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C’era una volta la polvere... e c’è ancora e ci sarà sempre. La polvere dopo una guerra, la polvere di oggi, quella tossica, delle acciaierie, quella dei rifiuti nella terra dei veleni. La polvere e una grande vasca piena d’acqua, una riva abbandonata, fuori e dentro, Medea come una donna dell’Est, Medea prostituta, straniera, esiliata politica, alterità. In mezzo alla scena il sogno infranto del Mediterraneo, culla della civiltà ma anche luogo di scontri, porta d’Europa e tomba degli immigrati. Tutto questo in Materiali per Medea nella regia di Carmelo Rifici. Un viaggio al termine della notte, nel disegno delle luci di Matteo Crespi, nelle scene e nei costumi Margherita Baldoni che, teneramente, mostrano un Occidente inerme, vittima di una società dei consumi, degli sprechi. La regia di Carmelo Rifici accompagna Medea con tutta la pietà che merita, perché il suo mito ci riguarda. Noi, in platea, siamo i figli di Medea sacrificati e spenti nei sogni di una società capitalistica che ha sprecato e ucciso la sua terra e ci specchiamo in un’altra platea, un grande video in scena, forma estetica delle nostre inquietudine. Rifici utilizza la scrittura e il teatro di Muller come esperienza di laboratorio condivisa tra il palcoscenico e la platea, offrendo ad ogni singolo spettatore una possibilità per interpretare e dipingere la sua Medea. Il personaggio del mito non è più un essere di finzione, rappresentato dall’attore, ma portavoce di una società e di un tempo storico preciso. La visione poetica della regia offre i contorni possibili di quell’ “opera assente”, di quel “ritratto inseguito” a cui anela lo stesso drammaturgo tedesco. Mariangela Granelli attraversa la scena con una forza espressiva rara, con una pura bellezza fatta di bisogno umano di esprimersi, di comunicare, di rappresentare il dolore di una “Medea di oggi, vittima del tradimento e dell’inganno, una donna normale, ma trasformata dal dolore che l’ha divorata dentro, come la guerra, ha divorato l’individuo”. La pièce di Müller andò in scena per la prima volta nel 1983, ma le tre parti che la compongono furono scritte nell’ arco di un trentennio, dominate da un paesaggio di devastazione fatto di macerie e polvere, al centro il mito di Medea il suo rapporto con il conquistatore greco, la morte dei figli. Per questa versione Müller ha mescolato e strettamente condensato frammenti dei testi scritti da Euripide e Seneca con momenti di sogno, scrittura automatica e libere associazioni tra paesaggi moderni e scene del mito. Il testo consiste in tre parti: Riva abbandonata, Materiale per Medea, Paesaggio con Argonauti, scritti in differenti periodi in cui la figura di Medea diventa il “contenitore” di un presente che si svela solo quando è legato al Mito e alla Storia. La scrittura di Müller scava e indaga alle origini del mito per calarsi completamente nel contemporaneo. La visione poetica della regia, si sofferma sulla polvere del nostro tempo, un universo metaforico carico di significati, “perché il teatro (per dirlo con le parole di E. Flaiano) non è solo rappresentazione della realtà, ma anche trasfigurazione della realtà, è protesta, un modo di essere presenti, un modo di spiegarsi il proprio tempo...” Carmelo Rifici cerca di spiegare e capire il proprio tempo camminando sulle teste dei re. Si comincia con una citazione tratta da un’opera di Shakespeare. Non dico quale per non svelare tutto. Rifici, nel suo percorso di regista ha condotto opere liriche, ha rappresentato autori classici e contemporanei, con ottimi risultati. Camminando sulle spalle dei giganti si vede meglio più lontano, oltre l’orizzonte.
Milano, Teatro Sala Fontana, 17 Novembre 2013