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Novi Ligure ricorda il drammaturgo Paolo Giacometti che vi nacque nel 1816 anche se poco vi soggiornò dopo il trasferimento nella vicina Genova, a seguito della morte del padre quando aveva appena 1 anno. Lo fa con una mostra curata da Eugenio Buonaccorsi e Giandomenico Riccaldone, quindi con il contributo decisivo del Museo Biblioteca dell'attore di Genova, inaugurata il 28 settembre con vari patrocinii e aperta fino al 6 ottobre presso l'auditorium della Biblioteca Civica.
Nel pomeriggio del giorno dell'inaugurazione l'evento è stato poi accompagnato, iniziativa apprezzabile nel contesto di un generale oblio della drammaturgia del nostro, dalla lettura 'drammatica' da parte di Carlo Orlando ed Eva Cambiale della tragedia forse più conosciuta di Paolo Giacometti, in un certo senso il suo lascito più significativo, quella Morte Civile che divenne cavallo di battaglia e grande successo di due dei simboli del “grande attore ottocentesco”, Ermete Zacconi e Tommaso Salvini.
Oltre l'oblio che, come detto, ne ha contraddistinto nella modernità la produzione drammatica, Paolo Giacometti costituisce, proprio nel suo rapporto con il teatro del mattatore capocomico di quel tempo, uno snodo essenziale nella evoluzione del teatro italiano nel suo complesso e in quella della scrittura drammatica, in particolare nella sua ricerca di autonomia artistica e di pari dignità nel contesto del più ampio meccanismo della rappresentazione.
Ci ricorda Roberto Alonge che Paolo Giacometti “fu la prima persona umana  a vivere del proprio lavoro intellettuale, salvo anche a morirne di fame”, ed è partire da questo snodo essenziale che si sviluppa il contrastato rapporto con il grand'attore, non solo Salvini e Zacconi ma soprattutto Adelaide Ristori, il cui lascito al Museo Biblioteca dell'Attore costituisce probabilmente la fonte prima della mostra, rapporto conflittuale tra l'esigenza scenica della recitazione come insieme di scene madri e quella della scrittura che cerca coerenza estetica, psicologica ed anche storica nella rappresentazione, che comincia così a virare dal dramma storico al melodramma ovvero al dramma borghese.
Questo conflitto vede Giacometti quasi sempre perdente e costretto ad una attività subordinata se non di piena dipendenza, sottoposto a diktat di ogni genere anche economici, ma lo vede anche riuscire, per la prima volta e a fatica, introdurre elementi innovativi di estetica teatrale che legano  tra l'altro, anticipandola sottotraccia, la sua drammaturgia, e quella successiva dei Giacosa, alla evoluzione europea rappresentata dagli Ibsen e dagli Strindberg.
Un Giacometti dunque, perdente e sfortunato durante la sua esistenza attraversata spesso da tragedie personali e sempre da difficoltà economiche, che però mostra di aver capito con anticipo dove stava andando a parare il teatro europeo e dove sarebbe andato a parare il teatro italiano dopo la stagione del grand'attore, a partire da Eleonora Duse, ultima sua insuperabile rappresentante ma già tesa ed immersa nella modernità.
Questo non solo dal punto di vista estetico, con una scrittura elaborata e talora potente che tende ad imporsi e guidare lo sviluppo drammatico, ma anche da quello dei contenuti con una attenzione nuova, anche all'interno dei drammi cosiddetti storici, ai fermenti della nuova società borghese e dalle sue contraddizioni, a partire dal rapporto con i residui dell'ancièn regime e della sua religione rispetto ad elementi oppositivi e liberatori come il femminile.
Il richiamo ai legislatori che chiude, con enfasi retorica molto utilizzata da Zacconi e Salvini, La morte civile ne è un simbolo, non solo per la componente autobiografica, ma anche per l'attenzione che mostra ai mutamenti del ruolo della donna nella famiglia e del ruolo della famiglia stessa in una società che cominciava a soffrire antichi vincoli ed antiche costrizioni e che, come detto, nel nuovo teatro europeo trovava voce potente ed accoglienza.