Berta Bartolotti non è né giovane né vecchia, né bella né brutta, né alta né bassa, né grassa né magra. L’elenco potrebbe continuare a lungo, fatto sta che B.B. non è proprio così comune come il narratore vorrebbe. Separata da un marito che non vuol neppur sentire nominare, è fidanzata con il signor Giuseppe della farmacia sotto casa
che, lui sì, nella sua meticolosità e rigidità pare proprio uno tra tanti.
La nostra B.B. non è decisamente una uguale alle altre. Sarà per quella sua mania di vestirsi colorata, che la rende a volte un po’ ridicola o un po’ sopra le righe. Sarà per quella sua attività così bizzarra, filare tappeti di grande estro creativo. Sarà perché per un errore del computer, un giorno riceve un pacco da una multinazionale. Contenuto: un bambino sottovuoto inviato a genitori sempre di corsa. Autonomo, educato (fin troppo), fa tutto ciò che un genitore - non troppo largo di manica sul fronte degli affetti – vorrebbe dal proprio figlio di sette anni.
B.B. è perplessa, il pensierino di un figlio l’aveva sfiorata molti anni addietro ma lei si era accuratamente scansata. Reazione: inseparabili. Certo Marius è un po’ troppo perfetto per i suoi gusti, ma non importa, gli vuole bene lo stesso. Per non parlare del signor Giuseppe, che si ritrova tra le mani il pargoletto che tutti i papà vorrebbero.
Un bel dì la multinazionale produttrice scopre l’errore di spedizione e rivuole “il pacco”. B.B. e fidanzato Giuseppe non ne vogliono sapere, Marius fa parte della famiglia. Come fare a vincere questa battaglia? Marius dovrà diventare un bimbo riottoso e maleducato, poco attraente per quei genitori che vogliono bimbi perfetti, come costruiti in fabbrica. Appunto.
Christine Nöstlinger, l’autrice della favola “Il bambino sottovuoto”, tradotta da Clara Beccagli Calamai e adattata per le scene da Cristina Crippa, immagina una favola moderna, con multinazionali, trasformazioni biologiche sottovuoto, donne divorziate indipendenti. Lo spirito iconoclasta della scrittrice austriaca, classe 1936, si riflette nella trama e nello sviluppo di questa favola bizzarra.
Bisogna tuttavia sottolineare che il termine favola è uno dei più impropri che si possano usare in casi analoghi. Destinato anche ai bambini, certamente, questo testo tuttavia vive su piani stratificati, come è consono alle favole moderne. La lettura “adulta” che se ne trae è intrisa di riflessioni sociali, senza perbenismi né moralismi, ma con un occhio acuto che sa indagare il senso dell’amore. L’amore libero, che non dipende da ciò che si fa ma che scaturisce da ciò che si è. L’amore che mette d’accordo il bianco e il nero, un po’ come sono Berta Bartolotti e il signor Giuseppe. L’amore che accetta e accoglie.
La via della favola, così come la brava Nöstlinger è solita intenderla, è la più agevole perché poco stucchevole, assolutamente ironica, totalmente affidata alla magia della parola e del racconto.
Nella traduzione della Beccagli, anche grazie all’intervento della Crippa e alla regia di De Capitani, la parola si fa lieve ma densa di significati, ironica, funambolica, giocosa ma ben ancorata al senso delle cose.
Nel solco di una tradizione anche italiana, Berta Bartolotti è un personaggio tra il comico e il ridicolo, un po’ come Marcovaldo di Calvino. In scena, la bravissima Crippa la delinea in modo surreale ma tanto reale nel suo modo di intendere la vita, libera di cuore e aperta all’esistenza. Di spiccata modernità registica è la scelta di affidare alla Crippa anche il ruolo di impersonare Marius e il signor Giuseppe. La mimica del volto e il gioco della postura creano personaggi che l’occhio non vede ma che la fantasia sente dialogare e percepisce agire sulla scena. Il teatro di parola incontra la favola e diventa gusto per il dialogo col pubblico, alchimia con pochi ingredienti che lievitano sul carisma dell’attore-istrione e giungono al cuore del pubblico.
Al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 5 al 17 marzo