A Fassbinder le storie piacevano così, tormentate e drammatiche, completamente prive di una via d’uscita, vicoli ciechi in cui la catastrofe finale è l’unica conclusione possibile. “Veronika Voss” è la penultima opera cinematografica del maestro tedesco prima della morte neanche quarantenne nel 1982 a Monaco. Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino nell’82,
ha visto come protagonista nientemeno che Rosel Zech, nota anche per il ruolo di Lola nell’omonima pellicola dell’anno prima, sempre diretta da Fassbinder. Al Teatro Sala Fontana di Milano (via Boltraffio 21) va in scena fino al 21 aprile un adattamento teatrale sceneggiato da Peter Märthesheimer e Pea Fröhlich (traduzione Giovanni Spagnoletti). Veronika è una diva sul viale del tramonto, in lotta con il proprio declino e sempre più dipendente dagli oppiacei che la dottoressa Katz le propina al culmine di dolorose crisi di astinenza. La clinica della dottoressa è il piccolo inferno in cui si realizza l’eclissi umana di Veronika, che consegna tutti i suoi averi in cambio di una dose. E quando il patrimonio sarà esaurito, la fine che l’attende è la medesima di altre malcapitate come lei: verrà abbandonata sola e in preda alle convulsioni da astinenza, fino a quando cercherà la propria morte per non soffrire.
Un seducente giornalista si innamora di lei e cerca di salvarla, ma l’irreparabile sembra non poter essere scongiurato.
La regia di Pasquale Marrazzo, attivo sul fronte teatrale ma anche cinematografico, non nasconde la vicinanza con Syxty, che lo ha diretto nel lontano 1988 all’Out Off di Milano in “Lontani dal paradiso”. Quel linguaggio minimal del maestro del post moderno milanese pare essersi impresso nello stile di Marrazzo che costruisce una scena essenziale, tutta in legno, su tre livelli. E’ tutto un salire e scendere, correre e sfuggire, incrociarsi ed evitarsi sul palco. Nessuno incontra veramente l’altro, gli sguardi si evitano e si fanno metafisici, la postura è artefatta e sincopata, come un manichino che prende vita ma non possiede una meta in cui rifugiarsi.
I costumi prevedono dei “non abiti” neri che annullano tempo e spazio, così come i generi sessuali si confondono. L’uomo diventa donna e pare raccontare una sorte universale di vittima-carnefice che va aldilà del maschile e femminile perché connaturata con l’umano.
C’è tutto Fassbinder in questo dramma moderno. Tratto da un fatto di cronaca, ispirato al capolavoro di Billy Wilder “Viale del Tramonto”, è un concentrato di ineluttabilità del dolore umano. Non c’è scelta di fronte al tarlo che deteriora l’animo e lo induce all’autodistruzione. Neppure l’amore può salvare l’uomo, mentre la sopraffazione si incarna nelle vesti ambigue della dottoressa Katz, medico che dà la morte, colei che vorrebbe essere amante ma che invece ricatta e distrugge.
La carriera a zig zag tra teatro e cinema consente a Marrazzo di attingere a piene mani dalla cassetta degli attrezzi di entrambe le discipline, riuscendo a strizzare l’occhio allo stile volutamente retro in bianco e nero della pellicola di Fassbinder. Così, proprio come al cinema, certi snodi narrativi ed emotivi sono sottolineati da passaggi musicali intensi, mentre un sapiente e discreto light design crea atmosfere metalliche e accentua i toni.
“Veronika Voss” di Rainer Werner Fassbinder
Al Teatro Sala Fontana di Milano dal 4 al 21 aprile 2013
Foto Sonia Santagostino