Vecchia sarai tu!

di

Antonella Questa e Francesco Brandi

© 2012.Tutti i diritti sono riservati

 

 

Personaggi:

Armida, vecchia di 80 anni. Parla con forte accento ligure
Sabine, bella donna di 45 anni. Parla con forte accento francese
Monica, giovane di 25 anni, precaria

 

 

Note:

L’unico arredo in scena, posto sul fondo a sinistra, è una poltrona con i braccioli.
Trait d’union ed elemento fondamentale per gli avvicendamenti da un personaggio all’altro è un ampio e versatile scialle: l'interprete se ne serve mutando di volta in volta respirazione e postura fisica.

 

 

ARMIDA

All’apertura del sipario, una persona sdraiata su una poltroncina e completamente ricoperta da un grande scialle.
L’immagine potrebbe evocare un mobile ricoperto affinché non prenda polvere in un vecchia casa disabitata, così come un cadavere ricoperto da un lenzuolo.
Improvvisamente la persona sotto il telo si anima, si scopre il viso e si rivolge al pubblico.

Ciai 50 euro? Me ’i presti? Sono per il tassì… poi te i rendo eh?! E no ghe n’ho sotto mano, chì m’han nascosto tutto… Me ’i presti? Te ’i rendo eh?! Ci vuoi l’interessi?! Strozzino.Te n’approfitti de ’na povera vecia che vuol solo scappar de chì…
Mia nipote, Monica m’ha detto veniva, non la vedo arrivare, si sarà persa… che cervelo… A g’ho pensà quando la viene m’aiuta lei a ritornare a ca mea. Ma se non viene, ce devo pensà da me… Ciamo l’ascensore, pigio er tassi e scappo. Però me servono i 50 euro! Se no come ’o pago?! Quando arrivo a ca  te li rendo subito, promesso. Non te fidi, eh?!? Fai bene. Me son fidata io e guarda un po’ dove me ritrovo… Me son fidà daa francesa, a mogie de mi figio, ’a francesa… me fa una vergogna quella donnetta là, quando la vedo da lontano sulla passeggiata mi giro per non farmi conoscere… Tutta pittata, fasciata, tirata… me par un pagliaccio. Con mi figio che lavora lontano e lei che sculetta da vicino… Me fa ’na vergogna. Dice vende casa… eh ma… sempre in case vuote con stranieri, te lo dico me il lavoro che la fa quella lì…
Quando giero all’ospedale me dice: “Nonna, ora ve portemo in un bel posto dove se rimetterà in forze, vedrà come starà bene. Ormai siete sola, non ce la fate più, siete vecchia”. Oh scema! Ma vecchia sarai te! A g’ho pensà a me fino a oggi, t’arrivi te a dirmi cosa devo fare?!  mi ci ha portato e basta. E a mi figio non cià detto niente son sicura!
Eh! Bèlo ’sto posto, sì. ’Na festa! Villa Serena, serenità in compagnia! Mia un po’ che bella compagnia in ’sto salone: ’na banda di vecì uno più semo  dell’altro, saremo ’na ventina tutti seduti sulle sedie a rotelle, e ci legan pure, dicono “se no caschemo”, eh caschemo… a queli più agitati ce la legan anche ar tavolo… .  come er signor Arfredo, n’omone, mia un po’, manco ce stai tutto dentro aa carozzella, cià dei baffoni, i capelli che ha perso gli son rispuntati sotto er naso. Sempre cor pugno arzato, minaccia di botte tutti. Oh coste vè? Non lo vedi che son tutti veci settati chi in attesa de morire?! E mangiati ’na rivista che te dai una calmata. Fan così, ci tiran la rivista, lui mastica, sputa, mastica sputa, così si calma, come i cani. Scemo.
Ohi mea!… Guarda come sto bella dritta sulle gambe?! e sì che me fan un male ma  te pensi che a star settata me pass’? Secondo me è peggio.
(Come se sentisse un grido da sinistra. Si sporge per vedere) Oh cos’è? … Ah! ’A Giovanna … povera donna … ogni pochino la se mette a urlare: “La merda! la merda! la merda!!”. “Belin Giovanna, o quanto la caga?!” Dicono giè pazza… E così non ci vien nessuno a cambiarla. Ma anche i pazzi se cagano addosso… E a noi c’ammazza l’odore. Povera donna… Me ricorda mia zia Lucia… l’ho badata fino ai suoi 97 anni, ’na vorta l’abiam portata all’ospedale che s’era rotta er femore, ce l’han lasciata tutta ’a notte nel pannolone bagnata, c’aveva dee piaghe parevano frustate, poera donna. La Giovanna… Me l’han messa anche en stanza, anche a sera la urla, ar tramonto! puntuale come la morte, il sole comincia a andar giù e ’a Giovanna comincia a urlare, uh come la urla… Il primo giorno me son pigià uno spavento: “Coste vè? Me pai l’agnello sacrificale”.  Subito due negre sono entrate de corsa con e siringhe ne mano e ce l'han punta, s’è calmata subito, zitta, poera donna. Chissà che cian dato…
La Giovanna… faceva rossetti in una fabbrica qui vicino, giè un donnone, ma cià le mani piccine. E se lo mette ancora rossetto, ma non ci sta mica bene… ci finisce tutto nelle rughe intorno aa bocca, sembra sempre sbrodolata di pomodoro. “Giovanna fa schifo con quel rossetto! Non se lo metta più! Cos’è vuol piacere al professore?!”
Il professore! Il re degli scemi! Su e giù, tutto o santo giorno, da ’na finestra all’altra. Arriva de chì e tira su e tapparelle, poi va di là e le tira su anche de là. Poi rivien de chì, e le tira giù, poi la rivà de là e le tira giù anche de là, poi rivien de chì e le ritira su, poi riva de là e le ritira su anche de là. Così, tutto o santo giorno. Dicono era professore de matematica, un gran cervello, ci han dato anche dei premi! sarà… Qua per le tapparelle non te ne danno sicuro!
Che poi fa arrabbiare l’Anita che gioca a carte accanto alla finestra… tutto o santo giorno gioca e ripete: “Mi figia m’ha lasciato chì perché partita in vacanza, adesso la viene… Mi figia m’ha lasciato chì perché partita in vacanza, adesso la viene… Mi figia m’ha lasciato chì perché partita in vacanza, adesso la viene… Mi figia m'ha lasciato chì perché partita in vacanza, adesso la viene… Mi figia…”. “Giè sette anni che è partita in vacanza, ta figia!”… me l’ha detto l’infermiera. Ci dici così, sta zitta subito. Mezza scema…
Invece queli come me che stan settati qui tutto o santo giorno ce parcheggiano davanti a ’sto televisore, giè talmente grande me par un cinema. Trasmette solo o ’a santa messa o i cartoni animati. Io a messa non ci sono mai andata e i cartoni non li capisco. Me fa ’na testa cossì.
Dài Monica, coste fè? Perché non t’arrivi? Ti sei dimenticata tua nonna?
Fammi un po’ vedere che ore fa l’orologio al muro… le 11 e mezza! Me pigia male. Sento già l’odore: semolino! In umido, fritto, al forno, lesso, liquido, bianco, al sugo… Giè tutta roba che io ce la darei al gatto. T’o mettono nel piatto e se non lo mangi, te urlano o te imboccano a forsa. All’Anita ce l’hanno obbligata ieri. Manca poco se strozza. E ci dovevan chiudere la bocca se no ce lo risputava. È diventata rossa rossa me pensavo fosse morta. Ma io mi son fatta furba, vedo cosa me metton nel piatto: se ma schifo me metto cossì, faccio finta che dormo, loro ce cascano e me lascian perdere.
Monica dove sei? E dài vieni che mi fa schifo er semolino, giè roba da veci…
Però da dove m’han parcheggiata qui vedo ben l’ascensore. A g’ho visto che s’apre e chiude senza ’a ciave! e quando me riportano in stanza daa finestra der corridoio, se vede che il cancello giù, giè sempre aperto, sempre. E l’ascensore ci s’apre diretto davanti. Allora questa notte ciò provato! A g’ho spettato che spegnessero ’e luci grandi nei corridoi, e resten solo neon accesi.
A g’ho spettato che spegnessero ’e luci grandi nei corridoi, che resten solo neon accesi. Ho buttato n’occhio aa Giovanna, per vedere se dormiva. Non si muove. Sarà morta? E ma. Un silenzio da far paura…
Me son tirata su dal letto. Ner comodino ciavevo la mia torcia, quela che uso a ca per legger l’ora la notte quando me svegio, giè bella grande, fa una bèla luce, giè bella pesante ce la tiro in testa a ’ste negre se mi si avvicinano. A g’ho pigià ’a torcia, poi ho cominciato a scendere dal letto. Pianino, che a forza de star seduta te dimentichi come se cammina. (Inizia ad alzarsi) Ohi mea! o cos’è che me tiene? perché non mi muovo? m’han legato al letto? … Ah! ’a flebo! (Punta la torcia sul braccio, strappa la flebo) tanto non me serve.
Me son affaccià ar corridoio: nessuno, solo poltrone vuote coperte da lenzuoli. A g’ho cominciato a camminare, pianino! che le ginocchia treman sempre, giè un attimo che finisco in terra e addio! Me tenevo ai corrimano che ci stan nel muro, me parevo un gatto. No megio! Er commisario nel Posto ar soe, quello che dan sul Tre. Lui fa così: arriva lento dietro i deliquenti e l’arresta! Così me parevo. Giè istruttivo un Posto ar soe, se imparano un sacco de cose. Pianino, pianino son arrivà davanti al salone che giè talmente grande che per  traversarlo te par de fà un viaggio. Ma dalla parte opposta ci stava l’ascensore. Allora me son fatta coraggio: dài Armida, dài che tra pochetto semo a ca! Comincio la traversata, a metà ohi mea! sento urlare… Ce l’han con me?! Ci dico che son sonnambula? No. Giè il signor Alfredo … sognerà de fare a botte con qualcuno. Avràn finito le riviste…
Dài, Armida! Dài che manca poco. E pianino pianino a so arrivà all’ascensore. Ohi mea il cuore faceva un bordello, talmente batteva dalla gioia. Zitto che ci facciamo scoprire. Ma dime te se doveva arrivà a 80 anni per giocare a guardie e ladri. Giù ner cortile illuminato il portone giera aperto. A g’ho subito schiaccià er bottone per chiamare l’ascensore … Ohi mea! Una mano negra sopra aa mia. Un negro alto, vestito de bianco, che brutto, una puzza!: “Che stai facendo?!” Cosa faccio, ci rispondo? Me meto cossì? Secondo me non ce casca. A g’ho sollevà ’a torcia per tirarcela, ma ha fatto più presto lui a sollevare me. Oddio è finita, me son detta. Che mi farà? Mi darà delle botte? Me drogherà come han fatto con la Giovanna?… M’ha portà in stanza, m’ha buttato nel letto, m’ha legato mani e piedi e m’ha lasciato lì. Ohi mea, me son tremata così tanto de paura che me son fatta adosso. E a g’ho dovuto aspettà stamattina le tedesche per farmi cambiare.
O vorrei proprio farcelo veder ’a francesa er bel posto dove m’ha portà! Come la me trattano bene. ’A francesa! ’A mogie de mi figio. Giè lei che m’ha messa chì.

