“Fluxus” all’Auditorium di Roma: una mostra su George Maciunas dal 27 gennaio al 17 marzo le Performances di Fluxus. Dal Progetto di Achille Bonito Oliva “Fluxus Biennal 730 giorni hic et nunc 2010-2011”.
Alcuni anni fa, durante un bel convegno su Sport e Teatro svoltosi ad Anghiari a cura dei docenti di Drammaturgia dell’Università di Firenze, si scoprì che gli attori e i campioni sportivi di maggior talento hanno in comune alcuni requisiti caratteristici, quali tempismo e intensità, competenza e passione… Achille Bonito Oliva, abituato da sempre a muoversi su simili frequenze d’ onda, ricorre alla sua eccellente esperienza di surfista dei marosi dell’arte, per cogliere l’attimo di rinnovato interesse sul fenomeno culturale (strano e cinquantottino che fu) Fluxus, suscitato dal recente conferimento a Yoko Ono del Leone d’oro a Venezia. Incontenibile, irresistibile, maturo giovanotto, il geniale critico approda all’Auditorium di Roma con un progetto dedicato al collettivo “transnazionale, anarchico e multimediale” sviluppatosi a New York intorno al 1958 e destinato a diventare “ il movimento più influente e inafferrabile della seconda parte del Novecento”:
“FLUXUS BIENNAL. 730 giorni hic et nunc, 2010-211”
Si tratta di una proposta puntuale, gaia ed intensa che già nel titolo riprende l’energica fatalità di altri annunci, come il “Fiat Fluxus” di Geoge Maciunas e l’”Ubi Fluxus ibi motus” di Gianni Sassi, visibilmente all’insegna di un disincantato e lieve atteggiamento. Nei 730 giorni di Bonito Oliva e del suo comitato scientifico (tra cui i collezionisti Francesco Conz e Gino Di Maggio) all’Auditorium di Roma, si annuncianio sei piccole grandi mostre, ricche di eventi collaterali e dedicate a: George Maciunas, George Brecht, Wolf Vostell nel 2010 e Nam June Paik, Giuseppe Chiari, Robert Filliu nel 2011.
Il tutto costruito intorno alle modalità espressive di Fluxus (cresciuto per effetto dello specialissimo clima di amicizia e condivisione stabilitosi tra esponenti di vari mondi artistici che vivevano nello stesso ambiente) e che anticipò il tratto culturale prettamente contemporaneo di una sperimentazione linguistica senza confini, nè disciplinari e nè geografici. George Maciunas in mostra, Auditorium arte 26 gennaio- 17 marzo 210 e Performances del Collettivo berlinese Maulwerker.
Inizia la rassegna una mostra dedicata a Gorge Maciunas, l’architetto di origini russo-lituane che ne promosse l’incipit e ne divenne, neppure trentenne, l’infaticabile animatore, aggregando e incoraggiando, dapprima, il gruppo di artisti che con lui frequentavano il corso di musica elettronica tenuto da Richard Maxfield alla New School di New York. Era trascorso solo un anno dal passaggio in quell’istituto di John Cage e Maciunas, che non vi aveva partecipato, non sentiva parlare d’altro, né mai avrebbe sospettato che di lì a breve ne sarebbe diventato il più appassionato sostenitore. Il gruppo di allievi ( architetti, compositori, artisti e designers) era rimasto fortemente influenzato dall’esperienza maturata con Cage, che aveva proposto insieme ai primi happenings, i suoi ormai collaudati esperimenti di musica concreta: si trattava, in sostanza, di mettere insieme frammenti sonori presi dalla vita quotidiana e azioni minime anch’esse tratte, come camminare, dalla quotidianità più elementare, per costruire una nuova musica insieme a piccole pieces provocatorie, che favorissero una diversa, coscienza esistenziale.
