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Trentatrè anni fa nasceva a Rovereto in Trentino questo curioso festival, Oriente Occidente. L’obiettivo era ambizioso, creare un punto di incontro tutto dedicato alla danza e al teatro danza, capace di catalizzare le novità, di costituire un crocevia di scambio di esperienze e linguaggi. Il nuovo circola più facilmente nei festival e Oriente Occidente voleva diventare un punto di riferimento.
La promessa è stata mantenuta, oggi è uno dei festival più importanti d’Europa, capace di calamitare l’attenzione del grande pubblico grazie ad una programmazione varia e in dialogo col territorio.
Tra le moltissime prime che ha ospitato in tre decenni, sono transitati a Rovereto e nei teatri collegati di Trento alcuni dei talenti più in vista di sempre,  da Merce Cunningham a Pina Bausch, da Alwin Nikolais a Lucinda Childs, con un elenco infinito in cui sarebbe impossibile ricordarli tutti.
Oggi Oriente Occidente parla il linguaggio della danza ma ama osservare cosa si compie sulla linea di confine con altre discipline, il teatro, la performance, l’happening.
Ne nasce un codice espressivo ibrido, che sa creare sintesi e elaborare una nuova grammatica della danza. La tradizione non è scalzata, riverbera quasi sempre negli spettacoli in cartellone come un retrogusto più o meno presente che vuole mostrarsi orgoglioso di sé. A ben vedere il linguaggio tutto contemporaneo di Oriente Occidente esiste proprio per questo confronto continuo, prolifico, rigenerante con la tradizione della danza. Rispetto alla quale si afferma qualcosa di nuovo.
Nel panorama generale spicca anche l’ampio uso di tecnologia, condensata nell’impiego sofisticato del lighting e ancora di più di un apparato variegato di risorse video.
La danza è la quintessenza del qui e ora, del corpo che si relaziona col momento e si esprime secondo un codice di movimenti ripetibile all’infinito ma mai uguale a se stesso. In questo eterno presente, l’apporto del video consente piani temporali diversi. L’immagine bloccata a schermo fisso, la ripetizione del gesto scenico in simultanea con il protrarsi della rappresentazione, la moltiplicazione degli effetti di suggestione sono solo alcuni degli incrementi espressivi possibili grazie alla risorsa audio-video, esclusi tassativamente fino a non molti anni fa dall’intero codice espressivo della danza.

Tra gli spettacoli di punta dell’edizione 2013 spicca “Not here/not ever”, in prima nazionale al Teatro sociale di Trento lo scorso 7 settembre ’13. Carte Blanche, compagnia di danza norvegese, ha commissionato questo spettacolo a Sang Jijia, uno dei più importanti coreografi tibetano-cinesi. Il quale a sua volta si è avvalso delle musiche del compositore cinese Dickson Dee, realizzando un vero melting pot di culture e linguaggi. La sintesi di Oriente Occidente si può ritrovare in questo connubio di est e ovest, nord Europa e Cina.
Se la location è il teatro sociale di Trento, un piccolo capolavoro tutto italiano di architettura teatrale ottocentesca, tutto stucchi e palchetti, l’incontro multietnico e multiculturale pare giungere a compimento. Questa è la cultura contemporanea più aggiornata, l’incontro di tradizioni e linguaggio in relazione dialogante, intrecciando spazi e sensibilità.
Jijia immagina la decina di ballerini di Carte Blanche come sospesi in un non luogo, metafisico e malinconico come solo certe suggestioni teatrali e pittoriche del nord Europa suggeriscono da un secolo. I movimenti dei danzatori sono complessi, si alternano gruppi e coppie in una ritmica che pare realizzare un lento climax inesorabile verso la catastrofe finale. Le composizioni umane sono ardite e complicate da una contaminazione continua del linguaggio base della danza classica con movimenti spezzati, arcuati, tozzi. Il gesto pare seguire l’emozione sollecitata dalle musiche, si parla di dialoghi spezzati, di relazioni complesse, di empatie mancate.
La danza secondo Jijia diventa partitura drammatica, narrazione emozionale di un vissuto moderno. Non servono le parole, basta la grazia del movimento che si alterna alla drammaticità di certi passaggi.
Il tempo si ferma e si moltiplica in un piano multidimensionale grazie al contributo di innesti video che amplificano l’azione scenica. La danza diventa performance e si attua una traslazione effettiva dell’attenzione dal corpo del danzatore all’intera creazione estetica, composta dai corpi, dalle luci e dalle suggestioni video.
Il risultato è sublime.

Oriente Occidente, quando la ricerca non ha confini.
Dal 29 agosto all’8 settembre e il 13 settembre a Rovereto e Trento