 

SABINE

(Scialle sulla spalla destra, sta mostrando un appartamento) … Et ben voilà! 120 mq, calpestabili, pertinenze garage, cantina, termosingolo, vista mare… (Risponde al telefono auricolare) “Hallo?!”… scusate…
“Sì? Come sarebbe a dire mia suocera ha tentato di scappare stanotte… Ma non è possibile! Ha un carattere un po’ eccentrico… avrà avuto caldo… voleva prendere una boccata d’aria… Ma anche se fosse, cosa potrei fare io da qui?! Siete lontani!… Ma perché mi chiamate a me?! L’abbiamo messa lì apposta perché ci pensi qualcun altro… se no mi risparmiavo 3.000 euro al mese…”
Son tanti! Oui, ma per mia suocera questo e altro… E poi se lo merita. Ah, ma non sono mica io che la pago eh? Ah ben non… ci stiamo vendendo apposta la casa … la sua! Era da tanto che volevamo farlo, ma non si decideva mai… Alla fine, la vita fa bene le cose!
La Villa me l’ha consigliata Marisa, l’amica della palestra, bellissima! Lei ci ha già messo: la mamma, il papà, lo zio… ha prenotato per il marito! 14 anni più di lei… Sì, è  un po’ lontana, 50 km… dommage, peccato non andarci tutti i giorni… Ma la lontananza aiuta.
Quando è caduta: (speranzosa) “È morta?! (delusa) Ah no?! (falsa) Ah… super!” Allora ho telefonato subito a Aldo, suo figlio, mio marito, lavora a Bruxelles e ci ho detto: “Aldo, cosa facciamo con la tua maman quando esce dall’ospedale? Tu non ci sei mai, non te ne occupi mai, io lavoro, sono stanca… bon, o la mettiamo a Villa Serena o te la porti con te à Bruxelles Aldo!… Hallo? Aldo?! Hallo?…” È caduta la linea. Non mi ha più richiamato. Chi tace acconsente?! Et ben voilà! La decisione l’ha presa Aldo! In fondo è la sua maman, io non mi sarei mai permessa.
Enfin… quando a una certa età si comincia a cadere, vuol dire che la testa non c’è più, non si è più autonomi, indipendenti… È invecchiata male!! È colpa sua! Troppi radicali liberi, mangiato troppo fritto, bevuto poca acqua, niente medicine… Uh! io non farò mai la fine di mia suocera! Ah ben non… Perchè io faccio molta attenzione!
Ad esempio, la mattina, quando mi alzo, (inizia una sorta di rituale mimico ossessivo) subito mi stiro… e poi mi osservo: colore della pelle, ricrescita… Numero di rughe: fronte, contorno occhi, labbra, collo, décolleté… Vista da lontano… da vicino… Poi mi misuro: peso, altezza, tenuta muscolare… E poi intervengo! Siero: viso, occhi, labbra, collo, décolleté! Crema: viso, occhi, labbra, collo, décolleté! Rassodante: viso, pancia, cosce, collo, décolleté! Anti-smagliature: cosce, pancia, collo, décolleté! Anti-cellulite: cosce, pancia, collo, décolleté! Antirughe… Concentrato: viso, occhi, labbra, collo, décolleté! … Décolleté, décolleté, décolleté

La ripetitività del gesto diventa una frenetica e angosciante sequenza coreografica.
Squilla il telefono auricolare.

