Fa una certa impressione. Sorgono a pochi passi di distanza. L’uno, il teatro alla Scala di Milano, consacrato tempio della classicità espressiva, danza musica e opera come nel mondo tutti ci invidiano. L’altro, il Teatro Filodrammatici, assiepato in quella vietta, con una stagione così attenta al teatro contemporaneo, quello sperimentale,
virtuosistico, destrutturato, pionieristico. E anche in questo caso riscuotiamo una certa invidia in giro per il mondo. Sicuramente loro, quelli di Accademia degli Artefatti sanno bene cosa vuol dire fare teatro contemporaneo ad alti livelli.
Fino al 26 gennaio la compagnia fondata nel ’90 da Fabrizio Arcuri porta in scena due drammaturgie del celebre Tim Crouch, nell’ambito del Progetto I. Si tratta di riscritture di classici Shakespeariani, riletture di personaggi e situazione del bardo in chiave di ripensamento narrativo, nuovi linguaggi, contaminazioni. E qui diventa indispensabile l’abilità di chi mette in scena tali drammaturgie.
Si tratta di testi tutt’altro che semplici, creati come teatro per ragazzi ma cresciuti e maturati al punto da possedere un valore spiccato per un pubblico adulto. Peaseblossom resta in scena fino al 19 gennaio, mentre il pendant Banquo, anch’esso parte del progetto I, sarà in cartellone dal 21 al 26 gennaio. Se il primo è tutto incentrato sull’arte dell’intrattenimento spiccatamente posseduta dal bravo (e giovanissimo) Matteo Angius, il secondo è un piccolo gioiellino selezionato come finalista ai Premi Ubu 2013 nella categoria Miglior Novità Straniera.
Peaseblossom attrae la nostra curiosità per l’abile alchimia di elementi che riesce a presentare. Una scenografia da festa appena finita, il folletto di Sogno di una notte di mezza estate, Fior di Pisello appunto, che zompetta qua e là impertinente. Nella più pura tradizione shakespeariana è ilare, birichino, gioca col pubblico, prolisso verbalmente ma delizioso nella magia da favola che sa trasmettere. Finalmente riceve la possibilità di raccontarsi, di spiegare i suoi di sogni, mettendo in luce quello che Shakespeare non gli ha mai fatto dire.
La tessitura recitativa intreccia incursioni in mezzo al pubblico, con qualche malcapitato cui è chiesto di prendere parte simpaticamente alla scena, e apporti audio-video del sapore d’antan.
Nella più pura tradizione festivaliera cui Artefatti è consueto, va in scena tutto il repertorio del contemporaneo a teatro. Spazio scenico e spazio del pubblico si intrecciano, l’attore è unico in scena, caratterista abile e mattatore-animatore che spilla la sottile complicità del pubblico. In una sorta di strutturalismo teatrale il regista è in scena, dirige audio e luci dal palco e prende parte a tratti alle vicende.
Spassosa la griglia pendente di oggetti-maschera che animano personaggi collaterali all’azione. Spettacolo impedibile.