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Il teatro della Tosse di Genova ospita, il 17 e il 18 marzo, questa drammaurgia di uno dei più grandi registi contemporanei, quell'Eimuntas Nekrosius ambito da tutti i palcoscenici d'Europa e che si avvale per questo spettacolo della compagnia Meno Fortas interamente lituana, che lo ha prodotto. Nekrosius affronta qui, meglio, come direbbe Edoardo Sanguineti, si scontra con la “Commedia” dell'Alighieri che, al di là della indicazione programmatica del titolo voluto da Dante, costituisce dal punto di vista della potenza testuale una fortezza sintattica e linguistica perfettamente strutturata e quindi difficilmente espugnabile in senso drammaturgico.
Lo fa, e mi piace anche qui ricordare Sanguineti e la sua “Commedia dell'Inferno”, nell'unico modo possibile, quello degli 'illustratori' cioè traslando la forza delle terzine in immagini ed immaginazioni che si dipanano e si elaborano in un'altra, analoga e corrispondente come uno specchio od una eco, sintassi estetica ed artistica.
La sintassi scelta dal regista lituano, per questo lavoro di elaborazione che è qualcosa di più della sinossi o della semplice interpretazione o commento, è, credo, quella dello spettacolo circense, nella fisicità dei movimenti scenici e nella mimica accentuata dal gusto acceso e figurativo dei travestimenti, nella dinamica acrobatica delle quasi coreografie, ed infine nell'utilizzo delle voci spinte fin al grottesco.
Al testo recitato, interamente in lingua lituana, le terzine dantesche riportate in sovratitolo forniscono il robusto scheletro all'interno del quale le sonorità, per noi sorprendenti, di quella lingua assumono forme significanti fin quasi alla tattilità.
Interessante in proposito, e quasi filo rosso che consolida la trama della scrittura scenica, la figura della giovane studiosa, o studentessa, dell'Alighieri che forza quell'italiano antico ma ancora scintillante in una pronucnia volutamente incerta quasi a sottolinearne ed enfatizzarne l'intrinseca sovrabbondanza significativa, pronta e anche avvezza, come la stessa Divina Commedia da cui è fatta, ad ogni prova.
Ne nasce, dalla combinazione di trasformazione testuale, imposta dalla traduzione, e scelta della comunque raffinata sintassi scenica, una sorta di percorso di formazione, talora una vera e propria educazione sentimentale che forza un po' e nasconde la spinta mistica del testo (non a caso il lavoro di Nekrosius si ferma al confine del Paradiso), ma più spesso una educazione etica, di cui è pregna la Commedia, che, nel confronto con la debolezza dell'uomo simboleggiata nel peccato, fa del protagonista e del suo maestro Virgilio metafora di un mondo mai domo rispetto al potere, anche quello ecclesiastico, da cui rivendica con forza e sofferta passione non tanto giustizia quanto e soprattutto, restando in linguaggio religioso, 'misericordia'.
Talora, come detto, la fisicità un po' viscerale propria della scelta registica e scenica pare andare un po' oltre, nel tentativo forse di avvicinare talune lontananze algide delle figurazioni dantesche, soprattutto nel personaggio di Beatrice, sospeso tra l'adolescente innamorata e sognatrice ed il 'motore' che trasporta alla visione divina.
Uno spettacolo importante e comunque ben articolato, al cui interno le ottime qualità recitative, non solo mimico-fisiche ma anche psicologiche, degli attori sono valorizzate adeguatamente e premiate in un certo senso dalla durata della drammaturgia che consente loro di dispiegarle appieno.
Era quello della prima un'altro tutto esaurito che segna positivamente la stagione teatrale di Genova, con un pubblico entusiasta e in prevalenza molto giovane.