Hallo? Carlo! … benissimo. Ho corso per rispondere… Sì, sì, ci vediamo in agenzia… bisou!
Carlo! il mio collega… lavoriamo insieme da anni… simpatico, colto, raffinato… un bell’uomo… ogni tanto mi fa la corte, ma è normale, siamo amici… Bon, alors io ho un marito che vive 1.000 mesi l’anno a Bruxelles, con tutta la manutenzione che faccio, che qualcuno ne approfitti! Vogliamo dare questo ben di Dio in pasto al maiale? Lo so, non sono più una ragazzina, ma non dimostro mica l’età che ho… Quanti anni mi date?… Bon, io ho… (muove solo le labbra senza suono) … No! Carlo non conosce la mia età. Una volta ha preso la mia carta di identità, subito ci ho rovesciato il caffè! Mais non! Non sono cose che una signora deve mostrare. Non dobbiamo mai mostrarci! Ad esempio la sera, quando vado a dormire da lui… andiamo a letto e lalalalalaal… E io mi strucco solo dopo che si è addormentato! (Controlla che dorma) Dorme!
Allora vado in bagno, mi strucco, mi preparo, mi metto a letto e mi alzo un’ora prima della sua sveglia! Così torno in bagno, mi trucco, mi pettino, mi rimetto nel letto, lui apre gli occhi et voilà! La bambolina è sempre qua!
Sì certo, è un pò faticoso, soprattutto metter l’eyeliner di prima mattina, con l’occhio che non si apre bene per la caccolina… Ma quello sguardo mi ripaga di tutta la fatica.
Per una donna l’aspetto fisico è fondamentale, in lavoro, in vita… È la nostra armatura, per andare in guerra nel mondo. Che peccato sentire ancora certe donne sostenere che siamo succubi dello sguardo maschile. Cretine! È la natura che lo vuole, basta osservare li animali: la femmina deve sedurre l’uomo per la propria sopravvivenza. Io dico sempre: piacere è potere! Solo le racchie non possono dirlo. Come mia suocera… bravissima donna! però in quanto a bellezza… Infatti, suo marito… Enfin! mi mancherà tanto la mia nonnina… tanto tanto… mais bon bisogna guardare avanti! verso il futuro!

 

ARMIDA

(Infastidita dal volume alto della televisione accesa) Oh negra! E spegni un po’ ’sto cine… Mi ciàn portato qui coa ambulanza, coa sirena spenta, che se giè accesa vuol dire che ti resta poco da star al mondo – la francesa tutta sorridente… cosa te ridi, non lo vedi dove mà portà? ’na stanzetta piccola, con due lettini il comodin, con ’na lucetta. Tutto de fòrmica. In terra un parquet de plastica. E sbarre aa finestra. Par ’na prigione.
Cos’è, ’na tappa der viaggio? Stemo qui stanotte e domani me porti en clinica?
“Nooo, nonna, giè sta chì a clinica! Bella vero? chissà quanti nuovi amici, chissà come si diverte…”
Io me diverto a ca mea, con le mie amiche. Quando ci troviamo al portiolo dea marina. Là dove parcheggian ’e barche tra ’e panchine, sotto i pini. Ci è bello fresco. D’estate ce vado sempre dopo pranzo che giè l’ora pü cauda. Siamo in tre, quattro donette: me, l’Erminia che giera en classe con me da fantetta, la Meri che ci aveva la macelleria e la Consuelo, che giè de Sarzana, ma s’è sposà con Basicà, er figio der medico e giè rimasta qui. D’estate semo lì, d’inverno invece andemo nel salone dea parocchia, facciamo due lavori a maglia che poi ci fan comodo per la lotteria de beneficenza. La domenica invece andemo tutte a ca della Maria Isolina, poera donna, ciè venuto un brutto male e non se alza pü dal letto, allora la domenica la bandante cià festa e andemo noi. Femo er caffè, due frittelline con l’uvetta e ci raccontiamo quel che è successo la settimana ner paese. E adesso quando le vedo le mie amiche? Cosa dirà ’a Maria Isolina che domenica non mi vede venire? E chi ce la farà le frittelline con l’uvetta? Ohi mea, quando me torno a ca mea?
“Presto, nonna, presto”. Quando m’ha detto: “Ve portemo aa clinica”, me immaginavo quela che giè sur Tre nel Posto al sole, con ’e stanze belle colorate de celeste, gerbere all’ingresso,  gerani aa finestra, con i medici giovani belli che te sorridono sempre… invece chì giè pieno de negre… o de tedesche… Ciè n’odore de morto. E de merda. Eh ma ora che vien la Monica, non mi ci mettete più le mani adosso, negracce schifose… non le vedo più le vostre brutte facce ’a mattina quando me piombate in stanza ae sei e urlare: “Buongiorno nonna!” E alé! che t’apro ’a fenestra, manco mi chiedi se g’ho fredddo o caudo, la spalancan e chi s’è ammalato s’è ammalato…
Il primo giorno me volevo andà ’n bagno da me per darmi ’na sciacquata, ho fatto appena in tempo ad alzare le lenzuola che subito m’hanno urlato: “Coste fè nonna? Hai il pannolone, fai tutto nel pannolone, che poi te cambiemo”. Ma perché non ci posso andare da me al bagno? son mica paralitica! Niente, m’han arzato ’e sponde. Prigioniera! Non ce a facevo a farmi addosso, me faceva schifo… ma a la fine o così, o me scoppiava ’a vescica. E m’han cambiato dopo mezz’ora. Non ciàn mai tempo… Ma il tempo per prenderti ’a retta e ’o stipendio, te ’o trovi eh?! Ma che cervello: con tutti i soldi che ve do, e pigiate ’na negra in più che te dà ’na mano…  Tutti ’sti soldi al mese per pisciarmi adosso,  se stavo a ca mea non me costava gniente! Ma giè ’a francesa che ha deciso tutto lei e a mi figio non ci ha detto niente, son sicura non cià voluto dire niente.
Poi te portan la colazione… ohi mea … allora qui giè tutto a rotelle: el letto a rotelle, el comodin a rotelle, ’a sedia a rotelle… ’Ste negre ciàn dei sederi larghi così, quando te cosano la mattina, de chì e de là, cor ’sti fianchi ci dan dee botte ar comodino, che te finisce sempre laggiù in fondo! E come te fè co ’a fetta biscottata che la dentiera giè rimasta la sopra?!  io cerco di spinger el letto, ma giè pesante… allora suono, suono… ma non vien mica nessuno… … allora bona! me sbriciolo la fetta nell’orzo e poi me strozzo perché me resta chì, belin.
Poi te vesten, allora io g’ho dei vestiti miei, stamani me han messo ’sto chì, non so manco di chi è. Giè tutto macchiato. Cià un odore de morto… sarà de qualcuna che è morta… E dove son le mie ciabatte?… … “E che te ne fai, nonna? Tanto… poi le perdi, te cascan daa sedia a rotelle…” Ma che sedia a rotelle, me me posso camminare, pianino, ma me cammino! Con queste ci andavo fino aa marina, la botta l’ho presa in testa, mica alle gambe. Niente, ti legano alla poltrona e te parcheggian davanti ar cinema.
Poi qui te ciàman tutte: nonna. "Nonna de chì, nonna de la…” … Oh negra! Coste vè? Sei mica mia nipote! Mi chiamo Mida! Signora Armida e g’ho 80 anni, ecco!
Ai miei tempi, a dar del tu così, m’arrivava una mano nella faccia. Ci vuol rispetto per le persone anziane. Ma qui son tutte negre, gieran nella foresta fino a ieri, cosa vuoi?! O negre o tedesche. E io me li ricordo i tedeschi… dalla guerra… … Da allora li riconosco dall’odore. Ciànno come un odore de salsiccia rancida, de burro andato a male. A una ce l’ho detto subito: “Te sei tedesca!”. “No, ucragna”. Ucragna? E cos’è? Sarà ’na regione della Germania… giè tedesca ma se vergogna a dirlo, te lo dico io.
… Ohi mea Monica, do’ te sei? E vieni che adesso se no, me tocca el semolino, me fa schifo, giè roba da veci…

