A chiusura della XVIII Rassegna di drammaturgia contemporanea, iniziativa encomiabile, sia per la possibilità offerta ai drammaturghi che per la capacità di coinvolgimento del pubblico, del Teatro Stabile di Genova, questa 'forte' piéce dell'uruguaiano Mauricio Rosencof, alla piccola corte dal 28 maggio al 1° giugno nella traduzione di Pietro Bontempo.
Un testo suggestivo e potente nella sua capacità evocativa, metafora in forma di apologo realista delle dittature sudamericane degli anni 70 e 80 e delle loro conseguenze non solo politiche ma anche profondamente sociali e psicologiche, esistenziali e filosofiche, dai desaparecidos ai rapimenti e adozioni indotte dei figli degli scomparsi, dittature e conseguenze che, tra l'altro, Rosencof sperimentò direttamente sulla sua pelle in quegli anni bui.
La bella regia di Mario Jorio ne asseconda i ritmi narrativi con una sintassi scenica che, enfatizzandone turbamenti e angosce, rimanda al Beckett dei rapporti di oppressione e sottomissione che virano e precipitano nell'assurdo, e, insieme, al Fassbinder del melodramma ironico e grottesco che scopre la capacità di eversione dei sentimenti, o meglio del sentimento, proprio all'interno di quei rapporti, dolorosi ma anche talora liberatori.
Due prigionieri in una stalla, la forza e la tortura usati dal potere per trasformare gli uomini in sfruttati senza voce, la rottura dei legami con il proprio passato e con i suoi protagonisti e quindi l'interdizione al proprio futuro, questi gli elementi narrativi profondamente storici che assumono però, nel testo di Rosencof e, forse ancor più, nella messa in scena di Jorio, valenze universali, essenziali all'umanità e quasi metafisiche.
In una scenografia candida ed essenziale, assecondata da costumi mimetici e fortemente connotati, quasi una mascheratura tra il circense ed il tragico, i due protagonisti combattono per non soccombere definitivamente, usano a turno l'arma della sottomissione o della ribellione con un padrone tiranno che alla fine, e questo è il segno della speranza di uomini come Rosencof, non è forte come sembra dalla sua violenza, perché in fondo ha paura.
Eccellente come detto la regia di Jorio, nel complesso della messa in scena e della sua sintassi, un Mario Jorio che conferma le sue capacità di lettura oltre il testo fin alle sue motivazioni ed interpretazioni più profonde, ottima anche la prova dei tre giovani attori, Silvia Biancalana “la mucca”, Elisabetta Mazzullo “Josè” e Valerio Puppo “Perrone” il tiranno, intensi, partecipati e capaci di trasformare una grammatica sognante in una sintassi piena di angoscia e rabbia.
A riprova che basta, al teatro, offrire al pubblico l'occasione perché partecipi intensamente, i molti spettatori della piccola sala colma hanno chiamato più volte attori e regista.