventi storici verranno rappresentati con due attori che leggeranno e uno schermo su cui verranno proiettati le immagini della Storia.
Chiamerò PALCO 1 dove si rappresenta la storia
        PALCO 2 dove si rappresenta la Storia

I personaggi:
Lui: un addetto al servizio di Berlusconi durante la presenza di Putin
Lei: una addetta al servizio di Berlusconi durante la presenza di Putin.
Berlusconi: Personaggio politico e imprenditore definitosi Tycoon
Putin: Presidente della federazione Russa ospite di Berlusconi.
Un lettore e una lettrice davanti ad uno schermo


SCENA PRIMA

PALCO 1

Si sente da fuori il suono di una banda che intona un inno marziale
Atmosfera febbrile in attesa di un ospite importantissimo.

Lei: (guarda fuori come dovesse scorgere qualcosa in un punto preciso. Si muove senza guardare davanti a se. Non vede e si scontra con un cameriere che viene dalla parte opposta.)
Lui: Stai attenta!
Lei: Scusa! Ma quando arriva?
Lui: Chi?
Lei: Lui!
Lui: Vuoi dire il presidente della Russia, Putin?
Lei: Certo, lui! E chi se no?
Lui: Non lo so. Qui vengono tante celebrità. Questo addirittura lo riceviamo con la banda come fosse un liberatore e invece è solo un cialtrone. Viene gente di tutte le risme: stallieri, faccendieri, postulanti, intriganti, cospiratori, gente col fez, con la papalina, col casco, col caschetto, eppoi: signore, signorine, cosce lunghe, quarta di reggiseno, con slip, senza slip, attrici, attricette, conduttrici, giornaliste, deputate, assessore, senatrici… insomma qui, come dicono i francesi: c’est un port de mer…de. 
Lei: Si ma io non parlavo di lui, ma dell’altro. Come lo chiamano: lo Zar di tutte le Russie. 
Lui: Tutte le Russie? Una volta c’erano tante Russie! Adesso ce n’è una sola. Che basta e avanza! Anzi gli avanzi della Russia, spolpata, erosa, scarnificata dai suoi stessi cani da guardia. Lui e i suoi compari, torturatori, carnefici, boia, persecutori hanno fatto del loro paese un campo di cardi, duri da mangiare per il popolo, mentre loro, gli oligarchi, loschi figuri, spogliatisi dalle loro divise di torturatori vanno a mangiare nei migliori ristoranti del mondo libero.
Lei: Ho la sensazione che ti stia antipatico lo zar!
Lui: Hai delle buone sensazioni.
Lei: Se è come tu dici, allora il nostro presidente va con gente così brutta?
Lui: Lui, il presidente, vuole rimanere nella storia, vuole una statua al Pincio, un busto a Montecitorio è così pieno di sé che appena incontra un suo simile se ne innamora. Vladimiro è la sua copia ingrandita. Come Narciso si innamorò della sua immagine così lui si è innamorato del tiranno russo.
Lei: E lo zar? Che farà? Corrisponderà a questo amore?
Lui: Lo zar, si è tolta la divisa di sbirro e vuole friggersi nello stesso olio dei ricchi, dei nababbi: viene dal popolo e non sa come mangiare il caviale, come leccare un gelato, una fica, e in questo il nostro è un vero professionista, gli insegnerà. Gli insegnerà a usare la lingua anche per dire stronzate, andare in televisione a vendere pentole, materassi, divani, menzogne. Gli insegnerà come addormentare, come svuotare i cervelli.  
Lei: I russi ti stanno antipatici?
Lui: No! Io amo il popolo russo, la sua cultura, la sua storia. Sono cresciuto con i grandi scrittori russi, i grandi musicisti.
Lei: E perché lui no? Perché non è un musicista?
Lui: Perché lui non è russo. Lui è un sovietico. È rimasto un ufficiale della KGB, la polizia segreta più brutale che è mai esistita. E’ diventato ricco e potente imbrogliando il popolo russo. La Russia non si meritava un uomo così mediocre e violento.
Lei: Ma questo è il passato. Adesso il comunismo non c’è più. C’è la democrazia.
Lui: Macché democrazia! Putin e il peggior comunista che sia mai esistito. Vuole farci credere di essere democratico ma lui è peggio di Stalin. La democrazia bisogna averla dentro. Lui non è interessato alla democrazia. 
Lei: Ma guarda, io non ti capisco: Lui viene in Sardegna a trovare il nostro presidente, hanno una bella amicizia…
Lui: (ironico) Si, bella amicizia! Adesso si scambieranno i regali, faranno a gara a chi li fa più pacchiani e volgari, Silvio, regalerà una coppia di transessuali, Vladimiro, un modellino di Gulag staliniano. Questa è gente fatta così. Silvio fa le cene eleganti con le escort, Vladimiro le invasioni illegali con i Kinzhal.
Lei: Epperò c’hanno una barcata di soldi. Ma secondo te, chi è più ricco?
Lui: Ricco? Sono due poveracci da manicomio e gente pericolosa, molto pericolosi.
Lei: Poveracci? Ma che dici? Secondo me Putin c’ha i miliardi di rubli.
Lui: Da quando i miliardi fanno diventare umani le bestie? Quelli in testa hanno solo i soldi e il potere; solo così gli si rizza l’uccello. C’è chi prende il viagra e chi spara un missile per averlo duro. Soldi e potere meglio del viagra.
Lei: Perché non li vogliono tutti i politici i soldi e il potere? Ti risulta che ci siano politici che non vogliono soldi e potere? Dimmene uno!
Lui: Ti devo dare ragione, ma Putin è un caso a parte. Lui unisce: potere, criminalità e follia. Non è mai esistito nella storia dell’umanità un despota più pericoloso di lui. Un dittatore che si sente imbrogliato, derubato e vuole vendetta. Non ci sarà scampo per il mondo quando la bestia che è in lui si sveglierà.
Lei: Aho! mi stai mettendo una paura! Ma per davvero tu dici che quest’uomo è così pericoloso? 
Lui: Molto pericoloso. È necessario. Devo farlo! Dobbiamo farlo! Dobbiamo ammazzarlo prima che si svegli la bestia. 
Lei: Ma perché mi guardi? Dobbiamo! Chi?
Lui: Io! Tu! Dobbiamo farlo!
Lei: Tu sei pazzo! Ammazzare Putin? Mamma mia! Ahoooo! Aho! Ma chi ti ha assunto a te?
Lui: E a te?
Lei: Io, sono stata assunta dalla cooperativa “Service more” che non so che cosa vuol dire, ma ci chiamano quando qui c’è un ospite importante. E tu? Non ti ho mai visto.
Lui: Io lavoro qui da anni. Conosco questo posto da cima a fondo. L’ho studiato. È una vera e propria discarica di rifiuti umani. 
Lei: Vabbe! Questa è la tua opinione. Ma non mi dire queste cose di… fare quella cosa li…
Lui: Calma calma, ascolta, ascolta (mentre lei si dimena per svincolarsi, lui la tiene ferma) Quell’uomo, in Cecenia sta ammazzando un sacco di gente: donne, bambini, vecchi, uomini. Quell’uomo è il diavolo. Guardalo bene (la costringe a guardare un punto) vedi come sorride? Senza gioia, senz’anima, senza cuore. Guardalo bene, non c’è umanità in lui, solo finzione, solo perseguimento di una volontà. Dominare, dominare! Pensa a tuo figlio, a tua madre, a tuo marito. Quell’uomo lì un giorno li ucciderà!
Lei: Ma perché io e…tu? Perché non lo fa lui, quello, l’altro? 
Lui: Perché l’altro è un cialtrone! Silvio Berlusconi è un rutto della storia. Non capisce niente al di fuori di se stesso. Sa solo raccontare barzellette, vendere cianfrusaglie, imbonire le persone. Quell’uomo è una nullità!
Lei: Come una nullità? È il nostro presidente! E poi io non voglio ammazzare nessuno. Lo ammazzino gli altri, io sono una pacifista. Non ammazzo nessuno!
2 Lo farò da solo. Ma guai a te se parli!
(esce lasciando sola la donna, dopo qualche secondo la donna esce dalla parte opposta)
(Entra Vladimir, seguito da Silvio.)
Vladimir: Caro presidente, Grazie per l’accoglienza calorosa e sincera del suo popolo. Io amo l’Italia, la sua cultura, la sua arte, la sua cucina, le sue donne… ma non lo dica a mia moglie. 
Silvio: Tranquillo, signor presidente, per me è un onore averla ospite. La ringrazio per le belle parole sulla mia Italia e sono d’accordo su tutto, anche sulle donne, ma non lo dica nemmeno lei a mia moglie.
Vladimir: Ah!Ah! L’Italia! Io spero che da questa nostra amicizia possa nascere anche un legame politico, economico, profondo. Ma perché non evitiamo queste formalità? Diamoci il tu. Chiamami Volodya.
Silvio: Non è Vladimir il tuo nome?
Vladimir: Si, ma Volodya è come mi chiamano i miei amici particolari.
Silvio: È un onore, caro Volodya. Tu chiamami Silvio. Tu governi lo stato più grande del mondo, io sono solo il presidente del consiglio di uno stato più piccolo ma abbiamo una sintonia su molte cose e possiamo essere utili reciprocamente. Io in Europa, tu in Russia.
Vladimir: Si, l’Europa, anche se ti confesso, non ho mai capito perché si sia voluta fare l’Europa unita?
Silvio: Beh, c’è un motivo storico e anche politico. Storico perché nel corso dei secoli l’Europa è stata dilaniata da guerre ingiustificate e immotivate e poi perché finalmente abbiamo riconosciuto di avere delle radici culturali comuni. Dal punto di vista politico è conveniente oltre che necessario per affrontare i problemi della globalizzazione.
Vladimir: E la Russia? 
Silvio: Anche la Russia dovrebbe far parte dell’Europa, abbiamo molto della cultura russa in quella europea e poi la Russia è un grande Stato, importante… Ha un ruolo economico fondamentale nel mondo.
Vladimir: Ma non è la Russia di prima. Quando governavamo buona parte dell’Europa. Quando il mondo aveva paura della Russia. Adesso siamo uno staterello qualsiasi.
Silvio: Caro Volodya, permettimi di non essere d’accordo con te. La Russia ha una presenza molto importante, ma tu sei qui per rilassarti, pensare a te stesso. Ho organizzato tutto per farti passare un periodo di spensieratezza. Perciò accantoniamo la politica.
Vladimir: Hai ragione! Basta parlare di politica. Sono venuto qui per distrarmi dai miei problemi. 
Silvio: So che in questo periodo la Cecenia ti da parecchie preoccupazioni. Ma qui devi pensare solo a divertirti. A questo proposito mi viene in mente una battuta: sai cosa fa un ceceno per portarsi a letto una cecena?
Vladimir: Le punta un mitra!
Silvio: (ridendo) Nooo! La invita a… cecena!
(I due ridono)
Silvio: Bravo! Così va bene! A proposito: come sono queste cecene a letto? 
(I due escono ridendo)

SCENA PRIMA

PALCO 2 

Gli attori cominciano a leggere.
La prima guerra cecena
La Cecenia è una regione del Caucaso settentrionale di 17,300 km2 con 1.300.000 abitanti circa.
Nel 1944, per ordine di Lavrentij Berija capo della polizia segreta di Stalin, più di un milione di ceceni, ingusci ed altri popoli caucasici settentrionali furono deportati in Siberia e in Asia Centrale, ufficialmente come punizione per aver collaborato e appoggiato l'invasione della Germania nazista. La politica di Stalin rese la Cecenia una "non entità". Soltanto nel 1957, dopo la morte di Stalin, il primo segretario sovietico Nikita Chruščёv garantì al popolo ceceno e a quello inguscio il permesso di ritornare nella terra d'origine e di restaurare la repubblica autonoma.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 vide l’ascesa al Cremlino di Boris Eltsin.
Nel 1994 per mantenere il controllo dei giacimenti di petrolio del Caucaso settentrionale, l’esercito russo invase la Cecenia. 
Inizia la prima guerra cecena combattuta dal 1994 al 1996 e nonostante la preponderante maggioranza di soldati russi, la superiorità negli armamenti e il supporto aereo di cui fruivano le forze federali russe vennero respinti dalla guerriglia cecena. Fu il governo di Boris El'cin a dichiarare il cessate il fuoco nel 1996 e a siglare un trattato di pace l'anno seguente. La guerra finì con la dichiarazione d'indipendenza della Cecenia e la nascita della Repubblica Cecena d'Ičkeria.
Le stime ufficiali indicano 5.500 vittime tra i militari russi.
 Stime ufficiali e accurate per i guerriglieri ceceni non ci sono, i numeri vanno da 3.000 a 14.000. 
Le vittime civili oscillano tra le 30.000 e le 100.000 e più di 200.000 feriti; più di 500.000 persone furono costrette a lasciare la loro terra e le città, così come molti villaggi, vennero lasciate in rovina lungo tutto il paese
Il 9 agosto del 1999 uno sconosciuto tenente colonnello ed ex-direttore del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (erede del KGB sovietico), Vladimir Putin, venne nominato primo ministro della Federazione Russa. Comincia la sua carriera di sanguinario dittatore appena viene nominato primo ministro da Eltsin, scatenando la seconda guerra cecena.
Il suo primo atto, il 21 ottobre 1999, fu colpire con un missile il mercato nel centro della città di Groznyj, in Cecenia, provocando la morte di 140 persone, tra cui donne e bambini.
Solo una settimana più tardi un aereo russo attaccò un convoglio di profughi ceceni diretti verso la Repubblica d’Inguscezia: furono uccisi in 25, tra civili, volontari della Croce Rossa e giornalisti.
Dopo la conquista di Groznyj, nel gennaio del 2000 le rappresaglie russe contro i combattenti ceceni sfociarono nel massacro di Katyr-Yurt, quando 170 civili furono uccisi durante l’attacco a un convoglio protetto da bandiera bianca.
Si stimano tra le 25 e le 50 mila morti di innocenti nei dieci anni complessivi di guerra scatenata da Putin, ma anche crimini di guerra, stupri e saccheggi da parte dell’esercito e dei mercenari assoldati da Mosca. 
I gruppi russi per i diritti umani e Amnesty International hanno documentato più di 5 mila sparizioni forzate dal 1999 nella Cecenia occupata, all’interno di un quadro che è stato definito “un genocidio”.
Intanto Putin aveva accentrato nelle sue mani sia la carica di primo ministro sia di presidente della Federazione Russa. Inaugura un decennio di sangue e violenza nelle città della Cecenia.
Dal libro “PROIBITO PARLARE” di Anna Politkvskaja
Omicidi con ricevuta di ritorno
5 febbraio 2004
Esattamente quattro anni fa, il 5 febbraio del 2000, alla vigilia del primo mandato del presidente Putin, nel villaggio ceceno di Novye Aldy è avvenuta un’esecuzione di massa: in poche ore, i soldati federali appartenenti al ministero della difesa e a quello degli Affari interni hanno barbaramente ucciso cinquantacinque persone. Civili pacifici, per lo più anziani. Questa carneficina è stata la pagina più tragica della seconda guerra cecena. Eppure, nessuno ha pagato per quel che è successo. L’inchiesta, alla cui apertura si è giunti a stento, è stata messa a tacere. Gli assassini sono ancora in libertà. I testimoni rimasti vivi per miracolo e le famiglie delle vittime sono oggetto di intimidazioni e soprusi. La società civile tace.
Questo è il reportage da Novye Aldy oggi, febbraio 2004. All’ordine del giorno ci sono di nuovo le elezioni presidenziali. Ma come la pensano le vittime riguardo il primo mandato di Putin, interamente costruito sui “successi di una piccola guerra vittoriosa”?
Novye Aldy è un villaggio alla periferia sud di Groznyj, nato quando i ceceni che un tempo abitavano nella vecchia Aldy ritornarono dalla deportazione e trovarono le loro case occupate da altri. Prima della seconda guerra cecena la popolazione di Novye Aldy raggiungeva i 10.000 abitanti. Dall’inizio del dicembre 1999 la zona di questo villaggio è stata sottoposta a continui bombardamenti aerei (e messa a ferro e fuoco), sebbene qui non ci fossero postazioni della guerriglia. Fino all’inizio del febbraio 2000 gli abitanti vivevano in sotterranei e cantine, uscendo solo per rifornirsi d’acqua. In totale erano morte sotto il fuoco settantacinque persone. Il 3 febbraio alcune decine di abitanti decisero di avvicinarsi sventolando bandiera bianca alle postazioni del 15° reggimento di fanteria motorizzata e il comandante promise loro da far cessare il fuoco. Già il giorno seguente, sul villaggio calò un silenzio di tomba. La gente cominciò ad uscire dai rifugi per riparare le case. Ma la mattina del 5 febbraio ebbero inizio i rastrellamenti. Una parte dei militari arrivata dal sud si limitò a saccheggiare le case, senza ammazzare nessuno. I reparti che invece entrarono dal nord rapinarono e uccisero. Prima di togliere i malcapitati la vita, si facevano consegnare soldi, gioielli e capsule d’oro. Gli abitanti di Novye Aldy non seppellirono subito i loro morti in attesa dell’intervento della procura; solo il 19 febbraio si decisero a inumarli temporaneamente. Il 3 marzo la procura militare respinse la richiesta di un procedimento penale, aperto, invece, il 5 marzo dalla procura civile di Groznyj per la morte di cittadini inermi. Il 20 marzo Sergej Jastrzembskij dichiarò che “gli elementi riguardanti la complicità delle forze militari nei fatti di Novye Aldy non si possono comprovare” Inumazioni ed esumazioni delle vittime andarono avanti per tutta la seconda metà di aprile. A luglio la causa fu trasferita all’ufficio della procura generale del Caucaso Settentrionale, dove l’indagine si è arenata.