 

SABINE

(Parla al telefono auricolare) “Oh non, non, non Monica!… Ma come non hai tempo per andare a salutare tua nonna?! Magari domani muore e ti resta sulla coscienza… Monica! Ma non pensi a tutto quello che ha fatto la tua dolce nonnina per te? Quando eri piccola ti ci lasciavo anche mesi. Eri così felice. Ti accompagnava a scuola, ti andava a prendere, ti lavava, ti giocava, ti mangiava… E quando eri malata a letto con la febbre? Chi c’era accanto a te? Mica io! La tua adorata nonnina. Enfin Monica! È questa la tua gratitudine nei suoi confronti?! sei proprio cattiva! Cattiva Monica! Hallo Monica?! Hallo?”

 

MONICA

No! Non ci vado dalla nonna.
Non ci vado.
Troppo da fare
Non ho tempo!
Oh! Io ho 25 anni…
un attimo sono 30 e non hai combinato niente
No, non ci vado.
Ma poi non sono io che l’ho messa così lontano.
E poi scusa, fare
50 chilometri per andarla a salutare
Ma io non ho tempo per salutare!

Come cosa ho da fare?!?
Lavorare alla gelateria!… che non mi assumerà mai?
Scrivere il progetto per un dottorato!… che non vincerò mai?
Spedire curricula per gli stage!… . che non mi faranno mai fare?

Va be’! Sono cose tutte inutili
Che portano via un’enorme quantità di tempo.
Ma non puoi non farle
Perché questo
Non è il tempo di non fare
di stare fermi
di aspettare
Non è il tempo che sai cosa devi fare
Non è il tempo dei contratti
del posto fisso
Non è il tempo della giustizia sociale
Non è il tempo della famiglia numerosa
Non è neanche più il tempo della famiglia
E soprattutto non è il tempo per mettere al mondo un figlio
Io non ho tempo per avere un figlio
… fino a quando non avrò più il tempo per fare un figlio?!

Non è il tempo di muoversi in macchina, che la benzina aumenta
Non è il tempo di muoversi in treno, che il biglietto aumenta
Forse è il tempo di muoversi in aereo low cost
Ma gli aeroporti non sono mai dove devi arrivare
Così perdi un sacco di tempo.

Non ho tempo per le cose semplici di tutti i giorni.
Non ho tempo per la spesa
per il pranzo
per l’aperitivo
per il parrucchiere
Non avevo tempo per vedere Andrea
Non avevo tempo per fare l’amore, con Andrea
Non ho tempo di cercarmi un altro uomo adesso che Andrea mi ha lasciato
Ma che tempo è un tempo dove non c’è più tempo per niente?

 

SABINE

Enfin bref! Bisogna guardare avanti, verso il futuro. E il mio è molto roseo! Ieri, con Carlo abbiamo finalmente venduto la villa sul mare di Camogli ai russi!… Appena sono usciti, ho tirato un urlo di gioia: “L’hanno presa anche senza riscaldamento!… tanto son russi, son abituati, non ci serve mica!
Cos’è quella faccia Jennifer?! Credi di essere qui in una chiesa a far la beneficienza?!… A parte che tu in chiesa vestita così non ti ci fanno entrare… Jennifer perché ti vesti da cubista? Dopo vai sull’Aurelia ad arrotondare?!” AHAHAH! Carlo et moi, meurts de rire! Ah! Jennifer quanto ci fai ridere… Sopratutto quando chiede: “E il contratto me lo fai, malattia, contributi, tfr…?” “Uuuuhhh la la la la! Jennifer sei una stagista, mica un dirigente! … Quando forse lavorerai davvero, allora parleremo di contratto. Anzi, i 200 euro al mese di rimborso spese dovresti darmeli tu a me per il tempo che perdo a impararti le cose!” Enfin bref!
Tutte le volte che facciamo un grosso affare, io e Carlo andiamo a festeggiare!
L’ultima, l’attico a Santa Margherita… Carlo è venuto a prendermi col suo Porsche Cayenne nero, aveva un completo Versace di lino bianco, che risalta bene i suoi occhi verdi, le ciglia lunghe. Io avevo una cosuccia, un abitino leggermente scollato, sandaletti tacco 12 e un doppio filo di perle nere… E via verso Portofino! Abbiamo bevuto solo champagne! Del resto servono il migliore in questo ristorante sulla spiaggia con i tavoli piccini piccini dove si sta seduti vicini vicini, con le tovaglie bianche, lunghe fino terra così non si vede cosa succede sotto il tavolo… e meno male. Al momento di andare (fa per andare ma il piede destro resta incastrato) Merde!! mi è rimasto il tacco impigliato tra le assi della terrazza… “Attend Carlo, un ultima coupette de champagne?!”…E merde! merde! merde!! (fa il gesto di divincolare il piede) Alla fine ho vinto io: il sandalo a me, il tacco alla terrazza!
(Zoppica vistosamente) È stato divertente camminare così con Carlo che mi sorreggeva e ad un certo punto mi ha detto: “Passiamo la notte al Gran Palace?!” Attend! Prima ho controllato nella pochette se avevo (con le mani a figurare una trousse in stile spot pubblicitario) l’ultimissimo kit di Sephora: “Quando dormite fuori con Lui!” struccante, cotone, crema notte, crema giorno, eyeliner, tanga … “J’arrive Carlo!”
Adoro il Gran Palace: letto in ferro battuto, lenzuola di seta, cuscini di piuma…Uh! Carlo mi ha legato alla testiera del letto col doppio filo di perle e … Oui! Oui! Ouiiii!!
E stasera di nuovo Champagne!… Ma prima devo assolutamente passare da Sephora, ho finito la mia crema "Liscia-in-un-minuto-quadriattivo-riempitivo-oro-antiage-fattore-di-protezione-35".
Adoro Sephora! Tutte queste luci, i prodotti, le commesse, che carine… quanti campioncini!!… Gellules di bava di lumaca!? Distendono sia le rughe che gli addominali… testate su Jane Fonda… WOW! Toh! Ma quel Cayenne al semaforo sembra quello di Carlo … e chi guida… è Carlo! Ha un passeggero… biondino, ricciolino… Jennifer!? … Carlo perché dai un passaggio a Jennifer in ufficio, è solo una stagista! … (Guarda di nuovo) Ci accarezza i capelli… ci prende la testa… dov’è finita?! dov’è sparita?! … Sale Put de Jennifer! Torna subito su, non è roba tua!! (Urla alla commessa) La smetta di parlarmi di questi cazzo di campioncini!!