E già nel 1960 la ventisettenne Yoko Ono, nel suo loft di Chamber Street e George Maciunas nella sua AG Gallery, al 925 di Madison Avenue, ospitavano happenings. In questo germinare di creatività e humor Maciunas riconosce e sottolinea l’influenza sul gruppo di Joseph Cornell e Ann Halprin e dell’ action painting di Georges Mathieu, che pure diede un’influsso decisivo al gruppo Gutai. George Maciunas è nato in Lituania, a Kaunas, nel 1931, ma trascorre parte della giovinezza in America, nei campi per rifugiati, per poi studiare architettura alla Carnegie Mellon University, dopo un importante soggiorno a Berlino nel 1945 che gli consente di riconoscere le influenze in Europa del ready-made e dell’arte concettuale tipici di Marcel Duchamp e del collage e del concretismo dei dadaisti, come della simultaneità e del rumore propri del teatro. Gallerista, musicologo, editore, e artista intensamente contrario all’imperialismo, pubblica la prima antologia dei futuri fluxer (An Antology: su La Monte Young, Jakson McLow, George Brecht) e una seconda, pubblicata più tardi, che conferma finalmente il nome “Fluxus”. Poiché le edizioni e le opere del collettivo restano invendute, inizia una tournée in Europa, dove nel settembre del 1962, con il “Festival Fluxus” di Wiesbaden e i suoi 14 concerti, inizia la visibilità del gruppo e un programma di esibizioni che li porta a Stoccolma, Oslo, Amsterdam, Nizza per l’esecuzione di concerti, cabaret, happenings e azioni umoristiche. Con la prima notorietà si vendono, ma a prezzi minimi, “oggetti, scatole, multipli, riviste”: sempre Maciunas si schiererà contro il pesante impatto economico dell’arte alta, configurando ogni sua iniziativa come antisistema e antiarte.
Fra le molte imprese di più largo orizzonte politico e socioculturale resta indimenticata quella di far comprare agli artisti degli edifici in comune, per formare cooperative che li liberassero dall’incubo delle agenzie immobiliari, abituate a speculare sui quartieri artistici. Sono gli anni in cui la zona poi chiamata Soho (all’epoca un’area di industria leggera e grandi magazzini connessa a Little Italy), attirava abusivamente negli ampi edifici fatiscenti la generazione uscita dal Black Mountain , poiché lì i manufatti artistici delle nuove tendenze trovavano gli spazi più vasti e adeguati per il loro allestimento. Nasceva, a Soho, il culto dello spazio e dei “loft”, che artisti e mercanti d’arte utilizzarono, dapprima, come laboratori e sale espositive.
In mostra all’Auditorium saranno esposti, tra gli esempi dell’attività di graphic designer dell’artista, l’emblematico, divertente Ping pong già apparso in occasione di Contemporanea (rassegna che lo stesso Bonito oliva dedicò a Fluxus trentasette anni orsono), opera che suggerisce il continuo slittamento di senso tra i concetti di vero, reale e realistico, e un gigantesco Diagramma che raccoglie le origini possibili del movimento, a partire dai viaggi nel mondo di Cage: testimonianza l’uno del modo leggero e geniale di intendere il “gioco come modo di relazione, scambio e cambiamento” e l’altro del suo speciale ingegno critico nell’analisi della storia dell’arte, ben consapevole delle interconnessioni esistenti tra pulsioni artistiche e spinte sociali. Tre serate di performances completano il programma della mostra: il 26 gennaio il collettivo di artisti e musicisti berlinesi Maulwerker, considerato di riferimento per le opere storiche di Fluxus, ha eseguito una serie molto significativa di famose performances ideate dagli artisti del gruppo Yoko Ono (Cut Piece 1962,Touch Piece 1963) , Nam June Paik (Sonata quasi una fantasia 1962, Zen for Head 1962) e La Monte Young (Piano Pieces 1-3 for David Tudor, e il formidabile Poem for Chairs, Bencles und Tables 1960). In particolare, una riedizione per Musica per Roma, della famosa “In memoriam di Adriano Olivetti” di Maciunas e da ultimo una piece affascinante, spiazzante e aggressiva di Katarina Rasinki del 1997 (esplosione economica europea), che vede i musicisti-cantanti-interpreti farsi minacciosi mutanti ( gli uomini emettono suoni e canti femminili e le donne grida e ruggiti maschili) e assalire e invadere rabbiosamente la platea raggelata e inquieta. Titolo eloquente e profetico : “Eszeit”, Era Glaciale.
Ma le altre due serate di performances, il 26 febbraio con After Fluxus (una lezione su Deleuze e Guattari, con esorbitante bevuta di vino obbligatoria per i presenti) e il 3 marzo con il concerto omaggio a John Cage “Telephones and Bird” e Achille Bonito Oliva nel ruolo del Maestro Ching, lasciano sospettare che quello dei Maulwerker non fosse che l’ inizio…
Fluxus
- Scritto da Daniela Pandolfi