3 giugno 2004
Per tutta la scorsa primavera nella zona dell’”operazione antiterrorismo” è continuata la guerra del nostro governo contro i propri figli, futuri “uomini liberi” di un “paese “libero”.
Aerei ed elicotteri dell’aviazione federale sganciavano ordigni come Dio la manda, trasformando la primavera 2004 in una stagione record per numero di infanticidi. Poco tempo fa, a causa delle gravissime ferite riportate durante un bombardamento, è morto un altro ragazzo, Ibragim Chasagul’gov di soli sedici anni.
Abbiamo già scritto di questa storia. Ma ne ignoravamo la conclusione, e dunque ve la ripresentiamo. La sera del 25 marzo (era il primo giorno delle vacanze scolastiche), nella città di Ordzonikidzevskaja, i giovani, studenti universitari e degli ultimi anni delle superiori, si sono raccolti sulle sponde del fiume che attraversa il centro distrettuale. Alle undici uno stormo di aerei ed elicotteri ha sganciato un missile sulle loro teste. Un ragazzo è morto sul colpo, altri due sono rimasti gravemente feriti (uno di loro riporterà una invalidità permanente molto grave). Non ce l’ha fatta neanche Ibragim Chasagul’gov, rimasto in coma dopo un’operazione al cervello. Una sua compagna di classe ha composto in suo ricordo alcuni versi molto appropriati: «…Non è morto da eroe… né salvando un bambino da un incendio… né l’hanno riportato a casa in una bara dal campo di battaglia… ma in un semplice giorno di festa, così sotto un bombardamento…»
Madina Achmedovna Chasagul’gova, madre del ragazzo (Ibragim era il suo primogenito, non ha scritto una poesia, ma una lettera a Putin, che non ha ricevuto risposta. Ma Madina Achmedovna è convinta che la lettera non gli sia mai stata recapitata. Desidera quindi che venga pubblicata, in modo che il presidente possa darle una risposta chiara, come solo lui sa fare:
…Mi spieghi come può dormire sonni tranquilli il presidente di una grande nazione, lui stesso padre di due figli, se nel suo paese un elicottero militare può lanciare con grande precisione dei missili su studenti di sedici anni. Non esiste ragione o argomentazione nella lotta al terrorismo globale che possa giustificare che dei ragazzi siano diventati vittime casuali delle operazioni antiterrorismo… Sono profondamente convinta che non si possa vivere tranquilli se in una repubblica come la nostra, che si può attraversare in mezz’ora di macchina, i suoi affollati centri abitati, e più precisamente il centro del distretto di Sunzensk, Ordzonikidzevskaja, subiscono attacchi missilistici da parte di elicotteri da guerra.
Non sarà moralmente corretto, ma si immagini che l’orrore di quella notte l’abbia vissuto suo figlio. Chissà cosa avranno provato quei ragazzi mentre si sparpagliavano nel tentativo di ripararsi dai missili che mandavano bagliori, cadendo sulla mite terra di una grande potenza. E intanto, sull’elicottero con un avanzato sistema di puntamento, piloti russi avevano compiuto in modo egregio il loro dovere militare.
Una repubblica, una nazione dove la vita umana non vale nulla, dove l’uccisione dell’ennesimo cittadino non fa più effetto, secondo me non può avere futuro… In quei giorni tragici per la nostra famiglia nessun rappresentante del potere, né tantomeno dei comandi militari, si è interessato dell’accaduto, o ha offerto aiuto, neanche di tipo medico, campo in cui i militari dispongono di risorse all’avanguardia. È stato poi raggiunto il colmo del cinismo e della insensibilità quando nessun rappresentante del potere si è degnato di esprimere, in pubblico o in privato, le proprie condoglianze alle famiglie di questi ragazzi innocenti uccisi… Solo gli studenti degli istituti locali hanno dato prova di coraggio organizzando un meeting nella capitale della repubblica allo scopo di ottenere una risposta alla domanda: Per quale ragione vengono uccisi i nostri coetanei? La risposta non si è fatta attendere: il meeting è stato sciolto, gli studenti sono stati picchiati con violenza e contro una parte di loro hanno aperto cause penali, con la conseguente espulsione dagli istituti. Tali misure repressive sono parte di una politica di cui non voglio discutere in questa sede.
Oggi per me è di vitale importanza ricevere risposte ad altre domande: chi ha ucciso mio figlio? A quali interessi nazionali avrebbe attentato? Perché gli interessi dei militari possono sopraffare l’intero sistema giuridico del paese? Perché si crea consapevolmente un vuoto informativo sugli avvenimenti di cui sono protagonisti i militari? Dopo quanto è successo, con che spirito noi genitori possiamo crescere gli altri nostri figli come futuri difensori della patria?
Non mi serve aiuto materiale, perché tutto l’oro del mondo non può restituirmi mio figlio. Chiedo risposte, di poter collaborare a una inchiesta obiettiva su questo crimine per individuare e punire i colpevoli. È l’unica cosa che darebbe ancora un senso alla vita che mi rimane…
27/maggio 2004
Il nostro giornale ha scritto più volte a proposito dell’ondata di sequestri avvenuti quest’anno in Inguscezia e commessi, come supponevamo, con la complicità del dipartimento dell’FSB di repubblica. Sebbene la redazione desidererebbe con tutto il cuore si trattasse di un falso, il seguente documento, in base ai fatti, è da ritenersi autentico.

All’attenzione della procura generale di Russia
Si rivolge a voi il sottoscritto Oniscenko Igor’N., funzionario dell’SFB della Federazione russa in servizio nella regione di Stavropol’. Sono stato mandato in missione speciale in Inguscenzia e una volta terminato il mio compito ho fatto ritorno a casa. Ma la coscienza mi tormenta. Lavoro da quasi dodici anni come agente operativo nei reparti di polizia dell’FSB, ma non avrei mai pensato di soffrire fino a questo punto.
Il capo dell’SFB in Inguscezia, Korjakov, è un essere disumano facente parte del nostro sistema. Anche se sostiene di essere stato incaricato personalmente da Patrusèv e da Putin, resta un verme ripugnante, che ammazza ingusci o ceceni per il solo fatto come al solito che appartengono a quella nazionalità. Deve aver subito un’offesa durante l’infanzia e per questo li odia.
Korjakov costringeva me e i miei colleghi (in tutto lavoravamo per lui in cinque) a picchiare sistematicamente tutti quelli che fermavamo spacciandoci per agenti del ROS (Centro operativo regionale).
Tutto il resto come al solito; divisa speciale, maschere, nuovi documenti, tuta mimetica, automobili che di regola sequestravamo agli arrestati. (cambiavamo solo le targhe con numeri rilasciati appositamente). Facevamo finta di dirigerci oltre il confine di Magas, e invece, il più delle volte, tornavamo al nostro edificio a generale  per finire lì quelli che avevamo arrestato. Operavamo solo di notte, di giorno recuperavamo il sonno.
Korjakov riferiva a Mosca che il lavoro procedeva a dovere per giustificare la promozione a generale conferitagli da non molto. Avevamo un programma da seguire: far fuori almeno cinque persone alla settimana. All’inizio del 2003, appena cominciata la mia missione, arrestavamo veramente chi era implicato. Ma da settembre in poi, cioè da quando Korjakov si è infuriato a causa di un qualche (come ha detto lui) procuratore, prendevamo chiunque, senza distinzioni, in base all’aspetto. Korjakov diceva: «Tanto che differenza fa? Sono tutti dei vermi». Io e Sergej, personalmente, abbiamo rese invalide più di cinquanta persone, e sotterrate circa trentacinque.
Oggi sono tornato a casa. Mi hanno decorato per l’irreprensibile lavoro svolto nell’ultima operazione: “la rimozione” del procuratore locale che era in possesso di materiale compromettente su Korjakov. Il generale gli dava la caccia da tempo. Ho eliminato io i documenti e le armi d’ordinanza del procuratore e gli ho spezzato gambe e braccia. Quella stessa notte Korjakov ha dato poi disposizione ad altri di sbarazzarsi di lui.
Sono colpevole. Scrivo perché ho timore di Dio. Mi sono pentito. Questa è la pura verità che prima o poi verrà a galla. Ma non credo che questa lettera sia sufficiente a liberarmi dei miei peccati d’innanzi a Dio.
Igor’N. Oniscenko
Sotto c’è il timbro: «Ufficio della procura generale della Federazione russa del distretto federale del sud. 16 aprile 2004, documento n. 1556».
Non c’è niente da aggiungere o commentare. Vivere in un paese con tali forze speciali, e continuare a fingere che vada tutto bene, è già di per sé un crimine.

Tra la fine di agosto e settembre del 1999 la Russia attuò una pesante campagna di bombardamenti aerei sulla Cecenia, con l'obiettivo di eliminare gran parte dei movimenti di guerriglieri che continuavano a minacciare i confini con il Daghestan. I raid aerei russi provocarono centinaia di vittime tra i civili, forzando almeno 100.000 a cercare rifugio nella vicina Inguscezia, che si appellò alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie per far fronte a questo vasto esodo di profughi ceceni. Il 2 ottobre 1999 il Ministro per le Situazioni d'Emergenza russo dichiarò pubblicamente l'esodo di circa 78.000 civili ceceni a causa dei bombardamenti russi, molti dei quali cercavano rifugio in Inguscezia, con una media di 5.000-6.000 persone al giorno.

Nel G8 di Genova del 2001 il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi chiese al pluriomicida, reo di genocidi e massacri Vladimir Putin se volesse essere così gentile da entrare nell’unione europea.
Nell’estate del 2002 il pluriomicida Vladimir Putin viene ricevuto con tutti gli onori e ospitato nella sua villa da Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi per la prima volta prende pubblicamente le parti di Vladimir su un caso specifico: l’arresto dell’oligarca Mikhail Khodorkovkij, ritenuto da Mosca un agente straniero.
Nel discorso si arriva anche a parlare della guerra in Cecenia e delle ripetute violazioni dei diritti umani compiute dai russi. «Non diffondiamo leggende», dice Berlusconi ai cronisti, accusandoli di denigrare gratuitamente quella che lui definisce «operazione anti-terrorismo in corso nel Caucaso».


SCENA SECONDA

PALCO 1 

(Accordi di piano. Una voce canta una canzone)
Silvio: Tu si na cosa granne pe me, etc.
(alla fine della canzone. Questa o un’altra)
Vladimir: (Applausi) Bravo! Non sapevo delle tue doti di cantante?
Silvio: Fra i tanti miei talenti c’è anche questo. Se non fossi diventato un grande imprenditore sarei stato un grande chansonnier. Tu sai che io cantavo nelle navi da crociera e che me le scopavo tutte, dalle hostess alle mogli degli ufficiali. Ma adesso ho messo la testa a posto. Me ne scopo solo la metà!
Vladimir: Ti devi accontentare di essere un grande imprenditore e un grande statista.
Silvio: Sul grande statista ci stiamo lavorando.
Vladimir: Ci sei già riuscito.
Silvio: Caro Volodya, l’Italia non è come la Russia. Tu nel tuo paese puoi imporre “democraticamente” le tue idee; in Italia, invece devi convincere i partiti, le istituzioni, è più complicato, noioso.
Vladimir: E il popolo? Il popolo deve seguire il capo. Tu devi convincere il popolo.
Silvio: Il popolo non è il mio problema, al popolo basta promettere “panem et circenses” e la cosa è fatta. È bastato dire vi tolgo la tassa sulla casa e ho vinto le elezioni. Gli italiani sono così ingenui e avari. Ma non dispero, già ho buttato fuori i comunisti, vedrai che arriverò ancora più in alto.
Vladimir: I comunisti?
Silvio: I comunisti italiani.
Vladimir: Caro Silvio i comunisti italiani sono una parodia dei veri comunisti. In Italia essere comunisti è un modo per dimostrarsi superiori. I veri comunisti sono quelli russi di cinquant’anni fa. Quando c’era l’Unione Sovietica i comunisti  russi non andavano da McDonalds a mangiare hamburger, non vestivano Armani. Mangiavano pane duro, indossavano vestiti di carta vetrata e obbedivano senza fare domande.
Silvio: Per fortuna quel tempo è finito.
Vladimir: Per fortuna? Non sono d’accordo. La fine dell’impero sovietico è stata la più grande tragedia della storia dell’umanità. La Russia era grande, potente, incuteva terrore. Adesso fa solo… tenerezza.
Silvio: Beh, caro Volodya, sono i corsi e ricorsi storici, ma sono sicuro che tu rifarai grande la tua Russia. Ne hai le doti. Io mi accontento che gli italiani mi votino. Come si dice qui: Tengo famiglia Mediaset. 
Vladimir: E io ti aiuterò.
Silvio: Ti ringrazio ma so quanto sei impegnato in questo momento con i problemi del terrorismo in Cecenia.
Vladimir: Non preoccuparti. Ho grandi mezzi a mia disposizione, mezzi che tu e nessuno al mondo conosce ma non sono solo le bombe.
Silvio: Ma esistono le regole nazionali e internazionali. 
Vladimir: Le regole? Le faccio io le regole. Questo me lo ha insegnato mio nonno. Una volta l’ho battuto agli scacchi, ma lui continuava a giocare. “Ma nonno hai perso!” E chi lo ha detto? mi fa lui. “Ma sono le regole degli scacchi!” Sai cosa mi rispose: “Le regole, caro Volodya me le faccio io. Impara!” E io ho imparato.
Silvio: Ma tu hai un popolo disciplinato da governare. Il mio è un popolo di artisti, saltimbanchi, furbetti. Ma io ho trovato il loro punto debole
Vladimir: Quale?
Silvio: Il denaro. Discorsi come: i valori, la giustizia sociale, l’uguaglianza, la parità, sono tutte puttanate. I veri valori sono i soldi, il denaro, i dollari, i rubli. Parti da questo valore poi potrai raggiungere il resto. Io con i soldi ho fatto tutto! Mi sono scopato, e ancora lo faccio, fighe favolose, ho comprato di tutto, da giudici a deputati. Il denaro, caro Volodya, è l’arma che io uso per le mie conquiste.
Vladimir: Vedi usiamo armi diverse ma otteniamo lo stesso risultato
Silvio: Vedo che tu con i ceceni ci stai dando dentro!
Vladimir: Terroristi, Silvio! Terroristi!
Silvio: Ma quanti saranno questi terroristi? Migliaia, decine di migliaia?
Vladimir: No! Tutto lo stato è terrorista. Ho detto che li avrei presi e buttati nel cesso e quello che farò, anche a costo di radere al suolo tutta la Cecenia. 
Silvio: Ma non rischi buttare nel cesso anche chi non è terrorista?
Vladimir: È una eventualità che bisogna accettare. Se tu fai credere che questo è il solo metodo il popolo poi lo accetta.
Silvio: Adesso basta parlare di politica, ti devo raccontare questa barzelletta. 
(Comincia a raccontare. Putin si mette da una parte. Una luce lo illumina, mentre l’altra si affievolisce …)
(un piccolo monologo di Putin sull’idiozia)
«Lenin li chiamò "utili idioti" quelle persone che, vivendo in democrazie liberali danno supporto morale e materiale a un'ideologia totalitaria, senza sapere che stanno intrecciando la corda che li avrebbe impiccati.
Quel signore (indicando Silvio) ne è un esempio. Un “utile idiota”. Molto utile. Io gli faccio credere che le sue storielle mi fanno ridere, le sue canzoni mi inteneriscono, in verità, io odio le canzoni occidentali, tutte sospiri, smancerie, non le sopporto. Le storielle, o le barzellette, come le chiamo loro, non mi fanno ridere. I popoli slavi non hanno lo stesso senso dell’umorismo che hanno i popoli latini. Questo dovrebbe saperlo, ma per un narcisista come Silvio Berlusconi questo non ha importanza, l’importante è che lui si esibisca, si metta al centro dell’attenzione. Come lo scemo del villaggio. Ma egli deve credere che mi piacciono le sue storielle; che io e lui siamo amici, molto amici, anzi, addirittura: fratelli. Lui si commuove, poverino mi fa tenerezza. è un romanticone. Scrive canzoni d’amore, regala denaro ai poveri che poi detrae dalle tasse. Si convince così che la gente lo ama. E io gli faccio continue dichiarazioni d’amore e lui si emoziona, L’uomo l’occidentale è così. Secoli di cultura prima cristiana, poi illuminista, socialista, capitalista, modernista, etcetera lo hanno convinto di essere l’uomo perfetto, colui che distingue il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. L’uomo occidentale è l’homo civilis mentre noi, gli slavi, gli altri: siamo i barbari, gli ignoranti. Si stupisce che il popolo russo: barbaro, abbia dato al mondo artisti immensi, nella letteratura, nella musica, nella pittura. Come mai, si chiede: loro così primitivi hanno dato vita a tanta profondità di pensiero. E allora ho capito che devo giocare d’astuzia, come Jago con Otello. Essere viscido, adulatore, ipocrita. Diventare un “amico disinteressato”, preoccupato solo della sua felicità, farlo gioire della “stima” che ho nei suoi confronti. Portarlo al punto da sentirsi lui l’offeso quando offendono me; pronto a prendere le mie difese contro tutti; a rinnegare idee che sono impresse a fuoco nella sua mente; deve essere pronto a morire per me. Questa doppiezza un po’ mi appartiene, un po’ l’ho imparato da lui. Dal perfetto uomo occidentale. L’utile idiota.

