LA STORIA DELL’UNITA’ D’ITALIA

(Come l’ha raccontata lo zu’ Vitu, puparo, agli amici di villa Solaria)

monologo di

Antonio Sapienza





Sant’Alessio Siculo, luglio 2011.



Amici miei dovete sapere
che cent’anni fa - e forse forse più,
c’era un piccolo Re di mestiere.
che rassegnarsi non voleva - giammai,
d’avere un picciol Regno tipo… bonsai.

Infin, fece un editto supergiù:
“ Lauta e munifica ricompensa,
a chi mi dice come fare – orsù -
alfin d’allargare i miei confini,
magari fino a…Calatafini.”

Vennero a Corte e alla…mensa:
Indovini, maghi e strolabiati
che, con certi libri de’ pensa pensa,
provavan filtri contro il sortilegio
che faceva “nano” lo Stato regio.

“Maestà – disse un de’ presentati -
con sole tre lire che mi donate
vi progetto un par di carri armati
con i quali allargherete il Regno
da Pinerolo infin a Seregno.”

“ Bum!” – disse il Re a cotal minchiate
-che ascoltava da oltre un mese;
quindi pose fin alle adunate,
piangendo tale e quale un bambino,
per il picciol Regno del suo destino.

Ma il gran Ciambellano che l’intese
gli disse : “Maestà, c’è un convocato,
qui fuori, certo Turi catanese,
che – dice- se gli date un’udienza
vi dà il rimedio e a…credenza.”



Il Re stanco, afflitto e sfiduciato
Disse:“ Apprezzo l’interessamento,
ma il desiderio m’è già passato.
Sarebbe meglio dar una tagliata
a st’idea - che forse è ‘na ‘azzata!”

Il Ciambellan ci pensò un momento,
quindi gli rispose: “ La Maestà vostra
mi ascolti: Ho un presentimento:
Sentiamo in merito questo cristiano,
dopo, magari, ci leviamo mano.

Il Re si appoggiò alla finestra
e disse: “Fate entrare il postulante.
Ma, bada, che è pronta la minestra!”
Sentenziato ciò, si mis’in posa
- come quand’aspettava la sua tosa.

Entrò Turi, sensale e furfante,
che senza preamboli venne al sodo,
e disse, con tono altisonante:
“Gran Maestà, or venni dalla Sicilia
per dirvi che siete alla vigilia


di diventare sovrano “ in todo”,
di tutta l’Italia e dei paraggi.
Mi basta che… mi trattiate a modo,
e il vostro Regno e bello è fatto.
Pene per me, se non manteng’ il patto!”

Stuzzicato e cotto dai blandeggi
di Turi, il Re finse noncuranza,
ma poi disse: “ Bene questi maneggi;
ma questo affare come si combina,
senza fare una carneficina?”


“Ma quale carneficina, ‘Ccellenza.
Il piano è semplice ma geniale,
ma credete che parlo senza scienza?
Datemi tre giorni di cartabianca
…e per me – magari - un posto in Banca”.

“D’accordo suddito originale.
Ma che usi la bacchetta fatata,
per compier quest’impresa tale e quale?”
“ Maestà se m’ascoltat’ un momento
vi stilo il piano col ragionamento:

Ci sarebbe ne’ pressi di Licata,
un certo Garibaldi - valoroso-
che per un’isola, magar usata,
vi consegna, cash, con chiavi in mano,
un Regno: da Pachino a Milano!”

“ Veramente - disse il Re dubbioso-
M’hanno detto che c’è un certo Bosse-
un mezzo montanar, volenteroso-
disposto a provveder alla bisogna:
Ma da Viggiù infino a Bologna”.

“Compare con quello non fate mosse,
sentite a me. Piuttosto vi pigliate
il Generale de’ camicie rosse:
perché finisce male questa bega
se vi mettete con lui e la lega.”

Il picciol Re sbavand’a tonnellate,
fece finta di fare resistenza,
infine ordinò: “Orsù quagliate!
E tu mio Ciambellano Camillo vai
e chiama quella persona che tu sai!”



Camillo convocò in Residenza
il Generale: Turi testimone,
garantiva, con la di lui presenza,
che l’accordo filasse come l’olio,
in gran segreto - ma senza imbroglio.

L’accordo, stilato a Curtatone,
fu così: due navi, una bandiera,
mille soldati. Quinc’ a Talamone
o a Teano, dopo le ostilità,
consegnasse il Regno alla Maestà.

A tappo partiron in primavera,
quelle due navi – lasciando il molo.
Ma una burrasca o ‘na bufera,
i volontari fece vomitare
- tanto la guerra potev’ aspettare!

Finirono quasi a Nord del Polo.
Infine, così, come volle il Fato,
fu avvistato il siculo suolo:
stanchi, gialli e senza un sostegno
(alla faccia dell’idea e del Regno).

A digiuno, il Corpo fu sbarcato
e si scontrò subito coi borboni,
co’ fascisti, comunisti e clericato,
confiscando le chies’ e i conventi
in fretta e furia, da miscredenti.

In Calabria – tutti zitti e buoni -
avanzavano; ma tra gli stallieri si sparse voce di male azioni:
Qualcuno sussurrava nell’orecchia
che il Re col Ciambellano… tramicchia



E così, ferirono, bell’e fieri -
il Generale, che cadde a terra -
quei lazzaroni di bersaglieri,
che po’, con penne di cappon in testa,
vantavansi di cotal folli gesta.

“Tradimento! Qua finisce a guerra!”
- gridò il Generale ai suoi soldati-
E tu catanese lo schioppo afferra,
e non fuggir, combatti con onore
che qui si fa L’Italia o si more!”

“ Ca quali onor e mori: “ascutati”: -
gli rispose Turiddu da lontano -
Qua siamo di salita e sudati
ma non appena prendiam la calata,
al Papa ci facciam la …serenata!”

Ma quel gran volpone del Ciambellano
blandì il General, ch’a primavera,
alfin, gli dette un bacio, po’ la mano.
( e lo mise nel sacco bell’e buono,
mentre il Re si sedeva sul trono.)

Così: Garibaldi ebbe Caprera,
Turi entrò nella Banca di Arquà,
Bosse sposò ‘na sicul’a Butera.
(mentre gli studenti facevan “calia”
con la scusa dell’unità d’Italia.)

Or la mia storia dovrebbe finir qua,
se non fosse perchè gli italioti,
dopo centocinquanta anni - e già! -
purtroppo non son ancora riusciti
a esser Italiani - e tutt’ uniti!