 

ARMIDA

(Osserva il mare, come se fosse alla finestra) A casa, ’a notte non dormo tanto, m’arzo e me metto aa finestra e guardo er mae. Bèlo. De giorno, de notte ancora pü bèlo. Te parla con quel rumore dee onde che vanno, che vengono, e io ce parlo. Ar mae. Stamo a chiacchierà un pochetto. Poi me setto su ’a poltrona, faccio due parole crociate, un orzo. Poi magari me remetto a letto da le cinque alle otto. Ma de solito la notte non dormo mai. M’è rimasta ’sta paura del buio che g’avevo da fantetta, che ci dovevo tener sempre la mano a mia nonna, se no non m’addormentavo. Poi la guerra, le bombe, i tedeschi … non te resti mica normale, eh?! Alla fine me son abituata, ’a notte non dormo tanto.
Giè andata così. Una de ’ste notti a ca mea, me son arzà e poi pü gniente. Non me recordo pü gniente. Me son trovà en terra, nel bagno, in un lago de sangue. Eh cosa ho fatto? Eh ma, e chi se ’o ricorda… …
Alora con ’na mano me sono agrapata al bidè per tirarmi su e uh! che dolore … però me son rimessa in piedi e pianino pianino me so arrivà in camera. Là a g’ho visto che le imposte gierano ancora aperte: le chiudo, che poi magari m’entran daa finestra mentre dormo. E lì, come ho aperto ’a finestra e a g’ho alungato er braccio a chiuderle, bum!, me son ritrovà in terra un’artra vorta. Ma non c’avevo pü le forze per rimettermi in piedi. Alòra a g’ho aspettato ’a mattina che tanto viene la serva a fare i lavori e me trova. Da lì all’ospedale, non so pü quanti giorni, e poi qui nela clinica. Per cosa non si sa!
Io sto bene, sto da vecchia, mica son malata.
Malata non lo son mai stata in vita mia! Anche perché mica ci si poteva ammalare. Prima la guerra, poi un figio piccolo, quell’altro là che navigava per mesi, fuori de casa…
Megio che se ne stesse fori. Perché ogni volta che tornava, giera sempre malato. Già n’omo quando la s’ammala è ’na tragedia. Come s’ammalan loro! Sempre quarcò aveva: aa gola, al braccio, alla gamba… “Te te sei malato nel cervello!” ci dicevo io. ’Na vorta me viene a ca con l’occhio fasciato, pareva un pirata. “Oh cosa hai fatto?!” Mi racconta che a pulir le macchine sulla nave ’no spruzzo de acido ci è finito nell’occhio … Eh ma. Poi ci telefonano gli amici: “Ci vieni ar cinema?”. “Belan arrivo subito!”. “Cosa ci vai, se non ci vedi?”. “A g’ho l’artro occhio che me funziona”. Te o dico me cosa te funziona a te… Ar cinema davano ’no spettacolo de donnette poco serie… Che cervello!… quando poi s’è ammalato sur serio però, giè stato il calvario. Uh che lavori… … Meno male è durato poco e m’ha lasciato in pace presto.
Io non mi volevo mica sposare.
“Sei vecchia, ciai 19 anni, se non ti fidanzi te resti zitella come tua zia Lucia!”
Mia zia Lucia, stava in casa con noi. Non s’è mai sposà, brutta come ’a fame, chi vuoi che se la pigia. Bassa, grassa, coi baffi e un naso che faceva l’ombra d’estate. Però faceva quel che voleva, servita e riverita in casa… … “Faccio come ’a zia, non me sposo”. Un ceffone sulla faccia m’è arrivato. “Non dir scemenze, te sei mica guasta come lei, te te sposi”. Eh ma.
A me interessavan i libri, andare a ballare – di nascosto. Invece I miei m’han combinato ’sto matrimonio con un capitano di vascello, figio di amici loro… Devo esser sincera ’a prima vorta co ’o visto, giera bèlo, eh giera bèlo. Alto, vestito da capitano, capelli neri, occhi scuri. Uh quello sguardo, a g’ho bassato subito il mio daa vergogna, giera n’omo, dieci anni più di me, io ’na fantetta, con le gambette storte… Ci piacerò? È venuto a pranzo ’na domenica, con suo padre, la mamma c’era morta di spagnola da fantetto. Non parlava molto, al caffè sono andati nello studio, io me sono messa dietro ’a porta, ho sentito che parlavan di matrimonio, di dote… Allora gli son piaciuta. Capitano, vascello, mare. Quanto me piace er mare. Mi sono immaginata navigar con lui sulla nave, andar a fare il bagno chissà in che posti esotici, con le palme, la sabbia bianca… Che scema. Le donne a bordo non ci andavano mica – le mogli. Le altre, sì.
Il giorno che ci siamo sposà, manco er tempo de metter il piede in casa, che s’era già tolto la fede, come ce l’ha messo, l’ha buttata nel comodino e alé. Giera sistemato. Giero di buona famigia, ci facevo tutto e lui i fatti suoi se li è fatti fino alla fine. Se spendeva tutti i miei sordi per andà coe artre donne e io costretta a chiedercene per far la spesa o comprare un pantalone per il fantetto. Botte anche ne ho prese, ma resistevo sempre. Stavo zitta. Che quando c’è un bambino, non ci si separa.
Mi figio Aldo è un bravo fante. Non ci ho mai detto male di suo padre, lo ammirava, quando sapeva che tornava in permesso dalla nave, come arrivava da scola subito se metteva a la finestra, anche ’a merenda ’a faceva sur davanzale; sperava di vedere so pa scendere daa corriera e correrci incontro, invece quelo non arrivava mai, chissà perché i marinai della sua nave con quella delle otto gieran qui, lui mai. Er fante a forza di aspettare me se addormentava sul davanzale, allora ci mettevo un cuscino sotto aa testa, se no ci veniva male al collo. Poi lo prendevo e lo mettevo a letto. C’era la scuola. Tanto lo sapevo, quel altro là l’arrivava sempre con la corriera de mezzanotte, l’ultima, con strani odori adosso, se ne andava a letto senza lavarsi, poi s’arzava presto e ripartiva chissà dove. Non lo vedeva mai so figio. Che cervello… che lavori.
È andato con tutte le donne che ha incontrato! Ma l’ultima ci ha lasciato un bel ricordo… Ci aveva un brutto male qui (indica il pube)… un tumore… ce l’ha attacà. Come l’érpete, ce l’attacato e non ci è andato pü via. “Non s’attacano tumori non s’attacan“ S’attacano s’attacano, te lo dico me! Come è morta lei, manco una settimana dopo c’è venuto a lui  venuto ai polmoni. S’attaccano tumori. Come l’influenza, me par che l’han detto anche ar Posto al sole.