SCENA SECONDA

PALCO 2

IL TEATRO DUBROVKA
Raggiungere il teatro Dubrovka non è facilissimo, perché non è semplice trovare notizie sulla sua ubicazione. Non si tratta di un teatro importante del centro storico, ma di una grande sala commerciale situata in un quartiere del distretto sud-orientale di Mosca, non proprio in periferia ma nemmeno in centro. Se si prova a chiedere informazioni in giro è facile cadere in un fraintendimento: quella che noi, in Italia, chiamiamo “Crisi del teatro Dubrovka”, in Russia è conosciuta come “il sequestro di Nord-Ost”, o semplicemente Nord-Ost, dal nome del musical che stava andando in scena quel giorno.
Alle 21,05 circa di Mercoledì 23 ottobre 2002 un commando terroristico musulmano ceceno fa irruzione all’interno del teatro Dubrovka. Tutti a volto coperto e muniti di cinture esplosive, fucili d’assalto, bombe a mano, plastico, e lancia granate gli uomini del commando si sarebbero identificati quali appartenenti alla 29ma divisione dell’esercito ceceno. Dopo aver trappolato l’edificio con cariche esplosive i terroristi hanno minacciato di far saltare in aria l’intero teatro qualora il Governo di Mosca non ordini il ritiro delle proprie truppe dalla Cecenia, avvertendo le autorità che se sarà posto in essere un raid da parte delle forze speciali, verranno uccisi dieci ostaggi per ogni proprio compagno morto.
Giovedì 24 ottobre 2002 
I terroristi liberano successivamente 150 ostaggi tra i quali bambini , musulmani , cittadini georgiani , ed alcuni stranieri 
Venerdì 25 ottobre
Durante la giornata, ancora, furono diverse le persone che presero parte alle trattative con i sequestratori: fra questi anche Anna Politkovskaja, nota per il suo impegno contro la corruzione; i terroristi chiesero di negoziare con tutti i rappresentanti di Vladimir Putin. I sequestratori accettarono di rilasciare 75 cittadini stranieri e 8 bambini senza condizioni.
Un gruppo di medici russi, fra i quali Leonid Rošal', entrò nel teatro per portare medicine agli ostaggi. 
Alle 22:55, quattro ostaggi - cittadini azeri - furono rilasciati, portando il numero totale degli ostaggi liberati quel giorno a 19 
Una videocassetta contenente la richiesta dei sequestratori entrò però in possesso dei media. Il video conteneva il seguente messaggio:
«Ogni nazione ha diritto al suo destino. La Russia ha sottratto questo diritto alla Cecenia e oggi vogliamo rivendicare questi diritti, che Allah ci ha dato, nella stessa maniera in cui li ha dati a qualsiasi altra nazione. Allah ci ha dato il diritto alla libertà e il diritto a scegliere il nostro destino. Gli occupanti russi hanno inondato la nostra terra con il sangue dei nostri bambini. Le persone sono ignare degli innocenti che stanno morendo in Cecenia: i leader religiosi, le donne, i bambini e i deboli. Quindi, abbiamo scelto questo approccio. Questa scelta è per la libertà del popolo ceceno e non c'è differenza in dove moriamo, quindi abbiamo deciso di morire qui, a Mosca. E porteremo con noi le vite di centinaia di peccatori. Se moriamo, altri verranno e ci seguiranno — i nostri fratelli e le nostre sorelle disposti a sacrificare le loro vite secondo il modo di Allah, per liberare la loro nazione. I nostri connazionali sono morti ma la gente dice che loro, i nostri connazionali sono terroristi e criminali. Ma la verità è che la Russia è il vero criminale.»

Ma nella notte a ridosso del 25 ottobre si giunge ad una situazione di stallo nelle trattative e i civili vengono separati per sesso e nazionalità con i bambini a formare un gruppo a parte. Uno degli ostaggi, Anatoly Glazychev , afferma che dell’ esplosivo è stato piazzato al centro del teatro, e che tanto gli ostaggi quanto i terroristi stanno divenendo sempre più nervosi con il passare delle ore, anche a causa delle scarse condizioni igienico sanitarie .
Tra le 07:30 e le 10:30 verranno rilasciate sei donne ed un uomo. Altre 37 persone sono fuggite o rilasciate nelle primissime ore del mattino
 Alle ore 12:24 Leonid Rošal', primario di chirurgia d’urgenza dell’ ospedale pediatrico di Mosca, entrato nel teatro Dubrovka, ha riferito che tra gli ostaggi vi sono ancora circa venti bambini sotto i 14 anni e che tre di essi sono malati. Una bambina è affetta da epilessia, un’altra da bronchite e un bambino soffre di polmonite. 
Alle 12,33 otto bambini (dai 6 ai 12 anni) sono liberati, ma il commando avverte che il Governo russo ha ora solamente tre notti di tempo per ritirare l’esercito dalla Cecenia, riducendo quindi i termini dell’ultimatum precedentemente fissati a sette giorni ed avvertendo che gruppi di ostaggi saranno fucilati a partire dal giorno successivo 
Altri 25 bimbi rimangono nelle mani dei terroristi. La situazione diviene drammatica quando i terroristi annunciano che alle ore 21:00 saranno fucilati i primi ostaggi, ma scaduto l’ultimatum nulla sembra accadere e i terroristi liberano quattro azerbaigiani.
Alle 03:30 di sabato 26 ottobre la situazione precipita definitivamente. Viene udita una forte esplosione e dei colpi d’arma da fuoco provenire dall’interno del Dubrovka. Altre due esplosioni e spari alle 5:40. Venticinque minuti dopo, viene comunicata la morte di due ostaggi ed il ferimento di altri due. Sono le 6:33 quando una nuova esplosione è udita all’interno dell’edificio e ai reparti speciali viene dato l’ordine d’ intervento.
Dopo un assedio durato oltre due giorni, le forze speciali russe Specnaz pomparono un misterioso agente chimico all'interno del sistema di ventilazione dell'edificio, provocando la morte di 129 ostaggi e di 39 combattenti ceceni e facendo poi irruzione.
Altre stime portarono invece la morte dei civili ad un numero superiore alle 200 unità dovute all'irroramento del Fentanyl il potente analgesico oppioide sintetico o del gas nervino nella sala del teatro Dubrovka.
Ufficiosamente la stampa di quasi tutto il mondo negò qualsiasi responsabilità dello stesso presidente Vladimir Putin, altri invece gli imputarono fin dai momenti successivi alla tragedia la responsabilità della decisione di usare il Fentanyl.

