Il grande Vittorio non c'era più! L'indomani si sarebbero tenuti i funerali, le commemorazioni, i discorsi! Nelle televisioni sarebbero apparse lacrime vere e lacrime finte! I giornali avrebbero riportato, oltre i classici coccodrilli, i più ampi servizi, con ricordi, interviste, testimonianze di varia natura...
Attorno al tavolo della sala prove, dove stavano preparando l'allestimento di Pene d'amor perdute, sedevano il regista, Antonio, i due attori principali, Margherita e Giorgio, e sedeva pure Emilia, apprezzata critico teatrale di uno dei più importanti quotidiani nazionali. I tre artisti, allievi di lunga data e fedeltà di Vittorio, avevano deciso di sospendere le prove per quel pomeriggio, talmente si erano rattristati alla notizia, ed Emilia, avendolo saputo dall'amica Margherita, aveva chiesto di intervistarli immediatamente, potendo così stare sulla notizia. A tutti e quattro sembrava che quel giorno fosse morto il teatro! Mai come in questa occasione tale sensazione fu così acuta, penetrante!
Parlavano sottovoce, emettendo ogni tanto qualche sospiro: chi ricordava un qualche particolare momento di vita condiviso con il grandissimo Vittorio; chi era fiero di rammemorare dei giudizi favorevoli da lui espressi; chi raccontava qualche aneddoto curioso e simpatico, anche per stemperare un poco un clima di dolore e sgomento.
All'improvviso Emilia gelò gli altri:
“Ma voi siete proprio sicuri che sia stato tra i primissimi attori italiani del Novecento?”.
Gli altri tre la guardarono basiti come se volessero dire: ma che, sei pazza?
Emilia insisteva:”Ne siete proprio certi?”.
Al che Giorgio, con un'espressione di fastidio appena accennato, esclamò:”Voi critici fissate le vostre graduatorie fregandovene del giudizio di varie generazioni di spettatori!”.
Seguì una pausa di silenzio, Margherita approfittò per andare a fumarsi una sigaretta, e Giorgio uscì per telefonare, mentre Emilia si diresse verso il bagno, con un'aria di lieve imbarazzo, pensando che forse aveva un po' compromesso il giusto approccio per le sue interviste: però pensò pure che, conseguentemente alla, e coerentemente colla sua ideologia teatrale, non poteva nemmeno far finta di non avere pesanti ipoteche sul valore del grande Vittorio.
Tornati tutti al tavolo, Giorgio ruppe il ghiaccio invitando Emilia a porre le sue domande utili a lei per poi sviluppare l'intervista richiesta.
Emilia prese la parola: ”Mi spiace molto se prima con il mio, chiamiamolo, quesito, ho potuto infastidirvi: però voi tre sapete bene qual è la mia formazione culturale sull'arte teatrale, no?”.
E Giorgio: “Mia cara, tu puoi avere qualsiasi formazione, opinione, puoi aver seguito come la miglior adepta Brook, Barba e Grotowski, ma mettere in dubbio le immense qualità del povero Vittorio,l dai, su!!!???”.
La battuta di Giorgio creò in Emilia un forte disagio, non per il contenuto ma per quel quantum sottotestuale di disprezzo nei suoi confronti che lei percepiva.
“Intendo dire che per un certo modo d'intendere l'arte teatrale nessuno può dubitare del grandissimo valore di Vittorio; ma se vediamo l'evoluzione del teatro contemporaneo da altri punti di vista, non maggioritari, non ufficiali, non corrivi, non allineati con certo cinema o certa televisione, allora i parametri di valore mutano, e cambia anche il modo di giudicare il lavoro del pur grande Vittorio! Mi limito a dire solo questo”.
Intervenne Margherita: “ Scusa Emilia, tu dici solo questo: e ti par poco? Vittorio, secondo me, sta sopra ogni tendenza, va al di là di qualsiasi criterio di valutazione, eh! Scusa, sa!?”.
A questo punto intervenne Antonio: “Scusate, fatemi dire poche parole: non per difendere Emilia, ma è indubitabile che Vittorio si appoggiasse all'attore italiano di tradizione ottocentesca: in questo senso non recepì se non in parte le lezioni dei padri fondatori del teatro del Novecento, o come preferiscono dire gli studiosi, del Novecento del teatro: in questo senso Vittorio certamente non seguì alcune linee espressive di vivo rinnovamento; certo, poi non possiamo negare l'estrema importanza di essere stato l'erede di attori e artisti dai nomi incredibili: dalla Duse a Ruggeri, da Salvini a Zacconi, e così via!”.
