La stagione teatrale napoletana riprende anche per DRAMMA.IT. Questo 2014 inizia con numerose proposte teatrali che cercheremo di seguire, come sempre, con assiduità e attenzione. Il primo spettacolo napoletano ci porta al teatro Elicantropo, luogo in cui il nome noto di Carlo Cerciello riporta in scena una delle produzioni
di successo del regista. Parliamo di QUARTETT, testo di Heiner Müller, drammaturgo tedesco scomparso nel 1995 e decretato uno dei geni contemporanei del teatro germanico ed europeo. Il testo, datato 1981/82, attraverso la regia di Cerciello, diventa spettacolo nel 2000, anno in cui riceve la nomination al Premio Ubu Sezione Premi Speciali e nel 2001 al Premio Bartolucci 2001 al Festival di Sant’Arcangelo. In scena a Napoli, nella traduzione di Saverio Vertone, dal 9 gennaio al 2 marzo 2014. Queste lunghe repliche offriranno al pubblico la possibilità di osservare con attenzione i due protagonisti, Imma Villa e Paolo Coletta. La scenografia, modificata rispetto all’allestimento del 2000, diventa una gabbia bianca, lattiginosa. Al pubblico viene chiesto di non calpestare la scena, come se si chiedesse di non “infettare”, di non “influenzare”, di non “contaminare” quel piccolo spazio a cui non ci è dato di appartenere. La scelta di collocare gli spettatori all’interno di questa gabbia ovattata e plastificata, di farli sedere attorno ai quattro lati della piccola scena ( sono previsti solo 27 spettatori per volta), in realtà non li esclude completamente dall’area dello svolgimento della pièce. Non c’è divisione netta ma esiste incastro: il pubblico diventa spettatore di se stesso, guardandosi e analizzandosi attraverso le pareti trasparenti della gabbia. Gli attori non si toccano mai, aderiscono a fogli plastificati, vivono attorno ad una porta girevole, trasparente anch’essa, recitano alternativamente tra i quattro spicchi di ossigeno in cui viene tagliata la scena quadrangolare, interagiscono con il pubblico, emanano la loro voce che sale in alto, dove la separazione architettonica non esiste. Il percorso che il pubblico affronta prima di entrare nella scena-platea è significativo: un corridoio che introduce alla stanza bianca, in cui luminosità accesa e blu gelido si alternano. La sensazione è quella di entrare in un tendone non accessibile a tutti, alcova gelatinosa della nostra mente, in cui la comunicazione è faticosa, forse impossibile. L’ambientazione pseudo-settecentesca, in cui dama e cicisbeo indossano abiti bianchi, parrucche, cerone, ventaglio di piume e cappello, non deve trarre in inganno. La deformazione contemporanea della fiaba ci porta ad un’ambientazione avveneristica e atemporale. Il discorso intrapreso tocca l’umanità, portando agli occhi di tutti un dialogo-recitazione-finzione sulla decadenza umana, sulla deformità del corpo, sulla morte, sulla denigrazione della religione. Un’umanità, quella che viveva quando nasceva questo testo, negli anni ’80, e quella a noi contemporanea, che vive, vegeta e muore cibandosi di materialismo. Il testo, ardito, complesso, ironico, angosciante, viene costruito sulla metafora dell’atto sessuale: non vengono risparmiati i termini e i riferimenti ai genitali maschili e femminili, agli amplessi sessuali di varia specie, al possesso corporeo che diventa elemento fondamentale della nostra vita. L’orgasmo diventa fine ultimo e simbolo di vita e morte insieme, poiché la coscienza non trova altro progetto. Non esiste altro. Le strutture culturali, religiose, psicologiche e filosofiche su cui è stata impostata la società del XX secolo appena concluso, si sgretolano all’ombra del materialismo e della nullità. Il biancore non si identifica con la purezza ma è mancata caratterizzazione e identificazione. Questi ultimi elementi si ripresentano nei ruoli dei due protagonisti che variano il loro comportamento, il loro abbigliamento, che si travestono, svestono e recitano invertendo i ruoli. Il maschio e la femmina si identificano solamente nell’atto sessuale che meccanicamente e naturalmente ha, o dovrebbe avere, un ordine specifico. Il ruolo femminile e la sua purezza si nascondono diabolicamente sotto la commedia della devozione religiosa; il ruolo del maschio possessore muore agli occhi della natura procreatrice della donna. Niente è definito, tutto è in trasformazione e deformazione. Qui non possiamo parlare di ruoli e protagonisti, ma di concetti. Il gioco della commedia e del travestimento descrive parodicamente le ambientazioni di corte, ma la risata sottile dello spettatore nasconde l’angoscia per una commedia infinita che è quella che rappresenta la società omologata. Tra anni ‘70 e ’80 la lotta all’omologazione dell’uomo è una costante culturale e artistica. Il testo, che riprende “Le Relazioni Pericolose” di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, ricorda anche il Don Giovanni e il Faust. E non sono anch’essi simbolo del disfacimento umano, dell’interrogativo costante, del ribaltamento? Ottima interpretazione dei due artisti, ma un plauso speciale va ad Imma Villa, una delle migliori attrici del nostro tempo.
Foto Andrea Falasconi
QUARTETT
Teatro Elicantropo Napoli
9 gennaio – 2 marzo 2014
Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet
presentano
Quartett
di Heiner Müller
traduzione Saverio Vertone
progetto e regia Carlo Cerciello
con Paolo Coletta e Imma Villa
scena Marco Perrella, costumi di Julia Luzny,
ideazione scenica originale Massimo Avolio e Roberto Crea
musiche originali Paolo Coletta
assistenti alla regia Maria Rosaria Postiglione e Pasquale Saggiomo
tecnico audio Giovanni Esposito, tecnico luci Marco Di Napoli
sarta Susy Massari, costruzione panche Marco Di Napoli
realizzazione materie plastiche Plexcite
parrucco Teamleo e Eurosocap Hair Extension
foto di scena Andrea Falasconi
grafica locandina Luciano Correale
si ringraziano
Cinzia Cordella, Annalisa Direttore, Valeria Frallicciardi, Filippo Stasi