Buio in sala
di Anna Politkovskaja
Il mio ruolo in questo dramma è cominciato il 25 ottobre, intorno alle due del pomeriggio. Alle 11.30 avevo parlato per la prima volta al cellulare con le persone che avevano catturato gli ostaggi. Alle 13.30 ero arrivata al centro operativo.
Un’altra mezz’ora era passata per definire la questione: qualche sconosciuto decideva qualcosa dietro porte che continuavano a sbattere. Finalmente mi hanno portato nella zona, dove c’era un cordone di camion. Mi hanno detto: “Va’, provaci. Magari ci riesci”. Con me è venuto il dottor Rošal'. Ci siamo trascinati fino alle porte, non ricordo neppure come: avevamo paura. Tanta.
Entriamo nell’edificio. Gridiamo: “Ehi, c’è qualcuno?”. L’unica risposta è il silenzio. Sembra che in tutto il teatro non ci sia anima viva. Mi metto a gridare: “Sono la Politkovskaja! Sono la Politkovskaja!”. Comincio lentamente a salire la scala sulla destra – il dottore dice che sa dove andare. Anche nel foyer del primo piano c’è silenzio, buio e freddo. Non un’anima. Grido di nuovo: “Sono la Politkovskaja!”.
Finalmente da quello che era stato il bancone del bar emerge un uomo. Sul viso ha una maschera nera piuttosto sottile, i tratti del viso si distinguono perfettamente. Nei miei confronti non è aggressivo, ma il dottore gli sta antipatico. Perché? Non riesco a capirlo. Ma cerco comunque di placare gli animi che stanno per infiammarsi. “Allora dottore, vuoi fare carriera?”, insiste la “maschera”.
Questo dottore ha 70 anni, è un grande studioso, e ha già fatto tante cose importanti nella sua vita che per lui pensare alla carriera non ha senso: se l’è già costruita. Lo dico ad alta voce. Comincia un battibecco. È chiaro che bisogna “abbassare i toni”, altrimenti…
La maschera sottile si allontana nel buio del foyer e continua a borbottare: “Perché dici di aver curato i bambini ceceni, dottore?”. Ancora delle esclamazioni sgradevoli e confuse, e per questo mi limito a riportarne il senso generale: “Tu, dottore, parli in particolare dei bambini ceceni. Quindi i bambini ceceni per te non sono come gli altri. Noi ceceni non siamo persone?”. La solita storia. Mi intrometto, ma non per dovere, è solo che non lo sopporto più. Dico: “Tutti gli uomini sono uguali. Hanno la stessa pelle, le stesse ossa, lo stesso sangue”. Inaspettatamente questo concetto non troppo originale ha un effetto calmante.
Chiedo di sedermi sull’unica sedia del foyer, a cinque metri dal bancone del bar, perché le gambe mi cedono. Mi danno il permesso. Le suole delle scarpe scivolano su una melma rossastra. Osservo con prudenza perché ho paura di sembrare troppo curiosa ma ho ancora più paura di calpestare del sangue raggrumato. Però, grazie a Dio, forse è gelato alla frutta. Visto che non è sangue, i brividi si calmano. Aspettiamo una ventina di minuti: sono andati a chiamare il “capo”.
E intanto dall’alto, dalla balconata, ogni tanto si affacciano delle teste mascherate. Alcune maschere sono spesse e nascondono completamente i tratti del viso. Altre sono sottili come quelle del primo uomo che abbiamo incontrato, quello che stava dietro al bancone.
“Eri tu a Chotuni?”, chiedono le teste. “Sì”. Le “teste” sono soddisfatte. Chotuni (un villaggio nella regione di Vedeno) diventa il mio lasciapassare: era lei, possiamo parlarci.
“E lei di dov’è?”, chiedo a quello che sta dietro il bancone.
“Io sono di Tovzeni”, risponde. “Qui ce ne sono molti di Tovzeni e in generale della regione di Vedeno”.
Poi c’è qualche confuso segnale di una tragedia in corso: alcune maschere arrivano, altre se ne vanno – il tempo inghiottito dal nulla stringe il cuore con presentimenti assurdi. E il “capo” ancora non si vede. Magari adesso decidono di spararci.
Finalmente arriva un uomo in tuta mimetica e con il viso completamente coperto, grosso, tarchiato e con lo stesso identico portamento dei nostri ufficiali dei reparti speciali, sempre attenti alla forma fisica. “Seguitemi”, dice. Le gambe non mi reggono, eppure mi muovo.
Ci ritroviamo in un locale sporco accanto al buffet saccheggiato. Dietro c’è un rubinetto d’acqua. Qualcuno cammina alle nostre spalle e mi volto; mi rendo conto di apparire nervosa, ma che ci posso fare? Eppure, sembra che io sia una con una grande esperienza di rapporti con i terroristi in situazioni estreme… È il “capo” in persona a restituirmi l’uso della ragione. “Non dovete guardare dietro! Parlate con me, perciò guardate me”.
“Chi è lei? Come si chiama?”, domando senza sperare troppo in una risposta.
“Bakar. Abubakar”.
La maschera se l’è già alzata sulla fronte. Il viso è aperto, largo, e ha un che di tipicamente militaresco. Sulle ginocchia ha un mitra. Solo alla fine del nostro colloquio se lo mette dietro la schiena e addirittura si scusa: “Ci sono così abituato che non me ne accorgo più. Ci dormo, ci mangio, è sempre con me”. Ma anche senza queste spiegazioni per me è chiarissimo: appartiene a quella generazione di ceceni che non hanno fatto altro che combattere per tutta la vita. “Quanti anni ha?”. “Ventinove”. “Ha combattuto in tutte e due le guerre?”. “Sì”. “Non si è rifugiato in Georgia?”. “No. Non mi sono allontanato dalla Cecenia”.
Esiste una nuova generazione di ceceni: Bakar è uno di quelli che negli ultimi dieci anni hanno conosciuto solo il mitra e le foreste, e prima hanno avuto appena il tempo di finire la scuola, e così, poco a poco, vivere nella foresta per loro è diventato l’unico modo di vivere possibile. Un destino senza varianti.
“Veniamo al dunque?”.
“D’accordo”.
“Innanzitutto, i bambini più grandi. Bisogna liberarli, sono bambini”. È il primo problema che Sergej Jastrzhembskij, collaboratore del presidente russo, mi ha chiesto di affrontare con “loro”.
“Bambini? Qui non ci sono bambini. Nei rastrellamenti prendete i nostri bambini quando hanno dodici anni, e noi qui ci terremo i vostri”.
“Per vendicarvi?”.
“Per farvi capire cosa si prova”.
Sono tornata molte altre volte sui bambini, pregandoli di fare delle concessioni. Per esempio portargli del cibo. Ma le risposte sono sempre state categoriche. “Ai nostri bambini durante i rastrellamenti non danno da mangiare, devono resistere anche i vostri”.
Nel mio elenco c’erano cinque richieste: cibo per gli ostaggi, articoli di igiene personale per le donne, acqua, coperte. Anticipo i fatti: siamo riusciti a metterci d’accordo solo sull’acqua e i succhi di frutta. Nel senso che io li avrei portati, avrei gridato dal basso di averli con me e allora mi avrebbero lasciato passare.
“Mi farete entrare più di una volta? Non riuscirò a portare granché in una volta sola… C’è tantissima gente. Magari potreste far venire con me anche un uomo”. “Va bene”. “Potrei portare un nostro giornalista?”. “Sì, e anche qualcuno della Croce rossa”. “Grazie”.
Comincio a chiedere cosa vogliono. Ma politicamente Bakar è in difficoltà. Lui è “soltanto un soldato” e nient’altro. Spiega a lungo e confusamente a che serve questa azione, e si possono trovare quattro punti. Primo, Putin deve “dire una parola”: annunciare la fine della guerra. Secondo: entro ventiquattr’ore deve dimostrare che non sono solo parole, per esempio deve ritirare le truppe da una regione.
“Da quale regione? La vostra? Da Vedeno?”.
“Sei una spiona? Fai un interrogatorio proprio come una spiona. Basta, vattene!”.
Mi rendo conto che non posso andarmene, anche se mi piacerebbe moltissimo. Per questo pronuncio parole quasi di scusa – sono un’idiota, certo: “Vedete, dobbiamo sapere cosa volete. E dobbiamo saperlo con precisione. Altrimenti…”. Continuo a impuntarmi sulle parole. Il mio cervello si scontra con un problema superiore alle sue forze: cercare di salvare gli ostaggi, dato che hanno accettato di parlare con me, e allo stesso tempo non perdere la dignità. Ma purtroppo non riesco a venirne a capo. Sempre più spesso non so cosa dire, e blatero delle sciocchezze, purché Bakar non dica: “Basta!”, e io non debba andarmene a mani vuote, senza aver ottenuto niente. Così ci avviciniamo al terzo punto del “loro” piano.
Ma proprio allora Bakar riceve una telefonata sul cellulare da Boris Nemtsov. Questo telefono i combattenti l’hanno preso a uno degli ostaggi, un musicista dello spettacolo Nord-Ost, e ora lo usano per le loro conversazioni. Bakar, dopo aver parlato con Nemtsov, riceve una telefonata “da casa”, dalla regione di Vedeno, in Cecenia.
Dopo il colloquio con Nemtsov, Bakar comincia visibilmente a innervosirsi. In seguito, mi avrebbe detto che Nemtsov lo prendeva in giro: il giorno prima aveva detto che la guerra in Cecenia poteva cessare, mentre oggi, il 25 ottobre, sono ripresi i rastrellamenti. Allora gli chiedo: “Voi a chi credereste? Chi può darvi la sua parola per confermare il ritiro delle truppe?”. Viene fuori che si fidano di lord Jadd (il capo dell’assemblea parlamentare del consiglio d’Europa).
Passiamo al “loro” terzo punto. È semplice: se saranno attuati i primi due, libereranno gli ostaggi. “E voi?”. “Resteremo a combattere. Accetteremo la lotta e moriremo in battaglia”. “Ma voi in realtà chi siete?”, chiedo, e mi spavento e penso, oddio, ho esagerato! “Un battaglione di esplorazione e diversione”. “Siete tutti qui?”. “No, solo una parte. Siamo stati selezionati per questa operazione. Hanno preso i migliori. Perciò anche se moriremo ci sarà sempre chi porterà avanti la nostra causa”. “Ubbidite a Maskhadov?”.
Noto un certo turbamento e poi di nuovo una grande irritazione. Le spiegazioni sconnesse possono ridursi alla formula: “Sì, Maskhadov è il nostro presidente, ma noi combattiamo per conto nostro”.
È la conferma dei peggiori timori: si tratta di uno dei reparti che in Cecenia fanno tutto da soli. Hanno una loro guerra autonoma, ed è assolutamente radicale. E se ne infischiano di Maskhadov: perché non è un estremista. Proseguo: “Eppure voi lo sapete, i colloqui di pace sono condotti da Iljas Akhmadov in America e da Akhmed Zakaev in Europa – i rappresentanti di Maskhadov. Magari volete mettervi in contatto con loro, oppure potrei chiamarli io. Non dovete fare altro”.
“E perché? A noi non piacciono. Conducono questi negoziati con lentezza perché non hanno nessuna fretta, e noi intanto moriamo nelle foreste. Ci hanno stufato”.
Nel “loro” piano non ci sono altri punti. Bakar aggiunge molte frasi forti: “Per un anno e mezzo le persone hanno chiesto di poter fare i kamikaze e di venire qui”. “Siamo venuti a morire”. Non dubito affatto che siano condannati e pronti a morire – e a portare con sé tutte le vite che vorranno.
Il cellulare squilla. Bakar ascolta e comincia a gridare: “Non telefonate più. Questo è un ufficio. Disturbate il mio lavoro”.
“Posso parlare con gli ostaggi?”. “È impossibile”. Ma dopo cinque minuti, dice a un “fratello” seduto proprio dietro di me: “Portali, va bene”.
Quello fa uscire dalla sala una ragazza bella e spaventatissima, Masha, che non riesce a spiccicare parola per il terrore e la debolezza – gli ostaggi non hanno mangiato niente. Bakar è irritato dal suo balbettio e ordina di portarla via. “Prendetene una un po’ più grande”. Mentre il “fratello” va nella sala e torna, Bakar mi spiega quanto sono nobili. Ci sono tante belle ragazze nelle loro mani – e Masha è veramente bellissima – ma non hanno alcun desiderio, tutte le loro forze sono assorbite dalla lotta per la liberazione della loro terra. Interpreto le sue parole nel senso che devo essergli grata di non aver violentato Masha.
Parliamo brevemente di morale e di etica, se così si può dire. “Non mi crederete, ma moralmente qui ci sentiamo meglio che nei tre anni di guerra. Finalmente facciamo qualcosa di concreto. Siamo come pesci nell’acqua, qui. Stiamo meglio di quanto non siamo mai stati. Sarà bello morire. Aver partecipato alla storia è un grande onore. Non ci crede? Vedo che non ci crede. Io invece ci credo moltissimo. Era un anno che nell’ambiente militare ceceno se ne parlava. Vista l’inerzia del virtuale Maskhadov molti reparti combattenti sono rimasti tutto l’inverno nelle foreste e sono diventati impazienti: non si può uscire, non si riesce a combattere, bisogna fare qualcosa e dal comandante in capo non arrivano ordini. Man mano che questi sentimenti crescevano i reparti si sono disgregati oppure si sono radicalizzati, e di fatto hanno cominciato una loro guerra sulla quale Maskhadov non ha nessuna autorità”.
Il “fratello” porta un’altra bella ragazza con i nervi molto scossi. “Sono Anja Andrijanova, inviata di Moskovskaja Pravda. Cercate di capirci: noi siamo già rassegnati a morire. Ormai l’abbiamo capito: il paese ci ha abbandonato. Noi siamo un altro Kursk. Se volete salvarci, scendete in piazza. Se mezza Mosca implorerà Putin, riusciremo a sopravvivere. Per noi è chiarissimo: se oggi moriremo, domani in Cecenia comincerà un nuovo massacro che poi rimbalzerà qui, provocando nuove vittime”.
Anja parla senza fermarsi. Bakar è nervoso, ma Anja non se ne accorge. Ho di nuovo paura che Bakar cominci a dimostrare la sua forza. Finalmente Anja viene portata via. E stabiliamo che adesso penserò a portare dell’acqua. Bakar a sorpresa aggiunge spontaneamente: “Potete portare anche dei succhi di frutta”. “Per voi?”. “No, noi ci prepariamo a morire, non beviamo e non mangiamo niente. Per loro”. “E magari qualcosa da mangiare? Almeno per i bambini”. “No. I nostri soffrono la fame. Che soffrano anche i vostri”.
Questa giornata di storia è finita. Poi c’è stato l’attacco. E io continuo a chiedermi: abbiamo fatto tutto il possibile per contribuire a evitare che ci fossero vittime? È stata davvero una grande “vittoria”? E io personalmente sono servita a qualcuno con i miei succhi e i miei tentativi sull’orlo del baratro?
La mia risposta è sì, sono servita. Ma non abbiamo fatto tutto il possibile. Perché abbiamo ancora molto davanti a noi, anche se alle nostre spalle c’è già troppo. La tragedia del Nord-Ost non è nata dal nulla e non segna la fine. Adesso vivremo nel terrore costante vedendo uscire di casa i bambini e gli anziani: li rivedremo di nuovo? Proprio come ha vissuto in questi ultimi anni la gente in Cecenia.
Ci sono solo due varianti.
La prima: finalmente ci renderemo conto che più aumentano la violenza, il sangue, le vittime, i sequestri e le umiliazioni, più si moltiplicano quelli che vogliono vendicarsi, nonostante tutto e malgrado tutto. E più arrivano nuove reclute nell’esercito di chi vuole morire vendicandosi. E poiché questa guerra non si combatterà sul campo di battaglia, ma accanto a noi e con la partecipazione di gente che non c’entra niente – noi tutti – saremo condannati a un altro Nord-Ost, e nessuno potrà sentirsi sicuro in nessun luogo, per strada come nel proprio appartamento.
Un uomo con le spalle al muro inventa metodi sempre più astuti per vendicarsi.
La seconda variante è difficile, impegnativa, ma almeno si muove in direzione di un miglioramento: bisogna cominciare a parlare con colui che resta aggrappato all’ultimo filo del suo potere, con Maskhadov. Altrimenti saremo condannati a negoziati come quelli del Nord-Ost, segnati alla disperazione. Quando la posta in gioco è la vita degli innocenti
Le scelte di Vladimir Putin, orientate invece a una spietata logica militare, le daranno drammaticamente ragione.
Il 28 di ottobre, il Presidente Putin pronuncia un duro discorso in merito alle responsabilità del massacro, imprimendo una decisa svolta alla guerra della Russia tanto contro i ribelli ceceni quanto paventando la possibilità di colpire i loro sostenitori: ”Al-Qaeda è dietro il mostruoso atto di terrorismo a Mosca. Data la minaccia crescente del terrorismo internazionale, anche con l’uso di mezzi analoghi alle armi di distruzione di massa, saranno consegnate allo stato maggiore disposizioni adeguate. Il terrorismo internazionale diventa sempre più tracotante e si comporta sempre più crudelmente. Qua e là nel mondo si sentono minacce sull’ uso possibile di mezzi analoghi alle armi di distruzione di massa. Se anche una sola volta qualcuno cercherà di usare simili mezzi contro il nostro paese, la Russia risponderà con misure adeguate a tali minacce: colpirà tutti i luoghi dove si trovano i terroristi, le loro organizzazioni o anche i loro ispiratori ideologici e sostenitori finanziari. Dopo il Dubrovka i problemi” non sono finiti”, ha detto Putin, notando che la Russia paga le conseguenze della “debolezza dello Stato” .
Il 1º novembre 2002 la Duma approvò nuove restrizioni sulla stampa russa per eventi riguardanti il terrorismo; restrizioni che ricevettero, come previsto, ampia approvazione anche dalle camere superiori e dal presidente Putin stesso. La stessa Duma rifiutò poi una proposta avanzata dall'unione delle forze liberali per creare una commissione incaricata di verificare e di indagare le azioni governative tenute durante l'assedio al teatro. Questa nuova condotta fece tornare in Russia il timore che Putin stesse sistematicamente prendendo il controllo dei media.
Nel 2003 l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch denunciava un aumento delle barbarie perpetrate dalla polizia russa verso la popolazione cecena.


SCENA TERZA

PALCO 1

In scena “Lui” nel monologo.

 Lui: Si dichiarano amici. Grandi amici. “Come sei bravo! Come sei grande!
Ipocrisia, falsità. Pronunciano la parola amicizia e non ne comprendono il significato.
Amicizia, leggo un dizionario qualsiasi, parla di: reciproco affetto, costante e operoso, rispetto, sincerità, fiducia, disponibilità. 
Due amici devono avere una stessa visione del mondo, seguire la stessa stella. Andare nella stessa direzione.
Sapete chi sono i migliori amici di Vladimir Vladimirovic Putin?
Uno è Ramzan Akhmatovič Kadyrov, dittatore ceceno, comandante con un suo esercito privato, condannato per violazioni dei diritti umani contro la comunità lgbtq. In Cecenia ha fatto edificare un campo di concentramento per gay. Condannato per l’assassinio della giornalista e attivista per i diritti umani Natalya Estemirova; colpevole di crimini di guerra in Cecenia e in Ucraina. Quest’uomo è la persona più sanzionata al mondo secondo il Guinness dei primati.
Se tu sei amico di Putin per la proprietà transitiva sei amico di Ramzan Akhmatovič Kadyrov.
Un altro amico di Putin è Evgenij Viktorovič Prigožin, Nel 1981 è stato condannato a dodici anni di reclusione per rapina, frode e coinvolgimento di adolescenti nella prostituzione, per poi scontarne nove. 
Da venditore di hotdog è proprietario di una società di catering che ha milioni di contratti governativi per le mense scolastiche, per i dipendenti del governo. per la fornitura di pasti all'esercito russo. Inutile chiedersi come abbia ottenuto questi appalti. È il fondatore della società di mercenari Wagner, che opera militarmente in Africa e in Siria. È anche fondatore dell'Internet Research agency, nota fabbrica di troll accusata di interferenze nelle elezioni americane.
Adesso Vladimir Putin ha anche un amico in Italia. Si chiama Silvio Berlusconi. Proprietario di un network di canali televisivi, giornali e società sportive. Non scavate sulla provenienza di queste ricchezze. Sono il frutto della sua bravura negli affari. Ricco, potente, politicamente impegnato.
Appartenente a quel genere di ricconi che “scendono in campo” nella politica perché spinti dall’amor patrio. Sono così preoccupati dalla condizione del popolo che si sacrificano. Che gente altruista. Benefattori dell’umanità.
Come può chi non conosce la fatica del lavoro, dell’insicurezza del futuro suo e dei propri figli, preoccuparsi di chi, invece, vive queste condizioni?
Gente come Putin, Berlusconi, Trump, Prigozin, Kadyrov, sono la rovina non solo della società in cui si muovono, ma dell’intera umanità. 
E il popolo, la gente comune non può accettare che il multimiliardario, il riccone sfondato, si permetta di dire come deve vivere il popolo. Non si può accettare la loro benevolenza come un regalo, la loro accondiscendenza come l’elemosina.
Fra il popolo e i miliardari c’è una diversità antropologica.
Quando un miliardario caga, non caga merda, caga una sostanza fra la pappa reale e la crema chantily. La loro merda è nettare degli dèi. Profuma di notti d’oriente. Loro non si puliscono il culo perché hanno il culo autopulente. 
Perché, mi chiedo, perché dobbiamo sopportare simili individui. 
Non riesco più a sopportare questo insulto alla mia dignità, questa pedata nel culo che mi viene data ogni giorno della mia vita. Non voglio aspettare la sentenza del tribunale della storia
Io ho deciso di non accettare più. Ho deciso di essere io il tribunale della storia. 