“Ma questo son la prima a dirlo” esclamò con voce quasi soffocata Emilia “ma allora vi dico pure che per me il vero erede di quella nostra linea di tradizione è stato l'immenso Carmelo Bene!”.
Ci fu un clamore all'unisono degli altri tre come se fossero stati trenta! Il più lesto a prendere la parola fu Antonio:” Carmelo è un unicum del teatro novecentesco italiano, e non! Vuoi scherzare? Non lo puoi mettere in fila come ultimo di una linea! Sarebbe poi un errore macroscopico compararlo con Vittorio! Dobbiamo anche pensare all'immaginario popolare che vede in quest'ultimo un modello di riferimento, un attore che ha fatto ridere e piangere; invece andate a chiedere in giro, all'uomo della strada, chi sia stato Carmelo Bene: vi assicuro che uno su dieci, forse, saprebbe rispondere!”.
Intervenne Margherita: “Se è per questo lo sappiamo benissimo che gli artisti d'avanguardia non divengono certamente molto popolari: eppoi se Bene ha avuto una certa risonanza è per la sua curiosa e provocatoria personalità, che specie in Tv ha creato un pizzico di scandalo! Diciamocela tutta, eh!?”.
Aggiunse Giorgio:” Dobbiamo anche tener presente che per Vittorio il teatro era teatro di parola, innanzi tutto, e che questa è una posizione legittimissima!”.
Emilia:” Certo, certo, esistono “i” teatri, per carità! L'importante che non vi siano teatri “morti” come scrisse Peter Brook. Credo che siate d'accordo, no?”.
E Antonio:” Ma non vorrei che il nostro sia giudicato un teatro morto solo perché agiamo sul solco di una tradizione sostanzialmente italiana, no? E poi non dimentichiamo, di Vittorio, anche le sue performance d'attore nei suoi one man show, davvero indimenticabili!”.
Emilia intervenne di getto:” E certo, e infatti volevo proprio dir questo, per cui comunque Vittorio ha saputo, seppur in poche occasioni, liberarsi dalla guida stretta di un testo, e lasciarsi andare all'improvvisazione, alla performance fisica d'attore! E soprattutto, al limite, fregandosene delle esigenze di fare spettacolo. Mi pare che dicendo questo potremmo trovare un giusto equilibrio di opinioni, no?”.
Al che Giorgio, guardando gli altri “ Ma forse ti eri offesa, Emilia? Guarda che l' intervista te la rilasciamo comunque, eh?”.
Emilia, che tra l'altro lì in mezzo era la più giovane, non seppe bene interpretare le parole di Giorgio: erano davvero concilianti? Oppure, ironicamente, Giorgio ormai aveva a nome di tutti posto una distanza come barriera insormontabile fra lei e loro?
Passarono alcuni secondi, interrotti da qualche colpo di tosse, e intervenne Margherita:” Emilia, ma dai, su, mica ti sarai offesa!... Inizia pure a farci le tue domande: se ti ho fatto venire qui vuol dire che la tua intervista è assolutamente ben accetta, oltre ogni differenza d'opinione!”.
Passa così qualche secondo ed Emilia guarda l'amica e le chiede:” Dici davvero, Margherita?”. L'amica annuisce convinta. Allora Emilia guarda gli altri due con un cenno d'interrogazione, ed essi corrispondono positivamente. In quell'istante si sente suonare il citofono, va a rispondere Giorgio che rientra poco dopo nella sala prove tutto trafelato:” C'è una troupe di Raiuno che vuole intervistarci, subito! Hanno il truccatore per cui non dobbiamo preoccuparci della cura del viso; lavorano solo sui primi piani!”.
Gli altri due sono preda dell'eccitazione, e Margherita prende dalla sua sacca uno specchietto e il rossetto. Antonio si limita a darsi una pettinata. Il giornalista della Rai entra nella sala seguito dall'operatore, da una truccatrice e da un tecnico del suono, mentre mogia mogia Emilia, insalutata ospite, guadagna l'uscita alla chetichella, senza che nessuno se ne accorga.
Dopo tre giorni sul Sito del giornale dove scrive Emilia uscì la sua intervista dal titolo: Conversazione finale (lacrime per un teatro che muore?).
Conversazione finale
- Scritto da Giorgio Taffon