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Teatro a Corte dà il via alla kermesse 2013. Il Festival di teatro e performance è ormai giunto alla sua 14^ edizione, con una formula unica nel panorama italiano. Un mix di teatro, performance e forme espressive alternative si unisce al contatto diretto col patrimonio storico-artistico piemontese. Le sedi degli spettacoli infatti si alternano tra teatri torinesi e le più belle dimore sabaude come la Venaria Reale, il Castello di Racconigi, il Castello di Agliè e quello di Rivoli.
Dal 5 al 21 luglio 2013 a Torino si mette in mostra la nuova scena europea con ingredienti diversissimi. Circo, danza e teatro disegnano un nuovo percorso tutto da scoprire delle sensibilità più aggiornate nel panorama internazionale.
Lo chiamano “circo di ricerca” quello sviluppato dal collettivo Ivan Mosjoukine (6 luglio). Il loro De nos jours. (Notes on the circus) costruisce 80 vignette stralunate a tema circense, in cui il gioco degli incastri e dei meccanismi realizzativi è il cuore palpitante della creazione. E’ la metafisica degli oggetti, la poesia delle piccole cose che si mostrano nella loro ironica e scanzonata levità. L’insostenibile leggerezza degli oggetti parla di gioco, di incastro tra cose, persone e situazioni un po’ come nella vita ogni momento è intrecciato agli oggetti che lo costituiscono e alle persone che lo vivono. I funambolici e multietnici artisti si lanciano da una scala per abbracciare una pertica, corrono da un lato all’altro del palcoscenico in una frenesia che suona di post-moderno, si inerpicano su funi e scale a pioli semoventi come eredi di un teatro del tempo perduto che non c’è più. E’ stato digerito dall’atletico guizzare dei corpi, dal clin d’oeil di empatia col pubblico mentre un’ascia resta sospesa sul capo pronta a squartare una mela. La lentezza malinconica del teatro di inizio secolo lascia spazio ad atmosfere internazionali un po’ bricolage e un po’ palestra di parcour.
Forse gli esperimenti di ripensamento del circo come quello di Mosjoukine sono tra i più interessanti nel panorama performativo contemporaneo, come consapevoli di operare su un terreno quasi vergine in cui è possibile dire molto.
Anche il finlandese Kalle Nio ha dato un valido contributo al ripensamento dei generi tradizionali. La sua viene definita “magie nouvelle”, gioco di immagini e storie, sentimenti ed estetismo. Lӓhtö/Départ (6 luglio nella prima foto) è la sua ultima creazione, storia di una coppia in crisi di comunicazione. Il mare monta oltre una fitta cortina claustrofobica, mentre la ripetitività dei gesti cela una quiete solo apparente. Ciascuno è chiuso nel proprio mondo e non lascia più brillare la scintilla dell’anima negli occhi dell’altro. Un complesso sistema di lastre riflettenti sospese fa in modo che un corpo si rifletta nell’altro senza mai raggiungerlo, in un incastro che parla di complementarietà ma è solo onirico e irrealizzato. La cura visiva costruisce atmosfere raffinate e grevi, in cui la fuga dal dolore pare l’unica via percorribile attraverso quel mare che, su seggestione ibseniana, è metafora dell’anima che si vuole divincolare.
Dall’Irlanda giunge Colin Dunne con una reinterpretazione sonora e visiva della danza tradizionale inglese in Out of time (7 luglio). Mentre i “fantasmi” degli avi danzanti incombono sulla scena vuota attraverso proiezioni e rievocazioni, il ballerino compare in registrazioni in bianco e nero che raccontano i suoi esordi da bambino come campione di danza tradizionale. Sarà per i premi notevolissimi che da decenni accumula, sarà per il senso di incombenza della dimensione temporale con cui l’arte di Dunne si deve confrontare, il passaggio finale trasforma la regolatissima danza irlandese in una fuga a corpo libero, oltre le regole e i passi, verso l’originalità. 
Nell’ambito della vetrina olandese, in occasione dei 300 anni dalla firma del trattato di Utrecht, Dries Verhoeven porta in piazza Castello a Torino The Big Movement (5,6,7 luglio). Una scatola magica gigante raccoglie tranche de vie circostanti e li trasforma in happening artistico. La voce narrante asiatica racconta di un universo nato e morituro, di vite che scorrono e di atomi che si incontrano in una poesia delicata da lirica romantica, mentre l’osservazione diretta del dato di realtà, ricompreso nella narrazione, diventa il cuore del fare artistico in cui anche lo spettatore è cinvolto in prima persona.
Ancora dall’Olanda Boukje Schweigman (5,6,7 luglio) porta alla Venaria Reale l’originalissima Blow (nella foto di Lorenzo Passoni). In un salone cupo si solleva una bolla i tessuto che si muove qua e là, come un essere vivente primordiale. Cresce e si alimenta, ingloba il pubblico, si dilata e conduce ad una seconda dimensione fatta di luci e vibrazioni sonore. L’intero pubblico è ricompreso nell’immenso utero archetipico bianco, è chiamato a cogliere il flusso, a vibrare nelle origini della vita che paiono rievocate da Schweigman.
L’aria che alimenta la bolla cresce e accresce le propaggini di questa creatura, finchè si apre una via per fuoriuscire, dopo un lungo tunnel. La (ri)nascita al mondo delle cose è magica, sui colori bruniti di un tramonto di inizio luglio nel parco sterminato della reggia sabauda per eccellenza.