Entra “Lei”
(entra parlando al telefono. Si può fare sentire anche l’interlocutore)
Lei: Cosa vuoi? Non voglio parlare con te.
Lui: Ascolta… possibile che tu non ti renda conto del problema?  
Lei: Ma di che problema parli? Tu sei un esaltato, Hai creato una fantasia, hai visto nel futuro? Ma chi credi di essere, Nostradamus? 
Lui: Io leggo, mi informo, quell’uomo mentre è qui ordina massacri, fa uccidere giornalisti, oppositori… in Cecenia fa stragi,  
Lei: Ma chi te li dice queste cose? Io vedo un uomo tranquillo, rilassato che si sta godendo la sua vacanza…
Lui: Questo è quello che lui vuol far credere, è un mentitore seriale, un calcolatore. Sta costruendo una rete di amicizie per sfruttarle e renderle funzionali al suo disegno di potere.
Lei: Tutte queste cose… potere… stragi, massacri… insomma io non voglio saper niente, io voglio essere lasciata in pace, e poi… non ci credo a tutto questo. Io credo che in ogni uomo ci sia la voglia di pace, di concordia, … ecco io sono una che crede nella buonafede degli uomini. E poi se è vero tutto quello che tu dici, come mai nessuno lo fa arrestare? Come mai? Vengono qui e gli fanno salamelecchi? Sono tutti così ciechi, ottusi da non capire chi hanno davanti? Eppure, siamo nel duemila, c’è la tivvu, i satelliti, le notizie si sanno, come mai allora nessuno ne parla?
Lui: Perché il cervello della gente si sta atrofizzando. Siamo, mi ci metto anch’io, come in una specie di dormiveglia, evitiamo di guardare la realtà perché non ci piace, ci disturba, ci dà ansia. Vogliamo la pace, la pace del cervello.
Lei: La voglio anch’io la pace. E poi io sono qui e sta arrivando   il cavaliere e quindi ti devo lasciare. (chiude il telefono)
(Entra Berlusconi con un foglio in mano)
Silvio: Ah! È qui lei?
Lei: Si presidente, aveva bisogno di me?
Silvio: Sì, sì, ho bisogno di lei. Stia ferma lì, le dirò io cosa fare. Adesso ascolti. Io leggerò il mio primo discorso politico. Quello della mia discesa in campo. Questa è storia. Lo si dovrebbe studiare a scuola, anzi, ne devo parlare col ministro della istruzione. I giovani devono conoscere la mia storia… non è egocentrismo il mio, io sono una persona modesta, senza presunzione, sempre disponibile. (a lei) Lei è d’accordo con me? Mi può confermare?
Lei: Sì sì, certamente.
Silvio: Ogni tanto me lo rileggo per assaporare momenti catartici. Bene adesso comincio a leggere. Stia attenta. Questa è storia!
(comincia a leggere)
"L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.
Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza. So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio.
(Rivolta a lei)
Ogni volta che leggo questo mio primo discorso mi eccito, ho una erezione eccezionale… vuol essere così gentile da farmi una fellatio. (si mette di spalle e allarga le gambe)
Lei: Non capisco! Cos’è questa …
Silvio: Fellatio! Un pompino. Su sia buona sono in piena erezione…
Lei: Ma lei è pazzo… porco, maiale, debosciato…
Silvio: La prego. Ma non si eccita anche lei ascoltando il mio più famoso discorso?
(continua a leggere)
E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti. La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi.
(Trattiene la donna con una mano mentre legge)
Lei: Mi lasci, porco…
Silvio: Ma non senti la bellezza di queste parole, la loro potenza virile… con questo discorso ho fottuto milioni di italiani… 
(Lei si divincola. Lui è come un toro inferocito. La afferra, la scuote, la schiaffeggia, la insulta)
Silvio: Tu puttana, vacca, devi fare quello che ti dico, succhiamelo… fammi questo pompino… ti pago, ti do mille, tremila euro, dimmi tu quanto vuoi… vuoi diventare sottosegretaria? Ministro? Ti faccio diventare ministro delle … tu decidi tu…
(tenta di abbassarla, ma lei si divincola e scappa)
(Silvio rimane solo.) Vai stronza, stupida, bestia… non chiedevo mica tanto. Un succhiotto, una leccatina… Sai quante pagherebbero per essere al tuo posto… io sono un vanto per l’Italia, i più grandi della terra si vantano di essere amici miei. Guarda Putin, vedi come mi vuol bene, come mi stima, stima che io ricambio. A volte lo guardo e vedo la sua ingenuità, il suo candore, lo devo svezzare quest’uomo, fargli capire che il mondo non è così buono come lui lo vede. Questi ceceni lo stanno facendo impazzire, e credetemi non è gente perbene, hai voglia a gettargli missili, ogni giorno, niente! Non ne vogliono sapere di mettere la testa a posto. Lui è un romantico, è ancora legato al passato, alla sua giovinezza, quando Stalin, Breznev, Krusciov erano i suoi idoli. È un sentimentale. E la gente ne approfitta. Lo devo fare crescere. Comanda un paese grande, enorme. deve diventare più… cattivello.  Deve maturare.
Entra Putin.
Vladimir: Cosa c’è Silvio? Mi sembri un po’ strano.
Silvio: Caro Volodya, l’ingratitudine umana non ha limiti. Volevo gratificare una mia dipendente e lei ha rifiutato.
Vladimir: Non bisogna mai dare troppo al popolo. L’ho imparato nel KGB. Meno dai più ti rispettano. Ma volevo invece farti vedere un regalo che mi ha fatto la mia guardia del corpo: questo! (mostra un disco)
Silvio: Che carini! Cos’è un dvd?  musica? Canzoni russe?
Vladimir: No, è la musica che io amo di più. Loro mi conoscono bene.
Silvio: Sono curioso di ascoltare ì e vedere questa musica con te. 
(Le luci si affievoliscono. Vladimir si siede in poltrona. Silvio prende il disco dalle mani di Vladimir e lo inserisce e va a sedersi a fianco di Vladimir)
(Buio. Sullo schermo immagini di guerra. Lampi di missili, sirene, poi deflagrazioni, rumore di lanciarazzi, scoppi di bombe, fino ad un bombardamento assordante.)
(Durerà due o tre minuti durante i quali si vedrà Vladimir in pieno godimento erotico, quasi un orgasmo Silvio si inginocchia davanti a Vladimir, lo guarda un po’ estasiato. Nel buio gli spettatori dovranno avere la sensazione di essere sotto un bombardamento; si vedranno movimenti nel bagliore rapido dei missili).

Buio. 
Lei: (Con un cellulare in mano. Digita e aspetta la risposta)
Lui: Pronto.
Lei: Sono io.
Lui: Cosa vuoi?
Lei: Ci sto!
(pausa)
Lui: Ci hai ripensato?
Lei: Sì, ma non mi chiedere perché. Quando?
Lui: Ti faccio sapere. Ciao.
Lei: Ciao. Ah, aspetta, al cavaliere ci voglio pensare io.
Lui: Va bene. A dopo.
Buio
SCENA TERZA

PALCO 2

La strage di Beslan
È chiamata “La strage di Beslan” il massacro avvenuto fra il 1º e il 3 settembre 2004 nella scuola Numero 1 di Beslan, nell'Ossezia del Nord, una repubblica autonoma nella regione del Caucaso nella Federazione Russa.
La scuola Numero Uno di Beslan, sorgeva accanto al distretto di polizia, era uno dei 7 istituti scolastici presenti nella cittadina, con 59 insegnanti, diverse persone dello staff e 900 studenti di età compresa fra 6 e 18 anni.
Giorno 1° settembre alle ore 09:30 locali, un commando di 32 persone armate, con il volto coperto da passamontagna e in alcuni casi dotate di cinture esplosive, giunse all'edificio utilizzando due mezzi di trasporto, un furgone precedentemente rubato alla polizia e un secondo furgone militare, prendendo d'assalto la scuola. I terroristi chiarirono immediatamente ai presenti la loro identità iniziando a sparare in aria e obbligando la gente presente all'esterno dell'istituto scolastico a dirigersi nella palestra. Durante il caos iniziale, 65 persone riuscirono a sfruttare la confusione per fuggire ed allertare così le autorità.
Il 1º settembre è il primo giorno dell'anno scolastico in Russia, chiamato "Primo settembre" o "Giorno della conoscenza". I bambini, accompagnati dai genitori e spesso da altri parenti, presenziano ad una cerimonia di apertura ospitati dalla scuola. Secondo la tradizione, gli studenti del primo anno donano un fiore a quelli che accedono all'anno finale e vengono quindi accompagnati nelle loro classi dai ragazzi più anziani.
I terroristi hanno scelto questo giorno particolare per avere maggiore visibilità.
Dopo uno scambio a fuoco con la polizia locale e un civile armato ucciso, il commando prese possesso dell'edificio scolastico con circa 1.200 persone in ostaggio, le quali vennero ammassate nella palestra. 
La palestra era di recente costruzione e misurava 25 metri in lunghezza per 10 in larghezza.
Dopo aver radunato gli ostaggi in palestra, il commando separò e uccise da 15 a 22 degli adulti maschi presenti fra gli ostaggi. Uno degli uomini, Aslan Kudzaev, riuscì a sopravvivere saltando dalla finestra. Il commando obbligò alcuni degli ostaggi a gettare alcuni corpi dalla finestra in segno di dimostrazione verso la polizia e scelse alcuni bambini per ripulire il sangue dal pavimento.
Furono ritirati a chiunque i telefoni cellulare. Una delle donne facente parte del gruppo di sequestratori minacciò gli ostaggi avvisandoli che se avesse trovato qualcuno nascondere un telefono, avrebbe ucciso quella persona e altre tre con lui. Il commando urlò quindi delle regole: nessuno doveva parlare se non chiamato a farlo e tutti dovevano parlare in russo. Un uomo, Ruslan Betrozov, fu incaricato di calmare le persone più agitate e di ripetere le regole nella lingua locale.
Un cordone di sicurezza fu immediatamente posizionato intorno alla scuola, costituito da agenti dell'esercito russo, unità Vympel, membri delle forze OMON e del Gruppo Alpha. Ben poche ambulanze invece erano presenti sul luogo dell'assedio. Il governo russo inizialmente minimizzò il numero degli ostaggi, affermando ripetutamente che all'interno della scuola fossero presenti soltanto 354 persone. Questo fece infuriare parte del commando, che di conseguenza maltrattò gli ostaggi.
Successivamente dimostrazioni atte a scoraggiare qualsiasi tentativo di intervento della polizia videro il commando minacciare di uccidere 50 ostaggi per ogni loro membro ucciso dalla polizia e di uccidere 20 ostaggi per ogni loro compagno ferito. Minacciarono inoltre di far esplodere l'intera struttura scolastica se il governo russo avesse forzato il blitz della polizia.
Il governo russo inizialmente affermò che non avrebbe utilizzato la forza per salvare gli ostaggi e le trattative per una pacifica risoluzione della crisi si protrassero infatti per oltre due giorni, dirette da Leonid Rošal', un pediatra che gli assalitori chiesero facesse da mediatore. Rošal' aiutò le trattative per il rilascio dei bambini durante la Crisi del teatro Dubrovka a Mosca nell'ottobre del 2002. 
Il 2 settembre, le trattative fra Rošal' e i separatisti si dimostrarono un insuccesso. Gli stessi terroristi rifiutano di consentire agli ostaggi di assumere cibo, acqua e medicine e la loro mancanza iniziò a lasciare i segni più visibili inizialmente sui bambini, molti dei quali obbligati per lunghi periodi a rimanere seduti ammassati in una palestra nella quale la temperatura iniziava a toccare soglie insopportabili. Per far fronte a ciò, occasionalmente alcuni membri del commando versavano acqua sulla testa dei bambini che mostravano segni di perdita di conoscenza, riportandoli poi al loro posto. Alcuni ostaggi furono costretti a bere urina.
Nel pomeriggio, il commando acconsentì di rilasciare ventisei persone (undici donne e relativi figli) a seguito delle trattative avute con il presidente della Repubblica di Inguscezia Ruslan Aušev. Attorno alle 15:30 due granate esplosero circa 10 minuti dopo che gli ostaggi liberati vennero presi in consegna dalle autorità, facendo incendiare una macchina della polizia. Le forze speciali russe non risposero al fuoco.
Con il passare del giorno e della notte, l'insieme dello stress e della mancanza di sonno (e, per alcuni, della mancata assunzione di stupefacenti) contribuì a rendere i terroristi imprevedibili e isterici; perfino il pianto dei bambini li irritava e in diverse occasioni questi ultimi e le loro madri furono minacciati di morte. 
Attorno alle 13:04 del 3 settembre, i terroristi decisero di permettere a quattro medici l'ingresso nell'istituto scolastico per rimuovere i corpi dei deceduti. Non appena i medici si avvicinarono alla scuola, i terroristi aprirono il fuoco e due esplosioni, sulle quali esistono diverse versioni, furono udite nella palestra. Due dei medici rimasero uccisi, mentre gli altri riuscirono a ripararsi. Parte del muro della palestra venne demolito dall'esplosione, permettendo così a un gruppo di 30 ostaggi di fuggire, un buon numero dei quali perse la vita a causa dello scambio di fuoco fra gli agenti russi e i sequestratori. Jurij Ivanov, un altro investigatore, asserì in seguito che le granate furono lanciate su preciso ordine del presidente Putin.
L'assalto delle forze speciali non era stato pianificato. Dopo circa due ore l'edificio fu sotto il controllo delle forze speciali, mentre gli scontri continuarono all'esterno. Alcuni ribelli, infatti, riuscirono a scappare sfruttando la confusione dell'assalto, cambiandosi i vestiti con ostaggi o soccorritori. La polizia li inseguì con gli elicotteri. Due donne, vestite di nero ed imbottite di esplosivi, cercarono di inseguire alcuni bambini in fuga e farsi saltare in aria con loro, senza riuscire nel loro intento.
Le autorità si trovarono impreparate a fronteggiare il fuoco che divampò nella palestra. Un vecchio furgone dei vigili del fuoco locali arrivò quasi due ore dopo lo scoppio dell'incendio e, senza acqua. Poche erano le ambulanze disponibili sul posto per trasportare le centinaia di feriti. Molti dei sopravvissuti rimasero sotto shock e molti feriti morirono all'ospedale. Una donna sopravvissuta si suicidò una volta fatto ritorno a casa.
Il governo russo fu duramente criticato da molte persone del posto che, alcuni giorni dopo la fine dell'assedio, non sapevano se i loro figli fossero vivi o morti..
Il presidente russo Vladimir Putin ordinò un periodo di due giorni di lutto nazionale per il 6 e il 7 incontrò solo le autorità locali, ma non i familiari delle vittime; il primo incontro avvenne nel primo anniversario della strage, quando una delegazione del Comitato delle madri di Beslan si recò al Cremlino. Dopo questi eventi, Putin fece costruire due nuove scuole in breve tempo. Il 3 settembre è stato proclamato, in Ossezia, giornata di lutto nazionale. Nel cimitero dove sono sepolti gli ostaggi è stato costruito un memoriale chiamato "Albero del dolore".
Le Vittime furono 386 di cui 334 gli ostaggi, fra questi 186 erano bambini. Altre vittime: 8 Polizia e civili –2 Soccorritori – 11 Forze speciali – 31 31 Sequestratori.
I feriti stimati furono 730
La maggioranza dei bambini venne curata per ustioni, colpi d'arma da fuoco, ferite da detriti e mutilazioni causate da mine e bombe. Alcuni dovettero subire amputazioni di arti o occhi. Molti bambini rimasero permanentemente disabili a seguito delle ferite subite. Il considerevole numero di feriti mise a dura prova il sistema sanitario locale, con un'inadeguata disponibilità di bende e medicazioni. Un mese dopo l'attacco, 240 persone (di cui 160 bambini) erano ancora ricoverati negli ospedali di Beslan e Vladikavkaz. I bambini e i genitori sopravvissuti ricevettero assistenza psicologica al Vladikavkaz Rehabilitation Centre.[42]
I sequestratori avanzarono le seguenti richieste:
Il completo ritiro delle truppe russe dalla Cecenia.
Durante una conferenza stampa di fronte a giornalisti stranieri tenutasi il 6 settembre 2004, il presidente russo Vladimir Putin rifiutò l'eventualità di un'inchiesta pubblica, anche se cautamente si disse d'accordo con l'idea di un'inchiesta parlamentare. Avvertì comunque che la cosa avrebbe potuto trasformarsi in uno show politico.  
Anna Politkovskaja, che aveva precedentemente negoziato durante la crisi del teatro Dubrovka di Mosca nel 2002, finì in coma dopo esser stata avvelenata a bordo di un aereo. Poco prima, le autorità le avevano impedito per due volte di salire a bordo di un volo diretto a Beslan nonostante i sequestratori avessero chiesto di lei per condurre le trattative.
2 dicembre 2004

L'autunno è ormai trascorso, un autunno iniziato il primo settembre alla scuola n. 1. A Beslan sta arrivando l'inverno, e le cose non sono migliorate per nessuno. Per quattro famiglie sono addirittura peggiorate: i loro figli figurano ancora come “dispersi”, anche se le ricerche, ufficialmente, proseguono. Per ora niente corpi, funerali, banchetti funebri. Niente. All'appello mancano Georgij (Zoric) Agaev,  Aslan (Asik) Kisiev, Zarina Normatova – tutti nati nel 1997 – e l’undicenne Aza Gumenzova.

