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Doppio appuntamento, proposto dalla stagione del Teatro Stabile di Genova al teatro Duse dal 10 al 12 gennaio, con quella sorta di freddo, fin alla ferocia, squarcio doloroso sulla nostra intimità e sul mondo che la riflette e la contiene, senza elaborarla, che è la scrittura drammaturgica di Harold Pinter. Massimo Meschiulam rilegge e ricompone, in un dittico coerente, due noti atti unici dell'inglese, appunto L'amante e Vecchi Tempi, proponendone una sorta di continuità che da estetica diventa anche narrativa e dunque drammaturgica.
Potente meccanismo diffrattivo dei piani significativi e intimamente pulsionali che si affollano sulla superficie della parola e del discorso, trasformandosi in passioni, affetti, decisioni razionali, idee e concetti all'apparenza congrui, la drammaturgia di Pinter ne smaschera l'incoerenza e ne smantella l'equilibrio aprendo spazi e profondità, con lo sguardo distaccato quasi più dello scienziato che dell'artista, ad una angoscia sempre più a stento contenuta, ad un vuoto che fa orrore ed insieme affascina.
Pinter utilizza abilmente la sintassi della ripetizione per riprodurre e riproporre sui singoli personaggi e tra i personaggi una medesima narrazione che man mano si fa estranea nella sua autonomia e più si fa estranea più i suoi personaggi la rincorrono, aggrappandosi alla falsità per ricostruirsi una qualunque identità.
Nei due atti unici, dunque che ben si rispecchiano, i protagonisti rincorrono la narrazione altrui per ancorarsi al mondo, cancellando il vuoto che nell'intimo li riempie, e vi si aggrappano, si aggrappano ad una menzogna, ad una maschera, fino allo sfinimento e all'annullamento del mondo.
Così una coppia costruisce un proprio doppio di amanti, fatto di ruoli sovrapposti e speculari, per dare senso ad una relazione che appare altrimenti imprigionata nell'insignificanza, mentre l'arrivo di una vecchia amica costringe un'altra coppia, sempre nella solitudine di una sospesa campagna inglese, a confrontarsi con i propri meccanismi esistenziali, fino alla perdita e alla destrutturazione completa.
Non sembrano esservi identità in questo mondo ma solo narrazioni molteplici e collettive (i ruoli e i personaggi, le uno nessuna e centomila maschere della visione pirandelliana cui Pinter pare in qualche modo debitore) in cui ciascuno cerca di entrare e sistemarsi senza mai pienamente riuscirvi, ciascuno per sopprimere il proprio horror vacui.
Del resto Harold Pinter usa della drammaturgia e del teatro, essendo questo finzione, proprio la sua capacità di non dare scampo alla finzione e all'ipocrisia, la sua capacità di ricostruire l'uomo a partire dalle relazioni con gli altri e con il mondo.
La  regia di Meschiulam ben ne comprende i meccanismi e ne asseconda la profondità, esplorandola in guisa di sonda illuminante, costruendo una scena con pochi elementi che in fondo riproducono nelle posizioni reciproche le relazioni sintattiche delle due drammaturgie.
Bravi anche i tre protagonisti, Fiammetta Bellone, Angela Ciaburri e Davide Mancini ex allievi di Meschiulam alla Scuola di Recitazione dello stabile genovese, che la giovane età induce forse ad un eccesso di sottolineatura mimica e di travestimento quasi ad aggrapparsi anche loro a ruoli e personaggi sfuggenti e dall'identità liquida.
Nel complesso un successo con molto pubblico e lunghi applausi.