 

MONICA

(Si muove come dietro a un ideale bancone di gelateria e la ripetitività alienante degli stessi gesti diventa quasi una coreografia) 300 kg di gelato al giorno, 2500 coni, 1000 granite, 30 gusti diversi tra creme e sorbetti.  
13° gradi stabili per il gelato, 28° per noi col calore delle vetrine, dei frigoriferi, il rumore dei motori.
Cono o coppetta? … da 1 e 50 o  2?…18 euro al kg… quante persone?
I mocciosi che mettono le loro manine schifose sulla vetrina che hai appena pulito, le madri che ripetono: “Vuoi la fragola, tesoro? Eh, vuoi la fragola, amore?”. “Cioccolaaaatooooo!” ti sta urlando il mostro!
Poi ci sono quelli che… ti chiedono il gusto senza dirti in cosa lo vogliono: “Fragola!”. “In mano o sulla faccia?”
Quelli che leggono tutta la vetrina e poi ti chiedono l’unico gusto che non c’è: “Non avete il Lampone?”. “Sì, ma lo teniamo nascosto, lo vendiamo solo ai raccomandati!”
Quelli che ti chiedono il cono con il cucchiaino! Ma imparati a leccare o prenditi la coppetta!
Quelli che vogliono tre gusti col cono piccolo! Che se ne metti poco ci può stare, che in un’altra gelateria gliel’hanno fatto!
Quelli che “è fresca la panna?” No, è guasta da tre giorni, ma aspettavo un cretino come te per rifilargliela!
Quelli che “con cosa sta bene il riso?” Co’ funghi!
Quelli che litigano per pagare, con la fila alla cassa!
Quelli che ti schiavizzano 2 ore e vogliono anche lo sconto!
Quelli che “come sei fortunata, fai un lavoro davvero simpatico e poi puoi mangiare tutto il gelato che vuoi!”
6 ore al giorno, 6 giorni su 7, 600 euro al mese di cui metà in nero. Niente malattia, tfr, tredicesime… Contratto da badante che costa meno: “Tanto sei giovane cosa vuoi che ti succeda!”
Ah già! Sono giovane…

 

SABINE

(Sorride, occhi disperati. È molto trattenuta, nervosa) Non mi sembra di aver avuto una reazione così scomposta. Piuttosto una reazione adeguata, consona come dite voi italiani… Prima ho fatto molta respirazione yoga. Poi sono andata in ufficio e ho aspettato Jennifer. Non sapevo cosa avrei detto, cosa avrei fatto… Poi ho pensato: “Mais enfin Sabine sei una donna matura ed equilibrata. Non devi mica prepararti i discorsi come un’adolescente. Fatti ispirare dal momento. Improvvisa!” E così ho fatto. E sono stata brava! Mon dieu! Quante risorse abbiamo dentro di noi…
Quando Jennifer è entrata con quel sorrisino soddisfatto, lo sguardo felice e ha detto: “Buongiorno!!!”… Io… io…ho preso il fermacarte di granito e ce lo tirato sulla faccia. Sale pute de Jennifer! … Non è morta!? Mens alors!
Ho avuto appena il tempo di legarla, imbavagliarla a una sedia che è rinvenuta subito. L’avessi presa io quella facciata… Che ragazza sana.
Subito ha cominciato ad agitarsi, a voler gridare.
“Cosa ti arrabbi!? Dovresti esser felice, potevi morire! Brutta puttanella da 200 euro al mese. Cosa dovrei farti per ripagare la tua ingratitudine? Sembro sconvolta, ben oui sono molto sconvolta. E potrei fare qualsiasi cosa. Non ti bastava arrivare in ufficio con i tuoi fuseaux attillatissimi, a mostrare le gambe perfettamente déssinées, il sedere alto, le braccia toniche, gli addominali che non cedono di 1 millimetro, il reggiseno senza ferretti, la pelle che non ha bisogno di creme da 300 euro… no, non ti bastava, tu volevi anche Carlo!
Ma quell’uomo era mio. Quando affondi il naso nel suo collo, lo respiri, senti il suo profumo; ti piace? gliel’ho regalato io. Quel golf di cachemire così morbido quando ti abbraccia, così rassicurante, l’ho scelto io … Quell’uomo era mio!
Arrête de pleurer Jennifer! Smettila di piangere! Non sei tu la victime, sono io! Io che spendo dieci volte quello che guadagni tu, per mantenere quello che tu hai senza alcuno sforzo… Ho un marito che vive e lavora 1.000 mesi l’anno a Bruxelles, hai idea degli sforzi che faccio per sentirmi ancora una donna desiderabile?! Da guardare?! Pensi sia facile trovare un altro uomo, alla mia età?! Carlo è la mia ultima possibilità. L’ultima per continuare a sentirmi una donna e non già decrepita come quella mummia di mia suocera. Lo so non mi ama… On s’en fout! L’amore alla nostra età è roba da romanzi. Quell’uomo era mio, mi appartiene, è me che porta a festeggiare a Portofino. E questo dà un senso alle cose di tutti i giorni: sapere che tutte queste creme, diete, trattamenti, palestre… servono a qualcosa, che lui noterà che la mia pelle è luminosa ed elastica come quella di una venticiquenne… come la tua!
Lo so sei giovane, vuoi tutto, tutto ti sembra facile… impossibile rinunciare. Invece sì, Jennifer, rinuncerai, rinuncerai!”