Zorik

Zifa, la mamma di Zorik Agaev, alunno di seconda elementare, non esce quasi più di casa.
«E se poi Zorik ritorna e io non ci sono? Cosa faccio se succede?» dice la donna sorridendo. «In città mi credono pazza. Ma sbagliano. Ne sono sicura: il mio Zorik è vivo, lo tengono da qualche parte.»
Le famiglie di Beslan i cui figli risultano tuttora dispersi si sono fatte idee diverse: c'è chi, come Zifa, crede siano ancora tenuti in ostaggio da qualche parte; chi invece pensa siano morti e loro resti siano stati seppelliti per errore da altri genitori, scambiandoli per quelli dei loro figli. Di qui partono diverse strade percorribili. Zifa se ne concede soltanto due. La prima porta al vicino incrocio. Spingendo la carrozzina della piccola Vika, di appena 11 mesi, Zifa fissa lo sguardo lontano, nella direzione da cui è certa prima o poi comparirà Zorik. La seconda conduce all’asilo Vagoncino Azzurro, che Zorik frequentava prima di andare alle elementari. Qui Zifa viene a portare i dolci degli aiuti umanitari che spettano, in quanto ex ostaggi, a lei e a Sasha il figlio maggiore, ora in quinta.
«Quando i bambini dell'asilo mangiano questi dolci,» spiega Zifa con tenerezza «è come se pregassero per Zorik. E ciò gli è di grande aiuto, là…»
Ma dove sia questo là non si capisce. Non è chiaro a nessuno. Neanche a Zifa. Dunque, è davvero impazzita? Ma quale sarebbe la normalità? Continuare ad aspettare il tuo bimbo anche se gli altri intorno a te sono già rassegnati, oppure abbandonare ogni speranza? È da questo che si può stabilire il grado di equilibrio psichico di una persona?
Il comportamento di Zifa Agaeva ha origine da qualcosa che Dio dovrebbe far sì che nessuno viva sulla propria pelle. Lei è la donna che dava il suo latte materno ai bambini durante i giorni della prigionia. Quel latte che doveva nutrire la piccola Vika. Aveva cominciato con l'offrire il seno a tutti quelli che le sedevano vicino, poi aveva preso a stillare piccole gocce del liquido vitale in un cucchiaino che i bambini si passavano di mano in mano.
«All'inizio i bimbi prendevano il latte direttamente dal mio seno» dice Zifa.
«Anche i più grandicelli?» Domando. 
«Certo. Si avvicinavano a me con circospezione e poi succhiavano. il mio Sasha che ora ha 10 anni si è adattato con piacere. Zorik invece si rifiutava. Allora gli ho tolto dai piedi i mocassini nuovi - il papà ne aveva comprato un paio ciascuno a lui e a Sasha, per il primo settembre, in uno ci ho strizzato dentro il latte perché Zorik non provasse vergogna. Ma la pelle della scarpa ha assorbito tutto il liquido… ero così dispiaciuta. Un altro ragazzino, Azamat, vedendomi porgere il seno ai bambini, si è rivolto alla nonna: Nonna dammi il latte! E lei: «Che latte? Alla mia età?!». E io: «Avvicinati Azamat! Te lo do io il latte, intanto Zorik prenderà il tuo posto senza farsi vedere.» L'uomo di guardia di fronte a noi seduto sul detonatore, si accorse dei nostri movimenti. Sembrava un lupo. Quando vide che allattavo i bambini, mi puntò contro il mitra. Non avevo paura di morire. Solo che mi uccidesse di fronte ai miei figli! Fu in quel momento che cominciai a pensare a come potevo fregarlo…»
Oggi si discute molto su chi sia il colpevole dei fatti di Beslan: Putin, Dzasochov, Ziazikov… Ovviamente, sono tutti colpevoli. Ma la verità e che né Putin, né Dzasochov, né Ziazikov spinsero l’uomo seduto sul detonatore a tenere sotto tiro una donna mentre allattava: fu una sua decisione. Aveva altre possibilità di scelta fare finta di non vedere quelle “colazioni, pranzi e cene”. Posare il mitra…
Arriva Tamerlan Agayev, papà di Zorik, Sasha e Vica. Lui e Zifa sono sposati da 12 anni. Il viso emaciato di Tamerlan è una maschera di dolore e di rabbia repressa. Ma subito si scioglie un po’, ed è chiaro che anche lui vive ormai per una sola ragione, la stessa di Zifa: sono entrambi convinti che il figlio sia vivo e tornerà. 
Zifa continua il suo racconto:
Ho chiesto di andare in bagno. Non le dico quanto mi è costato… avevo preso la mia decisione, speravo che nessuno mi tenesse d'occhio. Il bagno si trovava in presidenza. Ho pensato che là, da qualche parte, magari nel cassetto di un'insegnante, potevo trovare un cucchiaino. E infatti ne ho trovato subito uno, aveva il manico decorato a fiorellini. L'ho preso e ho pensato tutta contenta che, tornata indietro con quello avrei potuto far bere il mio latte di nascosto. In tal modo nutrire i bambini diventava un po’ più facile è un po’ meno pericoloso. Io stessa ho dato una leccatina al cucchiaino: non era buono per niente! E con che invidia le altre donne guardavano il mio latte… Come mi fissavano! Quando dopo l'attacco, mi portarono in sala operatoria, mentre mi svestivano mi cadde il cucchiaino. I dottori dissero: “E questo cos'è?” Risposi: “Non ridete. È il mio cucchiaino, lo usavo per dare il latte ai bambini.” Nella sala operatoria calò il silenzio. Me lo ricordo benissimo, un lungo silenzio. Non sono pazza, ricordo tutto… Ho 33 anni. Un'età che mette paura. Invece sono ancora qui…
Il terzo giorno, nella palestra c'era un gran silenzio. La gran parte dei terroristi erano andati chissà dove, lì ne erano rimasti pochi. Qualcuno tentava di uscire dai condotti, strisciando, tanto a quel punto rischiare o non rischiare era lo stesso. Ho cominciato ad avere le allucinazioni, pensavo di trovarmi in una tomba. Zorik deve essersi impaurito e allontanato.
Poi ci fu l'esplosione e Zifa venne scaraventata dalla finestra. Tutti quelli che sedevano intorno a lei furono arsi vivi; lei è sopravvissuta, ma le è rimasto metà volto maciullato. Ha subito varie operazioni, e altre sono in programma, ma quattro frammenti di scheggia le rimarranno nel corpo per sempre: è meno pericoloso lasciarli dove sono piuttosto che cercare di asportarli.
«Queste cicatrici contano poco. L'importante è Zorik. Quando tornerà, festeggeremo insieme il suo compleanno» Zifa lo ripete più e più volte «Griderò: “Gente Zorik è tornato!”».
Sul suo viso compare un sorriso beato.
Non lasceranno nessun sacco davanti alla porta di casa mia. “Zorik è vivo!” E improvvisamente tono della sua voce si fa disperato.
Il “sacco” è la novità autunnale di Beslan. Vengono chiamati “sacchi” i resti umani portati da Rostov per essere identificati. in quei sacchi, Zoric non c'era. Quei resti appartenevano a bambini più o meno della sua età, ma non a lui. Di chi sono? Perché nessuno li reclama?
Zifa continua a parlare, e la sua voce ora è un sussurro:
«Non mangerò mai più la marmellata di lamponi… Le prime due ore eravamo terrorizzati… Sasha non si trovava… Zorik a un certo punto ha gridato: “l'ha ucciso quello lì!” E io: “Queste cose succedono soltanto al cinema.” “No, dico sul serio! Sennò cos'e questa roba che ci cola addosso?” “Marmellata di lamponi Zorik…”


SCENA QUARTA

PALCO 1

(Berlusconi a braccetto di Putin)
Silvio: Questa te la devo raccontare.  (racconta una barzelletta)
È una di quelle barzellette che racconto quando ho davanti un interlocutore ostico. È un espediente. Nel bel mezzo di una discussione politica se mi accorgo che chi ascolta non gradisce, infilo una barzelletta, la gente dimentica quello di cui si sta parlando, si distrae, così posso girare il discorso.
Vladimir: Buona tecnica. Dovrei farlo anch’io con i miei, ma i russi non hanno un grande senso dell’umorismo. No, io per spostare la loro attenzione dai loro veri problemi li faccio incazzare e per farli incazzare gli parlo della guerra patriottica, del nazismo.
Silvio: Un argomento drammatico, altro che barzellette.
Vladimir: Difatti si incazzano. Quando un oppositore mi critica, io lo accuso di essere un nazista. I russi quando sentono la parola nazista si inferociscono e gli vanno contro e il gioco è fatto. Oppure lo chiamo: terrorista, così giustifico che lo faccio massacrare di botte.
Silvio: Questo te lo hanno insegnato al KGB?
Vladimir: Sì ma io l’ho migliorato. Il KGB è stata una grande scuola per me. Ho imparato che la politica non si fa nelle sedi istituzionali ma nei sotterranei dei servizi segreti.
Silvio: E la democrazia?
Vladimir: (ride) La democrazia è come una pizza ci metti quello che vuoi e poi gli dai un nome. Ma sarà sempre una pizza. La mia pizza russa è con un po’ di finta democrazia e tanto controllo sui media. Televisione e stampa. È una pizza a cui i russi sono abituati e apprezzano.
Silvio: Sì, ma noi italiani l’abbiamo inventata, e siamo molto esigenti in fatto di pizza e di democrazia. Tu non sai cosa mi devo inventare quando ci sono le elezioni, mi tocca promettere, promettere.
Vladimir: Tu prometti, ma se poi non mantieni, che fa il popolo?
Silvio: Non mi rivota alle prossime elezioni!
Vladimir: E tu racconta una delle tue barzellette! Sei un maestro in questo.
Silvio: Ma i sondaggi sono in calo il popolo vorrebbe che io stessi sempre a lavorare per lui, se mi concedo qualche vago mi stanno tutti addosso ad accusarmi. Tutta invidia.
Vladimir: Voi occidentali! Questa mania dei sondaggi! Tu hai i mezzi, i soldi, fatti una tua società di sondaggi che fa i sondaggi come li vuoi tu. 
Silvio: Purtroppo non ho il monopolio della informazione come te in Russia. 
Vladimir: Mi risulta che tu hai giornali, televisioni. Cosa ti manca?
Silvio: La collaborazione. Sono attorniato da gente mediocre, che non ha le palle, e poi ce n’è qualcuno che è troppo ambizioso e vuole farmi fuori.
Vladimir: Sui collaboratori da scegliere ti darò dei consigli. Sono gli oppositori che bisogna convincere.
Silvio: L’opposizione in Italia è dura da convincere. Tu come fai in Russia a convincere l’opposizione?
Vladimir: (ride) Ci sono solo due modi per convincerla: con le buone o con le cattive. Li lascio scegliere. Ma la cosà più importante è il popolo. È il popolo che devi tenerti caro e c’è un modo per farlo: usare le parole giuste. Come faccio io.
(Si mette dietro una scrivania, prende un microfono in mano)
Vladimir: Cari cittadini russi!
Cari veterani! Compagni soldati e marinai, sergenti e capisquadra, 
Compagni ufficiali, generali e ammiragli!
La difesa della Patria, quando si decideva il suo destino, è sempre stata sacra. Con tali sentimenti di autentico patriottismo, la milizia di Minin e Pozharsky si alzò per la Patria, attaccò il campo di Borodino, combatté il nemico vicino a Mosca e Leningrado, Kiev e Minsk, Stalingrado e Kursk, Sebastopoli e Kharkov. Per la sicurezza della nostra Patria - la Russia.
Il valore del nostro popolo è per sempre iscritto nella storia mondiale come un trionfo del nostro popolo sovietico unito, della sua unità e del suo potere spirituale, un’impresa senza precedenti al fronte e alle retrovie. Il Giorno della Vittoria è vicino e caro a ciascuno di noi. Non c’è famiglia in Russia che non sia stata bruciata dalla Grande Guerra Patriottica. La sua memoria non svanisce mai. Ogni giorno, nel flusso infinito del «Reggimento immortale» - figli, nipoti e pronipoti degli eroi della Grande Guerra Patriottica. Portano fotografie dei loro parenti, soldati caduti che sono rimasti per sempre giovani e veterani che ci hanno già lasciato. Siamo orgogliosi della generazione invincibile e valorosa di vincitori, poichè siamo i loro eredi, ed è nostro dovere conservare la memoria di coloro che hanno schiacciato il nazismo, che ci hanno lasciato in eredità a essere vigili e fare di tutto affinché l’orrore di una guerra globale non succeda più. E quindi, nonostante tutti i disaccordi nelle relazioni internazionali, la Russia ha sempre sostenuto la creazione di un sistema di sicurezza uguale e indivisibile, un sistema vitale per l’intera comunità mondiale. 
La Russia ha un carattere diverso. Non rinunceremo mai all’amore per la Patria, alla fede e ai valori tradizionali, ai costumi dei nostri antenati, al rispetto per tutti i popoli e le culture. A tutti i partecipanti alla Resistenza, i valorosi soldati e partigiani della Cina - tutti coloro che hanno sconfitto il nazismo e il militarismo.
Chiniamo il capo davanti al ricordo benedetto di tutti coloro la cui vita è stata tolta dalla Grande Guerra Patriottica, davanti al ricordo di figli, figlie, padri, madri, nonni, mariti, mogli, fratelli, sorelle, parenti, amici.
Davanti alla memoria degli anziani, delle donne e dei bambini dei civili morti per i bombardamenti spietati, i barbari attacchi dei neonazisti. Chiniamo il capo davanti ai nostri compagni d’armi, che morirono alla morte di coraggiosi in una giusta battaglia - per la Russia che durante la Grande Guerra Patriottica ci hanno mostrato un esempio di eroismo per tutti i tempi. Questa generazione di vincitori, e noi li ammireremo sempre.
Lo stato di diritto non è russo. È una invenzione dell’occidente rammollito, vittima dei filosofi, dei moralisti, dei parassiti. Non cadremo nella trappola dei drogati, dei viziosi, degli omosessuali, dei misericordiosi, dei pedofili, dei satanisti; noi siamo la Russia, un popolo grande, giusto, potente che ha dominato metà della terra ed è pronto a rifarlo.
Gloria alle nostre valorose Forze Armate!
Per la Russia! Per la vittoria!
Evviva!
(Berlusconi applaude)
Silvio: Grande Volodya, Con questa forza riesci a tenere unito il popolo russo. 
Vladimir: Il popolo russo è sempre stato unito. È nel nostro DNA. A differenza dei popoli latini, gli slavi credono nel loro capo come fosse una incarnazione di Dio. Non mi mettono in discussione se io dimostro loro che li proteggo, mi prendo cura di loro. Se anche una sciagura, una catastrofe si abbattesse sul popolo russo esso accetterebbe la sofferenza come un dono che Dio fa alla loro vita. Perché il popolo russo ama la sofferenza lo fa sentire come Cristo sulla croce.
Silvio: Questo lo rende anche passivo, inerme davanti ad un possibile despota.
Vladimir: Certo, e questo fa sì che i furbi, gli imbroglioni ne approfittino. Per quale motivo credi che ci siano gli oligarchi, gente che dal nulla si è arricchita a dismisura. Sono tutte persone furbe, senza scrupoli che hanno approfittato della passività del popolo.
BL: E tu?  Non puoi fare niente per cambiare le cose?
Vladimir: Perché? Perché devo cambiare le cose? Non voglio farlo. Io sono incaricato da Dio a rifare grande e potente la Russia. Ho la forza, le armi, la volontà. Niente e nessuno potrà fermarmi. Non ci saranno ostacoli alla mia determinazione. 
Silvio: Ma caro Volodya, perché credi che non ci saranno ostacoli?
Vladimir: Chi mi si opporrà? I cosiddetti guardiani della democrazia? Parli della stampa? Della libera stampa? No, non è un problema, il popolo russo sorveglia i nemici della Russia. Loro sono i nemici della Russia Non mi preoccupo per loro.
Silvio: E dell’Europa? Degli Stati Uniti?
Vladimir: L’occidente è vecchio, malandato, sta per morire. L’Europa è divisa su tutto. L’occidente è in decomposizione, la Russia è forte, è unita, è decisa. Ritorneremo grandi! Riconquisteremo quello che ci hanno rubato. La Georgia, l’Ucraina, la Polonia, la Lituania, insomma tutto tornerà come prima. Ci sarà un’altra guerra patriottica che la Russia vincerà. Presto Silvio, molto presto.


SCENA QUARTA

PALCO 2

 Un attore legge:

«Anna Politkovskaja era una creatura rara, con un coraggio fisico e morale da lasciare a bocca aperta. E, come tutti gli eroi, aveva una modestia e un umorismo sorprendenti.
Anna Politkovskaja è morta inutilmente?
Lei ha suonato le campane a martello, affinché il mondo democratico sapesse e reagisse.
Morta per niente? Morta per noi. Noi occidentali, che non l'abbiamo saputa leggere, né proteggere. Questo niente, per cui lei ha dato la vita, siamo noi.
Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile.»

«I leader che, in Europa occidentale, fanno il bello e il cattivo tempo, hanno prestato il fianco alla sfrontatezza di Vladimir Vladimirovich Putin. Questo ex ufficiale della Gestapo sovietica, del Kgb si pavoneggia nei fronzoli di un «democratico puro», come l'ha definito Gerhard Schroeder l’ex Cancelliere tedesco e neo-assunto alla Gazprom, il quale gli ha giurato un'amicizia eterna pagata in contanti.
Quanto al presidente francese, non sembra minimamente pentito di avere appuntato la più alta onorificenza della République sul petto d'un Putin. Nessuno dei due, nessuno dei loro simili, ha mai messo il naso negli scritti di Anna Politkovskaja, tanto è il terrore di scoprire le verità pestilenziali che ha pagato con la propria vita.»

Questo è ciò che ha detto il filosofo francese André Glucksmann nell’elogio funebre per Anna Politkovskaja.

Anna Stepanovna Politkovskaja era nata il 30 agosto del 1958 con il nome di Anna Mazepa, a New York, figlia di due diplomatici sovietici di nazionalità ucraina di stanza presso l'ONU.

