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Arriva sempre un momento decisivo per ogni autore, cercare di capire che cosa si porta dentro qual è il suo bagaglio, come reinterpretarlo alla luce della realtà che lo circonda. Peter Handke considera il lavoro dell’autore come un voltarsi indietro e cercare nel suo inconscio “l’arte è un’esplorazione del dimenticato, non dello sconosciuto, ma di quello che si è sempre saputo ed è stato dimenticato nell’uomo”. Emerson sostiene una posizione simile e consiglia agli autori di ascoltare se stessi poiché “le fonti si trovano nella nostra stessa mente” Guardate i bambini per loro il gioco è una cosa seria. L’artista è un adulto che gioca. La ricerca dell’originalità passa anche da lì, dal recupero dell’infanzia che è in noi, perché i bambini non si adeguano a niente, non si piegano al conformismo, sono imprevedibili, stupiscono. Un autore, per essere originale, deve cercare di essere se stesso ma anche di stupire se stesso. Traguardo difficile da raggiungere in un’epoca in cui le identità sono sempre più liquide frammentate. Maddalena Mazzocut-Mis ci prova e compie questo percorso reinterpretando classici e banalità quotidiane, vite immerse nella laguna del narcisismo, dell’ossessione identitaria, nell’egoismo. Le citazioni dai testi classici (Omero, Saffo, Euripide) si mescolano al linguaggio prosaico delle telefonate e delle lettere. Il risultato uno studio su due figure femminili su cui è già stato detto moltissimo. Sono state scritte pagine e pagine, abbondano gli studi. Per questo motivo risulta difficile rendere nella scrittura di scena forti slanci emotivi quando si affrontano i “giganti” del passato. La trama è l’anima del dramma, in essa vivono memoria, emozione, originalità. Non sempre vanno di pari passo in scena, traguardo difficile da raggiungere. L’originalità e la memoria sono i punti di forza di questa rappresentazione e si possono cogliere in particolar modo nell’esecuzione musicale e nell’interpretazione sognante di Elena Russo Arman che porta sulle spalle con leggerezza e ironia la sua Elena. La musica, resta sullo sfondo e prende il sopravvento nel finale dove tutto si mescola, si contamina, si confonde. La musica sopravvive ai personaggi, al testo, alle derive. Le sonorità, le voci si intrecciano in questo spettacolo che è teatro e insieme partitura musicale pura. In scena il coro vocale Calycanthus (tre soprani, 3 contralti, 3 tenori e 3 bassi) diretti da Pietro Ferrario, esegue polifonie a cappella su spartiti originali di Azio Corghi, insieme alle due attrici, Elena Russo Arman e Sara Urban, che interpretano i ruoli di Elena e Medea e ci accompagnano in un viaggio teatrale e musicale nella rivisitazione, in chiave contemporanea, del celebre mito. A rendere ragione del mito e dell'ispirazione classica, resta la forma estetica molto curata: i cori si alternano in un dialogo polifonico governato con originalità da Azio Corghi, voci cantate e voci recitate. Raccontano la deriva di un mito. Da diversi anni Elena Russo Arman interpreta spettacoli fondati sul rapporto parola-musica, prosegue il suo lavoro di ricerca. La regia onirica di Alessia Gennari accarezza i fantasmi del mito, raccontando la storia di Elena, attraverso gli abiti senza corpi o con corpi dimezzati, attraverso pupazzi di stoffa come i giocattoli di una volta per ricordarci che il teatro in fondo è come un gioco. Ma è un gioco molto serio, con regole precise, tre importantissime che andrebbero sempre tenute ben presenti: riuscire a catturare l’attenzione dello spettatore, tenerla viva per un tempo determinato, guadagnarsi la sua fiducia.

Milano, Elfo Puccini, 5 Novembre 2013