Tutte a casa di Nora (e senza bambole) il sabato mattina (21 e 28 novembre 2009).
Nel film che George Miller trasse nel 1987 dal romanzo di John Updicke “Le streghe di Eastwick”, c’è una sequenza che molti ricorderanno: è quella in cui Cher, puntando il telecomando sul teleschermo, fa scomparire per sempre, insieme al quadro, uno strapotente e maschilista Jack Nicholson ( una sorta di diabolico mago sessualmente incontinente), liberando da quella odiosa presenza oltre a se stessa, anche Susan Sarandon e Michelle Pfeiffer. Sempre sognando che ciò potesse capitare veramente e mai credendoci, mi è accaduto invece di assistere ad una scena assai simile in diretta tv: era la famosa sera degli insulti di Berlusconi a Rosi Bindi, nello studio di Porta a Porta. Certo il giochetto non ha avuto un effetto definitivo… ma quanto a “far scomparire” ( nel senso di ridurre un soggetto a termini microscopici), beh, sì, in quello, la nostra Cher è certamente riuscita: almeno volendo cogliere l’ondata di fastidio levatasi da un numero straripante di italiani, rispetto all’atteggiamento indicibilmente sprezzante e piccolo piccolo, tenuto nei suoi confronti dal Presidente del Consiglio e dal suo ministro Castelli...Si è respirata la grevità di un film di Coppola…
“Gli insulti definiscono chi li pronuncia…..Berlusconi avrà pensato di potersi impossessare del video per l’ennesimo monologo incendiario. Quando però si è trovato di fronte un’interlocutrice che non lasciava passare i suoi commenti eversivi sulla Presidenza della Repubblica e sulla Corte Costituzionale, che non accettava il ruolo silenzioso di comparsa o connivente, non ha trovato altra soluzione che cercare di ridurla all’unica dimensione femminile che conosce: un corpo femminile da svilire o apprezzare”: dalla lettera di Rosi Bindi all’Unità del 10 ottobre 2009.
Tutte le “streghe” in ascolto quella sera hanno sentito ribollire la propria indignazione, incredule rispetto all’assoluta inerzia dell’intero studio, acquiescente per insipienza, asservimento e stolidità: eppure, in tutta evidenza, lì era in atto, in piena arroganza autoreferenziale, proprio il degrado della cosa pubblica. Le donne, arrivate ad una comprensione del mondo molto più avanzata di quella maschile e condotta sulla propria pelle (vale a dire attraverso costanti “pratiche quotidiane di resistenza, conflitto, secessione, autonomia. libertà”), dispongono oggi di un’autorevolezza infinita, di una crescita di soggettività e competenze in controtendenza rispetto alla “mucillagine sociale” italiana. E’ per questo che percepiscono per prime la minaccia implicita in questi silenzi e in queste imbelli connivenze: il pericolo strisciante di un’accettazione supina, pronta a prefigurare un regime fondato non più “sul riconoscimento e sulla valorizzazione della differenza, dello stare al mondo di donne e di uomini, ma su ineguaglianze e subalternità”. Ed è esattamente in questa confusa astensione di coscienza che due casi di padri che uccidono le figlie vengono messi in rilievo impropriamente dalla stampa, non come gravi episodi di un non sopito retaggio patriarcale, ma come delitti scaturiti dal conflitto etnico culturale che oppone Islam e Occidente.