 

ARMIDA

La vita m’ha fatto tre bei regali: mi figio, la vedovanza e Carmé.
Carmé. Ora g’ha tutti i capelli bianchi, giè un po’ appesantito, però è rimasto arto, con quei suoi oci azurri, le mani grosse, il sorrisone, bello, sempre stato bello Carmé. M’o ricordo che s’era fantetti insieme nei rifugi contro ’e bombe, me raccontava dee storie buffe, me faceva ridere, me distraeva… Ma giera figio de contadini, non ha mai studià, cià la seconda elementare. La mia famigia non avrebbe mai voluto. Anca a me me fan un po’ vergogna quando la scrive o la parla. Quegli errori là… E poi pü giovan de me de due anni, a quei tempi non si usava mica. Oggi i giovani fan quel che vogliono, convivono, se drogano…
Carmé me porta er pesce tutte le mattine. La me telefona: “Mida, te le prendo due acciughette? Me ’e friggi?”. “Eh ma Carmé… fa’ un po’ come vuoi…” Non sta bene ’na donna che incoraggia n’uomo. Sempre farci credere che giè lui che ha l’iniziativa.
M’arriva con il sacchetto, io ce le lavo, le pulisco. Devi star attenta a toglierci la roba di mezzo senza romperle, poi le sciacquo sotto l’acqua, le metto ne la farina, le butto nell’olio, bello bolente se no te restan molle. Poi le tiro su, le scolo e ce le servo.
Lui s’è settato a tavola, mi guarda fare, me sorride. Se versa er vin della campagna e quando giè metto le acciughette ner piatto, ci viene un’acquolina… si vede dagli oci. Però m’aspetta sempre prima de cominciare. Uh! ce facciamo certe scorpacciate…
Poi alla fine un po’ de gelato alla crema e dopo ce ne andemo in passeggiata a pigiar un po’ di sole, a fare du’ passi. Camminiamo pianino uno accanto all’artro, lui le mani dietro ’a schiena, io invece crociate sul petto così tengo stretta ’a borsa e arrivemo cossì fino alla marina. Là giè stanno tutte le mie amiche, Carmé come l’arriva dice “ciao” e alé, la conversazione l’ha fatta! ’Na vergogna, ma è figio de contadini… in campagna non se parla mai.
Il sabato invece, che le mie amiche stanno a pranzo con a famigia e i figi, io e Carmé semo soli, allora il riposino lo femo a casa. E son due anni che tutte ’e notti dea settimana, mi penso al sabato mattina. Come me alzo, me faccio l’orzo e poi er bagno. Poi m’asciugo e mi metto il borotalco, (fa il gesto battendo le mani) così, che va dappertutto. Poi me vesto: prima me infilo la guaina rosa chiaro, con il pizzetto chì ner mezzo. Poi la camicetta bianca col colletto di piquet, la gonna blè, in fresco de lana, la giaccheta blè che mi sono fatta ai ferri con una bella lana piemontese, le ciabatte blè da passeggio e me setto così, sulla cassapanca dell’ingresso e aspetto che suoni il campanello.
G’ho sempre paura de non sentirlo. Son sorda, è qualità del legno. Quando suona, me treman le gambe. Me treman sempre, ma per Carmé giè diverso, è come se mi scuotessero per correre a aprirci: “Vai! Vai!”, me sento ’na fantetta. M’arzo e vado a aprire. E lui è lì, con quegli oci azzurri come il mare d’estate all’ora de pranzo. La mi sorride, col sorrisone della dentiera nuova, lo sa che cosa facciamo dopo che mangiamo l’acciughette. Il sabato il gelato a la crema semo noi.
Quando finiamo di mangiare, lui me dise sempre: “Mida, me posso sdraiare un momentino?”. “Vai Carmé, fatte un riposino che io metto a posto e poi sortemo…” Io metto tutto in ordine, me lavo bene le mani nel limone – se no ci resta quell’odore d’acciuga che mi dà noia – vago in camera e me setto sul letto. E ci guardemo. Poi lui con la sua manona grande abbronzata dal sole di mare, me pigia la mia e me tira giù. E ci sdraiemo uno di fronte all’autra e ci guardemo, senza dir niente. Non c’è bisogno. E poi ci baciamo. Pianino, lenti. Avemo ’a dentiera tutti e due, certi lavori non li puoi più fare…
E poi… e poi giè bèlo. Giè bèlo. Me lo ripenso nella testa tutta ’a settimana.
Il più difficile a questa età… … giè sganciare la guaina. La prima volta con quelle manone da contadino non ci arrivava mica… e m’è scappà da ridere. S’è offeso… uh! Non ci devi dir niente… Uh! Però mi vuol bene Carmé, mica come quello là. Carmé, chissà dove sei, chissà cosa pensi… manco ho avuto il tempo de salutarlo.

 

MONICA

Ecco, ci mancava solo lui, Carmé, l’amico di mia nonna!
(Fa Carmé, mani in tasca, sguardo basso, parlata lenta e spessa con accento)
“Ci vai da tua nonna?”
No Carmé non ci vado, mi spiace, non ho tempo.
“Ci dai questa?”
Ti ho detto che non ci vado. Carmé… la lettera alla nonna la puoi spedire anche tu, via posta, due giorni arriva.
“Non mi fido! Ce ne ho spedite due, non m’ha risposto, non ce le danno le lettere, non ce le danno… Se ci vai ce la dai, se non ci vai non ce la dai”.
E infatti non ce la do!
“Mi raccomando, giè importante”.
Ma come importante! Carmé, non ci vado.
“Allora non ce la dai…”
Vuoi farmi sentire in colpa?! Ma io non ho tempo di sentirmi in colpa!…
“Sai, ormai a quest’età non ci resta mica molto… … mi raccomando giè importante…”
Importante, importante… chissà cosa avrete di così importante da dirvi a questa età!
(Legge la lettera: la tensione del suo corpo cambia; guarda gli spettatori stupita del contenuto, quasi imbarazzata. Torna alla lettera, con più attenzione stavolta. Sul suo volto si apre un sorriso)

 

SABINE

(Parlando al telefono auricolare) “Hallo Aldo, cherie, scusa se ho chiamato l’ambasciata a Bruxelles, ma non mi rispondevi a nessun telefono… Ho una notizia bellissima da darti Aldo! Vengo a vivere a Bruxelles! Hallo? Aldo?! Hallo… … Eh sì, scusa, tua figlia Monica ormai è grande, tua mamma è sistemata, cosa faccio io qui?… vendo l’agenzia e vengo a Bruxelles! Investiamo in una nuova fase del nostro matrimonio eh? Magari non proprio a Bruxelles, prendo qualcosa a Paris, poi tu fai su e giù con Bruxelles in TGV, due ore… Hallo?! Christine? La tua collega?”…
Aldo… con Christine…insieme da tre anni.
Credeva che l’avessi capito… No, non l’avevo capito. Non sapevo neanche c’era qualcosa da capire… Adesso no, ho capito. Ho capito che ho sbagliato tutto. Tutto. Migliaia di euro al mese in creme, sieri, gommage, pillole, ore di palestra, diete, cosmetici … Che cretina! Cosa credevo di cambiare?!… Sono io che devo cambiare. Bastava avere solo un po’ di coraggio. La gente ti guarda diversamente quando hai coraggio. Sono io devo cambiare. Devo cambiare. Tutto…
Chirurgia Estetica!

