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Al teatro della Tosse di Genova, dal 14 al 16 Novembre, questa ultima rivisitazione del capolavoro del “Bardo”, che, credo e tale appare, è più di una riscrittura, in quanto si sviluppa sulla scena quasi come una drammaturgia autonoma e rinnovata che dal testo shakespeariano trae spunto e occasione per una narrazione molto attuale.

Merito dei due drammaturghi, e della bella regia di Emanuele Conte, aver colto all'interno dello schema favolistico, che funziona da schermo, della costruzione sintattica e teatrale di Sheakespeare, all'interno della stessa occasionalità celebrativa dell'evento, su cui tradizionalmente si imposta l'intera e meritatissima fama del “Sogno di una Notte di mezza estate”, un nucleo significativo nascosto e consapevole che ne accompagna e trasfigura l'impatto scenico.
È il gioco della specchio, del riflesso e della rifrazione mimetica, fondamento del teatro e anche della vita, è il movimento di attrazione e rifiuto alimentato da quel potente ed inesauribile motore psicologico e sociale che è l'invidia, è dunque il disvelamento “drammatico” del meccanismo stesso, a costituire qui, in effetti, il senso ultimo ed insieme la finalità della narrazione, oltre e anche nonostante il gioco apparente.
Ne aveva già scritto con efficacia Renè Girard, che considera il “Sogno” un opera geniale, il primo capolavoro della maturità del bardo, individuando negli aspetti conflittuali della imitazione l'oggetto dell'attenzione di Shakespeare, anche per quanto riguarda la capacità di relativa ri-composizione proprie del rito e dunque del teatro.
Come se l'amore per sorgere necessitasse sempre di una sua scomposizione e per alimentarsi di un terzo referente che trasformi la riflessione in rifrazione e dunque in desiderio che si alimenta, e può  alimentarsi solo di sé stesso perché “ogni volta che un imitatore riesce ad appropriarsi dell'oggetto designato dal proprio modello, il meccanismo della trasfigurazione smette di funzionare”, salvo riattivarsi nel territorio “franco” del sogno e quindi del teatro.
Così la sintassi scenica di questo “sogno di una notte d'estate”, conservando intatti i diversi piani significativi che impastano, consapevolmente e con immutata efficacia il testo cinquecentesco, trasfigura la narrazione da sentimentale a gotica, e il bosco in una sorta di teatro notturno, segnato dalla libertà erotica che solo il sogno può conferire e, anche per questo, striato di sensazioni di perdita e anche di morte, forse la stessa morte del desiderio nel suo “diurno” realizzarsi.
Abile e drammaturgicamente intelligente, poi, la scelta registica di esplicitare “en travesti” la sovrapposizione mimetica di identità, sia di genere che esistenziali, in perenne notturna ed erotica scomposizione
Molto efficaci in questo la scenografia ancora di Emanuele Conte, che ricordiamo molto ha lavorato con il compianto Emanuele Luzzati, e di Luigi Ferrandi che trasformano il palcoscenico in una arena circense terrosa e notturna, quasi goticamente cimiteriale, imprigionata nella vita come nella enorme tela di ragno che l'avvolge, arena da cui se si sfugge ci si perde.
Si ride, però, ancora e anche dell'ironia dark della narrazione antica e moderna, sulle note delle canzoni dal vivo di Viviana Strambelli, e dei costumi fiabeschi e insieme metallici di Bruno Cereseto.
La compagnia del Teatro della Tosse dà infine l'ennesima ottima prova di sé, per la sapienza recitativa e fisica di Francesca Agostini, Enrico Campanati, Linda Caridi, Bruno Cereseto, Sara Cianfraglia, Yuri D'Agostino, Pietro Fabbri, Mauro Lamantia, Marco Lubrano, Gianmaria Martini, Dario Sansalone, Viviana Strambelli, che meritano di essere tutti citati per la capacità di dar vita concreta a personaggi sfuggenti, per il carico di sfumature inesauribili di cui sono gravati, e dunque di difficile “individuazione”.
Un bello spettacolo in una serata di esordio fredda e piovosa, cui auguriamo un rinnovato successo nella tournèe che si appresta a sostenere.

 

Foto di Donato Aquaro