«Non bevo, non fumo e non amo l'adrenalina. I giornalisti maschi qualche volta giocano alla guerra. Io la odio. È orrenda. Quando ero prigioniera nella fossa era terribile, sporcizia, puzza, senza bagno, acqua, cibo, mi avevano tolto anche i bottoni, temevano che dentro ci fossero microfoni, mi avevano lasciato solo il burro di cacao e poi uno mi ha rotto pure quel tubetto…»

Questa era Anna Politkovskaja. Testimone dei più feroci e disumani disastri della storia. Ne conosce i personaggi, la loro ignobiltà, prepotenza, l’infantilismo di chi gioca alla guerra. Ne traccia il percorso che conduce al nulla, alla follia. Ma è con le donne che Anna sta: madri, sorelle, mogli, bambini, da una parte o dall’altra, Nei suoi scritti Anna li segue, nei villaggi distrutti, nei campi profughi alla ricerca di un figlio disperso, di un marito ferito. 

«La mia vita è difficile, certo, ma è soprattutto umiliante. A 47 anni non ho più l'età per scontrarmi con l'ostilità e avere il marchio di reietta stampato sulla fronte. Non parlerò delle altre gioie del mio lavoro - l'avvelenamento, gli arresti, le minacce di morte telefoniche e online, le convocazioni settimanali nell'ufficio del procuratore generale per firmare delle dichiarazioni su quasi tutti i miei articoli. Naturalmente gli articoli che mi presentano come la pazza di Mosca non mi fanno piacere. Vivere così è orribile. Vorrei un po’ più di comprensione. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo.»

Parlando di Putin diceva:

«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il Dio e il re che dobbiamo temere e venerare La Russia ha già avuto governanti di questa risma ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino.»  

(Che cos’è un Cekista? È un poliziotto dei corpi speciali attivi negli stermini di massa durante l’epoca delle “purghe” staliniane.)

Anna Politkovskaja diceva: «in Russia a volte la gente paga con la propria vita per dire ad alta voce ciò che pensa.» “A volte…” “Può succedere…” A lei è successo il 7 ottobre del 2006, mentre rientrava dall’aver fatto la  spesa, nel suo appartamento di tre stanze al settimo piano in cui abita con un cane di nome Van Gogh. Mentre sta per entrare nell’ascensore, un sicario dal volto scoperto le spara cinque colpi. Il primo è bastato ad ucciderla ma l’assassino vuole aggiungere l’insulto ai proiettili. Poi butta la pistola e senza nemmeno troppa fretta va via.
Non era la prima volta che hanno tentato di ucciderla. Da anni quella cerchia di bestie cariche d’odio la aveva preso di mira. Si dicevano: patrioti. La sorvegliavano. Bastava un articolo sul giornale, una sua affermazione in una intervista e diventavano rabbiosi. Come quando l’avevano arrestata e calata in una buca per tre giorni. O quando l’avevano avvelenata nell’aereo che la doveva portare a Beslan dove gli sgherri di Putin si stavano preparando compiere una strage di innocenti. L’hanno dovuto fermare con il veleno perché la dannata rompiscatole voleva andare lì dove si preparava lo scempio, il massacro di donne e bambini.

Alla viglia della sua morte aveva fatta una intervista a Radio Svoboda:

“…adesso, sul mio tavolo da lavoro, ci sono due fotografie. Sto conducendo un'inchiesta. Riguarda le torture perpetrate nelle prigioni segrete di kadyrov oggi e nel passato. Persone che sono state sequestrate dagli uomini di kadyrov senza alcuna giustificazione… ho solo un sogno personale nel giorno del compleanno di kadyrov. Sogno che sieda sul banco degli imputati.»

Il Primo Ministro ceceno Ramsan Kadyrov commenta così la morte della giornalista russa:

«Nonostante il carattere non sempre oggettivo del materiale riguardante la Cecenia della giornalista, esprimo il mio rammarico per quanto è successo.»

Kadyrov approfitta anche per smentire le indiscrezioni su una presunta "pista cecena" per l'omicidio Politkovskaja:

«Speculare su questo crimine sanguinoso senza ragioni o prove serie significa parlare sulla sola base di indiscrezioni o di gossip. E ciò non dà certo prestigio né ai politici, né alla stampa.»

Per capire chi è Ramsan Kadyrov basta ascoltare cosa rispose alla domanda su come intende "vendicare l'omicidio di suo padre"

"L'ho già ucciso, chi dovevo uccidere. E quelli, che stanno dietro di lui, li ucciderò, fino all'ultimo, finché non sarò io stesso ucciso o imprigionato. Li ucciderò finché vivrò... Putin è stupendo. Pensa più alla Cecenia che a qualsiasi altra repubblica. Quando mio padre fu assassinato, lui venne e andò di persona al cimitero. Putin ha fermato la guerra. Putin dovrebbe essere nominato presidente a vita. È necessaria una regola forte. La democrazia è tutto tranne che un'invenzione americana... i russi non obbediscono mai alle loro leggi. Bisogna stargli addosso.”

 Come capo del Servizio di Sicurezza Presidenziale Ceceno, Kadyrov è stato spesso accusato di essere brutale e spietato; per la stampa è implicato in numerosi casi di tortura e omicidio. L'associazione tedesca per i diritti umani Associazione per i Popoli Minacciati (GfbV) ha affermato che fino al 70% di tutti gli assassinii, stupri, rapimenti e casi di tortura in Cecenia, sono stati commessi dall'esercito privato agli ordini di Kadyrov, la forza di sicurezza interna conosciuta come Kadyrovtsy (Kadyroviti), composta da 3000 uomini.
Ad aprile 2017 la testata indipendente russa Novaja Gazeta, nella quale aveva lavorato Anna Politovskajia, ripresa poi da Amnesty International, ha puntato il dito contro Kadyrov accusandolo di avere aperto, in accordo con il Cremlino, un campo di concentramento nel quale vengono torturati uomini omosessuali, alcuni dei quali spariti la settimana precedente in circostanze misteriose. Il presidente ceceno ha negato il fatto, ed il suo portavoce ha affermato che «non si possono perseguitare coloro che, semplicemente, in Cecenia non ci sono» e ancora: 
«Se in Cecenia ci fossero persone così, le forze dell'ordine non avrebbero nessun problema con loro perché sarebbero i parenti stessi a mandarli a quell'indirizzo dal quale non si ritorna.»

Nuove accuse di persecuzioni verso persone omosessuali in Cecenia sono state rivolte nel gennaio del 2019 da organizzazioni di attivisti, che hanno denunciato 40 arresti, torture e due omicidi in carcere.
Nella guerra con l’Ucraina è un sostenitore dell’uso del nucleare. “Bisogna distruggere l’ucraina, uccidere tutti gli abitanti. In nome di Allah, il misericordioso” Per dimostrare di essere il primo a combattere ha fatto arruolare nell’esercito russo per essere mandati al fronte i suoi tre figli più piccoli di 14, 15 e 16 anni.

L'8 ottobre, il giorno dopo il delitto, la polizia russa sequestra il computer della Politkovskaja e tutto il materiale dell'inchiesta che la giornalista stava compiendo. Il 9 ottobre, l'editore della Novaja Gazeta Dmitrij Muratov afferma che la Politkovskaja stava per pubblicare, proprio il giorno in cui è stata uccisa, un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov (chiamate spregiativamente kadiroviti). Muratov aggiunge che mancano anche due fotografie all'appello. Gli appunti non ancora sequestrati vengono pubblicati il 9 ottobre stesso, sulla Novaja Gazeta.[
Un anno dopo, nell’autunno del 2007 Berlusconi è a San Pietroburgo, in riva al lago Valdai. Per l’occasione, l’amico Putin organizza nella sua dacia un grande spettacolo con le migliori danzatrici del ventre di tutte le Russie. E non solo: acquari con pesci tropicali al posto delle pareti, oro zecchino ad adornare i mobili, ninnoli dei materiali più preziosi. Una via di mezzo tra la residenza dello Zar e le case dei Casamonica sul litorale di Ostia. Silvio apprezza molto, e sei mesi dopo, ricambia a Villa Certosa. C’è il cast del Bagaglino al completo. Una ventina di persone tra fantasisti, soubrette e intrattenitori vari che danno spettacolo per l’ospite russo, che sembra apprezzare. La visita privata in Sardegna si ricorda anche per le lunghe passeggiate nei boschi che Vladimir e Silvio fanno insieme. E per una battuta di Berlusconi in risposta alla domanda di Putin sul suo recente successo elettorale contro Veltroni: «I comunisti sono spariti dal parlamento. Capirai bene che per me questo è un grande successo…». 
Non riusciva a capire di essere diventato amico del più feroce dei discendenti del comunismo sovietico.

Anna Politkovskaja non è la sola giornalista uccisa in Russia.
L’elenco dei giornalisti ed oppositori morti ammazzati e lunghissima: 
Konstantin Pogodin, 
Natalya Skryl, 
Valery Batuyev,
Sergej Kalinovskij,
Vitalij Sachn-Vald,.
Leonid Ševčenko,
Valerij Ivanov,.
Aleksandr Plotnikov,
Pavel Morozov,
Oleg Sedinko,
Nikolaj Razmolodin,
Marija Lisičkina.
Sergej Žabin, 
Nikolaj Vasiliev
Paavo Voutilainen,.
Leonid Kuznecov, 
Igor' Salikov, 
Roderick (Roddy) Scott
Elena Popova, 
Leonid Plotnikov, 
Tamara Vojnova 
Dmitrij Šalaev

Nei vent’anni della presidenza di Vladimir Putin, sono scomparsi perché uccisi più di duecento giornalisti che hanno osato criticato il suo regime.

 

SCENA QUINTA

PALCO 1

(Putin e Berlusconi sono seduti che guardano uno spettacolo che si svolge su una pedana.)
(Un artista, ballerina o cantante finisce la sua esibizione.)
Entra in pedana un attore.
Att. Adesso per il nostro gradito ospite, un omaggio particolare. Dal Miles gloriosus di Plauto un piccolo saggio.
I due ospiti si guardano sorpresi.
(entra Lui nei panni di Pirgopolinice il Miles Gloriosus, tutto bardato di armi e Lei nei panni di Artotrogo)
Lui: Adoperatevi perché il fulgore del mio scudo sia più abbagliante dei raggi del sole quando il cielo è sereno, sì che, al momento di adoperarlo, nel pieno della mischia ottunda il filo... dello sguardo nelle file dei nemici. Perché io voglio che mi si consoli questa scimitarra, che non si lamenti e non si perda d'animo, gemendo ch’io da tanto tempo me la tengo al fianco in vacanza, mentre lei – poverina! - smania di insaccare salsicce coi nemici. Ma dove s’è cacciato Artotrogo?
Lei: È qui, accanto all'eroe… prode e prospero e prosperoso come un re, guerriero come… insomma neanche Marte oserebbe parlare dinanzi a te e paragonare il suo valore al tuo.
Lui: Chi? Quello che ho salvato nei campi gorgoglioionici, dov'era comandante supremo Pugnastrombazzide Redelleschiappestrategide, il nipote di Nettuno?
Lei: Sì, mi ricordo; sì, parli di quello con le armi d'oro, di cui disperdesti le legioni con un soffio solo, come il vento sradica le foglie o le pannocchie dei tetti.
Lui: Bah! Ma questo non è niente.
Lei: Certo questo non è niente a confronto delle altre imprese che ricorderò... (e che tu non hai mai compiute se qualcuno conosce un uomo più sfacciatamente bugiardo e più fanfarone di costui, mi faccia schiavo, io mi ci consegnerò in servitù)
Lui: Ma dove sei?
Lei: Eccomi. Così, per esempio, quell'elefante in India, come con un pugno gli hai rotto un braccio…
Lui: Che? Il braccio?
Lei: Cioè, volevo dire la zampa.
Lui: Eppure l'avevo vibrato alla straccapunto
Lei: Ah, certo, se l'avessi sferrato con tutti i sentimenti, il braccio avrebbe passato da parte a parte la cotenna e le budella e il muso dell'elefante.
Lui: Ma per ora lasciamo da parte codesta roba. 
Lei: Ah, cappio, non è certo il caso che tu ricordi i tuoi meriti a me, che ben li conosco.
Lui: Di che stavo parlando? 
Lei: Eh, so già quello che vuoi dire: è stato così cribbio! Sì, mi ricordo che è stato così. 
Lui: Ma che cosa?
Lei: Qualunque cosa.
Lui: Hai?...
Lei: Mi vuoi domandare le tavolette ce le ho, e anche lo stilo.
Lui: Sei un tesoro per come sai adattare i tuoi pensieri ai miei!
Lei: È mio dovere scrutare scrupolosamente le tue inclinazioni e stare attento a fiutare a volo la tua volontà.
Lui: E che ti ricordi?
Lei: Mi ricordo: centocinquanta in Cilicia, cento in Scitolatronia, trenta Sardiesi, sessanta macedoni: sono gli uomini che hai ucciso in un sol giorno.
Lui: e qual è la somma?
Lei: Settemila!
Lui: deve essere proprio così: la somma la sai fare.
Lei: e non ce li ho segnati, ma me li ricordo lo stesso.
Lui: perbacco, sei proprio di ottima memoria!
Lei: i bocconi me la illuminano!
Lui: finché ti comporterai come hai fatto fino adesso, non cesserai mai di mangiare: ti farò sempre partecipe della mia mensa.
Lei: E allora che debbo dire della Cappadocia dove tu, se la scimitarra non avesse perduto il filo, ne avresti uccisi 500 in un sol colpo?
Lui: Ma perché erano miserabili fantaccini, gli ho concesso di vivere.
Lei: Ehi ma a che ridi quanto fa che ridirti ciò che tutto il mondo sa, che di Pirgopolinice ce n'è uno solo, assolutamente invincibile per bravura, bellezza e brillante imprese? Tutte le donne vanno pazze di te, ed hanno ragione, perché sei così bello; pensa che a quelle che ieri mi han tirato per il mantello…
Lui: e che t'hanno detto?
Lei: Mi tempestavano di domande. «E’ Achille costui?» mi chiedeva una. E io: «no, è suo fratello». Allora un'altra: «Perbacco, quant'è bello, quant'è signore! Guarda come gli scende bene giù bene la chioma! Fortunate quelle che vanno a letto con lui!»
Lui: dicevano proprio così?
Lei: Ma come! Se tutte e due hanno scongiurato di portarti in giro per di lì oggi, manco fossi la processione!
Lui: è proprio un guaio essere un uomo troppo bello! Ma dimmi ancora: quanti ne ho uccisi in vita mia?
Lei: Non è possibile far di conto. Se parliamo di nemici. Tu ne hai tanti quanti sono i pesci nel mare.
Lui: Ma non posso perder tempo a separare i nemici dagli amici. 
Lei Forse è per questo che li metti tutti nel calderone insieme e li fai fuori tutti. Come hai fatto in Cecenia.
Lui: Bravo. Così io uso fare. Non stare a cincischiare, Butto bombe a destra e a manca.
Lei: E che bombe! Bombe che rimbombano. Bombe sulle città, sulla gente, sulle case, sugli ospedali…
Lei: Mi ricordo: mi ricordo tutto. Le stragi: la strage al mercato dove morirono 140 persone tra cui donne e bambini; mi ricordo le bombe su un convoglio di profughi, 25 morti fra volontari della Croce Rossa e giornalisti; mi ricordo i bombardamenti sulla Siria che hanno provocato 400 cento mila morti e milioni di profughi; 
Lui: Sì! E devono dirmi: grazie, che non butto loro il bombone, Quello che tutto annulla, stermina, distrugge, quello lo farò quando dico io. Perché io sono il Dio in terra, no, anzi, sono più potente di Dio. Lui ha creato l’universo mondo e io lo distruggo!
Lui: Cos’altro ti ricordi?
(a questo punto il tono della recitazione cambia diventa drammatico. Lei puntando lo sguardo su Putin scende e fissandolo negli occhi continua)
(I due spettatori si agitano, si guardano fra loro. Berlusconi è alterato, Putin irato. I personaggi scendono dalla pedana estraggono ognuno una pistola e la puntano.)
Lei: Mi ricordo il massacro di Katyr-Yurt, 170 civili furono uccisi durante l’attacco a un convoglio protetto da bandiera bianca. Mi ricordo dei morti del teatro Dubrovka, i morti della scuola di Beslan,
Lui: Quanti sono i morti? 
Lei: Centinaia di migliaia morti innocenti, e poi anche crimini di guerra, stupri e saccheggi da parte dell’esercito e dei mercenari assoldati da Mosca. Amnesty International ha documentato più di 5 mila sparizioni forzate dal 1999 nella Cecenia occupata, tutto ciò è stato definito “un genocidio”.
Silvio: Basta! Uscite! Fuori da casa mia! Queste sono tutte invenzioni. Vladimr Putin ha dovuto agire per fermare il terrorismo…il presidente Putin è un amico dell’Italia…
Lui: Non ti azzardare a definire questo essere un amico dell’Italia. L’Italia non ha amici così disumani, volgari, corrotti nell’animo e nel cervello…
Vladimir: Basta Silvio, non c’è bisogno che tu mi difenda, Non devo dare giustificazioni a nessuno delle mie azioni.
Lui: E invece devi! Ti devi giustificare davanti alla storia e a noi esseri umani.
Vladimir: Vladimir Putin non sarà mai sotto processo. Specie in un paese che non è la Russia. Andate o chiamo i miei uomini.
Lei: I nostri proiettili sono più veloci dei tuoi uomini. 
Lui: Quindi, spiega a noi esseri umani: perché?
Silvio: Il signor Putin non deve nessuna spiegazione.
Lei: Silvio Berlusconi il mondo ti ha giudicato uno sciocco, superficiale e narcisista, noi ti accusiamo di immoralità.
Lui: Adesso, signor Putin le ripeto la domanda: perché? Perché, uccidere, uomini, donne, bambini; sterminare intere città, perché? Cosa lo spinge a fare questi abomini?
Vladimir: La Russia. La Russia è mia ragione di vita. La Russia non può sedersi in disparte davanti al mondo. La Russia deve stare al centro del mondo. Dalla caduta dell’unione sovietica l’occidente ha occupato il mondo. È diventato il padrone del pensiero del mondo. Il mondo deve conoscere anche il nostro pensiero.
Lui. Qual è il suo pensiero? I bambini morti, le donne morte, le vite spezzate, le speranze distrutte di milioni di persone, gli uomini che muoiono sotto le sue maledette bombe glielo chiedono. Qual è il suo pensiero?
Vladimir: Il mio solo pensiero è nostra madre Russia. Il mio pensiero è difendere il mio popolo da coloro che lo odiano, difenderlo dall’occidente ormai moribondo corroso dalla droga, dalla putrefazione, proteggerlo da un impero occidentale al collasso con la bava alla bocca.
Silvio: Vladimir, capisco il tuo stato d’animo ma non credo che tu…
Vladimir: Zitto! Tu sei un degno rappresentante di questo mondo corrotto e malato. E voi credete che uccidendo me avrete pace? Non illudetevi. Non sono solo io. L’attacco al vizio occidentale è la missione della Russia. Oggi e sempre.
Lei: In nome delle centinaia di migliaia di vittime di questo genocidio per la tua malvagità, crudeltà, ferocia, ti condanniamo a morte. La sentenza sarà subito eseguita.
Lui: (punta la pistola alla tempia di Putin)
Silvio: Fermatevi per l’amor di Dio! Così scatenerete una guerra. 
Lei: Non nominare il nome di Dio. Sarai giustiziato anche tu.
Silvio: Io? Perché io? Io sono sempre stato un uomo di pace!
Lui: Un uomo di pace non frequenta un criminale genocida. Non si vanta della sua amicizia. Un uomo di pace si vergogna di essere stato con un criminale assassino a divertirsi e ridere. Noi ti accusiamo di narcisismo, vanagloria, stupidità, complicità con il genocida. La condanna è morte da eseguirsi adesso. (estrae una pistola e la punta su Berlusconi)
(Le luci bloccano i due seduti e gli esecutori con le pistole puntate alle loro tempi.)
(Le luci si affievoliscono fino a spegnersi.)