Musica da discoteca. In una sorta di coreografia grottesca, danza insieme a delle bende con cui si ricopre alcune parti del corpo.
L’immagine finale è dura e angosciante.

 

ARMIDA

(Sulla sua poltrona a metà tra il sonno e la veglia, quasi sofferente e incapace di riprendere coscienza) Oh che ore sono?… … me sono addormentà?… è arrivata mia nipote? L’avete mandata via perché dormivo? Me doveva portare a ca mea. Non è arrivata? Ah! Adesso me arzo da ’sta panchina e vago via da sola. (Non ce la fa, è lentissima) Ma cos’ho mangiato? Il semolino… perché me sento mezza scema. Ciò la bocca tutta amara… ma cosa m’avete dato? Non capisco più niente? Ohi mea non ce la faccio. Devo andare. Chi c’è là? Mia mamma, mia nonna, mia zia Lucia. Coste fè la? Aspettate. Ora me vago via anche me con voi. Ohi mea … Tornemo a casa insieme. Dove siete?
E te chi sei? la Monica? mia nipote? Oh! Te sei venuta… (Commossa) Mi dispiace che dormivo… Bèla, come te sei bèla, me te recordo fantetta… stai bene? Te droghi sempre? … Sta’ a sentie, ma piove fuori? Me sento strani rumori. Eh perdo a testa… me dai ’na mano a arzarmi… son tutta pesante, cos’è ’sto odore? me ’a son fatta adosso? Ohi mea… … me ne devo andar via de chì, devo pigiare l’ascensore… Monica me porti fori?! Me porti fori con l’ascensore?
C’è un odore de morto qui… … mi fa tutta la bocca amara… Me faccio ’na camomilla, poi me vago a lèto… (Si alzerà a fatica sino a ricadere sulla sedia. Ha momenti di sonnolenza tra una frase e l’altra) Ohi mea me devo settae. Sono così stanca… Che cervello… che lavori… … Monica sei ancora qui? Me porti fori?! Dove sei, Monica?

 

MONICA

(In proscenio al pubblico con lo stesso sorriso sincero e gioioso con cui l’abbiamo lasciata prima) Se il tempo non c’è
Bisogna crearlo
Se il tempo ci sfugge
Bisogna fermarlo
Bisogna prendersi il tempo.
Il tempo per guardare le nuvole di giorno e le stelle di notte
Bisogna prendersi il tempo di fare da mangiare a un amico
di coltivare una rosa nel giardino
Bisogna pendersi il tempo di una birra
Bisogna prendersi il tempo per un viaggiare che non sia solo andare
Bisogna prendersi il tempo di leggere senza imparare
Di parlarsi sottovoce la sera
Bisogna prendersi il tempo per parlare con Dio
E chiedergli se esiste
Bisogna prendersi il tempo di accettare e fare con quel poco che si ha
che non è mai così poco
Bisogna prendersi il tempo di perdere tempo
il tempo per darsi tregua
Bisogna prendersi il tempo di esserci per gli altri
Il tempo di invecchiare
E soprattutto non dimenticarsi il tempo per amare.

 

ARMIDA

En tasca a g’ho sempre la lettera che m’ha scrito Carmé… se vergognava de telefonarmi all’ospizio, aora ha pigià carta e penna e m’ha scritto… Era megio se me telefonava, c’è certi errori me fa ’na vergogna…
Però, ’a so a memoria: “Mida, ti ci volevo chiederti se me voi diventà mi mogie. Semo veci, femo ’sto passo insieme. Tuo Carmé”.
Le ginocchia m’han cominciato a tremare, ’o stomaco me s’è chiuso, manca poco casco in terra da ferma. Ho cominciato a ridere, sembravo scema, poi son venute fori de colpo tante di quelle lacrime, ma così tante che me son detta ciavrei potuto lavar en terra… Carmé non m’aveva mai parlato cossì, nessuno m’aveva scritto ’na lettera d’amore, son emozioni forti per ’na vecchia come me. A g’ho pianto così tanto…
Meno male c’era la Monica! Dice sempre non c’ha tempo, non c’ha tempo, ma il tempo l’ha trovà per venirmi a pigiare e portarmi da Carmé!
(Si mette lo scialle in testa a mo’ di velo da sposa) Come la ero bèla. Elegante. A m’ero messa: la guaina rosa cor pizzetto chì nel mezzo, ’a camisetta bianca col coletto di piquet, la gonna blè, di fresco di lana, la giachetta blè ai ferri, con la bella lana piemontese. Le ciabatte di pelle blè belle nuove. Chì gavevo ’na bella spilla di zaffiro, de mia nonna, blè anche quela. Giero tutta in tinta con gli occhi de Carmé. Com’era bèlo anche lui. Pantalon e ’a giacca blè, la camisa bianca, ’e scarpe nere e un bel fiore chì, all’ochiello. ’Na gerbera?… eh ma, e chi se lo ricorda…
Come me tremavan le gambe! Mi son detta ora finisco in terra davanti all’altare come un tappeto. Che figura! Invece son entrà ar braso de mi nipote Monica. C’erano tutte le mie amiche: l’Erminia, la Meri, la Consuelo e pure la Maria Isolina con la badante. Carmé me sorrideva dall’altare col sorrisone della dentiera nuova… Mi son detta speriamo che la sappia tutta la formula, che non me fa fare la figura che me sposo con un asino! Ci siam detti de sì. E ci siamo dati un bacetto. Piccolo. Perché non sta mica bene, davanti alla gente farci quei lavori lì. Poi chissà cosa dicono.
Chissà ’a Giovanna, il signor Alfredo, il professore… Ci ho telefonato per invitarli al matrimonio ma non me li hanno mica passati. Avran avuto paura che ci scappavan anche loro e se sposavano tutti!
Mi figio non ce l’ho voluto. Se ne stesse là dov’è con quella poco di buono. Me fa vergogna, più de’ negri. Mia nuora Sabine giera all’ospedale… tra a vita e ’a morte… Er medico l’ha detto: “Il corpo non ci ha retto a tutti i punti che ci si è voluta dare”… Un po’ sema ’a francesa si sapeva che giera.
Allora ci vengo io a trovarcela tutti i giorni all’ospedale… Sabine… oh, Sabine…Te me senti?… ’E orecchie non te le sei mica rifatte? Ma mia un po’ la flebo, i lividi, la faccia tutta gonfia, giè tutta blè anche lei… Dài, che te rimetti in fretta così te portemo a ca. … T’ho portato due fritelline con l’uvetta… te ’e poi mangiare son morbide … ma non te fa vedere da l’infermiera… giè negra!

Buio.