Lo stesso 10 ottobre , alle ore dieci, si è aperto presso la Casa internazionale delle donne il convegno su “sesso e politica nel post patriarcato” promosso da tempo sulle pagine del Manifesto da Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamara Pitch, Bianca Pomeranzi e Grazia Zuffa: un evento che si è rivelato emozionante per il numero, la qualità e la partecipazione emotiva dei convenuti. Nel testo di convocazione si leggeva profeticamente: “Berlusconi si appella al “gradimento degli italiani” pubblico (l’audience) e privato (la complicità della sua prestanza sessuale) per sottrarsi a qualsiasi regola di democrazia e trasparenza”. E ancora: “C’è uno scarto tra la fiction del femminile allestita dal regime televisivo e politico berlusconiano e la realtà delle vite e dei desideri delle donne? Certamente quella fiction ha un potere di colonizzazione dell’immaginario e delle aspirazioni femminili. Tuttavia noi crediamo che uno scarto resti e che renda possibile le parole e i gesti di alcune donne coinvolte nella vicenda, prima tra tutte Veronica Lario, e di quante fra noi hanno dato a quelle parole e a quei gesti rilevanza politica”. Signore più belle che intelligenti o anche, indifferentemente, tutto il contrario, che non sono disponibili per il genere di femminile che intende questo potere regredito e regressivo, anche perché una simile scadente politica, che autorevolezza può avere? I toni alti, aggressivi della potenza economica, o delle connivenze culturali di chi non si oppone come dovrebbe e che proietta il proprio stato di deposto prestigio sulle istituzioni che ancora resistono, mentre si attenta a macchiarle della propria stessa onta personale, che parla, appunto, di una destituzione morale già avvenuta. Invece è di una “signoria” del femminile che si è detto abbondantemente in convegno: di un femminile che sa esprimere lucidamente il suo pensiero trasformato e libero e vuole che questo venga definitivamente registrato e non lasciato rimuovere sotto il segno del futile modello, imposto come dominante, che berlusconianamente e non solo, si adopra per occultarlo.
Puntualmente Manuela Fraire, approdata alla professione psicanalitica dopo un intenso percorso nel femminismo, ha saputo esplicitare su Manifesto le risorse critiche e teoriche del femminismo italiano, segnalandone le conseguenze micidiali con un prezioso parere tecnico sulla “crisi del padre” in atto, (altro argomento ricorrente in convegno). Una realtà che va letta nell’ impossibilità degli uomini a identificarsi con figure maschili sufficientemente autorevoli da consentire un’autocoscienza forte e non autodistruttiva. Ma qual è l’uomo che possa vivere la parola e il pensiero femminili così accresciuti, confrontandoli alle sue attuali resuscitate miserie, se non come una castrazione profonda, non fosse altro che per non aver potuto porre fine al degrado corrente per primo, come il repertorio patriarcale richiede . Ci sono uomini che si nutrono di un immaginario ormai impraticabile…ma altri, pochi.., pur di arrivare al cambiamento affrontano depressione e crollo di autostima, intuendo che ne può venire la ricchezza di un rapporto con l’altro non più sulle difensive e condizionato dal potere. Altrove, intanto, il pensiero femminile si interroga: “uguali a chi, in tempi di miseria del maschile”? Il 10 ottobre, alla Lungara erano proprio in tante: Ifigenia, Antigone e Cassandra, Candida e la signora Warren, Nora Helmer e Hella Rentheim, Medea, Lisistrata e la Pizia morente con Elena, Cordelia e Desdemona, la signorina Giulia, la signora Morli uno e due, Filumena Maturano con Madre Coraggio e Jenny delle spelonche, Maisie e Pinocchia, Nina Michàjlovna Zarècnaja e Irina Nikolàevna Arkàdina, le tre sorelle Pròsorov, Mirandolina, Elettra in lutto, Ippolita e Titania, la duchessa di Amalfi, Beatrice Cenci, Annabella, Stella e Rosaura, Alison Porter, Pentesilea, Lulù…sissignore, così tante e in così bella situazione, che per novembre si preparano ancora due grandi appuntamenti di donne, auspicando la visibilità e l’ascolto del loro ininterrotto lavoro per la civiltà della relazione fra i sessi. Una il 21 a Brescia a cura dell’UDI e l’altra, a carattere nazionale, il 28 a Roma, indipendente dai partiti.
Insomma: tutte a casa di Nora e senza bambole, di sabato mattina.