SCENA QUINTA

PALCO 2

La guerra in Ucraina

Il 22 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha avanzato una richiesta prima alla Duma di Stato e successivamente all'Assemblea federale per avere i pieni poteri sull'effettuare operazioni militari all'estero, la richiesta è stata pienamente accolta sia dalla Duma che dall'Assemblea federale, dando così a Vladimir Putin il pieno controllo delle forze armate russe, senza limiti di tempo, luogo e per qualsiasi tipo di operazione militare
Viene confermato l'annullamento dell'incontro programmato fra il segretario di Stato statunitense Blinken ed il ministro degli esteri russo Lavrov il 24 febbraio a Ginevra, affermando che «l'invasione è già iniziata, l'incontro non ha più senso» 
.Il Segretario Generale NATO Jens Stoltenberg alle ore 23:45 ha affermato che la NATO ha in massima allerta 100 aerei e vari gruppi navali in tutta Europa. 
Nella prima mattinata del 24 febbraio 2022 Putin ha annunciato un'operazione militare speciale nel Donbass, dando inizio ad un'invasione dell'Ucraina.  Centottantamila soldati russi, già posti a nord, a est e a sud invadono l’Ucraina.
Ma il vero obiettivo strategico di Putin è abbattere il governo di Zelensky sostituendolo con un regime amico. Per questo il primo attacco viene sferrato nella zona di Kiev, in particolare sull’aeroporto di Hostomel individuato come testa di ponte per lo sbarco di truppe aviotrasportate. Il blitz però fallisce e benché la capitale subisca massicci bombardamenti e le città circostanti siano oggetto di una brutale occupazione i russi non avranno mai il controllo della regione.

Tra marzo e aprile l’Ucraina vive il suo momento di massima difficoltà militare. Mosca concentra i suoi attacchi nel settore nord e a sud est, avanza nel Donbass e soprattutto conquista la fascia costiera attorno a Mariupol città attorno alla quale si scatena una furiosa battaglia. Ad aprile le truppe di Mosca hanno saldato la Crimea, invasa nel 2014 al Donbass, l’Ucraina perde ogni sbocco sul mar d’Azov e Odessa, ultimo porto rimasto a Kiev è più volte bombardata.

Grazie all’arrivo massiccio di armi dall’Occidente. l’Ucraina riesce non solo a resistere ma anche a riorganizzarsi. I russi, a loro volta, mostrano gravissime insufficienze nell’organizzazione sul terreno, nella preparazione, nella catena di rifornimento logistico. Il conflitto sembra svoltare a partire da settembre quando le armate di Kiev, dopo aver fatto credere una imminente offensiva a sud, nel settore di Kherson, sferrano un attacco a est, in direzione del Donbass e arrivano in prossimità del confine con la Russia. In pochi giorni vengono liberati migliaia di chilometri quadrati di territorio.

La guerra diventa una guerra ibrida, ma anche di sopraffazione, di violenza, di brutalità. Gli eserciti di invasione non hanno sempre avuto nella storia una condotta ineccepibile, ma l’esercito russo negli ultimi eventi bellici, in Cecenia e in Siria, ha dimostrato una disumanità inaccettabile anche in periodo di guerra.
La sconfitta su terreno ha fatto infuriare i comandanti russi che in preda a collera hanno usato la strategia del terrore. La stessa usata in Cecenia. Bombardare obiettivi militari e civili con uguale violenza.

Man mano che le battaglie si susseguono con ribaltamenti di fronte continui, si scoprono fosse comuni, camere di tortura, distruzione di ospedali, scuole, case di civile abitazione, teatri, musei. Gli omicidi gratuiti, gli stupri, i saccheggi, di cui l’esercito invasore si è reso colpevole sono innumerevoli e da considerare come crimini contro l’umanità.
Oggi sette novembre 2022
Fare il bilancio di morti, di case distrutte, di vite spezzate dalle ferite fisiche e morali non è ancora possibile. La guerra continua e gli orrori si susseguono.
Fare una previsione su come finirà questa guerra è impossibile. Dobbiamo solo sperare che finisca al più presto e che una pace che contempli anche giustizia sia fatta.

Diario di un’ucraina

La guerra dei russi ci ha reso sporchi, grigi e malconci, ma aspettiamo ostinati la vittoria
Olena Stiazhkina

In una Makariv liberata dagli occupanti ci sono tante case distrutte. Sulla soglia di una di queste case c’è un cane. È di razza alabai. È grigio, sporco, malconcio, affamato. Prende il cibo e l’acqua dai volontari. Si lascia accarezzare. Però non segue nessuno. Non si schioda dal suo posto. Guarda negli occhi della gente che passa. Guarda oltre quelli che si avvicinano. Aspetta i suoi. Aspetta ostinato. Forse i suoi non ci sono più. Forse aspetta invano, o forse non è poi così invano. Lui mangia, lui beve. Solo che non segue nessuno. Lui crede che tutti quelli a cui vuole bene torneranno. Prima o poi. I volontari lo chiamano “il nostro Hachi”.
Oggi sono tornati i nostri vicini di pianerottolo. Li sentiamo oltre la parete. Sembra che quella parete tra di noi non ci sia neanche. Le nostre orecchie hanno imparato i nuovi suoni dal cielo ancora prima dell’arrivo delle sirene. Che cosa vuoi che sia allora quella parete?
Oggi il confine con la Polonia lo hanno attraversato 24mila persone. Stanno tornando a casa. Loro qua sono molto attesi, anche se non c’è più nessuno ad aspettarli.
Mi sembra che tutti noi siamo degli “Hachi”. Nelle città distrutte e desolate siamo sporchi, grigi e malconci e aspettiamo ostinati il senso della nostra vita. Stiamo aspettando i nostri soldati, i vicini di casa, gli amici. Stiamo aspettando la vittoria e non ci schiodiamo da questo posto anche se sarà difficile e lunga. Solo che al posto del cibo e dell’acqua a noi servono armi.
Lo chiamo l’infuso concentrato della tragedia. Si tratta di un corpo ucraino, che sa già dove fa male, poiché fa male ovunque. Sentiamo ogni movimento delle auto bucate dalle pallottole nei corridoi umanitari russi, il tricolore russo disegnato sui cartelli all’ingresso in città, le fosse comuni sui territori occupati che si vedono sulle foto dei satelliti. Il collo non si muove, gli occhi sono secchi, le orecchie non sentono, la schiena non si piega…
Ed è proprio sulla schiena, che non vuole piegarsi, che sono scritti tutti i nomi e i toponimi. Sono tatuati sulla schiena che non vuole piegarsi. Su quella schiena che non vuole piegarsi ci sono la rabbia, la furia, il dolore e le armi. Oltre quella schiena c’è l’infuso della tragedia. Se farai un movimento, i cristalli tradiranno la loro fragilità. Le lacrime scioglieranno tutto, le orecchie sentiranno tutto, il collo riacquisterà la propria forza. Ma la schiena non vuole piegarsi.
L’infuso concentrato della tragedia sarà sul nostro tavolo ancora per tanto tempo, come lo scudo e la spada.
Nel dizionario internazionale ci sono delle novità: il lemma “russo” ora significherà la stessa cosa che “nazista”. La parola “Ucraina” però potrebbe essere rivista come una versione nuova della storia di Davide o Golia. Per via dell’Ucraina questa parabola non sembrerà più così esagerata.
Da allora il nostro incubo più grande e senza fine sono le torture, inflitte ai bambini davanti ai nostri occhi. Non sono stati i russi a inventarle, ma sono stati loro a perfezionarle: bambini stuprati con i denti tolti, le unghie strappate, le braccia e le gambe spezzate. I bambini ammazzati sono il loro marchio di qualità, per il quale l’intero battaglione riceve le onorificenze militari.
Ogni volta che incontri un russo devi tenere in mente che lui, suo figlio, sua figlia, il suo parente, il suo vicino, il suo collega – tutti loro, insieme o separatamente — tortureranno i bambini. La questione di un russo che abita in Europa non cambia niente.
Come fare allora? Il piano d’azione c’è. Anzi sono due. E tutti e due sono imperfetti. Il primo consiste nel non avere i russi da nessuna parte. Il secondo nell’avere le armi. Nelle condizioni di necessità un’arma puntata contro un russo potrebbe salvare dal non essere torturati a morte.
Mettere in atto il primo piano è difficile, per via dell’indifferenza dell’anima del mondo moderno. È difficile convincere gli europei non stuprati che i loro figli saranno i prossimi. La difficoltà del secondo piano sta nel distribuire le armi tra i bambini per dar loro la possibilità di morire in fretta ed evitare le torture.
Tutti i territori occupati sono campi di concentramento. Tutte le persone che ci si sono trovate dentro sono condannate. Oggi, domani o dopodomani. Sono condannate.
Anche nella tranquillità apparente di Donets’k e Kherson, rimangono tranquille solo le case ancora non distrutte, che verranno comunque distrutte alla prima necessità.
Le persone sono vive solo perché non è stato ancora dato un ordine di ammazzarle o c’è ancora bisogno di tenerle in vita. Le donne non sono state stuprate non perché non sono uscite in strada, ma perché gli animali non sono entrati nelle loro case. Ma per gli uomini la morte è già arrivata: vengono arruolati come carne da macello nell’esercito degli invasori. Non si può scappare. Se provi a scappare ti spareranno alla nuca o ti toglieranno le budella dal ventre.
È impossibile andare via. Ai posti di blocco nemici si gioca alla roulette russa, come dice il loro capo: piace, non piace… Se qualcuno non piace, un orco gli potrà fare qualsiasi cosa, e se qualcuna invece piace anche con lei faranno qualsiasi cosa.
Se nel 2014 ero diventata esperta nei suoni e nei segni delle “peonie”, dei “giacinti” e dei “tulipani”, ora sto imparando i nomi delle armi nuove e più moderne. Dubito che potrò applicare queste nozioni nella pratica. Però mi piacciono. E non soltanto a me.
C’è una vignetta che gira nei social, in cui un bambino e una bambina piccoli giocano nella sabbia. Lei lo guarda e gli chiede: «Come ti chiami?». E lui risponde: «Bayraktar. E tu?». « Io sono Javelina».
L’amica di Leopoli dice: «Ho paura. Solo ora ho iniziato ad avere paura. Penso che sarà Leopoli…». «In che senso “sarà Leopoli”? Certo che sarà Leopoli o avete deciso di chiamare la città diversamente?». «Ma no. Penso, che le armi nucleari tattiche verranno usate a Leopoli. E dopo?». «Ah, menomale. Non ti preoccupare, cara, hanno detto che verranno distrutti tutti i centri di comando. E dove sono? Esatto! A Kyjiv! A casa mia!». «Non mi hai tranquillizzata per niente… Quindi che cosa facciamo?». «Ce ne freghiamo. Un po’ di fatalismo non farà male alla fiducia nel nostro esercito». «E dove devo andarlo a cercare ’sto fatalismo?».
Nel nostro centro di volontariato c’è una signora della città di Popasna. Tranquilla, silenziosa, assente. Dice: «Ragazze, avete una fotocopiatrice qui?». «Possiamo trovarla, per che cosa le serve?». «Si potrebbe anche fare una foto con il telefono. Perché ce l’ho su un pezzo di carta… Ma dobbiamo cancellare tutte le foto dal telefono, perché, se si capita in mano a quelli, loro, per prima cosa, guardano i telefoni. Il pezzo di carta puoi nasconderlo nel reggiseno o nelle mutande…». «Allora fotocopiamolo!». «Però fatelo vedere a tutti, non dimenticatelo. Un terzo del nostro Paese ormai è una Popasna. Ma io di questo foglio ne ho una sola copia».
Sul pezzo di carta c’è la lista dei morti. Accanto ad alcuni nomi ci sono le date e gli indirizzi. Accanto ad altri solo le date e i nomi. In alcuni casi non ci sono neppure i nomi, solo “una donna”, “un uomo vecchio”, “una ragazza”.
«Erano ancora lì, mentre io lasciavo la città. Non a Popasna, ma sulla strada. Prendevo nota di quelli che ho visto. Non ho visto tutti, ma alcuni sì… Sono sotto la riga. Sopra la riga ci sono i nostri…».
Perché sto scrivendo questo diario? Che senso ha, se l’unico senso che può esserci per noi, per quelli non al fronte, è fare le mappe con dei punti con i nostri morti?

Olena Stiazhkina è una storica e scrittrice, insegna all’Università di Donec’k (che ha poi trasferito la sua sede a Vinnycia, in seguito all’occupazione del Donbas nel 2014). È autrice del romanzo “La morte del leone Sesil aveva un senso”, scritto a metà in russo e a metà in ucraino, con una scelta-manifesto che mostra la sua decisione di passare dal russo all’ucraino come lingua di scrittura

Il 18 ottobre 2022 Berlusconi afferma:
"Putin per il mio compleanno mi ha mandato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima. Io gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Io l’ho conosciuto come una persona di pace e sensata…".